giovedì 29 dicembre 2011


Gracias a la vida

                        A Violeta Parra


Gracias a la vida que me ha dado tanto,
me ha dado un alma niña,
me ha dado una mente clara, colmada de sueños,
me ha dado los recuerdos, tácitos amigos.

Gracias a la vida que me ha dado tanto
me ha dado el estupor que no me deja
en los días siempre iguales,
me ha dado los ojos perennes de lágrimas
por todos los sufrimientos del mundo.

Gracias a la vida que me ha dado tanto
la música en el corazón, sobre los labios el canto,
y no me ha negado dolor y esperanza
para caminar con los hombres
hacia albas siempre nuevas.

Gracias a la vida, que me ha dado tanto.





Il mio “Babbo Natale”.

Quest’anno il mio “Babbo Natale” è stato in linea con i sacrifici per “salvare l’Italia”, più austero. Ma, se non ricordo male, qualche tempo fa il Consiglio dei Ministri non aveva pubblicato uno spot propagandistico nel quale si vedevano gli italiani spendere per acquisti e regali, per la spesa, ecc.ecc. dicendo che, consumando, si facevano gli interessi del Paese? Acqua passata, si dice dalle nostre parti! Allora posso confessare che la mia austerità è stata più dettata dalla situazione reale della decrescita della mia pensione che non dalla filosofia? Senza per questo essere tacciato di anti italiano? Tuttavia mi sono contentato dei regali ricevuti, tutti di alto gradimento, e sono quattro: una pomata idratante per la secchezza della pelle; I Salmi, a cura di Gianfranco Ravasi, nei classici della BUR; il dvd L’Orfeo di Claudio Monteverdi, diretto da Rinaldo Alessandrini per il Teatro alla Scala e, infine, il bellissimo volume di grande formato a colori CHAGALL, di Jacob Baal-Teshuva, Taschen, 2008 (questo libro meraviglioso stampato in Cina costa solo 9,90 €!). Però ci sono stati momenti di vita felice, con la famigliola riunita intorno ai due nostri splendidi nipoti. Bereket e Yobdar e, naturalmente, il divertimento nella produzione autarchica dei “famosi” pasticcini di nonna Grazia e Co. Se ci aggiungo che i regali forse ancora più belli sono stati quelli “immateriali”, provenienti dallo spazio e dalle onde elettromagnetiche, credo di poter affermare che il titolo di questo blog, grazieallavita, è davvero indovinato. Naturalmente un pensiero va’ a Violeta Parra e con lei, in Paradiso, a Carlos Cano, Cesaria Evora, Kazantzidis e Marinella.

VIOLETA PARRA - Gracias a la vida ( Thanks to life) ORIGINAL version

venerdì 23 dicembre 2011


Una delegazione dal Cile a Monterotondo Marittimo

Una delegazione dal Cile a Monterotondo Marittimo
Una immagine dell'area geotermica di El Tatio

Visita che ha permesso ai rappresentanti istituzionali Cileni di constatare le numerose opportunità derivanti dallo sviluppo sostenibile della geotermia.
GeotermiaNews

23/12/2011

Il Cile possiede una delle aree geotermiche più ricche al mondo: si chiama El Tatio ed è una distesa di geyser situata a nord del paese centroamericano, a 4200 metri di altitudine. La zona fa parte della catena delle Ande e del deserto di Acatama, compreso tra Perù, Argentina e Cile.
El Tatio è la terza area di geyser al mondo per estensione ed è qui che Enel Green Power ha costruito il primo pozzo profondo del Cile, individuando fluidi di oltre 200° ad una profondità tra i 1660 e i 1700 metri.
Dall’esplorazione è emerso che vi è una produzione di vapore sufficiente alla realizzazione di una centrale da 50.000 kW.
Il ministero dell'Energia cilena ha dimostrato un forte interesse nello sviluppo di questa fonte energetica: per questo lo scorso anno ha avviato il processo di gare per le concessioni di esplorazione geotermica riguardanti venti aree, e in questi giorni una delegazione istituzionale cilena è in visita alle centrali geotermiche toscane.
A primavera il Cile ha annunciato l’intenzione di stimolare lo sviluppo geotermico attraverso il rinnovo delle leggi che regolamentano il settore. Ed ha anche chiesto pareri e idee alle aziende impegnate in questa attività per avere suggerimenti in modo da operare le modifiche necessarie all’impianto normativo in vigore dal 2000.
La modifica delle norme che regolano lo sfruttamento delle risorse geotermiche è ritenuta necessaria dal governo cileno dato che nessun progetto si è sino ad ora concretizzato, nonostante le concessioni esplorative e il grande interesse dimostrato dai privati.
Uno dei problemi emersi dalle osservazioni presentate dalle imprese è legato agli elevati investimenti necessari per il processo esplorativo e anche per l’alto rischio finanziario per l'investitore, che non ha alcuna sicurezza di ottenere le autorizzazioni di perforazione, anche nel caso le esplorazioni abbiano dato esiti favorevoli.
Nella tappa di Monterotondo Marittimo, dopo aver visitato le manifestazioni naturali al Parco Geotermico delle Biancane, la delegazione cilena guidata dal Responsabile Impianti Geotermici di Enel Green Power Roberto Parri e dal Responsabile dell’Area Geotermica di Lago, Stefano Turini, è approdata alla centrale di San Martino.
Ad accogliere la delegazione cilena anche il Sindaco di Monterotondo Marittimo, Alessandro Giannetti, che ha rimarcato l’importanza della geotermia per il territorio non solo per l'opportunità di produrre energia elettrica da fonti rinnovabili ma anche per contribuire allo sviluppo sociale ed economico dell'area.
Prima di completare il tour toscano con la visita del Museo della Geotermia di Larderello, la delegazione cilena ha visitato il Caseificio di San Martino e il plesso serricolo dell’Azienda Agricola Val di Cornia, realtà che utilizzano a fini produttivi il calore fornito dalla geotermia. Esempi di utilizzo della geotermia anche come fonte di calore e non solo per la produzione di energia elettrica.

martedì 20 dicembre 2011


Energy Road Map 2050: taglio dell’80% delle emissioni di CO2

Energy Road Map 2050: taglio dell’80% delle emissioni di CO2

Il Commissario all'Energia dell’Unione Europea, Guenther Oettinger
Il documento stilato dalla Commissione Europea e distribuito il 15 dicembre, si pone l’obiettivo di tagliare dell’80% le emissioni di Co2 nei prossimi quattro decenni senza mettere a rischio forniture e competitività.
Rinnovabili & Territorio.  Redazione.  20/12/2011. Testo dell'articolo:

