mercoledì 31 maggio 2017




Palazzo De Larderel a Larderello, Toscana, Italia.


LARDERELLO, GEOTERMIA, LOTTA POLITICA E SINDACALE

PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI

Antologia di scritti politici e sindacali di Carlo Groppi
1964 - 1985


Il tempo irripetibile degli eventi narrati
(e questa Antologia), lo dedico a Grazia,
che l’ha sofferto con solidale partecipazione.

                                                                                       A me stesso

                                                        Si sollevano gli anni alle mie spalle
                                                                     a sciami. Non fu vano, è questa l’opera
                                                                     che si compie ciascuno e tutti insieme
                                                                     i vivi i morti, penetrare il mondo
                                                                     opaco lungo vie chiare e cunicoli
                                                                     fitti d’incontri effimeri e di perdite
                                                                     o d’amore in amore o in uno solo
                                                                     di padre in figlio fino a che sia limpido.

                                                                                                   M. Luzi

 Indice

Premessa

L’esperienza comunista

1.     Iscrizione al Partito (1961)
2.     Intervento all’assemblea degli iscritti della Sezione del Pci di Castelnuovo di
       Valdicecina (29 maggio 1964)
3.     Angelo era e non aveva ali… (1964)
4.     Pagine Operaie (15 luglio 1964)
5.     Giornata internazionale di solidarietà con il Vietnam aggredito (21 ottobre 1967)
6.     Costituzione di un “Comitato Locale per la Pace e la Libertà nel Vietnam”
        (23 novembre 1967)
7.     Il “Comitato Locale per la Pace e la Libertà nel Vietnam”di Castelnuovo di             Valdicecina (25 novembre 1967)
8.     Intervento al congresso di Sezione del Pci di Castelnuovo di Valdicecina 6  marzo 1968)         
9.    Documento sui problemi della Valdicecina (16 dicembre 1970)
10.  La vita è fatta di scelte. Lettera ai giovani di Castelnuovo di Valdicecina (20      maggio 1971)
11.  E’ esploso il più potente soffione del mondo: “Travale 22” (7 gennaio 1972)
12.  Documento finale del X° congresso dei comunisti di Castelnuovo di Valdicecina         (20 gennaio 1972)
13.  25 Aprile. Liberazione dell’Italia dalla dittatura fascista (25 aprile 1972)
14.  Appello agli elettori di Castelnuovo di Valdicecina (aprile 1972)
15.  La Valdicecina vota comunista (29 aprile 1972)
16.  A tutti i compagni, ai giovani, agli elettori comunisti (12 maggio 1972)
17.  A chi serve? (18 maggio 1972)
18.  Il “buon Natale” di Nixon (24 dicembre 1972)
19.  Intervento alla conferenza operaia della Valdicecina (2 febbraio 1974)
20.  I comunisti per il Vietnam, per un nuovo corso politico in Italia, per lo    sviluppo     del Comprensorio e giustizia per i lavoratori degli appalti (19 maggio 1975)
21.  Ballata per le elezioni del 20 giugno 1976
22.  La presenza in fabbrica del Pci apre prospettive di avanzata unitaria per lo       sviluppo produttivo e per una maggiore tensione morale e ideale tra i lavoratori
         (1977)
23.  Essere comunisti (1977)
24.  Scheda bianca o scheda rossa? (1983)
25.  Grazie compagni, grazie cittadini! (1983)
26.  Lettera aperta ai lavoratori dell’Enel-Larderello (22 febbraio 1984)
27.  Una risposta significativa alle strumentalizzazioni (23 febbraio 1984)
28.  Grande partecipazione allo sciopero generale provinciale (1 marzo 1984)
29.  La verità dei numeri (1984)



(parte 1, continua)













































































































































































































