sabato 26 ottobre 2013


PROVERBI LICENZIOSI...

Questa sera, ore 17, nella sede dell'Associazione Culturale "Il Chiassino" di Castelnuovo di Val di Cecina, presenterò la mia ricerca sui proverbi licenziosi, una ricerca ancora in corso. Ho preparato una "interessante" introduzione che adesso riprodurrò sperando che possano giungermi nuove segnalazioni di proverbi, modi proverbiali, bibliografie, aforismi, trivialismi, stornelli, indovinelli, anche a tema più allusivo e moraleggiante. Mi si perdonino queste 5 pagine!  
CONVERSAZIONE SUI PROVERBI
CHIASSINO, “26 OTTOBRE 2013 ore 17


                Che cosa è un proverbio? Pro-verbo, ossia verbo, parola…posso rispondere così: è un detto breve e arguto, di origine e diffusione popolare, che esprime per lo più in modo figurato e allusivo, verità, concetti, regole, consigli o convinzioni comunemente accettate, dal remoto passato ai tempi moderni, tanto che tutti i popoli ne sono ricchi, trasfondendovi in larga parte i fondamenti delle loro usanze e legami sociali, timori, speranze e sentimenti. Lo studio dei proverbi si chiama paremiologia che vorrebbe significare, pressappoco, “che è sul sentiero, fuori della strada normale”.

         Hanno proverbi gli esquimesi e gli abitanti delle isole Figi, i tagiki ed i bantù, e nuovi proverbi, o modi proverbiali nascono incessantemente nelle grandi aree metropolitane del mondo intero. Per fortuna la nostra regione, la Toscana, è una delle aree del mondo più ricca di proverbi che abbracciano ogni contesto della vita dell’uomo. In essi sono sintetizzate le leggi morali, civili, religiose e politiche che si estendono a tutti i casi della vita, della quale, nutriti dall’esperienza,  esaltano i beni e censurano i difetti e i vizi, di quella saggezza che s’è tramandata di generazione in generazione, fino ad invadere con abbondanza la globalizzazione informatica.

         Chi volesse sbizzarrirsi nel far raccolta di proverbi, magari a tema e regionali, oggi troverebbe sul web, credo, decine di migliaia di proverbi di tutto il mondo, magari non esattamente ritmati e talvolta approssimati, tuttavia io n’ho fatto un uso limitatissimo, qualche volta più per le comparazioni che per aggiungere novità.

         Se sarà facile spiegare il contenuto della mia ricerca sui proverbi, arduo è descrivere l’immensa scienza della letteratura delle sentenze, poiché essa è il  patrimonio e il frutto della vita e dell’osservazione di tutti i popoli. I libri più antichi, dagli ammaestramenti del re egizio Amenemhet (circa 2000  a.C.) ai Veda indiani, dall’ I-King al Talmud, alla Bibbia e al Corano, ricordano che i proverbi sono nati con l’Uomo. Aristotele affermava che i proverbi sono “frammenti dell’antica filosofia conservatisi tra molte rovine, grazie alla loro brevità e musicalità” e Cervantes fa dire a Don Chisciotte: “…mi pare, Sancho, che non ci siano proverbi che non siano veritieri, perché tutte le sentenze derivano dall’esperienza, madre di tutte le scienze…” ed anch’io ho messo come incipit alla raccolta di quelli licenziosi, due motti latini: Horas non numero nisi serenas (non indico ore se non serene) e Omnia munda mundis (tutto è puro per quelli che sono puri).