"La 'roadmap' presentata il 15 dicembre dal Commissario all'Energia dell’Unione Europea, Guenther Oettinger, delinea il nuovo quadro strategico in cui dovranno operare gli stati membri nel prossimo futuro. La roadmap rientra nell’ambito della più generale tabella di marcia per la decarbonizzazione dell'intera economia europea presentata a marzo, con un target di riduzione dell’80% delle emissioni di CO2 entro il 2050.
«Ora disponiamo finalmente di un quadro normativo europeo per attuare le misure strategiche necessarie che indirizzino gli investimenti nella giusta direzione -ha dichiarato il Commissario Oettinger nel presentare la roadmap- solo con un nuovo modello energetico potremo rendere il nostro sistema sicuro, competitivo e sostenibile sul lungo termine» .
La strategia presentata da Bruxelles è basata su una serie di "scenari esemplificativi" che combinano i principali elementi che concorrono alla riduzione delle emissioni, ovvero efficienza energetica, energie rinnovabili e tecniche di cattura e immagazzinamento di CO2, non escludendo nemmeno l’ energia nucleare.
Secondo i dati di Bruxelles "la decarbonizzazione del sistema energetico è fattibile sia sul piano tecnico che su quello economico", in quanto "tutti gli scenari relativi alla decarbonizzazione consentono di raggiungere l'obiettivo di ridurre le emissioni e sul lungo periodo possono essere meno onerosi rispetto alle strategie attuali".
Con questi quadri esemplificativi, concepiti combinando in vari modi i principali elementi che concorrono alla riduzione delle emissioni, si intende individuare i benefici di ciascuna opzione rispetto agli obiettivi da raggiungere, senza però -ed è questa l’obiezione mossa da parte ambientalista- aver indicato con chiarezza obiettivi intermedi prima della dead line del 2050.
Uno degli scenari individuati punta sull’Efficienza energetica: l’High Energy Efficiency, che dà priorità al risparmio energetico, tagliando in particolare nel settore delle costruzioni e guidando verso un decremento della domanda energetica del 41% entro il 2050, sulla base dei livelli del 2005.
Il secondo scenario punta alla differenziazione delle fonti, il Diversified Supply Technologies, nel quale tutte le fonti energetiche competeranno secondo logiche di mercato e la decarbonizzazione sarà guidata dai costi del carbonio, dell’energia nucleare e dall’introduzione di tecnologie per l’abbattimento di CO2.
Il terzo punta, invece, in maniera più decisa sull’uso delle energie rinnovabili: l’High Renewable Energy Sources, prevede, infatti, di dare un ruolo prioritario alle rinnovabili fino a far coprire il 75% del mix energetico al 2050 con energia fonti come solare, eolico e biomasse.
Infine due scenari che hanno un approccio diametralmente opposto nei confronti dell’energia nucleare; il Delayed Ccs, in cui il nucleare avrà un peso decisivo nella produzione energetica generale, con la decarbonizzazione guidata dai prezzi del carbone più che da spinte tecnologiche e il Low Nuclear, l’unico scenario che taglia fuori l’energia nucleare e che non prevede la costruzione di nuove centrali, salvo quelle già commissionate.
“La percentuale di energie rinnovabili cresce in tutti gli scenari predisposti –si legge nel documento della Commissione– toccando almeno il 55% della produzione d’energia nel 2050, oltre 45 punti percentuali dai livelli odierni, stabili intorno al 10%”.
Gli Stati membri avranno così uno strumento che permetterà loro di fare le scelte più appropriate per quanto riguarda il settore dell'energia e creare presupposti economici stabili per favorire gli investimenti privati, soprattutto a medio termine.
La raccomandazione è di investire da subito per abbattere i costi: la Commissione avverte, infatti, che le decisioni sugli investimenti nelle infrastrutture necessarie fino al 2030 "devono essere prese adesso", in quanto occorre sostituire quelle costruite 20-30 anni fa e un'azione oggi può evitare il rischio di dover effettuare investimenti più costosi tra due decenni."

A margine di questo interessante articolo mi permetto di aggiungere che il marito di mia figlia ha realizzato da diversi anni, un "CASEIFICIO" alimentato totalmente da energia rinnovabile pulita, in questo caso dalla GEOTERMIA. NESSUNA EMISSIONE DI CO2 NELL'AMBIENTE! Invito i miei cortesi lettori ad acquistare i prodotti con il marchio "I formaggi di San Martino" dell'Azienda Agricola San Martino di Ricci Massimo, Località Podere San Martino, 58025 Monterotondo Marittimo (GR) e sarei felice di accompagnare turisti e clienti sia alla visita del  Caseificio che dell'incomparabile fenomeno della "terra che fuma", nelle sue immediate vicinanze. E mail: karl38cg@libero.it 

L’anno che muore invita a riflettere su noi stessi e su Dio.

L’anno che muore invita a riflettere su noi stessi. No, non allarmiamoci,  verso le cose profonde, fondamentali, di quest’ultimo tratto di cammino…che nessuno vuole ascoltare e condividere, se non per indifferenza, per terrore…ma sulle piccole cose quotidiane, notiziole alimento di curiosità, come chiacchiere tra vecchi amici, che s’incontrano di tanto in tanto e il più delle volte si soffermano su lontani ricordi. A me non piace il ritornello di quella canzone che diceva…mi ricordo ti ricordi/ero bimbo e anch’io giocavo/rosso in viso ritornavo/dalla mamma ch’era là! Dato che, a differenza dei miei amici, non avevo una mamma che mi aspettava e così ho lasciato svanire almeno i primi otto anni della mia vita. A quel tempo il mio babbo era giovane e innamorato, figuriamoci se condivideva il suo tempo ad ascoltare un bambino, e la nonna, già troppo anziana, aveva sulle spalle la fatica di mandare avanti la famigliola con quel magro salario di operaio che quasi si esauriva nel pagamento del “libretto mensile della spesa”. Perciò mi piace parlare del presente e, ancor meglio, del futuro, dei progetti, delle attese. Certo, più si va in là con gli anni,  sempre meno il “parlare” e più lo “scrivere”, perché parlare presuppone incontrare, e gli incontri, nella solitudine sociale del mio paese, si fanno sempre più rari, mentre lo scrivere è esercizio solitario, che può avere o non avere risposta come mormora all’orecchio un altro ritornello che ogni tanto riaffiora: …ti scrivo e non rispondi/come tu fossi morta…”, si, penso con tristezza che sono entrato nel tempo del silenzio. Ma qualche volta incontro Luciana, un’amica esuberante nella sua malinconia, e, soprattutto, ricca di una bellezza interiore che  va al di là del dato anagrafico, con lei posso parlare del passato e del futuro ed anche gioire di un rinascimento di creatività intima e ascosa. Ho tra i più cari amici di una vita anche suo marito, Mauro, l’alter ego di chiacchierate estive nel Piazzone, mentre entrambi sorvegliamo i nostri nipotini, e resto ogni volta sorpreso della sua lucidità politica e della viva memoria per fatti e persone, luoghi e avvenimenti. Quando mi specchio in lui non posso fare a meno di notare un cambiamento: per decenni mi sono interessato attivamente alla politica militante, mentre lui era distante; ma in questi ultimi vent’anni lui è diventato un lucido analista di questioni economiche, politiche, amministrative…mentre io me ne sono praticamente distaccato, approdando, si fa per dire, ai cosiddetti “beni immateriali”; la poesia, l’amore, la bellezza, il sogno, la felicità e l’infelicità…il destino dell’uomo. Per fortuna uno sparuto gruppetto di persone si ritrova nel pomeriggio d’ogni prima domenica del mese nel borgo di Belforte, alla Casa della memoria “L’Aquilante”  a parlare di letteratura, poesia e oroscopi, che più immateriali chiacchiere di queste credo siano impossibili da organizzare, e lassù son nate tenere amicizie che durano nel tempo, e lassù sono stato “incoronato” poeta, il premio più bello che mai avrei immaginato. Naturalmente, nei “beni immateriali”, colloco anche persone che non incontro da tempo, ed alcune che non ho mai incontrato, come Swan, Susanna, Trudi, Anna, Red, ed anche Annalisa, che invece incontro abbastanza spesso. A lei devo in gran parte l’amore per le stelle e lo spiraglio che mi ha aperto nella comprensione dell’Universo. L’Universo: adesso ci dicono che non avverrà l’implosione perché esso si sta espandendo ad una velocità altissima, mentre l’energia grigia e la materia grigia, ancora ignote per il 95%, chi sa quali sorprese ci nasconderanno per altri milioni di anni, o per sempre? Mi convinco, sempre di più, della non casualità della presenza dell’Uomo sul nostro piccolo pianeta, e mi associo a quanto ebbe a dire Einstein, lui ebreo agnostico, anzi ateo e scienziato sublime: “Chiunque crede che la sua propria vita  e quella dei suoi simili  sia priva di significato è non soltanto infelice,  ma appena capace di vivere”. E nessuno come lui aveva avvertito con umiltà il senso del mistero: “ La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione, è come morto: la sua vista si è spenta. La sensazione del mistero, anche se accompagnata dalla paura,  trova pure la sua forza nella religione. La certezza che ciò che ci è impenetrabile esiste realmente e si manifesta attraverso la più alta saggezza, la bellezza  più raggiante – e le nostre deboli facoltà  lo possono comprendere soltanto nella loro forma primitiva - , questa conoscenza, questo sentimento è al centro della vera religiosità. E’ in questo senso, solo in questo senso,  che io sono un uomo profondamente religioso. Mi accontento di accettare  il mistero della vita eterna, d’avere la coscienza e l’intuizione della meravigliosa architettura  del mondo esistente e di aspirare  umilmente a comprendere  una infinitesima parte della religione che si manifesta nella natura…credo al Dio di Spinoza che ci rivela un’armonia di tutti gli esseri e non  a un Dio che si occupi del destino  e delle azioni  degli uomini”. Come sappiamo, Einstein (nato a Ulm, Germania, nel 1879), continuò fino al giorno della sua morte nello sforzo generoso  di capire e di farsi capire. Morì all’Ospedale di Princeton USA, il 18 aprile 1955, alle ore 7,15 del mattino. Nessuno, contrariamente a quanto s’è scritto, ha raccolto le sue  ultime parole: l’infermiera che lo vegliava non parlava tedesco.   