(Capitolo 1)

venerdì 26 maggio 2017




Ricordi di  donne  e di una rarità filatelica.
Sera calda di fine maggio. Incontro nel giardino di Piazza Matteotti, R.R., un ex collega della Larderello SpA, poi nazionalizzata nell’ENEL nel 1963, anch’esso in pensione da una ventina di anni. Suo padre è stato il Capo delle Officine della “Larderello”. R.R. aveva un fratello, A.R., con il quale ero in amicizia, un appassionato collezionista ed esperto in “marche da bollo”, che conquistò un prestigioso premio ad una Esposizione Mondiale di Filatelia, credo ad Helsinki negli anni ’80, e mi regalò alcune rare marche che aveva doppie, ma, soprattutto, un  blocco prova di stampa, emesso dai nazisti per il solo uso postale degli ebrei che transitavano nel Campo di Terezin, in Boemia, prima di essere avviati ad Auschwitz. Un pezzo molto raro.
A.R. morì ancora giovane per una grave malattia ed io provai un grande dolore. Anche R.R. aveva l’hobby del collezionismo, soprattutto per i libri, riviste, foto, cimeli sulla Seconda Guerra Mondiale, come pure per la storia di Larderello, comprese  stampe, fotografie e lettere. La sua sorprendente memoria  mi stupiva quando a distanza di decenni ricordava esattamente i numeri di targa delle auto  di ex colleghi, come pure date di nascita e di morte , di matrimonio, di una moltitudine di persone. Aveva fatto le scuole tecniche a Livorno ed era impiegato alla Larderello, disegnatore meccanico, poi nel Settore Amministrativo.

Ci siamo messi a parlare delle persone che avevamo conosciuto in fabbrica, dagli anni ’50 agli anni ’80, soprattutto delle donne. Chi era la più bella tra i circa duemila dipendenti, dei quali un centinaio donne? Abbiamo convenuto che la più bella era IB. IB era fidanzata con un giovane che morì tuffandosi in mare e sbattendo la testa contro uno scoglio. Dopo un po’ di tempo si fidanzò e sposò un nostro amico e collega, un disegnatore e collezionista di francobolli. Mi ricordo di averla vista in costume sulla spiaggia di Cecina, credo potesse stare alla pari con le dive americane!  Da Larderello si trasferirono a Pisa e successivamente a Firenze. Adesso son morti. Ma ti ricordi di M. F. la figlia del Capo delle Guardie? Anche lei era bellissima! Si, bella e sfortunata. Sposò il figlio del Capo delle Perforazioni, ingegner C., Carlo, laureato in medicina a Pisa: si ammalò e visse un po’ su una seggiola a rotelle, la seguì poco dopo il marito. Certo una famiglia sfortunata perché anche A., la sorella di M., era morta non ancora ventenne, anche lei bella e campionessa di tennis da tavolo. Naturalmente non erano le sole a possedere il dono della bellezza, e all’infilata ne abbiamo ricordate altre, come L., MP., K., MS. Invece, nell’ufficio dove entrai  io nel febbraio 1956  c’erano solo due donne di mezza età, una elegante ma bruttina, che, si mormorava, fosse l’amante di uno dei nostri Capi, e che non dava confidenza a nessuno; e un’altra, molto trasandata, che possedeva il dono di sentire i fluidi sotterranei, una rabdomante che veniva utilizzata per le ricerche del vapore.  Quando era in ufficio si rannicchiava dietro ad un tecnigrafo a pregare immagini sacre!  Un mondo scomparso e irripetibile, o quasi. 

domenica 21 maggio 2017



Nella foto Eny è la quinta da sin a dex. (1935 ca.)

Eny Serenari. 100° Anniversario della nascita.

Il 22 maggio 1917, da Giuseppe Serenari (nato il 6 ottobre 1891) e da Emilia Bilei (nata nel novembre 1892) nasce a Mather (USA) in Pennsilavnia,  secondogenita di una famigliola di emigranti castelnuovini, Eny. Lery, la sorella aveva ormai tre anni ed anch'essa era nata negli Stati Uniti. Come tanti altri castelnuovini Giuseppe ed Emilia avevano affrontato il terribile viaggio in bastimento per cercare una risposta alla loro miseria:

Cara mamma voglio partire
Nell'America voglio andar,
Sono stanco di soffrire
Là mi voglio consolar.
...
Mamma mia dammi cento lire
Perchè nell'America voglio andar,
"Cento lire te li dò
Ma nell'America no, no, no."

