venerdì 15 marzo 2024

Senza bandiere. Siamo rimasti in pochi, e tutte quelle vite mi abbracciano nel sonno, mentre la moglie fa finta di dormire. Più che vecchi non possiamo andare, solo i ricordi danzano nel mio cuore, e in tanti, troppi, mancano all’appello, senza aver scritto canzoni. Avete marcato soltanto l’ultima cartolina, e siete volati via, senza ritorno! Siete stati quelli dei tempi eroici, delle lotte, e dei “capolavori”; quelli delle bandiere di più colori, compagni, amici gli uni agli altri! Ma il Tempo inesorabilmente vola e, peccato! solo anonime immagini fanno capolino nel Museo! La “fabbrica amica” era la nostra amante, ed ora è morta senza bandiere.

mercoledì 6 marzo 2024

NORMA PARENTI. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria Norma Parenti, nata il 1° giugno 1921, appartiene alla memoria della nostra terra: padre volterrano, madre suveretana, residenza a Massa Marittima, dove fu uccisa nella notte tra il 22 ed il 23 giugno 1944, e dove è sepolta. Alla fine del 1943 sposa Mario Pratelli, un comunista, e poco prima della sua morte nasce il loro figlio: Alberto Mario Pratelli, vivente. Norma è ormai una eroina della città di Massa Marittima, ma nessuno, per anni, compie ricerche storiche. Finalmente, nel 2012, mi giunse un plico anonimo con la fotocopia di un documento fino ad allora sconosciuto: “La relazione peritale circa la morte di NORMA PARENTI, anni 23, Massa Marittima, a firma del dottor Enrico Cheli già assistente Istituto di Anatomia Patologica, Università di Pisa, e Assistente Ospedale Civile S. Andrea di Massa Marittima redatto in data 25 luglio0 1944. E così mi fu possibile metter fine alle notizie più o meno fantasiose sulla uccisione di Norma, anche se gli esecutori son sempre rimasti sconosciuti. Un mio amico scrittore, Riccardo Michelucci, pubblica nel 2013 un libro sulle donne del mondo martiri per la libertà: 9 straniere ed una italiana. L’italiana è Norma Parenti ed il suo ritratto compare sulla copertina. Il libro, al quale ho in piccola parte collaborato, ha un grande successo. Da questo momento Norma diviene una “icona” di Massa Marittima e strade e piazze tra Follonica e Volterra, sono a lei intitolate. A Norma ho dedicato anch’io un piccolo album dal titolo “Un Angelo a Massa Marittima: Norma Parenti”. Infine ho lasciato il testimone alle donne massetane che dedicano a Norma racconti, poesie, immagini, spettacoli teatrali e filmici…e così Norma appartiene a tutti ed a nessuno. Ma quale è il vero segreto di Norma? Me lo sono chiesto tante volte fino a che ho iniziato una nuova ricerca, non sulle azioni guerresche di Norma, ma sulla sua anima e sulla sua Fede. Tuttavia il polverone che si è alzato sul mito laico di una Norma che nella narrativa popolare nascondeva nelle mutande munizioni e armi, mi ha impedito, finora, di poter rispondere ad un incarico che ho ricevuto da una importante fonte della Chiesa Cattolica Italiana, per poterla far incamminare sul primo gradino della Via della Santità…ma non dispero del tutto, anche se la mia memoria e le mie capacità di ricerca si fanno sempre più evanescenti.

domenica 3 marzo 2024

Prossimo impegno! Il prossimo giovedì 7 marzo, alle ore 15.30, terrò una piccola conferenza all'ULE di Pomarance (sede ex Pretura) in occasione dell'80° della Resistenza, trattando temi locali: Campo ai Bizzi, Niccioleta, Norma Parenti, Campo di internamento per ebrei a Roccatederighi. E' la 22^ volta che terrò una conferenza all'ULE, la prima avvenne nel 1997! Un'amicizia antica! Buona domenica agli amici ed alle amiche!