lunedì 19 dicembre 2011


  • Auguri di Buon Natale!

    Forse, il mio Natale, quello freddissimo del 1938, addormentato in una rozza culla dalla mamma (che probabilmente mi amava), assomigliava moltissimo a questo di Sardegna, anche se in Toscana le parole erano diverse:
    Ninna nanna, ninna o'/questo bimbo a chi lo do'/lo darò alla Befana/che lo tenga una settimana/lo darò all'uomo bianco/che lo tenga tanto tanto/lo darò all'uomo nero/che lo tenga un anno intero/lo darò alla sua mamma/e con lui farà la nanna.

    Come si vede c'era già una minaccia...


    www.youtube.com
    O mama mia istimada O mama mia istimada ite ses tue pro me: un anghelu una fada ses sempre indaffarada non pensas mai pro te! In tottu s'universu quadratu o ...

sabato 17 dicembre 2011

CESARIA EVORA Sodade .wmv


Addio a Cesaria Evora, la diva a piedi nudi

La cantante scalza di Capoverde. Fece conoscere in tutto il mondo la morna, genere di musica e danza del suo paese.

La cantante capoverdiana Cesaria Evora Era "la diva dai piedi nudi", perché amava apparire in scena così, senza scarpe, forse in onore delle sue origini semplici e in ricordo della vita dura che fino a 50 anni non aveva conosciuto fama né successo: Cesaria Evora è morta oggi in un ospedale dell'isola di Sao Vicente, nel nord dell'arcipelago di Capo Verde, dove era nata il 27 agosto di 70 anni fa. L'ultimo compleanno l'aveva festeggiato senza sfarzo con parenti e amici e negli ultimi mesi si sentiva sempre più debole, al punto da aver deciso di non cantare più in pubblico.

"Cize", così la chiamavano affettuosamente i suoi compatrioti, era figlia di un violoncellista e di una cuoca: la morte del padre, quando ha appena sette anni, segna la sua vita perché la madre, che ha altri sei figli, decide di mandarla in un orfanotrofio. A 16 anni Cesaria comincia a cantare, in bar e feste private, per la meraviglia del suo primo, ristretto pubblico: le sue canzoni sono tristi, sull'amore, la povertà, il mare. A volte canta anche la stessa 'sodade' (Saudade nel dialetto creolo di Capoverde) nelle strade, prima di smettere per circa 10 anni, duranti i quali affonda nell'alcol e nella solitudine.

Nel 1985 una telefonata dal Portogallo le cambia la vita: accetta di incontrare il franco-capoverdiano José Da Silva, che diventerà suo suo mentore e produttore, e la porterà a cantare a Parigi. Il suo primo album, nel 1988, si intitola proprio così, "La diva dai piedi nudi", e consacra il suo stile unico, in cui la sua voce impressionante si unisce a una miscela armoniosa di 'sodade' con sonorità africane e cubane. Nei primi anni '90 seguono "Mar Azul" e "Miss Perfumado" (con il suo capolavoro "Sodade") le tournées mondiali negli Stati Uniti, in Svezia, in Giappone e in Senegal. Poi è la volta di "Cabo Verde" (1997) e "Sao Vicente di longe" (2001) e ancora altri album. Dopo aver ricevuto la Legion d'honneur in Francia, Cesaria soffre un ictus che la costringe a rallentare il ritmo, ma nonostante tutto nel 2009 esce il suo undicesimo albo, "Nha Sentimento".

Nel maggio del 2010 viene operata a cuore aperto per sei ore, è costretta ad annullare 20 concerti ma non accetta di lasciare la scena, che definisce la sua "droga", e ancora nell'aprile di quest'anno appare in piena forma sul palco del Grand Rex di Parigi. Ma a settembre quel cuore debole che l'ha perseguitata la costringe a riposo. "La vita continua, vi sono venuta incontro, ho fatto del mio meglio, ho avuto una carriera che molti vorrebbero avere", aveva detto al giornale francese "Le Monde" in un'intervista pubblicata per l'occasione.

PIL ALL’AQUILANTE, Belforte, 4 dicembre 2011.
Tema: …tutto è prima sognato…


Troppo ampio il tema di oggi…il sogno, che qualche volta si avvera ed il più delle volte si lascia tra le lenzuola. Senza considerare i “sogni ad occhi aperti”, ma soltanto quelli onirici del sonno.
Nel lungo arco della mia vita ho sempre tratto ispirazione, per i miei pensieri poetici, dal sogno romantico ed anche, se si può dire, dal sogno di un mondo nuovo, di una società nuova. Dunque vi leggerò due brevi testi, uno tratto dal mio diario  (19 maggio 2009), l’altro è la poesia  che Mathilde Wesendonck  dedicò al suo amante, Richard Wagner e che il Maestro musicò in un lieder (i  cinque famosi Wesendonck lieder). Si sappia che a Mathilde si deve l’ispirazione dell’opera di Wagner “Tristan und Isolde”, forse il suo capolavoro.