Ma ascoltiamo il racconto di questa storia, proprio da Eny:

…noi, di casa si stava in borgo, sopra la chiesa, anzi a parete con essa. Fino a che non è morto il mio nonno, Giuseppe Bilei, quella casa apparteneva alla nonna materna, Elettra Frasconi, che l'aveva portata in dote. Allora tutti si abitava nel borgo e il paese finiva con la casa di Ginulfo al Piazzone e con quella di Meo, il carraio, a San Rocco. Dove ora ci sono le case del Meucci ci si andava a vedere il circo " La Carla" e i saltimbanchi...e poi intorno c'erano i campi. Le due porte del borgo erano aperte, ma con i muri solidi e gli archi e fuori della porta Fiorentina c'era l'unica fonte con l'abbeveratoio e il lavatoio. L'altra fonte, quella monumentale, era in castello con un'altro lavatoio, la buttarono giù gli americani nella guerra perchè non ci passavano con i carri armati. Quando morì il nonno si cambiò casa andando ad abitare nella piazzetta del Masselli. Io, Lery, la sorella più grande, i miei genitori e la nonna e poi Gemma, la sorella più piccola che è nata nel 1923. E come la nostra famiglia erano quasi tutte le altre, coi nonni in casa, un po' di terra da lavorare e chi era più fortunato un lavoro alla Boracifera, ma anche con più di tre figli! La casa aveva due camere, di cui una buia, un salotto e una cucina. L'ingresso della cucina dava direttamente sulla via e non c'erano servizi igienici (allora nessuno li aveva in casa). Nella camera buia, su due letti da una piazza e mezzo ci si dormiva noi tre sorelle con la nonna Elettra e i genitori dormivano in quell'altra. Poi la nonna si ammalò e allora si trasferì nella camera dei genitori, dove morì, nel 1938. I "nostri bisogni" si facevano nel vaso che veniva vuotato in dei "bigoncioli" o barlette poi portate col ciuco alla vigna oppure immesse nel fossato. Poi, verso il 1935, si ricavò un piccolo stanzino con la buca - il nostro bagno! - che andava a finire nel pozzo nero in cantina. Al piano seminterrato c'erano le stalle, per il ciuco e per i gabbioni dei conigli e anche per tenerci il vino della nostra vigna, le legna e le foglie secche di castagno che avevamo raccolto e servivano ad impattare il maiale nel castro al di là del fossato...la paglia costava troppo cara. Ai Lagoni di Sant' Antonio c'era un orto e vi tenevamo qualche pollo. Il mobilio della cucina consisteva nella madia, l'attaccarami, il focarile e due fornelli a carbone per cucinare. La lastra per stirare si metteva a scaldare sul focarile e qualche volta anche il pentolo coi fagioli. La polenta si faceva nel paiolo che si attaccava alla catena del camino. In casa c'era anche una botola che serviva per gettare di sotto, in una specie di sugaia, la spazzatura e i rifiuti. L'inverno veniva brutto, sempre con tanta neve e si empiva la "ghiaccera" a San Rocco e per scendere nelle vie del borgo ci si faceva le ciabattine di cencio per non cadere sul ghiaccio. Quando nel 1938, l'otto di dicembre, sposò la mia Lery c'era un metro di neve! e nel 1942, quando morì il mio babbo, il 17 di febbraio, nevicò anche il 20 di ottobre. Si metteva il fuoco a letto e si tenevano un braciere e due o tre caldani: la brace e la carbonella si facevano da noi e il carbone si comprava da Ciro di Naso. Se poi qualcuno era ammalato o aveva il "mal di pancia", si scaldava un testo e