martedì 20 febbraio 2024

80° DELLA RESISTENZA E DELLA LIBERAZIONE (1944-2024) NELLE COLLINE METALLIFERE IN TOSCANA. UNIVERSITA’ DELLA LIBERA ETA’ – POMARANCE, 7 MARZO 2024. RELATORE CARLO GROPPI. PREMESSA. Buonasera a tutti e grazie per l’invito. E’ la 22^ volta che sono presente tra voi. La prima fu nel 1997, ancora sul tema della “Resistenza” nel nostro territorio delle Colline Metallifere. Fin dal 1964 ho iniziato a fare ricerche ed a raccogliere documenti sulla Resistenza nella nostra area ed anche testimonianze e memorie relative alla deportazione degli ebrei toscani. Forse l’imput deriva da una tragedia personale: mio zio Gualfredo Fignani, unico maschio tra sette sorelle, soldato sul fronte dei Balcani, non è più tornato dalla guerra né si hanno certezze sulla sua morte. E così, dopo 15 anni, dichiarato “disperso”, furono assegnate alla madre 10.000 lire di pensione! Mio padre nacque nel 1915, con il collo un po’ “torto” per una complessa manovra della levatrice, e cosi evitò il militare e la guerra. All’età di 12 anni fu assunto dalla “Boracifera” e vi rimarrà fino alla nazionalizzazione. Nel 1944 cominciarono a passare dalla nostra casa nel Borgo di Castelnuovo soldati sbandati, mongoli, slavi, fuggiti ai tedeschi e mio padre e mio nonno, un antico socialista, li accompagnavano di notte sui monti delle Carlina dov’erano i partigiani. Ma in quel tempo io non ero più con loro, perché i miei genitori si erano separati ed io di 5 anni e mia sorella di 3 anni, si andò ad abitare in un podere sperduto dietro il monte dell’Aia dei Diavoli, con la mamma ed i nonni materni. E così abbiamo evitato le tragedie di Castelnuovo, luogo nel quale nel 1946 feci ritorno andando ad abitare con il babbo e i nonni paterni! UNO SGUARDO COMPLESSIVO ALLA STORIA: FASCISMO E RESISTENZA. Non basterebbe un corso di molte lezioni per esaminare nel dettaglio la complessa situazione tra gli anni 1938-1945 nelle Colline Metallifere Toscane, perciò affronterò soltanto alcuni episodi, tra i più salienti, e in una dimensione territoriale ristretta, quella dove sorsero e si svilupparono alcune formazioni partigiane: la XXIII Brigata Garibaldi e la III Brigata Garibaldi, con le loro più ridotte articolazioni, bande e distaccamenti. La bibliografia su questo tema è vastissima, sia storica che memorialistica e nella vostra Biblioteca Comunale e in quelle dei comuni vicini, troverete i miei libri e quelli di Jader Spinelli, Mauro Tanzini, Aroldo Salvadori, Aldo Merlini, Michele Fontanelli, Ugolino della Gherardesca, Brunello, Ticciati, Paolo Ferrini, Giovanni Batistini, Lelio Lagorio, Carlo Cassola, Enzo Giustarini, Katia Taddei, Fosco Sorresina, e molti altri. Nel volume di Jader Spinelli “La Liberazione di Pomarance”, i fatti della Resistenza sono praticamente e minuziosamente descritti quasi giorno per giorno e forse molti di voi li avranno letti. La Germania iniziò la Seconda Guerra Mondiale nel 1939 invadendo la Polonia, e Mussolini come alleato, la segui il 10 giugno 1940, aggredendo vilmente la Francia, già stremata dall’invasione tedesca. Come atto di sudditanza ai nazisti vennero proclamate in Italia, nel 1938, le “leggi razziali” che comportarono per tutti gli insegnanti e studenti ebrei, l’espulsione dalle scuole, il sequestro dei loro beni e l’impedimento dei matrimoni misti. Migliaia di ebrei furono costretti ad emigrare all’estero, mentre per altri si apriranno in campi di concentramento e le spedizioni verso i lager e i forni crematori di Auschwitz, Mathausen, Bergen-Belsen… Alla fine del 1942 i russi vinsero a Stalingrado e più di 80.000 soldati nazisti furono fatti prigionieri…inizia l’irreversibile declino nazi-fascista in Europa e in Africa e si profila la resa del Giappone dopo il lancio di 2 bombe atomiche sulle città di Hiroschima e Nagasaki. Con l’8 settembre 1943 l’esercito italiano si dissolse e circa 600 mila soldati ed ufficiali furono disarmati da tedeschi e rinchiusi nei campi di concentramento del Reich, mentre altri soldati che si opposero ai tedeschi, come a Cefalonia e Corfù, dove più di 10.000 soldati vennero trucidati! Il Re e il capo delle forze armate, il maresciallo Badoglio, fuggirono nel sud Italia, mentre Mussolini, liberato dai tedeschi sul Gran Sasso formerà uno stato fantoccio al servizio dei nazisti con capitale a Salò sul lago di Garda. Nello stesso mese sorgono le prime Bande Partigiane. A Massa Maritima un gruppo di giovani dà