martedì

…le onde elettromagnetiche hanno portato stasera, inattesi, ma desiderati messaggi. Uno viene dalla luminosa scia della cometa che m’ha stregato il cuore; l’altro dal materializzarsi di un sogno, sbocciato nell’istante casuale in cui lo incontrai, in una sperduta stazioncina ferroviaria tra le crete senesi…Forse è perché sono stato metà del giorno immerso nella poesia faticando a trascrivere  i versi di un grande vecchio amico, un tempo maestro per me, soprattutto di vita, che ho ricevuto il premio. Ho ricercato la profondità divinatoria dei messaggi in un libro bellissimo, la leggenda del principe Ahmed Al Kamel e della sua inesausta brama di sapere cosa fosse l’amore. Una docile colomba, alla quale aveva ridato la libertà, venne una sera a posarsi sulla sua spalla. Dove sei stata fin’ora, felice creatura? – le disse il principe stringendola al cuore.  – Vengo da un paese lontano, mio principe, e ti porto una lieta novella in cambio della libertà che mi hai data. Nel mio peregrinare per pianure e montagne, un giorno scorsi sotto di me, in una verde prateria lungo un fiume serpeggiante, un giardino delizioso, ricolmo di fiori e di frutti. In mezzo al giardino, si elevava un palazzo magnifico. Allora, io scesi per riposarmi un po’ e sulla riva erbosa del fiume scorsi una giovane principessa di una bellezza straordinaria. Ella era circondata da altre fanciulle che la adornavano con ghirlande e corone di fiori, ma nessun fiore di campo o di giardino poteva competere con lei. In quel giardino essa fioriva in segreto, perché il luogo era cinto con alte muraglie e nessuno poteva penetrarvi….A queste parole il cuore ardente di Ahmed si infiammò: tutta la piena d’amore del suo temperamento sentimentale si concentrò ad un tratto, su un oggetto preciso, ed egli s’innamorò perdutamente della principessa sconosciuta. Le scrisse una lettera e con parole appassionate le confessò il suo amore e le descrisse l’impossibilità di poter correre ai sui piedi. Aggiunse delle strofe di commovente tenerezza, perché era un poeta ispirato dall’amore. La dedica diceva: “Alla bellezza sconosciuta da parte del principe prigioniero”; profumò la lettera di muschio e di rosa e l’affidò alla colomba…và, messaggera fedele! Sorvola monti e pianure, fiumi e mari e non riposarti né sull’erba né sui rami, finché non avrai raggiunto la bella fanciulla del mio cuore…La lettera fu consegnata, la risposta giunse nell’ultimo volo della colomba morente, ma…ancora a lungo dovette soffrire quel principe per abbracciare la sua amata…grazie alla musicalità delle sue canzoni  e al vibrare dell’anima. E, poi, come andò a finire? Vi lascio con un briciolo di curiosità.

Il secondo: poesia di Mathilde Wesendonck

Sogni (Studio per Tristano e Isotta)

Dimmi, perché sogni meravigliosi
avvolgono il mio spirito,
senza svanire nel vuoto nulla
come vane spume?

Sogni che più belli
ogni ora, ogni giorno fioriscono,
costellazioni beate
che mi attraversano l’animo!

Sogni che come raggi sublimi
si immergono nel cuore
per dipingervi un’immagine eterna:
oblio assoluto che tutto ricorda!

Sogni, come quando il sole di primavera
bacia i fiori liberati dalla neve,
perché a delizie mai immaginate,
il nuovo giorno li inviti,

perché crescano, fioriscano,
effondano sognanti il loro aroma,
dolcemente sul tuo petto si spengano
e infine nella cripta sprofondino.

(trad. di K.) 

venerdì 16 dicembre 2011


A Montieri è partita la gara per la realizzazione dell’impianto di teleriscaldamento

A Montieri è partita la gara per la realizzazione dell’impianto di teleriscaldamento
tubature teleriscaldamento

Il 25 novembre è stato pubblicato il bando ed il termine per la presentazione delle offerte è il 27 gennaio 2012. Tutti i documenti sono scaricabili dal sito del comune.

Fonte: Geotermianews

Il prossimo anno potrà essere quello utile per l’inizio delle opere per la realizzazione dell’impianto di teleriscaldamento all'interno del centro abitato di Montieri.
Portata a termine la gara, i cui termini di presentazione delle offerte scadranno il 27 gennaio con apertura delle stesse il 1 febbraio 2012, sarà affidato l’incarico all’impresa vincitrice e, fatto salvo il tempo per la presentazione di eventuali ricorsi, potranno quindi partire i lavori.
La gara è ad evidenza pubblica e sarà aggiudicata all’offerta economicamente più vantaggiosa, da determinare con i seguenti specifici criteri di valutazione:
  • Controlli aggiuntivi sulle saldature;
  • Organizzazione del cantiere (modalità organizzative e accorgimenti per ridurre i disagi della popolazione nel centro abitato, migliorie per la riduzione degli impatti);
  • Tempo per l'esecuzione dei lavori;
  • Garanzie;
  • Possesso delle certificazioni UNI EN ISO 14001:2004, OHSAS 18001:2007 e SA 8000:2008.
L’importo complessivo delle opere da realizzare, posto a base di gara, è di € 6.148.855,76 ed il progetto, per la cui copertura sono previsti 7.500.000 Euro, sarà finanziato con un contributo della regione Toscana pari a euro 3.116.750,00 (derivante da finanziamento POR CREO FERS 2007/2013) ed il resto con fondi propri della stazione appaltante, cioè il Comune di Montieri, che li ha già messi a bilancio.
La gara d’appalto riguarderà tutti i lavori e le forniture necessarie per realizzare il progetto esecutivo denominato “Impianto di Teleriscaldamento dell’abitato di Montieri” .
Il progetto nasce con l’obiettivo di utilizzare la risorsa geotermica presente nelle vicinanze dell’abitato di Montieri –in particolare il pozzo Montieri 4- così da consentire la realizzazione di un teleriscaldamento abitativo che sia efficace e, al tempo stesso, economicamente conveniente per l’Amministrazione e per l'utenza finale.
Si è partiti quindi dall’analisi delle caratteristiche morfologiche e geografiche del territorio che si trova ad una altitudine media sul livello del mare di 704 metri e che presenta variazioni stagionali di temperature che vanno da un minimo di -4° in inverno e +32° in estate per poi arrivare alle caratteristiche urbanistiche del centro abitato di Montieri.
L’analisi si è quindi indirizzata sulle caratteristiche del fluido geotermico disponibile al fine di riuscire a calcolare la superficie totale riscaldabile e, quindi, sulla base delle caratteristiche abitative, il numero di utenti finali che ne avrebbero potuto beneficiare.
I risultati hanno permesso di progettare un impianto di teleriscaldamento abitativo all'interno del solo centro urbano di Montieri, per un totale di circa 800 utenze suddivise in circa 425 unità abitative e con una volumetria da riscaldare pari a circa 110.000 metri cubi.
Con questi dati e sulla base delle quantità di vapore che possono essere rese disponibili da Enel tramite il pozzo Montieri4, il valore del fabbisogno energetico richiesto è di circa 5.500 kW (circa 20.000 GJ) e su questa taratura è stato delineato il progetto esecutivo.
Il sistema previsto è a doppio circuito, primario e secondario, con l’utilizzo di scambiatori a piastre e con una doppia centrale termica.
La centrale termica primaria utilizzerà il vapore e l’acqua surriscaldata, mentre quella secondaria funzionerà con acqua surriscaldata e acqua calda, con una stazione di pompaggio intermedia tra le due centrali.
La centrale termica primaria sarà realizzata nei pressi del pozzo geotermico, mentre la centrale secondaria sarà ubicata nel centro abitato di Montieri con una rete di distribuzione interrata a doppia tubatura (una per l’andata del fluido e una per il ritorno) per una lunghezza pari a circa 5.600 metri. A queste tubature si aggiungeranno le reti di collegamento alle singole utenze. 

mercoledì 14 dicembre 2011


Un bel lavoro! Lo faccio mio, confessando di aver lavorato molto sulla biografia di Mahtilde, aiutato dal compianto pronipote Otto von Wesendock, mio amico carissimo che non c'è più. 