         I primi proverbi locali l’ho appresi da bambino e mi hanno sempre affascinato. Dall’inizio degli anni ’70 del secolo scorso ho iniziato a trascriverli, partendo da quelli locali. Successivamente mi sono dedicato a selezionare quelli sulla pastorizia, confluiti in un libriccino dal titolo  “Fiorin di cacio, facciamo finta di chiamare il micio…”,  pubblicato nel 1999 con la collaborazione di Claudia Vallini, e, per la parte grafica di Fabrizia Doloverti e Liliana Grazzini. Su questa spinta, nel 2006 è uscito il libriccino di Claudia “Fior di grano…profumo di pane” con illustrazioni di Margherita Cianchi. Parallelamente a queste trascrizioni e ricerche mi sono immerso in un segmento  specializzato appuntando diligentemente tutti i proverbi, modi proverbiali, arguzie, motti, locuzioni, detti, relativi all’immaginario della sfera dell’eros, che via via mi capitavano sotto gli occhi: dall’innamoramento all’amore, al matrimonio, alla voluttà, agli eccessi, al tradimento ed alla fiducia, alla fisicità del corpo umano, alla trivialità dell’invettiva, così come ci erano stati tramandati, molte volte soltanto oralmente, nel territorio compreso tra i fiumi Magra e Fiora, nelle Colline Metallifere e in Maremma, in Toscana, aggiungendoci, come ricco contorno, aforismi ed espressioni proverbiali, latine, italiane e straniere.

         Strada facendo vi ho inserito qualche proverbio più leggermente allusivo, qualche indovinello, stornello e filastrocca, tra quelli che mi sono parsi nostrali e originali, lasciando in tal modo aperto un più ampio spazio di ricerca in questo meraviglioso settore della cultura popolare, pubblicando nel 2009, in una edizione privata tirata in 350 copie, contenente 1200 proverbi, un fascicolo dal titolo inequivocabile sul contenuto dello stesso “Di passere e d’altri uccelli…”.

         Dopo tale pubblicazione molte persone mi hanno segnalato nuovi proverbi, modi di dire, stornelli, canzoni, da poter aggiungere, e testi da consultare.  Inoltre, man mano che procedevo nella raccolta, mi sono avvalso, oltre delle fonti orali, di innumerevoli scritti di autori antichi e moderni italiani e toscani, fino a quando il materiale raccolto non è diventato così consistente che ho dovuto ridurlo a circa tremila, per renderlo leggibile.

Ritengo tuttavia che la raccolta abbia soltanto aperto una finestra sul grande universo de “li vulgari proverbi”, del quale si potrà facilmente intuire la vastità, in particolare per i proverbi regionali, da me minimamente trascritti, e per un più attento confronto tra quelli dei paesi europei di cultura neolatina e germanica ed i nostri, provenienti da un’area assai più limitata, dalla quale siamo usciti raramente per raccogliere soprattutto proverbi e aforismi italiani, latini, greci, francesi, inglesi, tedeschi, sardi, lombardi, napoletani e spagnoli, a tema generico “licenziosità” e virtù morali.

Rinunciando momentaneamente ad ogni commento, sia per le difficoltà oggettive della ricerca, che per i tempi lunghi che ciò avrebbe richiesto , ed anche perché nella maggior parte dei casi  m’è sembrato evidente il significato, manifesto o allusivo, considerando inoltre che la raccolta non è destinata alla pubblicazione, ho omesso l’indice delle fonti, scritte e orali, e la bibliografia, quest’ultima davvero imponente.

Mi sono tuttavia reso conto che in moltissimi casi, specialmente per i proverbi e modi di dire dei secoli XVII e XIX, il loro significato ci resta oggi molto oscuro e del tutto fuori contesto. Li ho riportati, tuttavia, soprattutto attingendo a vocabolari o rimari toscani, per le dovute comparazioni tra due modelli antropologici non lontanissimi, uno al tramonto, l’altro all’alba, quello della mezzadria e delle campagne  e quello della comunicazione digitale.

In Italia, l’interesse a raccogliere proverbi, sia da testi scritti e sia dalla viva voce del popolo ed a trascriverli o inserirli in opere erudite, scientifiche e letterarie, è antichissimo, risalendo ai grandi scrittori greci e latini (le cui sentenze, con oltre diecimila citazioni, sono state pubblicate da Rizzoli nel 1991), e, a partire dal secolo XIII, da autori  italici.