vita alla Terza Brigata Garibaldi al comando di un militare di carriera, il maggiore Mario Chirici, di tendenza repubblicana; mentre Alberto Bargagna e Giorgio Stoppa, daranno vita alla XXIII Brigata Garibaldi, di tendenza comunista. Queste Brigate saranno sciolte agli inizi del luglio 1944. Intanto gli americani, gli inglesi e i francesi delle brigate d’oltremare, avanzando da Roma verso il Nord libereranno quasi tutto il territorio della Toscana e dell’Italia Centrale attestandosi sulla famosa linea gotica. Nel nord Italia la guerra, dopo il freddissimo lungo inverno del 1944, proseguirà fino al 25 aprile 1945 giorno in cui il Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia lancia l’ordine dell’insurrezione generale che porterà in breve, da parte delle formazioni partigiane, alla liberazione delle città di Genova, Torino, Milano, Bologna. Mussolini, in fuga verso la Svizzera con l’amante ed alcuni fedelissimi, sarà catturato nei pressi del Confine e fucilato il 28 aprile. Del suo corpo, appeso per i piedi a Milano con altri suoi gerarchi, fu fatto scempio. Per porre fine alla resa dei giapponesi, il 6 e 9 agosto 1945 due bombe atomiche furono sganciate dagli americani sulle città di Hiroschima e Nagasaki causando la morte di 200.000 persone e la distruzione delle due città. L’Imperatore del Giappone firma la resa incondizionata il 15 agosto 1945. Dopo la firma della Pace, grazie all’azione dei partigiani ed a quella dei 600.000 ex militari italiani che si rifiutarono di collaborare con i nazisti, i rappresentanti dell’Italia ebbero un posto paritario tra i vincitori al tavolo delle trattative di pace. Gli eventi successivi porteranno, come è noto, alla fine del Regno dei Savoia ed alla proclamazione della Costituente e dei Governi di Unità Nazionale, fino all’entrata in vigore della Costituzione il 1 gennaio 1948. Adesso tenterò un riassunto, nel modo più semplice possibile ed in sintesi, di quattro avvenimenti tra i più emblematici ed importanti che caratterizzarono la Resistenza nel nostro territorio, tra l’8 settembre 1943 e la fine di giugno 1944, iniziando dal 18 febbraio, 1944 a Campo ai Bizzi, in Maremma, passando successivamente all’eccidio dei minatori di Niccioleta, tra il 13 ed il 14 giugno 1944; alla uccisione di Norma Parenti, una delle 19 Medaglie d’Oro al valor militare alla memoria d’Italia, per concludere con la vicenda del Campo di Internamento degli ebrei allestito a Roccatederighi (GR), pochissimo conosciuta. Parlare delle stragi e di Norma Parenti può sembrare facile, ma invece è molto difficile. Anche perchè i morti in seguito ad azioni militari, pur in situazioni di preponderanza di armati, e molto crudeli, non si possono definire stragi, o eccidi, quali quelli che rientrano nella cosiddetta “guerra ai civili” messa in atto dall’esercito tedesco coadiuvato dalla manovalanza italiana delle brigate nere della RSI, del tipo, credo noto a tutti, di Sant’Anna di Stazzema o di Marzabotto. Forse, nella Toscana Centro Occidentale vi possono rientrare, pur con dimensioni ridotte, solo quelle di Niccioleta (uccisi 83 minatori e 9 partigiani), Guardistallo (uccisi 11 partigiani e 52 civili), Padule di Fucecchio (uccisi 174 civili). CAMPO AI BIZZI. 16 febbraio 1944. Zona del Frassine, Comune di Massa Marittima, oggi di Monterotondo Marittimo. Si tratta di un avvenimento che vide protagonisti soltanto italiani: da una parte i partigiani della III Brigata Garibaldi “Banda Camicia Rossa”, al comando di Mario Chirici e Alfredo Gallistru, dall’altra i fascisti delle Brigate Nere della RSI, al comando di ufficiali italiani, in una vasta azione di annientamento delle bande di giovani partigiani che ormai si stavano ingrossando e organizzandosi in vere e proprie formazioni militari in molte aree della Maremma. A dirigere tali operazioni di repressione c’erano il Capo della Provincia di Grosseto, Alceo Ercolani; che ritroveremo tra poco parlando del Campo di Concentramento di Roccatederighi; il Capitano De Anna, insieme a Barberini e Maestrini, rispettivamente comandante e vicecomandante della 98^ Legione della GNR e dal Capitano Giovanni Nardulli, coadiuvati da un centinaio di camicie nere quasi tutte della provincia grossetana, ma alcune provenienti da quelle di Siena e di Pisa ed anche dall’Alta Val di Cecina. E sarà proprio per i “successi”, cioè l’uccisione di 11 partigiani a Istia d’Ombrone e 14 partigiani a Scalvaia, più altri