Tristán e Isolda (primera parte): Mathilde Wesendonck



En este 2009 se cumplen 150 años de haberse concluído la extraordinaria obra "Tristán e Isolda" (el poema fue escrito en Zurich entre agosto y septiembre de 1857. La música fue compuesta en Zurich, en Venecia y acabada en Lucerna en 1859) una de las partituras más emblemáticas de R. Wagner (1813-1883) -y una de mis favoritas- y que a la larga se convertiríaría en un parteaguas para la historia de la música occidental. Sin embargo, también es una sublimación de la exaltada historia de amor que Wagner mantuvo con Mathilde Wesendonck (1828-1902) aquella "Isolda, musa total, inspiradora suprema, aquella en quien se unían las voluptuosidades y la atracción hacia la nada" como la denominó Guy de Pourtalès, detonadora de la actividad creativa del compositor, de la que Judith Cabaud tiene una extraordinaria biografía en donde desmiente lo que los señores Gregor-Dellin y Ernest Newman defendían: que esta musa de belleza rafaelita "no había ejercido un peso determinante en el proyecto de “Tristán”. Sin embargo, resulta interesante saber que el periodo comprendido entre 1852 y 1864 durante el cual Wagner mantuvo relación con los Wesendonck fue el periodo de creación más fecundo de su vida.... He aquí su idilio:
“Wagner me relegó de prisa. Apenas me reconoció cuando fui a Bayreuth.Y, sin embargo, yo soy Isolda” (M.W.)
En febrero de 1852, después de un concierto que dio a conocer por primera vez al público de Zurich su extraordinaria Obertura de “Tannhäuser”, conoce a Otto y Mathilde Wesendonck en casa de un amigo común. Wagner menciona esto en “Mi Vida” así como en las cartas a su amigo Theodor Uhlig de Dresde. Habla de un “efecto magnético” producido en el auditorio, sobre todo entre las mujeres, y nos da a entender que se refiere especialmente a una de ellas. En este momento, sin embargo, la relación entre Richard y Mathilde no va más allá de los límites de la cordialidad. Es aproximadamente un año después de este concierto así como después de la lectura del poema de la “Tetralogía” al público que ha acudido a escucharle en el Hotel Baur, cuando Wagner abandona bruscamente su desierto musical y ello a consecuencia de los hermosos ojos de la Sra. Wesendonck. Hace cinco años que no compone y vuelve a empezar a rellenar pentagramas con una obra irrisoria y encantadora, una “polka para Mathilde Wesendonck” en la que nacen, se entrecruzan y mueren, como embriones apenas formados, algunos de los gérmenes de su futura “Tetralogía”. Un mes más tarde, el 20 de junio, le enviará igualmente una sonata acompañada de una dedicatoria de lo más enigmática: “¿Sabéis qué ocurre?” la divisa interrogativa de las Nornas en “El Crepúsculo de los dioses”. En ese momento Mathilde no entiende su sentido. ¿Cómo podría hacerlo? Pues esta sonata es el vivo retrato de Mathilde, pintado por el mago de los sonidos, en pie sobre el umbral del mundo de la creación musical que por fin vuelve a abrirse a su genio.

“¿Sabéis qué ocurre, qué ocurrirá?” El Edipo de Dresde pregunta al oráculo de Delfos. O también, se pregunta más prosaicamente: “¿Sabéis lo que me ocurre?” Mathilde escucha la sonata, la descifra, la teclea. Ignora que ante ella se encuentra el germen del preludio de “Tristán”. En efecto, la Sonata está construida sobre el mismo esquema que el del preludio de “Tristán”: Un comienzo muy melancólico conduce a una gran ascensión que aspira en su crescendo a algo irrealizable. A continuación viene el derrumbamiento total en el instante preciso en que se está a punto de esperarlo. Y por último el regreso a la melancolía inicial. El primer tema de esta sonata es como un leitmotiv cuya tonalidad e intervalos contienen las primicias del tema de la muerte de Isolda así como el principio de lo que se ha dado en llamar el tema del “anuncio de la muerte” en “La Walkyria”. El amor y la muerte se encuentran ya presentes desde el primer día en su relación todavía balbuciente con Mathilde Wesendonck.

“¿Sabéis qué ocurre, qué ocurrirá?” Una tarde de febrero de 1852 en casa del amigo Marshall von Bieberstein, Richard Wagner y Mathilde Wesendonck se han encontrado, se han mirado mientras hacían los brindis de costumbre. También han bebido el filtro de la música y la mirada de la joven Mathilde ayudará al genio creador a lo largo del difícil viaje que se predice, hasta llegar a la cumbre de su inspiración musical.

En efecto, a partir de septiembre de 1853, después de tantos años de silencio musical, Wagner, sumido en un estado enfermizo durante su estancia en Italia en La Spezia, escucha en su fuero interno la tonalidad en mi bemol mayor y reconoce inmediatamente el comienzo del preludio de “El Oro del Rhin”. De 1853 a 1854 compondrá la música de esta primera jornada que constituirá el prólogo de su “Tetralogía” tomando invariablemente como testigo a la joven Mathilde Wesendonck: cada tarde, a las cinco, “el hombre del crepúsculo”, como le llamará ella misma, penetra como ráfaga de viento en el suntuoso Hotel Baur en el Lago de Zurich y sube de cuatro en cuatro los escalones hasta la suite que ocupa la familia Wesendonck en espera de que se emprenda la construcción de su propia villa. Se instala en el salón, al piano, y toca para la maravillada joven los compases compuestos en su casa esa misma mañana.

Entre 1854 y 1856 se trata de la composición de “La Walkyria” en la que la complicidad de Mathilde se muestra de forma más evidente: el esbozo de la composición de los primeros compases del preludio se halla recubierto de anotaciones y abreviaciones que rinden homenaje a su creciente amor por Mathilde. Además, en la primera página de este esbozo, Wagner había revelado, resumido en tres letras: G.s.M. la auténtica fuente de su inspiración: G.s.M. son las iniciales de “Gesegnet sei Mathilde” (Bendita seas Mathilde). Bendita sea esta mujer que le saca de su silencio, que le hace reemprender su actividad como compositor sobre temas en los que sueña desde hace tiempo, en vez de preocuparse por esos panfletos, esos escritos teóricos, esas polémicas que únicamente le crean enemigos. Bendita sea Mathilde que se preocupa por su salud, que le prodiga consejos y remedios, que sería también Isolda-la-Curandera. Y bendito, en fin, sea su marido, Otto Wesendonck, cuya fortuna le permite financiar sus viajes, sus conciertos y sufragar sus necesidades cotidianas. Mathilde se halla allí para ayudarle a perseverar en este mundo de la inspiración que reconocerá haber perdido más tarde.

En 1855, Wagner rehace su obertura para “Fausto” que dedica a Mathilde y entre 1856 y 1857 compone los dos primeros actos de “Siegfried”. Los Wagner viven en una ruidosa calle de Zurich, la Zeltweg, en un conjunto de casas que llevan el nombre de su propietario: Stockar-Escher. El maestro se queja sin cesar de varios pianistas y de un flautista que tocan diariamente, cuyas escalas y ejercicios suben hasta sus oídos por el patio del inmueble. Para acabarlo de complicar, vive enfrente del obrador de un herrero (herrero, entre nosotros, providencial en este caso) que le fastidia enormemente con el ruido de su martillo sobre el yunque. Llega a un acuerdo con él para que no golpee con el martillo más que al mediodía y se dice que se debería a la Sra. Wesendonck el pago de las horas así perdidas. Poco después los Wagner se instalan en la casita denominada “Asilo” que le cede Otto Wesendonck dentro de los límites de su propiedad a cambio de un alquiler ficticio, y es aquí cuando Wagner se lanzará simultáneamente a la composición de “Tnistán” y de los “Wesendonck Lieder”, aquí también es donde en 1857 Wagner concibe la idea para su última producción, “Parsifal”, de la que escribe una primera versión en prosa.