Il  più antico testo misogino in volgare compare anonimo tra il 1152 ed il 1160 “Proverbia amalidicuntur super natura feminarum”,  cioè agli albori della nostra letteratura, mentre altri appariranno in Toscana ed in Piemonte nel primo trecento, essenzialmente a carattere moraleggiante e allegorico e Dante Alighieri ne farà largo uso all’interno della Divina Commedia in versi memorabili come  un frequente uso i troverà nel Decamerone di Boccaccio e perfino nel Canzoniere di Petrarca.  Nel ‘400 Antonio Corazzano compone l’opera “De proverbiorum origine” e “Proverbi et facezie”, quest’ultima ad esplicito carattere licenzioso. Si deve infine a Baldesar Castiglione, ed alla sua celebre opera, Il libro del Cortegiano, dato alle stampe nel 1518, una considerazione della donna più emancipata, quasi paritaria con l’uomo. La Controriforma e la perdita di identità nazionale nei secoli seguenti, fino alla metà del XIX secolo, faranno ripiombare la “questione femminile” nella denigrazione e trivialità. A questo proposito segnalo ai curiosi  ed agli interessati una tesi di dottorato all’Università di Barcellona (2009) di Anna Romagnoli, dal titolo “La donna del Cortegiano nel contesto della tradizione (XVI secolo), che illustra brillantemente le cause della “presunta” inferiorità della donna, rispetto all’uomo (http://www.tesisenxarxa.net/TDX-0723109-110153/).

         Per quanto più strettamente legato alla mia ricerca, mi limito a citare: il biblico Salomone, figliolo di David, re d’Israele, al quale si attribuiscono molti proverbi del libro omonimo dell’Antico Testamento, che si fa risalire tra l’VIII ed il IV secolo a. C.; il greco Esiodo, il divino Marco Valerio Marziale e i due grandi del ‘500 toscano, Cinthio de li Fabrizi(De li vulgari proverbi) e Antonio Vignali (La Cazzaria e Lettera in proverbi); tra la metà del ‘500 e gli albori del ‘600 Francesco Perdonati riunì, in vari volumi manoscritti, una vasta messe di proverbi, molti dei quali furono successivamente riprodotti nella terza edizione della Crusca nel secolo XVIII.  Non si possono inoltre tacere alcune espressioni proverbiali inserite da Lorenzo Lippi nel suo poema “Malmantile racquistato”, gli aforismi morali francesi del ‘700 ed i deliziosi detti di Bertoldo, i proverbi di Adriano Politi inseriti nel “Dittionario Toscano” del ‘600, quelli di Carlo Tommaso Strozzi, Sebastiano Paoli da Lucca e le raccolte di Michele Pavanello, del veronese Orlando, di Angelo Morosini e Francesco Lama.  Nel secolo seguente i proverbi conoscono un periodo di splendore grazie alle riscoperte del Tommaseo e del Giusti, che ad essi dedicarono molti anni di studio e di ricerca, e da moltissimi loro discepoli: Antonio Gotti, Gino Capponi, Augusto Alfani, Eugenio Restelli, Arrigo Pecchioli, Niccola Castagna ed ai contemporanei dell’Accademia senese degli Intronati: Bacci, Iacometti, Lombardi e Mazzoni, nonché, per rimanere in terra di Siena, a “nonna Zoe”, originaria di Belforte, che raccolse circa duemilacinquecento proverbi generici, al mio caro amico “Tista”, Giovanni Batistini di Volterra ed anche attingendo a letture inaspettate, come i “proverbios” di Antonio Machado ed al Lunario dei giorni d’amore a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, 1998.

         Ed infine, mi si perdoni l’ardire, ma solo per indicare una insolita via nell’immenso universo dell’eros, ho inserito quindici aforismi ricavati dall’Antologia Palatina, nella summa che ce n’ha offerta Filippo Maria Pontani (1913-1983), tra gli oltre quattromila epigrammi greci che vanno dall’età arcaica al X secolo d. C.
        