si avvolgeva in un panno di lana prima di metterlo nel letto. Nell'inverno nel tempo di Natale si andava a veglia nelle case di parenti o famiglie di amici e si giocava a tombola e noi bimbi all'anello, alle befane e a fare i ditali di farina dolce sul focarile, e qualche volta anche il croccante con zucchero e mandorle che ci dava Annita Frasconi, che nella vigna ne aveva tante. D'estate veniva caldo: il bagno si faceva in una tinozza grande. Non si viveva male in questo periodo, dopo il ritorno dall'America, almeno non peggio delle altre famiglie, anche se eravamo tre femmine. Prima di andare in America il mio babbo lavorava come bracciante in campagna, allora non aveva ancora la terra che la portò in dote Emilia, campi con vigna al di là del Pavone, verso le Casettine, sopra il Cantini. Nel 1941 avvenne la divisione dei beni tra i due fratelli Serenari, mio padre Giuseppe e Raffaello, e noi si prese la vigna, Raffaello la casa. Ma appena sposati, nel 1912, partirono per l'America. Avevano 20 e 22 anni e il babbo fece il minatore nelle miniere di carbone fino al 1921 insieme con tanti altri castelnuovini. Mio padre partì per l'America perchè c'erano già sua sorella Speranza e suo cognato, Panicucci Panicuccio, detto "Giombè". Prima abitarono insieme, poi si divisero. La sorella, cioè mia zia, morì all'età di 33 anni, lasciando tre figli, Pierino, Ismo e Giorgio. A Castelnuovo si ammalò gravemente il babbo del mio babbo, Pietro, e noi si ritornò in Italia per rivederlo. Si pensava di ripartire ma ci fu una novità perchè il babbo fu preso a lavorare alla Boracifera, ai filtri dell'acido borico a Larderello. Faceva i turni e andava a piedi, poi nel tempo libero andava a lavorare le nostre terre sopra il Pavone. Noi col fascismo non abbiamo avuto problemi. Non si aveva alcuna idea politica ed eravamo molto religiosi. Una volta i fascisti presero mio padre, ma cercavano un'altro Serenari e lo rilasciarono subito. Quando tornò dall'America aveva perso il diritto al voto, così non si votava nessuno perchè le donne allora non votavano. Per andare alle terre ci voleva un'ora  e una per tornare. Molti borghigiani avevano le terre, più o meno vicine al paese. Qualche volta si andava anche noi bimbe, per la via del Brotino, la madonna al Piano e il fiume si passava al Collonzolo; solo se c'era la piena si passava col ciuco sul ponte lungo, al Defizio...le nostre terre erano un vero giardino, con tanti frutti, viti e anche un po' di grano e granturco che si macinavano al mulino e il vino bastava a due famiglie. Però non avevamo i castagni e si raccattavano quelli del mio zio Raffaello, all'Acquaio e anche quelli di Brillante, al Giardino. Mia sorella Lery lavorava di sarta e tanta gente di campagna la pagava con prodotti alimentari; le legna si facevano nel castagneto e anche lungo il Pavone, che dopo le piene portava tanti tronchi e rami. Si andava col ciuco a fare le fascine, le schiappe, i ciocchi, perchè allora era libera la raccolta della legna e non si pagava il legnatico, bastava solo non fare danni al bosco, e non era fatica, ma un divertimento! Il pane si preparava in casa e si andava a cuocere a uno dei numerosi forni del borgo, noi si cuoceva a quello di Celide, ai muriccioli, che apparteneva al Cercignani,  e prima si ripuliva e si scaldava. La