Es en agosto de 1857, cuando los Wesendonck acaban de instalarse en su nueva villa sobre la colina verde de Zurich, muy cerca del “Asilo”, cuando Wagner escribirá en el espacio de un mes el poema del amor imposible. El 18 de septiembre se lo lleva a la joven Mathilde quien, trastornada, exclama: “Ahora no me queda nada más que desear..."
En “Mi Vida”, Wagner nos explica de forma anodina como por las mañanas componía la música del primer acto del “Tristán”, por las tardes realizaba largos paseos por el valle de la Sihl y leía en voz alta para sus amigos, unas veces en casa de ellos, otras en la suya propia, las obras de Calderón, Cervantes y Lope de Vega. Se trata en apariencia de una vida muy ordenada. Sin embargo, mientras compone este primer acto de “Tristán”, Wagner trabaja también con las poesías de su amable vecina, Mathilde. De diciembre de 1857 a mayo de 1858 asistimos en efecto a una eclosión poética por parte de la joven que escribe poemas, los envía a casa de su augusto vecino quien les compone la música y se los restituye en forma de lieder “a vuelta de correo”: son los “Wesendonck Lieder".

El 30 de noviembre de 1857 llega “El Ángel” (Der Engel) bajo los acordes luminosos de “Lohengrin” así como una evocación del primer acto de “La Walkyria”. A continuación, el 4 de diciembre, “Sueños” (Träume), llamado más tarde “estudio para Tristán”.
Poco menos de dos semanas después, Mathilde le hace llegar su poema “Penas” (Schmerzen) y el 17 de diciembre Wagner le envía la música. “Penas” constituye el presentimiento del sufrimiento por una separación que tanto Richard como Mathilde saben que será inevitable.
Para el cumpleaños de Isolda el 23 de diciembre, Wagner organiza una serenata en la Villa Wesendonck. 18 músicos de Zurich son contratados para interpretar “Träume” que Wagner ha orquestado para este propósito. Se produce igualmente una ocasión de escándalo pues el esposo, Otto, se halla ausente en América por asuntos de negocios. Intentarán reparar el escándalo al regreso del rey Marke y se organizará un concierto en el mes de marzo para celebrar el cumpleaños de Otto Wesendonck. En ese periodo Wagner viaja a París y regresa.

Mathilde sigue con sus tentativas poéticas y le envía un poema de esencia tristaniana: “Detente” (Stehe Still) que en espíritu se acerca al dúo de amor del segundo acto de “Tristán” cuando los amantes buscan el olvido.
Por último, el primero de mayo, el último texto que completará el ciclo de los “Wesendonck Lieder” llega a la mesa de trabajo de un Wagner enfermo de amor: “En el invernadero” (lm Treibhaus) al que pondrá música imbuido de los dolorosos acentos del preludio del tercer acto de “Trístán”.

Todo esto no constituye más que el signo externo del drama humano tejido entre Richard Wagner y Mathilde Wesendonck pues ambos se hallan casados: Wagner con Minna, su compañera de los días de miseria; Mathilde con Otto, rico comerciante que ya le ha dado cuatro hijos, hombre noble a quien Mathilde ama y estima.
Después de proponerle la alternativa inevitable, la unión o la separación, Wagner abandona su “Asilo” y parte en dirección a Venecia vía Ginebra. Penosas escenas se habían desarrollado entre todos los protagonistas de este drama. En su obra “Tristán e Isolda” Wagner sublimará su pasión por Mathilde Wesendonck.

Si sus cartas enviadas desde Venecia, Lucerna y París nos muestran ya una actitud de renuncia en esa época por parte de Wagner, únicamente tres años más tarde inventará para la posteridad una expresión más serena al describir una resignación lúcida en su personaje de Hans Sachs de “Los Maestros Cantores de Nuremberg”:

Mi niña,
Conozco la triste historia
de Tristón e Isolda;
Hans Sachs ha sido prudente y no ha buscado
la suerte del rey Marke.

El papel de Mathilde en la génesis de “Los Maestros Cantores” será el de un detonador. Ella le transmitirá el impulso en el transcurso de una visita a la Academia de Venecia en 1861. Viéndola feliz y satisfecha del brazo de su marido Otto ese día Wagner eleva los ojos hacia el cuadro de Tiziano que representa la Asunción de la Virgen la cual, con los brazos abiertos y la mirada fija en el cielo, muestra a Wagner la única salida para su alma de músico, es decir, el trabajo de compositor. Ante esta visión, Wagner siente en el alma una súbita intuición y, tal como lo expresa de una manera bastante abrupta en “Mi Vida”: «¡(El) resolvió escribir “Los Maestros Cantores”!»
***
Por su parte Mathilde, después de los poemas de los “Wesendonck Lieder” creerá en su propia vida intelectual y si todo lo que escribirá se encontrará teñido de colorido wagneriano, también nos mostrará una concordancia constante entre su vida y su obra.
El siguiente es un poema publicado en su colección de 1862, poco tiempo después de que Wagner desapareciera de su vida: “La Mujer abandonada”

Dí ¿por qué esta separación amarga?
Te llevas contigo toda mi felicidad.
¿Debo soportar yo el peso para ahorrártelo a ti?
¡Antes deja que vuelva a ser la que era!

Devuélveme la paz tan pura
Que tu mirada robó de mi interior:
A aquélla de quien ha huido la felicidad del amor,
Evítale también la pena del amor

Tú me diste acceso a las alegrías del cielo
Mediante un santo beso;
¡Ay! Se convirtió en la fuente de las lágrimas
Que ya nunca podré dejar de verter

¡Oh! Que nunca en los lejanos años
Mi imagen aflija tu espíritu:
Que no llegues a dudar nunca
De lo ardientemente que te he amado.

Suplico al cielo que vierta sobre tu cabeza
Mis más abundantes bendiciones;
¡Suspiro para que se me escuche pronto
Por una tumba solitaria y tranquila!

Y he aquí el último poema que le escribiría a aquel Tristán hace tiempo fallecido. Poema inspirado en la montaña de Traunstein y en sus estribaciones: el Erlakogel con su perfil de mujer que los habitantes de la zona han bautizado como la Griega adormecida. La leyenda de allí dice que el Traunstein era en realidad un gigante de la montaña que cada noche esperaba el despertar de la bella durmiente. Esta únicamente se le aparece en sueños para depositar un beso sobre su frente:

Érase una vez dos corazones valientes
Dispuestos a compartir alegría y dolor
No se sabe como llegó a ocurrir
Pero la paz se desvaneció.
Su amor era cada día más ardiente
Pero cuanto más se amaban
Más les separaban.
Cada uno ocultó al otro la profunda herida de su corazón
Y cada uno sabía que el otro no se había curado.
El Destino, grande y poderoso, separó por fin a los amantes
Pero quiso que permaneciesen unidos en la muerte.
En la profunda paz de la muerte,
Ella se encuentra acostada a sus pies.
Y él no puede apartar los ojos de su mirada
Que es tan tierna.