         A questo immenso patrimonio hanno inoltre contribuito ricercatori dialettali e locali d’ogni contrada italiana e nell’era di internet si possono trovare sul web centinaia di migliaia di voci proverbiali, modi di dire, detti proverbiali, insieme a stornelli, indovinelli, filastrocche, aforismi, locuzioni, epiteti, esclamazioni, sia in italiano che in napoletano, veneziano, piemontese, siciliano, sardo, friulano ecc. ecc. A chi volesse effettuare confronti e verifiche, nonché approfondimenti, segnalo: il Vocabolario dell’uso toscano, compilato da Pietro Fanfani nel 1863, l’interessante opera di G. Pitrè, voce Proverbi, della Bibliografia delle Tradizioni Popolari d’Italia, 1894, gli aforismi di Marie Von Ebner – Eschenbach della fine dell’800, nonché il volume “Dizionario Letterario del Lessico Amoroso: Metafore, Eufemismi, Trivialismi”, Utet, Torino, 2000; i lemmi specifici del Grande Dizionario della Lingua Italiana, Utet, Torino, 1961-2004; il Diccionario de Refranes di Luis Junceda, i 5000 proverbi e motti latini raccolti da L. De Mauri, Hoepli, 1926 e 1990, i volumetti curati da Guglielmo Amerighi nella collezione “Mezzo Scudo” della Libreria Editrice Fiorentina, ed infine Il Grande Dizionario dei proverbi italiani in Cd-rom di Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Zanichelli, 2006, che contiene 11.000 proverbi con esclusione di quelli dialettali, dai i quali ho tratto spunti e traduzioni tra quelli raccolti da Claudio Urbani, dai campani, laziali, lombardi e siciliani. Infine, un ringraziamento speciale lo devo alla mia compaesana Wilma Banchi, per la quantità di proverbi, stornelli e aforismi che mi ha trascritto con precisione.

Non rientrava nel mio scopo eseguire un lavoro scientificamente impostato, ma soltanto appagare l’antico desiderio di mettere nero su bianco una parte di quel patrimonio, considerato, non a torto, “la scienza dei poveri”, così volgare, tenero e corposo che ci accompagna nella vita quotidiana, quanto più è nascosto nella cultura ufficiale e scolastica, onde salvaguardarne il bagaglio di sapienza, di ironia, e di saggezza che esso racchiude. Apparirà nel nostro tempo,  anacronistico e superato il preconcetto, se non disprezzo, del maschio verso la femmina, ispiratore della maggior parte dei proverbi da me riportati, frutto di una cultura millenaria non ancora del tutto rinnovatasi, che trasforma la donna in mero oggetto di riproduzione e di utilità domestica; una creatura inferiore, lussuriosa e di bassi istinti, ritenuta per secoli  dalla cristiana religione l’origine del peccato originale,  di cui non fidarsi mai. Tuttavia non possiamo operarne l’oscuramento; al contrario, la visione in negativo del ruolo femminile consentirà di apprezzarne, quando la tragica fase in cui viviamo, per brevità definita del “femminicidio”, che non intendo amplificare,  sarà conclusa, il progresso sulla strada dell’emancipazione e della parificazione sociale e sessuale. Si tratterà, credo, di un processo storico ancora lungo e difficile, perché, al di là, di prevedere condanne per chi fa violenza sulla donna, come ha sancito la recente legge approvata dal Parlamento italiano, occorrerà con altri mezzi, sociali, culturali religiosi, incidere sulla coscienza e sui costumi dei popoli per modificare millenni di scissione tra l’uomo e la donna recuperando un pieno rapporto unitario.   

Mi accomiato con le parole del “maestro”, l’incantevole Rabelais:

Gentili  amici, voi che m’accostate,
liberatevi d’ogni passione,
ed ascoltando, non vi scandalizzate:
qui non si trova male né infezione.

E’ pur vero che poca perfezione
apprenderete, se non sia per ridere,
altra cosa non può il mio cuore esprimere:

meglio è di risa che di pianti scrivere,
ché rider soprattutto è cosa umana.

Si, ridere è cosa saggia e salutare,  come recita un antico proverbio: “Chi ride leva un chiodo alla bara!”, ossia vive più a lungo e meglio di chi non lo faccia. Infine, per correzioni  e proposte di ulteriori aggiunte, se  qualcosa vi verrà in mente, anche nei prossimi giorni, sarò contento di riceve e mail all’indirizzo: karl38cg@gmail.com e in anticipo ringrazio chi lo farà.



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