nostra alimentazione era fatta di pane, verdure e maiale. Il passeggio era andare alla fonte perchè c'era sempre un gran via vai di persone e mi ricordo che una volta, sul ghiacciato, scivolai  per salvare le brocche di rame, poi le brocche si dettero alla Patria con le nostre fedi d'oro...Si, c'erano pochi divertimenti: la Filarmonica, il ballo, le processioni in borgo, qualche operetta fatta da attori paesani, Eda Benincasa, Ezio Fabbri e altri; si festeggiava in borgo Pasqua di Rose, anche con giochi al casalino e per le strade si mettevano i petali dei fiori; poi, a gruppi di amiche, si andava per la strada dei Lagoni, a spasso coi nostri fidanzati e così si faceva anche dopo le funzioni religiose tenute a sera ne mese di maggio, nella chiesa di castello. La chiesa del borgo era meno importante, però ci si festeggiava la "Candelora" e poi era la sede della Misericordia. Quando c'erano le processioni tutti gli uomini della Misericordia uscivano incappucciati e con gli stendardi e i lampioni. Quando aprirono l'Asilo, nel 1927, io ci andavo a imparare il ricamo e dopo lo insegnavo ai bimbi più piccini. Allora c'era suor Leonora, nata nel 1902  e che adesso è ancora viva e si trova all'asilo di Lustignano. Ci sono andata per molti anni e c'erano quattro o cinque suore. Le fiere erano tra le feste più attese, specialmente quella di novembre, la più ricca perchè erano state vendute le castagne! si faceva al Piazzone e noi ci si divertiva a veder arrivare anche da Fosini la gente delle campagne con tutte le bestie, cavalli, ciuchi, bovi infiocchettati, tutto un via vai di persone, capre, il cantastorie che cantava del Musi e dei Franchi, e anche dopo cena si poteva uscire, accompagnate da qualche familiare o persona più anziana. Una volta all'anno si andava alla fiera della Perla e anche, a piedi, alla Madonna della casa a San Dalmazio, passando da Lama, Quercetonda, Mitigliano attraverso i boschi e le grotte e ci si fermava a far colazione e a San Dalmazio si faceva sosta per comprare le cartoline, ma prima di entrare in paese ci si metteva tutte a cantare. Allora visitai Lanciaia e la torre di Sillano. Di gite più lunghe ho fatto, col barroccio della Tradotta o con quello di Romolino, quella per la festa della Madonna del Frassine. Invece la festa della Madonna a Castelnuovo era al Piano. Ci si andava a piedi per la via del Brotino, tante persone, e si faceva merenda. Gli uomini invece andavano alle "Società" dove giocavano a carte e a bigliardo e bevevano il vino. Ce n'era una anche in via Nuova del Borgo, dove poi tornò la Bicchierona, anche il Nero c'è stato tanto. Un'altra “Società” era al Caratello. In paese, al bar di Ersilia "la stagnina", vendevano anche il gelato e così da Luisa, la mamma di Sorge Groppi, il barbiere. Dolci e gelato li vendeva anche "Silla", che era stato in Sicilia e li sapeva fare. In paese c'erano tanti ubriachi! Mio padre è morto nel 1942 e io avevo già sposato Enzo, nel 1939, ed ero tornata su per la Chioca. Lery aveva sposato l'anno prima ed era tornata con Vairo alle Piagge. Mia mamma rimase in casa con Gemma e cominciò ad andare "a opre" in campagna, a  levare le pietre dai campi, fare i bucati e altri lavori pesanti. Poi Gemma venne presa alla Cooperativa di consumo come commessa e la situazione economica migliorò".