Lo que domina toda la vida y la obra de Mathilde Wesendonck es el tema de la compasión: Agnès (al casarse en 1848 con Otto Wesendonck, un viudo trece años mayor que ella, decide adoptar el nombre de Mathilde con el fin de aportar consuelo a la decisión de su nuevo esposo cuya primera mujer, muerta en circunstancias trágicas, se llamaba Mathilde) se convierte en Mathilde como consuelo para su esposo; Isolda renuncia a Tristán para evitar sufrimientos a su marido y a sus hijos; una mujer mortalmente herida guarda silencio y se contenta con enterrar sus lágrimas entre sus poemas...
La excelente soprano dramática wagneriana del siglo xx: Kirsten Flagstad (1895-1962) interpretando "Muerte de amor de Isolda" con la cual concluye la ópera "Tristán e Isolda"

lunedì 12 dicembre 2011






Quello piccolo, con i pantaloni corti, al centro, accanto al Maestro è Renzo. Al suo fianco suo padre, Dario. 
                                                                                                  

In Pietralata a tagliar l’albero di Natale

                               a Renzo, il mio babbo

La tarda ora del giorno ci sorprese
nel bosco stillante e cupo
ma insieme la paura non ci gelò
il sorriso e il piccolo sentiero c’era
amico. Avevi sulle spalle un alberello
scelto e tagliato con amore
da una folta ginepraia,
 per la gioia della bimba piccina,
che ingenua attendeva il suo Natale!
Io ti parlavo, parlavo e ti chiedevo
e a me medesimo, i misteri della
vita, del quando, dove e chi e perché,
e se la dolcezza di quei momenti
non fosse infinita. Coi tuoi begli
occhi chiari ti volgevi a me
come non t’avevo visto mai,
per quella tenerezza,  che ci strinse
lontani dal mondo e dai suoi affanni,
nel declinar della luce e
dei tuoi anni. Serbo di te, padre mio,
questo ricordo, tra i tanti, che la
benigna morte non si prese. 

domenica 11 dicembre 2011




I miei auguri, un po’ tristi un po’ scherzosi, di Buon Natale!

Rovistando in una catasta di vecchi giornali, che non mi decido a depositare nel cassonetto della “carta”, ho trovato una cartella del “TIRRENO” (storico quotidiano livornese fondato da un garibaldino, Bandi, quello raffigurato in un busto bronzeo nello spoglio giardinetto in riva al mare di Follonica, là dove mi fu scattata la memorabile fotografia nell’agosto 1958), con  tutti gli inserti speciali di otto pagine dedicati ai comuni della Provincia di Pisa, tra i quali quello di Castelnuovo di Val di Cecina. Siamo alla fine degli anni ’70 e tra le “curiosità” del paese era rammentato l’uso di scrivere una ballata di fine anno, con il riassunto o il commento ai fatti più curiosi ed ai personaggi più strani e gli auguri per l’anno nuovo. Tutti in chiave satirica, e qualche volta volgare. Questa ballata, battuta a macchina in quattro o cinque copie era attesissima dai soliti buontemponi, che la leggevano e la commentavano in ogni bar, tra le risate e gli sfottò dei presenti. I testi erano rigorosamente anonimi, ossia noti soltanto ad una decina di persone del giro degli improvvisatori, tra i quali i principali erano M.M., A.I. I.R, K, A.A., A.B…ispiratori delle parti nelle quali si componeva la ballata. Ebbene, nel fascicoletto delle mie “Poesie scherzose 1956 – 1982”, ne conservo tre, due più antiche e l’ultima del 1977. D’altra parte non c’è da meravigliarsi di questa tradizione – adesso momentaneamente interrotta – visto che già negli antichi Statuti, il Gonfaloniere si premuniva contro l’uso indiscreto delle “scampanate” in una apposita rubrica. Erano queste “scampanate” rivolte ai vedovi o alle vedove che si risposavano, ma, in tempi recenti, più direttamente ai “cornuti”. Essa si perde però nei tempi remoti tanto è vero che negli Statuti comunali del 1525, alla rubrica 98, si legge: <Pena a chi fa scampanate. Veduto la disonesta molestia, che si dà a qualunque vedovo, o vedova che viene a marito, sì da scampanargli tutta notte all’uscio, sì ancora nelle parole disoneste che si usano…” e tale uso era ancora invalso nel XVIII secolo. Confesso che anch’io, ogni tanto, mi facevo prendere dalla passione di scrivere qualcosa di scherzoso, in particolare su aspetti del lavoro nella Fabbrica di Larderello. Due o tre testi finirono anche sul periodico sindacale “Informazioni” che uscì tra il 1976 e il 1991. Quello più lungo “Larderelleide, ovvero i recenti fatti e misfatti nella Valle dei Soffioni. Versi semiseri con un finale di speranza”, che lessi ad alcuni compagni durante un viaggio a Pisa per una manifestazione sindacale, suscitando risate a crepapelle, è inedito e tale resterà. Rendo invece pubblica ai blognauti una ballata (inserita nelle Poesie scherzose 1956-1982), ispirata…agli auguri di Natale nella quale spero, anche se in piccolissima parte, si ritrovino.

Buon Natale a questo e quello
Buon Natale all’asinello
Buon Natale al bambinello
Buon Natale all’alberello
alla pecora e all’agnello
tutti intorno al focherello
Buon Natale a questo e quello!
Buon Natale a Gesù bambino
Buon Natale al suo padrino
Buon Natale al malandrino
Buon Natale al Santo vino
tutti intorno al tavolino
Buon Natale a Gesù bambino!
Buon Natale al cane e al gatto
Buon Natale al savio e al matto
Buon Natale al lupo e al ratto
Buon Natale all’uomo esatto
tutti pronti al nuovo patto
Buon Natale al cane e al gatto!
Buon Natale alla bandiera
a quella rossa a quella nera
Buon Natale ai palombari
ai delfini e ai calamari
Buon Natale a chi mi pare
a chi sa piangere e sa amare
Buon Natale al fiume e al mare
e al cesso per c….
Buon Natale al sogno ardito
a chi vagheggia l’infinito
Buon Natale al mito e al rito
a chi ha l’animo pulito
Buon Natale di bagordi
agli ubriachi ed agli ingordi
Buon Natale agli antenati
(che non ho dimenticati)
ai blasfemi e agli appestati
ai musicanti e agli stonati
ai fuggiaschi e ai carcerati:
tutti  tutti oggi vi sento
bisbigliar tristi nel vento!
Buon Natale alla mia donna
al suo viso al suo sorriso
lei mi ha dato il paradiso
senza essere Madonna
Buon Natale alla mia donna.
Buon Natale senza amarezza
con un bacio e una carezza
del doman non v’è certezza!
Con un bacio e una carezza!
Buon Natale al condimento
Buon Natale al godimento
tutti intorno al tavolino
Buon Natale al Santo vino
(e a Te, o piccolino
che per me dato hai la vita
ed io ho l’anima smarrita).