sparsi in Maremma, che il Segretario Generale del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, invierà un messaggio ad Ercolani nel quale si plaude “…con ammirazione ai legionari fascisti che, in nome della Patria e dell’Idea, si battono per conseguire l’epurazione degli elementi avversari alla gloriosa marcia per la grandezza dell’Italia fascista e repubblicana”. (Pensiamo che la sconfitta del nazifascismo è ormai irreversibile!) Intorno al Santuario del Frassine, nelle colline che gli fanno corona, su una delle quali era il podere Campo ai Bizzi, nel Comune di Monterotondo Marittimo, una apposita squadra di 6 partigiani si stava attrezzando per la cottura del pane. L’alba non era ancora spuntata quando il podere fu completamente circondato dai fascisti, armati fino ai denti, che aprirono il fuoco contro porte e finestre, alla cieca, anche con un mortaio. I partigiani, pur colti di sorpresa, risposero al fuoco fintanto che non finirono le munizioni. Allora uscirono sull’aia con le mani alzate, ma anziché essere fatti prigionieri, come avrebbero voluto le leggi di guerra, furono tutti uccisi, salvo uno Canzio Leoncini, di Massa Marittima, che gettandosi nella macchia fu soltanto ferito. Dopo morti i loro corpi furono straziati a colpi di pugnale e abbandonati sul terreno. Tra loro c’era un volterrano, Silvano Benedici, e con lui c’erano Pio Fidanzi di Massa Marittima, Otello Gattoli di Massa Marittima, Salvatore Mancuso di Catania e Remo Meoni di Montale (PT). Il podere fu dato alle fiamme e nella stalla bruciò vivo anche il cavallo Sauro. Nell’operazione di rastrellamento, che comprese anche il podere Uccelliera, furono inoltre fatti prigionieri altri 16 partigiani e 2 mezzadri che, condotti a Massa Marittima, furono esibiti alla popolazione come “trofei di caccia”, insultati e picchiati, e da Massa condotti a Grosseto, e successivamente al carcere delle Murate di Firenze. Alla fine della guerra furono avviati i primi ed unici processi contro i criminali nazifascisti, uno per gli eccidi compiuti in Maremma e nella provincia grossetana, l’altro contro gli esecutori della strage dei minatori della Niccioleta. Alceo Ercolani fu indicato come il principale responsabile delle stragi. Sarebbe troppo lungo adesso entrare in tutti i particolari. Cinque dei graduati fascisti furono condannati a morte; due a 30 anni di reclusione. Ma la Corte di Cassazione annullò queste sentenze, rimise in libertà gli imputati e riaprì una nuova fase processuale che si concluse nel 1954, con l’assoluzione degli imputati. L’unico fucilato fu Giovanni Nardulli già Comandante della Guardia Nazionale Repubblicana di Massa Marittima al quale risultano addebitati molti delitti. Fuggito al Nord fu catturato ad Asti e processato. Condannato a morte fu fucilato ad Asti nel 1945. L’altro capo dei fascisti maremmani, Alceo Ercolani, viterbese, rientrò prestissimo al suo paese natio in provincia di Viterbo, dove si godette la pensione della Repubblica Italiana tra l’amicizia e la stima di quella popolazione! Dopo i tragici avvenimenti di Campo ai Bizzi ci fu la riorganizzazione delle formazioni partigiane. Il Gruppo comandato da Elvezio Cerboni, capitan Mario, si spostò nei boschi di Berignone tra Volterra e Pomarance, le cui vicende conoscerete meglio di me, grazie ai tanti storici pomarancini e sulle quali non posso dilungarmi. Un altro gruppo di partigiani comunisti e azionisti si installò sui monti della Carlina al comando di Bargagna e Stoppa dando vita alla XXIII Brigata Garibaldi, mentre altre bande, tra le quali Camicia Bianca di Renato Piccioli, che ho conosciuto bene e ne fui amico (ed è stato quello che più mi ha aiutato nelle mie ricerche, soprattutto per quelle riguardanti Norma Parenti). Ma il gruppo più consistente fu quello comandato da Mario Chirici, massetano, che riuscì a trasformare la sua “banda” in una vera e propria Brigata la III^ Brigata Garibaldi Banda Camicia Rossa”. E così, per merito dei suoi 1302 partigiani, dei suoi 1568 patrioti, dei suoi 166 caduti per la causa della Liberazione, dei suoi 155 caduti in combattimento, dei suoi 4 dispersi e del suo altissimo numero di feriti, la provincia di Grosseto ha l’orgoglio di essere stata la prima in Italia a venir liberata dalle formazioni partigiane. Gli alleati, quando arrivarono, trovarono quasi ovunque l’ordine, trovarono i governi locali funzionanti alla guida del CLN e fu facile al Governatore