mercoledì 14 ottobre 2020

 




UNA RIFLESSIONE SU BLOG, FB, EMAIL…

  Uso il computer per attività personali dal 1985, prima, con mezzi più vecchi, per  uso di lavoro, come programmi di grandi costruzioni industriali, dagli anni ’70. Ho diversi diplomi di Società come CEGOS, ENEL, OLIVETTI, IBM. Quando sono andato in pensione (1991), mi s’è aperto un mondo con Internet, soprattutto per scrivere i miei libri di storia, per comunicare con amici ed amiche in lingue diverse, per conservare in un Blog poesie e piccoli testi, che poi ho stampato dal 2007 ad oggi. Ma adesso? L’invasione universale mi ha stancato. Tutto, praticamente, diviene effimero. La maggior parte delle “amicizie” sono virtuali, non carnali. Il Blog langue ed anche la posta si è fatta selettiva e riguarda poche decine di persone. Avanza, da ogni lato, il messaggio promozionale del grande motore del mondo, il WEB. Dico la verità, per diversi anni, il bacino FB, BLOG, EMAIL, mi ha dato un buon contributo alla diffusione, dietro preventiva prenotazione, di sei o sette libriccini di poesie, naturalmente a modico prezzo ed ancor più modico ricavato finale, appena sufficiente a ripianare le spese tipografiche e quelle di spedizione postale, lieve per le spedizioni in Italia (come campione di libri), ma molto elevate per gli altri paesi europei ed extraeuropei (dove non si può spedire con tale agevolazione). Adesso ho circa 200 amici di FB. Troppi, perché con molti, in cinque o sei anni, non ho scambiato niente. Mentre molte altre facce mi vengono riproposte in automatico tramite i contatti. Mi accingo, spero, a stampare il mio ultimo libriccino di poesie per il 2021 (un anno importante perché in esso sono nate tre donne che mi hanno ispirato molto: la mia mamma, Trudi e Norma).  Vorrei regalarne una copia, almeno 100, a chi la vorrà! Come segno di ringraziamento. Poi vedremo di alleggerire un po’ la zavorra.

martedì 13 ottobre 2020




 Ottobre, memorie lontane.

 

Ottobre, il mese delle ricordanze,

nella storia ho conosciuto i miei eroi,

ai quali sempre ritorno

per mantenere viva la fiammella della poesia,

e dei miei ideali.

 

San Francesco d’Assisi

morì il 4 ottobre del 1226,

per me è ancora vivo

e predica agli uccelli,

parla al lupo, a Chiara

e ai poverelli;

 

più di mill’anni prima

era nato Virgilio,

il poeta dei nostri miti,

e non  caso la mia nonna amata

fu chiamata Enélide;

 

pure Picasso nacque in ottobre,

il 23 dell’ 81,  e s’ingegnò

a trattare la natura

attraverso il cono, la sfera ed il cilindro,

e nella nuova arte

rappresentò la tragedia antica

dell’umanità, i disastri della guerra;

 

Francisco Ferrer, l’anarchico,

la pura luce del mondo,

fu ucciso il 13 ottobre.

La sua fama non ebbe  corso,

e dopo pochi anni fu tolto il suo nome

dai nostri giardini del Piazzone,

imperando il fascismo e Mussolini.

 

Per fortuna ci furono Dongo

la Villa Belmonte di Giulino

per gli assassini;

la forca a Norimberga

dei criminali nazisti, anche se i più

riuscirono a salvar la pelle!

Ma c’è, in ottobre,

anche un giorno felice:

la nascita della mia sposa

che ho tanto amato!


Infine, è in questo mese,

che i nostri castagneti si vestono a festa,

offrendoci i loro preziosi frutti,

mentre i boschi si rianimano di voci

e di memorie.


Avrei molte altre storie da narrare,

tristi e liete, ma, non oso, perché temo

che nessuno sia ad ascoltare.

Ho soltanto l’ardire

di far parlare un vecchio castagno,

che adesso non c’è più.

Non racconto bugie, andate

sul monte, alla Capanna,

e vedrete le sue radici.


Il vecchio castagno racconta


Ho sfamato mezzadri e paesani,
scoiattoli e cinghiali; ai bambini
del borgo non ho chiuso i cancelli,
quando venivano a ruspolare,
raccogliendo stecchi per leggeri

fastelli.
  
In quel capannuccio di frasche
vuoto e cadente, dove dorme
la biscia e il vento ammontina
il suo tesoro di foglie secche,
un tempo vidi sbocciare
il tuo amore, ora larva
dell’evanescente memoria.

Nel castagneto silenzioso
l’eternità tesse la sua tela,
incurante di speranze ed oblio,
ma io, il vecchio marrone,
non posso dimenticare.