Registrazione di Carlo Groppi, 1987. Eny è la mamma di mia moglie, Grazia. Praticamente dal 1959 al 2008 abbiamo vissuto o nella stessa casa o molto vicini. E' stata una persona semplice, religiosa, mite. Cucinava benissimo ed in più era una ricamatrice di talento. Sono contento di aver conservato alcuni dei suoi lavori, vere opere d'arte. 

sabato 13 maggio 2017













Nel freddo dei comignoli spenti

Muore ogni giorno il borgo grigio,
il vento soffia nel corno una malinconica nenia
e muore ogni giorno anche il mio cuore
nel freddo dei comignoli spenti.

Il programma della morte è elaborato
su un percorso critico, infallibile:
lo sgomento, la paura, la fortuna, l’amore;
nessun evento umano può mutarlo.

Eufemia, la strega che minacciava i bambini,
il Nangi centenario, la Gegia che incontravi
sulla fiorita balza, tra l’erba, inaspettata,
il medicastro che allevava mignatte ripugnanti,
e il Borra tetro, vittima innocente,
Bube, il padrone dei noci, la Gesua dai cento
ganzi, la pazza che urlava ai passanti
e Pellegro il tremolante e gli ubriachi
che pisciavano al muro di Camilla,
                                   la sfortunata amante
che sempre trovava per me un sorriso,
il Boddi generoso, dal viso abbronzato,
che saliva a cavallo le ripide scalinate,
e Giorgio che tardò il lancio della dinamite
e le carni e i capelli beccarono sugli alti rami
                                   gli uccelli silvestri:
e tutti gli altri che riempivano
di gesti, ciarle, canzoni, lotte, giochi,
passioni i vicoli del borgo e la vita,
ora dormono nei dischi del nulla
e nessuna scheda, nessuna istruzione
può riportarli tra i vivi.

Chi piangerà per noi? Chi veglierà
la nostra morte? Chi busserà alle porte
del borgo deserto? Chi rammenterà le gesta
dei padri nostri che ci hanno generato?

Come lontano appare il tempo
di giovinezza, lontani gli inganni
del cuore, l’amore innocente e biondo,
le veglie, la notte stellata
aperta sul mondo sconosciuto che volevo
conquistare! Ed ora piango
lacrime amare.

Muore ogni giorno il borgo grigio,
il vento soffia nel corno una malinconica nenia
e muore ogni giorno, un poco, anche il mio cuore,
nel freddo dei comignoli spenti.

venerdì 12 maggio 2017




I-b-kal,  Mary Swann,  Anna, Gianna.

Dagli scavi di un blog sepolto dalla sabbia, ma non del tutto cancellato, ho riportato alla luce frammenti  che mi son serviti a ricostruire parzialmente figure e sentimenti espressi liricamente, non del tutto dimenticati. Li posto su questo nuovo blog per condividerli ed infine per riporli nel “canzoniere”  che mi accompagnerà alla perdita della memoria ed infine alla riva di “nostra sorella morte”.  
I-b-kal: “ grazie per le belle poesie! La tua memoria sembra dilatare il tempo, perché fai tante cose…sono passati solo quattro anni da quando ci siamo incontrati! Ho trascorso una serata molto bella, e l’ultimo scambio era intenso.

Anche se l’albero ama la quiete non può impedire al vento di soffiare.

Amavo la quiete, il ricordo era lieve.
L’affanno del cuore mi aveva lasciato,
senza rimpianti si avvicendavano gli anni,
sempre uguali, tra logore bugie
ed effimere ombre, senili illusioni.
Ma il vento! Il vento s’è risvegliato
Dal profondo mare e m’ha avvolto
In un turbine di voluttuosi gemiti.
Oh! Povero me! Come un fuscello
m’ha sradicato dalla terra ed ora volo,
volo sbigottito verso sconosciuti mondi!

Da Mary Swann ad Anna. Dove si parla di poesia e di donne.
Leggo un libro, il romanzo di una grande scrittrice canadese, Carol Shields, premio Pulitzer 1993, dal titolo “Swann”, pubblicato in Italia, in prima edizione, da Voland, 2007, con il titolo “Mary Swann”. E’ un libro che parla di poesia, della scoperta di Mary Swann. Appunto, una oscura poetessa canadese del XX secolo, vissuta nel rurale Ontario, uccisa brutalmente all’età di cinquanta anni. Dopo la morte, il suo genuino talento diviene preda delle brame del mondo accademico finché, inspiegabilmente, le prove tangibili della sua esistenza (foto, appunti,un misterioso diario) cominciano a svanire nel nulla…Carol Shields confeziona un romanzo brillante e ricercato sulla natura sfuggente di ogni opera d’arte: i quattro protagonisti, legati per diverse ragioni all’enigmatica figura di Mary Swann, cercheranno di trattenerne la memoria, di ricostruire l’immagine di un’artista che esiste ormai solo nei ricordi di chi l’ha amata. Il libro mi ha colpito per alcune frasi: “…un poeta è in grado di parlare anche degli strati percettivi di cui non ha conoscenza personale…i grandi poeti hanno il bagaglio  di una più ampia parte della memoria ancestrale…le loro esperienze reali, gli avvenimenti delle loro vite, non sono importanti. E’ la disposizione genetica, certamente una mutazione, a spingerli avanti e concedere loro di essere filtri  di una più ampia conoscenza…questo è il mistero centrale dei poeti…i poeti devono rivelare al mondo  la loro unicità di esistere”.
E’ chiaro che il romanzo mi ha profondamente coinvolto, non solo perché anch’io, nel mio intimo, mi considero “un poeta”,  non solo perché l’unico mio libro stampato porta impresso, misteriosamente, il nome Swan (ma poteva benissimo essere Swann, se il nome non avesse richiamato troppo sfacciatamente Proust), non solo perché ho intensione, prima di morire, di far svanire le prove tangibili fonte della mia creatività, ma, essenzialmente, perché anch’io mi sento  custode di tre voci liriche di intensa, sorprendente misteriosa bellezza, tre voci di donne, Anna, Asia, Dina. E di Anna, oscura poetessa metropolitana, propongo ai lettori alcuni testi inediti:

Conosco un mondo
nel quale ogni tuo desiderio è il mio,
ogni tua gioia è la mia,
ogni speranza ed ogni dolore
i nostri:
ma nessuno di noi due lo vuole scoprire.
Due mondi che navigano nell’infinito,
a volte si scontrano,
ma mai si uniscono.

Io sono una piccola noce vuota
dispersa in un mare arruffato d’erba,
sbattuta dalla tempesta degli anni:
aspetto,
aspetto che una infinita bontà
mi riempia di saggezza,
di una fede che non ho,
di un amore senza desiderio,
che mi liberi dal mio duro guscio
e mi trasporti al ruscello,
poi al fiume, e poi al mare
calmo.

Gianna.

Sono ritornato alla villa addossata allo sperone solitario del Monte Voltraio, un luogo magico, dove il mio amico partigiano Eligio Martellacci fu immortalato da Olmi nel film “Cammina, cammina…, per incontrarmi con persone sconosciute, venute dalla Baviera. Grazie ad Antonella, infaticabile animatrice del Centro Interculturale Villa Palagione, sono stato avvolto maternamente in un ambiente caldo e amichevole, da squisitezze gastronomiche e delicate bevande, seduto comodamente in poltrone morbide, oppure camminando tra i quadri della mostra sul tempo di Mozart al Chiostro Benedettino di Seeon. Mi sono fatto circuire dagli amici di una televisione locale rilasciando una breve intervista sul pittore Pieter de Witte a Gianna, si proprio a lei, perché è stata capace di scrivermi una lettera (commentando il piccolo libriccino di poesie El poeta canta por todos), degna di essere incorniciata e serbata per tutto il resto della mia vita! Ma chi l’avrebbe mai detto che di ciò fosse capace una quasi sconosciuta? Seduto nella Sala dei Concerti, dalla perfetta acustica, mi sono deliziato ad ascoltare alcune canzoni di Mozart cantate dal Coro del Circolo musicale di Seeon e accompagnate da un armonium e due mirabili violini. Due fanciulle uscite dal libro delle fate, diafane, come le acque dei laghi bavaresi. Così il mio pensiero è andato alla loro trasparenza, a quella della musica immortale di Mozart, ed alla trasparenza delle sculture di luce e di alabastro ammirate al mattino, ed anche alle trasparenze dei nudi di donna di Goya, Manet, Picasso, Botticelli, Tiziano…: Maja, Olympia, Flora, Venere, e di una donna memorabile addormentata su una spiaggia lontana. Stregato dalla bellezza, m’è salita alle labbra una poesia antica,  di un poeta Tang, mentre nella notte stellata ritornavo a casa.

Sulla riva del mare del nord gioco col mio bimbo piccino,
ci siamo entrambi tolti le scarpe e scalzi siamo entrati nell’acqua fredda,
l’acqua sottile dell’autunno inoltrato, raccogliendo piccole pietre
e conchiglie spezzate; stanchi sull’arenile asciutto abbiamo tracciato
cerchi intorno a noi, per impedire al Dragone di entrare; il Sole calava.