Alleato insediare il Sindaco e la Giunta, espressione democratica di tutti i partiti antifascisti. NICCIOLETA-CASTELNUOVO DI VAL DI CECINA-LA BANDA DELLO SPINOLA-GERFALCO. Sono certo che voi, come la maggior parte dei pomarancini, conosciate le vicende della tristemente nota strage dei minatori delle miniere di Niccioleta (77 a Castelnuovo e 6 a Niccioleta) e della deportazione nei campi di lavoro tedeschi di altri 21 giovani, ed anche l’uccisione di altri 4 partigiani della Banda dello Spinola (di cui ho portato per voi un po’ di copie del volumetto, apparso nel 2014, 70° della Liberazione), ed altri 4 partigiani della Guardia Armata di Gerfalco fucilati lo stesso giorno, il 14 giugno 1944 a Castelnuovo. Tra i minatori uccisi a Castelnuovo c’erano anche tre pomarancini: Bernardini Onorato e Bernardini Livio (padre e figlio) e Mannini Adamo. Si tratta di una delle stragi più grandi di lavoratori compiuta in Italia. Complici dei nazisti furono quasi sempre i fascisti repubblichini italiani incitati dal famoso Bando di Almirante. Se leggiamo le carte del processo ai responsabili di questa strage, troviamo soltanto uno sparuto gruppo di squallidi fascisti italiani, la manovalanza della strage, mentre nessuna indagine istruttoria fu aperta contro gli ufficiali nazisti tra i quali il Comandante, il tenente Emil Block. Abbiamo adesso molti saggi storici importanti e l’elenco sarebbe troppo lungo. Cito però i pisani prof. Michele Battini, e Paolo Pezzino, nonché la storica prof. Catia Taddei, il vostro Jader Spinelli ed anche il regista cinematografico Luigi Faccini, ma la lista sarebbe lunghissima. La sera stessa del massacro i tedeschi e i militi italiani, compresi una quindicina di fascisti di Niccioleta, fuggirono, forse per la stessa strada fatta in precedenza, non sappiamo per quale destinazione. Nel 1949 si concluse il processo ai 30 imputati iniziali, poi ridotti a 11 e infine a 4 (quelli rintracciati) ritenuti esecutori della strage dei minatori. Solo tre furono i condannati: Picchianti, Calabrò e Nucciotti. Nel 1953 furono rimessi in libertà e scomparvero in una Italia che dimenticò presto i valori della Resistenza. I comandanti tedeschi nessuno l’ha in quegli anni ricercati. E’ soltanto da qualche anno che le ricerche di Catia Taddei hanno rintracciato Emil Block il principale carnefice della strage dei minatori! Rientrato in Germania aveva fatto per il resto della sua vita il giardiniere in una cittadina tedesca, benvoluto dai suoi compaesani, a amante dei fiori! Adesso è morto! Son trascorsi 80 anni da quei tragici giorni, velocemente si arriverà a 100 e poi la dimenticanza prenderà il sopravvento. Si dice che la storia sia maestra di vita, ma io ci credo poco! Anno dopo anno la muffa e il tempo compiranno il loro lavoro e nessuno sarà capace di leggere le parole incise sul cippo che porta i nomi dei minatori assassinati: LOCA SIGNIFICO NOMINA DECLARO VIVENTIUM FUTURURUMQUE PIETATI SACRATA HOS DIGNE COLITO QUOS HOSTIS SEVE NECAVIT. (Io indico il luogo e rendo noti i nomi consacrati alla pietà dei viventi e dei posteri Tu onora degnamente costoro che il nemico crudelmente uccise. E, infine, una novità! A distanza di 78 anni dalla data dell’uccisione degli 83 minatori di Niccioleta un Tribunale Italiano ha riconosciuto un indennizzo ai parenti diretti delle vittime, nel caso nostro due figlie nate da un minatore, rimaste orfane, una di 4 e l’altra di 2 anni di età, un risarcimento pari ad un totale di euro 269.200, per ciascuna figlia. Non sappiamo come si svolgerà questo risarcimento, nel rapporto tra la Repubblica Italiana e la Repubblica Federale Tedesca. Ma, senza poter entrare nel merito, sono stato contento di aver contribuito al reperimento di testimonianze dirette, orali e fotografiche a supporto della pratica. NORMA PARENTI. Medaglia d’oro al valor militare alla memoria Norma Parenti, nata nel 1921, appartiene alla memoria della nostra terra: padre volterrano, madre suveretana, residenza a Massa Marittima, dove fu uccisa nella notte del 23 giugno 1944, e dove è sepolta. Alla fine del 1943 ha sposato Mario Pratelli, un comunista, e poco prima della sua morte nasce il loro figlio: Alberto Mario Pratelli, vivente. Norma è ormai una icona della città di Massa Marittima, ma nessuno, per anni, compie ricerche storiche. Un mio amico scrittore, Riccardo Michelucci, pubblica un libro sulle donne del mondo martiri per la libertà: 9 straniere