So che sei poeta
e molte solitudini hai colmato,
né mirto, né ricchezze
hai guadagnato, solo baci
e carezze di leggiadre amanti, 
perenne vena del solitario 

canto.

            
T’amo per questo sogno ardito,
quasi fratello a me medesimo,
che, schivo, l’ombra e il frutto
spando, in questo autunno mite,
e mi protendo coi ricci aperti
che t’offro in dono, in attesa
dell’inverno che mi spogli.

Infine verrà la morte, per te.
Per me, la saetta o il tagliatore.
Ci sarà un ultimo fuoco,
di fascine e di parole. Qualcuno
in futuro scaverà: il ciocco,
per fare un buon terriccio,
e dai tuoi versi, un fiore!

 
















































venerdì 9 ottobre 2020


 

LA SCOMUNICA.

Sono stato battezzato, comunicato e cresimato...poi, piano piano, mi sono distaccato dalla religione cattolica-apostolica-romana. Ho fatto il matrimonio "civile". Ma ho avuto la fortuna, nell'arco della mia lunga vita, di essere amico di molti preti e di qualche vescovo, e di aver stretto la mano al Papa Woitila, presentato dal mio amico Vescovo  Vasco Bertelli, più, naturalmente, alle mie tre Sante Protettrici. Nel 1961 mi sono iscritto al Partito Comunista Italiano. Hai, Hai! Sono incappato nella scomunica e dichiarato "apostata". dal Papa Pacelli! Tra molte contraddizioni dottrinali sono stato in parte riabilitato da Papa Roncalli, quando, nel 1959  (?), non vorrei sbagliare anno, in una sua famosa enciclica fece una distinzione fondamentale tra "errore" ed "errante". Quindi la radice ideologica doveva essere rifiutata, ma l'errante accolto!  Ormai il PCI non esiste praticamente più, ma la famosa scomunica non è mai stata cancellata dal Sant'Uffizio! Così, quando fui eletto sindaco del mio Comune, ci fu chi scrisse sul foglio della parrocchia "L'orologio della storia  è andato indietro!", o pressappoco!.



 

La “Carlina” e la “Cornata”, i monti ad est di Castelnuovo.



Ore 7,25  del 9 ottobre 2020, in attesa che il sole spunti dietro ai nostri monti Carlina e Cornata, il secondo alto 1059 metri. Se osservate il profilo della Cornata vedrete una serie variazioni della pendenza. Nelle recenti passeggiate io e mia moglie saliamo al secondo gradino, dove si trovano le antiche cave del calcare rosso ammonitico, ossia un calcare molto compatto e stratificato, emerso da un mare profondo più di 2000 metri, entro il quale si sono depositati i gusci di quei meravigliosi abitanti marini, di color rosso! Con un po’ di fortuna e gli arnesi giusti, e molta pazienza, si può tentare di scoprirne ancora qualcuno! Sono affascinato da questa montagna, anche se, con la piantumazione di pini e abetelle, ormai la sommità non offre più quella visione in cinemascope dal Giglio alla Pania della Croce, né si può osservare il riflesso del sole al tramonto che illumina la facciata del Duomo di Siena! Sono contento di esserci andato più di 60 anni fa’ ed una volta averci accompagnato 3 o 4 ragazzi più piccoli di me, ed anche un cane! Ci voleva un giorno intero, andata e ritorno, sempre a piedi da Castelnuovo e ritorno, naturalmente oggi tutto è cambiato, si va con l’auto a Gerfalco, si svolta a sinistra, si passa davanti alla Chiesa dell’Apparita, si prosegue fino ad un podere abbandonato, Campo alle Rose, si lascia l’auto e si comincia a salire per una agevole strada fino alla prima Cava, si prosegue per un centinaio di metri raggiungendo la seconda Cava. Si può salire ancora ad una stazione sismica poco più in alto e poi il viottolo dopo alcune centinaia di metri porta sulla sommità del Monte. Avendo lasciato l’auto al Campo alle Rose, occorre riscendere dal sentiero-strada con il quale siamo saliti. Non consiglio di scendere con una bella strada, apparentemente percorribile, al podere sottostante (Romano) che scende nel Torrente Riponti e risale fino ala Castello di Fosini, perché essa non offre praticamente possibilità di scambio con un eventuale automezzo che viene in salita. Inutile azionare il clacson! E, dato il raro transito, non c’è un semaforo tra Fosini e Romano! Per l’ascesa alla Cornata si potrebbe anche lasciare l’auto a Gerfalco e proprio dal questo paese si diparte un sentiero che arriva alla vetta, l’ho fatto due volte e mi ricordo che esso era molto più agevole perché usato da greggi di pecore e pastori. Oggi credo che non ci vadano più. A quel tempo un problema erano i cani dei pastori, dei quali avevo molta paura. Altri tempi, è vero, dato che oggi, per portare  gli scolari alle elementari e medie all’interno del paese di Castelnuovo, si usa lo Scuolabus…e molto spesso l’auto dei genitori o dei nonni! E si tratta al massimo di 250 metri all’andata ed al ritorno e non di oltre 20 Km! Certo, a ripensarci, le nostre gite, si svolgevano in luoghi ancora molto abitati, punteggiati da casolari, e da mezzadri della Fattoria di Fosini, dove non solo trovavi la chiesa, donne e ragazze e un bel via vai di carri e di buoi, ed  una volta il Fattore Nastasi, mi fece salire anche in groppa ad un cavallo! Allora non c’erano animali selvatici pericolosi, né cinghiali, né lupi, semmai si poteva trovare qualche serpente intorno i torrenti. Memorie lontane!  