Mentre assorto scrutavo oltre l’orizzonte il caldo letto che le nubi
preparavano al Sole, m’è salito al cuore un moto di malinconia,
pensando al mio giaciglio umido e trasandato nella capanna di canne:
la mia amata lontana non potrà mai riscaldarlo, e dopo di me che sarà?

Fra i ginepri selvaggi e l’erbe fruscianti prendiamo il sentiero nella duna,

tardivi cormorani solcano stridendo le nubi purpuree.


Sognando Tu Fu

Il primo bacio
fu l’ultimo bacio.

Si stupì la notte,
tutto era perfetto,
non mancavano
né luna, né stelle,
né bellezza, né amore.

E una carezza
non fa mai danno!

Si stupì la notte,
tutto era
maledettamente vero.

Per questo si stupì
la notte.

Ma, al contrario,
non doveva stupirsi:
l’effimero
governa il mondo;
rondini e gru
non volano insieme.

Mi da’ gioia
il boschetto dei bambù
serrato dal muro
antico, e l’ondeggiar
delle vecchie canne
al tiepido vento.

Si piegano flessuose,
non si spezzano.

Mormorano

di baci lontani.

giovedì 11 maggio 2017

LA CAMPAGNA DENTRO LE MURA . 
BUGGIANO CASTELLO (PT).

Metto questo post per non dimenticare, poiché ormai fino al mese di maggio 2019 l’apertura al pubblico di 19 giardini privati del Castello di Buggiano (PT) non è consentita. E in quell’anno l’apertura sarà concessa soltanto per due domeniche dalle ore 9-13 e 14-19. Gli interessati potranno informarsi  sul sito info@lacampagnadentrolemura.it Quest’anno è stata la IX edizione.  Biglietto da 8 €, e 6 € per quello ridotto. Si tratta di un percorso in orti, spazi verdi,  e giardini di privati, con intermezzi musicali e degustazioni gratuite di bevande bruschette e dolci agli agrumi, guidati dai proprietari, dei quali colpisce la gentilezza, la sapienza e la semplicità. In più l’amore profondo che dimostrano per il loro piccolo affascinate Borgo. Un luogo nel quale l’incipit “TOSCANA OVUNQUE BELLA” sembra davvero appropriato. Dai suoi 179 metri di altitudine il Borgo, di origine romana, domina la Valdinievole.  


Quest’anno si potevano visitare opere pittoriche nel Palazzo Pretorio, la mostra fotografica “Storia di un Borgo giardino” di Mario Niccolai, una esposizione della Collezione di agrumi  e mercato di piccole piante, e in Piazza Pretorio  una degustazione di gelati e canditi  agli agrumi. Nell’antica Pieve Romanica del XI secolo un delizioso concerto d’arpa creava una atmosfera molto suggestiva. Naturalmente era aperto un posto di ristoro: L’Hotel Villa Sermolli, che fin dal 1700, offre un ambiente  unico, immerso tra i fiori e  gli agrumi con la terrazza dalla quale la vista spazia fino al mare (info@villa-sermolli.com).  Per questo evento  la cucina di Villa Sermolli  proponeva due menù:  uno da 16 € ed uno da 24 €. Naturalmente gli agrumi erano al centro delle preziose vivande! Tra i tanti mi ha colpito un “orto di erbe e parole”. Le erbe erano quelle aromatiche e quelle officinali, le parole le trovavi nei bigliettini multicolori sparsi qua e là tra le  erbe e i cespugli dell’orto: versi di grandi poeti  ispirati a erbe e fiori. Montale (camelie, limoni), Leopardi (ginestra),  Govoni (peonie), Pascoli (digitale purpurea, gelsomino, rosa di macchia), ‘Ali-al-Ballanubi (arance), Neruda (Ode alla giardiniera), Mari (fiori). L’accesso alle auto era chiuso a circa un chilometro dal Borgo, e la passeggiata nel bel sole primaverile, tra  i fiori e gli ulivi, piacevole. Altrimenti un bus-navetta trasportava i visitatori.