ed una italiana. L’italiana è Norma Parenti ed il suo ritratto compare sulla copertina. Il libro, al quale ho in piccola parte collaborato, ha un grande successo. Da questo momento Norma diviene una “icona” di Massa Marittima e strade e piazze tra Follonica e Volterra, sono a lei intitolate. A Norma ho dedicato anch’io un piccolo album dal titolo “Un Angelo a Massa Marittima: Norma Parenti”. Infine ho lasciato il testimone alle donne massetane che dedicano a Norma racconti, poesie, immagini, spettacoli teatrali e filmici…e così Norma appartiene a tutti ed a nessuno. Ma quale è il vero segreto di Norma? Me lo sono chiesto tante volte fino a che ho iniziato una nuova ricerca, non sulle azioni eroiche di Norma, ma sulla sua anima e sulla sua Fede. Tuttavia il polverone che si è alzato sul mito laico di una Norma che nella narrativa popolare nascondeva nelle mutande munizioni e armi, mi ha impedito, finora, di poter rispondere ad un incarico che ho ricevuto da una importante fonte della Chiesa, per poterla far incamminare sul primo gradino della Via della Santità…ma non dispero del tutto, anche se la mia memoria e le mie capacità di ricerca si fanno sempre più evanescenti. LA SHOAH – DA ROCCATEDERIGHI (Frazione del Comune di Roccastrada) AD AUSCHWITZ, 1943- 1944. Ho avuto la fortuna di conoscere molti ebrei, testimoni diretti del tentativo di annientamento del loro popolo e la mia vita si è intrecciata per decenni con alcuni/e di loro, uomini e donne, con i loro figli e nipoti. Ho visitato alcun dei lager nazisti: Bergen-Belsen, Mauthausen, Terezin, Auschwitz, Birkenau, e luoghi simbolo, come il Ghetto di Cracovia, Varsavia, Lublino, Plzen e Praga, l’appartamento di Anna Frank ad Amsterdam…in più ho contribuito a rendere nota la vicenda del piccolo Campo di Concentramento per ebrei allestito a Roccatederighi, ubicato a pochi chilometri da noi, nel Comune di Roccastrada, provincia di Grosseto. Sono stato a Vienna, al Centro Simon Wiesenthal, il cacciatore di criminali nazisti, ed a Parigi al Centro di documentazione ebraica Memorial della Shoah nel 2001 e nel 2009; ho dato l’input alla produzione di un documentario RAI News 24 sulla vicenda degli ebrei grossetani. Sono membro della Sezione Italiana dei Figli della Shoah, il che costituisce, forse, il premio più alto e sorprendente della mia vita. A Castelnuovo mai avevo sentito parlare di ebrei italiani o, addirittura, toscani. Si celebrava l’antifascismo, la nascita della democrazia, la bandiera del 25 aprile e, naturalmente, il 14 giugno data dell’eccidio dei minatori di Niccioleta, ma la storia degli ebrei italiani mi era completamente sconosciuta. E’ bene ribadire che in Italia la Shoah e’ avvenuta con le Leggi Razziali proclamate da Benito Mussolini nel 1938, quando il fascismo raggiunse il massimo del consenso popolare, e ciò fa pendere sulla nostra società, sui nostri nonni e padri e madri, su noi stessi, una condanna morale con poche scusanti. Molti sostengono che il fascismo fu più umano del nazismo, perché non gassificò gli ebrei (se non qualcuno alla Risiera di San Sabba a Trieste), pur avendogli confiscato i beni, allontanati dalle scuole e dall’insegnamento e sostanzialmente dal lavoro…se nell’orrore del male ci fosse una graduatoria, è vero, il fascismo fu meno orribile del nazismo. Gli ebrei in Italia alla data del 1938 erano circa 36.000 dei quali molti riuscirono a fuggire e nascondersi, aiutati, è bene dirlo, da istituzioni cattoliche e religiose e da persone di buon cuore d’ogni ceto sociale. Si può grosso modo, ricostruire la sorte degli ebrei italiani dei quali 500 ripararono nel Sud liberato, 6000 in Svizzera, e 29.000 rimasero nella clandestinità. Di loro 1000 risultano inquadrati nelle Brigate Partigiane, e 100 caddero in combattimento, mentre 20.000 riuscirono a nascondersi fino alla Liberazione. Tuttavia è bene ricordare che in Italia furono allestiti 113 Campi di Concentramento, alcuni sotto la diretta supervisione nazista, gli altri gestiti da militari italiani della RSI. 10 di questi Campi erano collocati in Toscana, tra i quali quello di Roccatederighi. I primi arresti di ebrei in Toscana iniziano il 27 novembre 1943, tutti eseguiti da militi italiani. I primi ebrei deportati iniziano ad arrivare a Roccatederighi il 2 dicembre 1943. Il Vescovo di Grosseto Paolo Galeazzi a seguito dei bombardamenti sulla città si ritirò in un’ala del Seminario a Roccatederighi, a stretto contatto con gli ebrei internati, dimostrando verso di loro una affettuosa simpatia. Nel Campo di concentramento furono internati circa 100 ebrei, dei quali sono noti 36 italiani e 52 stranieri. 