mercoledì 7 ottobre 2020





 Al Serrappuccio,

in un mattino un po’ triste di fine ottobre [i]

 

Vedo come non l’ho visto mai

il mio paese, avvolto dalle nuvole

che vengono dal mare, nere,

pesanti di pioggia e vento,

appiccicose, e di mestizia foriere,

che novembre è ormai

alle porte, coi fiori di plastica,

tristi, per le genti morte.

 

Anche stamani

suona lamentosa la campana,

a rammentare una partenza amica;

pure noi siamo in attesa,

noi che ci sentimmo immortali,

quando la bellezza ci sfiorava

e l’amore ogni porta spalancava.

 

Con questa donna umile e mite

m’incontrai alla mensa nuziale

di un cugino, la vedo ancora,

ridente, porgermi dal fiasco

il vino che ancor più faceva divampare

l’amor che dentro me sbocciava.

 

Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,

dove a vent’anni sono ritornato,

io poeta, il babbo musicista e la nonna

già vecchia che per amor di noi

la vita sua  allungava. Tutto è silenzio

se non fruscio di vento sulle cime

dei cipressi, e rauche grida

d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.

 

Scandaglio la memoria 

alla ricerca di volti, nomi, parole,

ma poco affiora dal gorgo della storia.

Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,

Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,

e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,

Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,

ed altri ancora, che un tempo amavo.

 

Chi condivise i miei giorni felici

di giovinezza, é partito

verso perduti lidi,

altri, dispersi nel mondo

come le foglie brune,

per gli stretti vicoli.

 

E’ l’umano destino che ci attende:

morire soli e far perdere ogni traccia,

con la speranza mai sopita,

d’incontrarci nell’eterna vita.





 

[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia.Al Serrappuccio,

in un mattino un po’ triste di fine ottobre [i]

 

Vedo come non l’ho visto mai

il mio paese, avvolto dalle nuvole

che vengono dal mare, nere,

pesanti di pioggia e vento,

appiccicose, e di mestizia foriere,

che novembre è ormai

alle porte, coi fiori di plastica,

tristi, per le genti morte.

 

Anche stamani

suona lamentosa la campana,

a rammentare una partenza amica;

pure noi siamo in attesa,

noi che ci sentimmo immortali,

quando la bellezza ci sfiorava

e l’amore ogni porta spalancava.

 

Con questa donna umile e mite

m’incontrai alla mensa nuziale

di un cugino, la vedo ancora,

ridente, porgermi dal fiasco

il vino che ancor più faceva divampare

l’amor che dentro me sbocciava.

 

Salgo nel Serrappuccio, dove son nato,

dove a vent’anni sono ritornato,

io poeta, il babbo musicista e la nonna

già vecchia che per amor di noi

la vita sua  allungava. Tutto è silenzio

se non fruscio di vento sulle cime

dei cipressi, e rauche grida

d’ uccelli, intorno alla torre e in cielo.

 

Scandaglio la memoria 

alla ricerca di volti, nomi, parole,

ma poco affiora dal gorgo della storia.

Lenzina, Corinna, Teresa, Solidea,

Concetta, la Manetta, Iris, la Tradotta,

e Franca, Vittoria, Seconda, Gustavo,

Livio, Carla, Natalino, Elsa, Angelo,

ed altri ancora, che un tempo amavo.

 

Chi condivise i miei giorni felici

di giovinezza, é partito

verso perduti lidi,

altri, dispersi nel mondo

come le foglie brune,

per gli stretti vicoli.

 

E’ l’umano destino che ci attende:

morire soli e far perdere ogni traccia,

con la speranza mai sopita,

d’incontrarci nell’eterna vita.

 

[i] Serrappuccio è la denominazione antica di un vicolo chiuso del paese di Castelnuovo di Val di Cecina. In una delle sue casupole vi nacqui il 3 settembre 1938. Vi abitai per poco tempo, e vi tornai ad abitare, con il babbo e la nonna dall’autunno 1958 alla primavera 1964. Era un piccolo mondo di persone buone e operose, di vecchi e di bambini, del quale mai s’è spenta in me la nostalgia.