17 italiani furono liberati a seguito di utilità e collaborazione. Da Roccatederighi avvennero due trasporti verso Fossoli, prima tappa del bestiale viaggio nei vagoni sigillati del treno, via Bolzano per Auschwitz-Birkenau. Il 16 maggio fu effettuato un primo trasporto. Gli italiani furono 9 e gli stranieri 12. Il secondo trasporto avvenne il 26 giugno in prossimità dell’arrivo degli americani: furono deportati solo stranieri, 36 e solo 4 sopravvissero. Ma i dati sono confusi, e si ritiene, da più fonti, che l’istituzione del Campo di concentramento di Roccatederighi abbia portato al massacro circa 70 persone, di ogni età, perfino della neonata Gigliola Finzi, nata dentro il Campo. Ma nessuno dei responsabili è stato successivamente processato. Addirittura il Vescovo Galeazzi è passato come un benefattore degli ebrei e gli stessi capi fascisti come Ercolani, Riziello, Ciabatti, subirono un processo e furono condannati, ma tra i numerosi capi di imputazione non c’è nulla che riguardi le persecuzioni agli ebrei. Gli imputati, dopo vari ricorsi, finirono in libertà. A Roccatederighi ci fu una grande omertà e nessuno, nei primi anni, voleva ricordare ciò che avvenne. Il 9 giugno 1944 il direttore del Campo e i militi che lo presidiavano si dettero alla fuga nei boschi circostanti portandosi appresso, come ostaggi, alcuni ebrei. In uno scontro con i partigiani 8 militi fascisti vennero uccisi. Il 7 febbraio 2008 fu inaugurata a Roccatederighi, presso l’ingresso del Seminario (adesso trasformato in una struttura per anziani), una lapide ad memoria. Dei circa 100 prigionieri, Carla e Silvano Servi, allora bambini di sette e cinque anni, erano presenti, credo tra i pochi sopravvissuti. Carla scoprì la targa e Silvano, tra i singhiozzi, tentò di rievocare i confusi ricordi di quel periodo richiamando la sua amicizia con la piccola “Regina”, una bambina che non ha mai figurato sugli elenchi finora noti dei prigionieri, e che probabilmente fu “passata” per il “camino” di Auschwitz. Cattolici ed ebrei pregarono insieme per le vittime, un gesto carico di significato. Il gesto fu importante, ma la verità storica, benchè nota nelle sue grandi linee, non si conosce ancora. C’ero anch’io, in incognito, a quella inaugurazione. Stavo in piedi, alle spalle di un gruppetto di quattro signore eleganti, e non potei fare a meno di udire alcune loro frasi. Una chiese “Ma come avete saputo di questi avvenimenti?” Un’altra rispose: “Attraverso un libro, arrivato a mio marito a Roma, scritto da un certo Carlo Groppi”. Al che non potei far altro che presentarmi, entrando tra di loro! “Gentili signore, quel certo Carlo Groppi sarei io!” Fui sommerso dagli abbracci e dai baci e profumi. Una di loro era la moglie del Rabbino di Roma…che mi invitò alla Sinagoga, e con la quale strinsi amicizia, e pur non essendo ebreo ebbi la tessera di “Figlio della Shoah”. CHIUDERO’ CON LA LIBERAZIONE. Massa Marittima fu liberata dagli americani della V Armata, il 24 giugno 1944; Castelnuovo di Val di Cecina, Monteverdi Marittimo, Pomarance il 29 giugno 1944, Volterra l’8 luglio 1944, Pisa il 2 settembre 1944. Castelnuovo fu liberato dalla 1^ Divisione Corazzata del Generale Harmon, e tra i primi esploratori due erano figli di emigranti paesani che ritrovarono alcuni parenti e fraternizzarono con la popolazione. Questa Divisione, ormai stremata per l’avanzata su un fronte di 35 chilometri, fu rimpiazzata il 6 luglio dalla 88^ Divisione del Generale Crawford, 349° Reggimento, i famosi “Blue Devils” che per primi entrarono nella città di Volterra. Sono stato in contatto con alcuni soldati e comandanti delle truppe americane, che mi hanno rilasciato memorie e testimonianze. E credo che sarebbe giunto il momento che le nostre Amministrazioni locali, accanto alle memorie della Resistenza, rendessero un tangibile onore a questi soldati dedicando una via o una piazza ai “liberatori”. Se avrete l’opportunità andate in pellegrinaggio ai Falciani, alle porte di Firenze, nel Cimitero e Memorial Americano a rendere omaggio al valore e al sacrificio delle migliaia di soldati morti per la Liberazione dell’Italia dal nazifascismo; credo che sarebbe una esperienza memorabile. Testo di Carlo Groppi, 7 marzo 2024.

martedì 30 gennaio 2024

30 GENNAIO: SANTA GIACINTA MARESCOTTI. Nel gennaio 1997, uscì per le Edizioni Gian Piero Migliorini di Volterra, il mio libro “Dare qualcosa in cambio di niente. Storie di congreghe, compagnie e confraternite di Misericordia”, che descriveva le vicende di tali Associazioni dell’Alta Val di Cecina. Si trattò del compimento di una ricerca avviata nel 1993, partendo dalle vicende della Confraternita di Misericordia di Castelnuovo di Val di Cecina, una Confraternita molto antica, che risale ad alcuni decenni innanzi il 1329, quando appaiono i primi documenti storici. Il volume, presentato nella Chiesina della Misericordia di Castelnuovo di Val di Cecina, alla presenza del Vescovo di Volterra, del Presidente Nazionale delle Misericordie d’Italia, e del Governatore di detta Confraternita, ebbe un notevole successo tanto che l’edizione andò ad esaurirsi nel brevissimo tempo. In tale opera ebbi a descrivere anche la Confraternita (all’epoca non più esistente) di San Lorenzo a Montalbano, nel Comune di Radicondoli, con la presenza, su quel territorio, di alcuni Santi dei quali si conservavano culti e memorie per avervi essi soggiornato, come, ad esempio, San Bernardino e Santa Giacinta Marescotti, da Bernardino convertita quand’ella era in romitaggio punitivo a Cugnanello. Negli anni successivi ho ulteriormente svolto ulteriori ricerche su Santa Giacinta, fino alla importante celebrazione che organizzai, nell’ambito del programma della Regione Toscana “I luoghi della Fede”, alla fine degli anni ’90, nella sua Cappella di Solaio. Si tratta di una Santa del Seicento, lontanissima dal nostro tempo, che giunse alla “santità” attraverso inumane sofferenze, ed il cui culto, nonostante ne resti traccia sui Calendari annuali nel giorno a Lei dedicato, il 30 gennaio insieme a Santa Martina, è confinato alla Tuscia ed alla città di Viterbo. C’è però, a mio avviso, un elemento della vita di questa Santa che ci deve far riflettere anche adesso, anzi, adesso forse più che mai, e cioè la possibilità per ogni persona di elevarsi alla “santità”, pur avendo vissuto nel peccato. La tengo molto cara, in buona compagnia con le altre mie due sante protettrici: Santa Teresa di Lisieux e Santa Caterina di Labouré, dalle quali ho ricevuto grandi doni. Recentemente sono stato a trovarla a Viterbo, nel luogo ove il suo corpo imbalsamato riposa. Credo che sia stata molto contenta della mia visita. Ho visitato anche l’Archivio ove tutte le sue memorie sono state raccolte. Veramente non proprio tutte le sue memorie, perché mancanti le vicende di Giacinta e del suo culto, nel territorio di Radicondoli. Ed è così che dopo questa visita ho potuto spedire tutti i documenti di cui ero in possesso al Centro di Documentazione di Viterbo, che si è dichiarato “onorato” del mio dono, che andrà a colmare soltanto uno spazio infinitesimale, seppur importante, tra i documenti della vita di Santa Giacinta Marescotti! E chi si recherà a Viterbo vada al CEDIDO in Piazza San Lorenzo 6/A, dove potrà consultarli. 30 GENNAIO: SANTA GIACINTA MARESCOTTI.

sabato 27 gennaio 2024

Oggi 27 gennaio, è la "giornata della Memoria" della Shoah nel ricordo dei SEIMILIONI di ebrei uccisi nei lager di Europa dai nazisti. Voglio ricordare anche il centinaio di ebrei deportati dal Campo di Roccatederighi, Toscana, a pochi chilometri da noi, dei quali solo in tre sopravvissero. Tra loro c'era la neonata Gigliola, partorita nel Campo, figlia di livornesi, uccisa all'apertura del vagone piombato, e i suoi genitori poco dopo nella camera a gas. Questo doveva essere il "Nuovo ORDINE del Nazifascismo!" Vigiliamo, non dimentichiamo, non ci fermiamo alla celebrazione di questa data perchè il grembo dal quale nacque il nazifascismo è ancor fecondo!

lunedì 15 gennaio 2024

IL MUSEO DELL’INNOCENZA. Quando si invecchia si torna immancabilmente ai brandelli di passate memorie, di lavoro, di amori, di canzoni e di letture. Ed anche di luoghi. La mia vita è stata ricca di tutto ciò. Sono andato a Istanbul due volte, memorabili. Ed è così che ho scoperto lo scrittore Orhan Pamuk, premio Nobel per la letteratura nel 2006. I suoi romanzi ed i suoi saggi sono pubblicati, per mia fortuna, in lingua italiana, da Einaudi. Nel 2022 ho letto il fantastico romanzo ”Le notti della peste”, 713 pagine senza saltarne una! E adesso sono impegnato con l’ultimo suo lavoro “Ricordi di montagne lontane” uno straordinario intreccio di pittura e poesia, che accompagnano l’autore dal 2013 al 2019, in 383 pagine di formato oblungo e illustrate. Queste letture mi hanno riportato al settembre 2009 quando ebbi in regalo il suo romanzo “Il Museo dell’innocenza”, con il commento finale che feci: “Meraviglioso”! Non sono più andato a Istanbul, a visitare il “Museo dell’innocenza” che Pamuk è riuscito a costruire. E così mi aggrappo ai residui della mia evanescente memoria.