venerdì 9 dicembre 2011


Dal calore della terra al calore della solidarietà

Dal calore della terra al calore della solidarietà
Le stelle di Natale della Cooperativa Sociale Parvus Flos di Radicondoli
Le stelle di Natale prodotte da Parvus Flos saranno distribuite dalla sezione senese dell’AIL, l’associazione italiana contro le leucemie
Geotermia News
Redazione
09/12/2011
Questa è una belle storia, che si svolge in Toscana, nella provincia di Siena. I protagonisti sono i membri di una cooperativa sociale di Radicondoli. Una cooperativa sociale che fa lavorare 31 persone, di cui almeno 7 appartenenti a categorie socialmente svantaggiate. Una storia che ha a che fare con delle serre riscaldate dal calore geotermico proveniente dalla vicina centrale, serre in cui si coltivano piante, fiori e basilico.
La cooperativa è la Parvus Flos che fornisce, appunto, non solo Stelle di Natale, alla maggior parte delle catene della grande distribuzione in Toscana, ma anche basilico ed altre piante officinali biologiche e gerani. Perché la Parvus Flos fa parte della Comunità del Cibo ad Energia Rinnovabile, promossa da CoSviG, Fondazione Slow Food per la Biodiversità e Slowfood Toscana e ci tiene a farlo sapere.
«Stiamo lavorando ad una linea biologica di piante aromatiche che saranno coltivate nella serra di Castelnuovo Val di Cecina -ci ha detto Enea Cosentino, responsabile commerciale di Parvus Flos- che sarà commercializzata con il marchio Viviverde della Coop».
Per questo Natale la Parvus Flos fornirà le stelle alla sezione di Siena dell’Associazione italiana contro le leucemie (AIL) che le metterà in vendita dall'8 all'11 dicembre in via Banchi di Sopra a Siena per raccogliere i fondi per la ricerca sulle malattie del sangue.
«Sono circa 5000 piantine su una produzione di circa 55.000 che verranno fornite all’AIL» ha continuato Cosentino.
Piante che la Parvus Flos ha fatto crescere nelle serre alimentate grazie alla geotermia e che andranno ora ad alimentare una ricerca importante per dare, magari, una speranza ai malati di leucemia.
«Il loro fornitore abituale ha avuto dei problemi, quindi AIL ci ha contattato e noi ben volentieri abbiamo donato all’associazione le nostre stelle di Natale» ci ha spiegato Cosentino.
Ma c’è anche un altro protagonista in questa storia che ha voluto tenere unita la solidarietà alla sostenibilità.
Sienambiente, il Gestore dell'igiene urbana della provincia di Siena, donerà alla Onlus senese 350 piantine di queste stelle di Natale inserite in vasi di plastica riciclata, frutto della raccolta differenziata effettuata nel territorio e corredate  di un campione di Compost "Terra di Siena", il terriccio di qualità proveniente dalla frazione organica trasformata in compost da Sienambiente nei propri impianti di Abbadia San Salvatore e Pian delle Cortine (Asciano).
Sienambiente, come già nel Natale 2010, consegnerà anche alle scuole elementari e medie del territorio la carta riciclata, come supporto, semplice ma basilare (considerati i tagli), per l'attività didattica di tutti i giorni. Si tratta di oltre 4.000 risme di carta A4 riciclata al 100 per cento che saranno distribuite alle 30 scuole primarie e secondarie di primo grado del territorio. Un riconoscimento all'impegno del mondo della scuola senese verso la cultura della raccolta differenziata e del riciclo, simboleggiato da uno slogan rivolto ai bambini ed appositamente riportato sulle confezioni: ("dalla tua raccolta una carta 100 % riciclata...per risparmiare acqua, energia ed alberi").
«Sarà un Natale all'insegna della sostenibilità ambientale, della sobrietà e della solidarietà» ha dichiarato Fabrizio Vigni, presidente di Sienambiente, spiegando così il senso delle due inziative.
«Il messaggio che vogliamo lanciare –ha continuato Vigni- in questo duro periodo di crisi, è che per costruire un futuro desiderabile dobbiamo scommettere sempre più sull'economia ecologica, sulla scuola e sulla ricerca, su diversi stili di vita».
E la solidarietà in tutto questo è un presupposto importante perché la scommessa possa essere vinta e garantire un futuro sostenibile anche dal lato sociale.  

giovedì 8 dicembre 2011





Memorie lontane.

Anche quest’anno s’è sbarcato bimbo, avrebbe detto la buonanima di mia nonna, dalla sua bella età di novant’anni! Ne aveva davvero sbarcati tanti! Era vecchia, si contentava di poco. La sua vita laboriosissima l’aveva tutta dedicata alla famiglia. Nata nel 1884 da una semplice famiglia di operai, terzogenita di due fratelli e una sorella, all’età di sedici anni fu mandata con ottime referenze, a “servizio” da una principessa, nella sua villa di Isola del Garda. L’accompagnò il suo babbo Salvadore fino a Verona, con il treno, e da Verona a Salò con la diligenza. A Salò si abbracciarono e la nonna salì su una barca che la traghettò sull’isola dove rimase, senza mai tornare a casa, per tre anni. Tre anni davvero felici, che non avrebbe mai più dimenticati! La principessa russa, della quale divenne presto la “cameriera personale”, aveva sposato un nobiluomo romano, ma la sua vita non fu altrettanto felice, anzi tragica. A quel tempo era di moda, per le ricche dame straniere residenti nel Regno d’Italia, avere al proprio servizio giovani ragazze toscane, dato che il parlar toscano era, praticamente, il parlare italiano. Messo da parte un gruzzoletto di monete d’oro, ritornata al paese, s’innamorò di un giovane musicante (anche la nonna cantava nelle operette)  e così si fidanzarono. Lui era un virtuoso clarinettista e lavorava alla Ditta fondata da Francesco de Larderel, ma il salario per i lavoranti piuttosto misero. Era il periodo della grande emigrazione transoceanica  e molti giovani del paese partirono a cercar fortuna in America, ossia negli Stati Uniti d’America. Ho ritrovato le tracce americane del nonno a Ellis Island e in memorie di altri emigranti. Negli anni a cavallo del ‘900 emigrarono per l’estero circa 200 giovani, molti dei quali sposarono per procura giunti negli Stati Uniti, ragazze del paese. Alcune famiglie ritornarono dopo degli anni, ma molte rimasero per sempre là, diventando più tardi cittadini americani a tutti gli effetti. Sappiamo che gli emigranti castelnuovini prima del 1919 furono circa 400. Anche alcuni membri del numeroso clan dei Groppi rimasero negli USA. Adesso sono ancora in contatto con quattro sorelle, discendenti da Clamiro. Anche mia suocera, Anna, nacque negli Stati Uniti nel 1917  e in America ha messo forti radici il clan Francini, ora Franks, tutti discendenti da tre zii di mio suocero! La vita non era idilliaca nel nostro paesello e il miraggio dell’America diffusissimo.  Per dare un’idea della nostra piccola comunità  (5502 abitanti nell’anno 1901) trascriverò i dati del 1902: Nati legittimi 126; Nati illegittimi 20; Morti 94; Matrimoni 44; Emigrati 191; Immigrati 195; Abili al soldato 45; Riformati 25. Il nonno lavorò per diversi anni nelle miniere di carbone della Pennsylvania, in più suonava in piccoli complessi musicali, aveva messo da parte un po’ di dollari e decise di ritornare dalla promessa sposa, ma, proprio alla vigilia della partenza, la banda dei gangester italiani denominata “La Mano Nera”, entrò in molte case degli emigranti, narcotizzò gli uomini derubandoli d’ogni avere! Figurarsi che “fortuna” fece il nonno! Ebbe bisogno di una colletta dei compagni per pagarsi il biglietto di ritorno in Italia, più povero di quando era partito. Ma, insomma, i due si sposarono e nel 1906 nacque il primo figlio, Gino e nel 1915 il secondo, mio padre, Renzo. Due figli intelligenti e dotati di un eccezionale talento musicale! Alla fine, durante il fascismo, entrarono tutti alla Società Larderello, allora di proprietà del principe Piero Ginori Conti e non per simpatie politiche, ma perché tutti utilissimi nella grande banda musicale che ottenne premi alle manifestazioni nazionali ed ebbe il riconoscimento ufficiale dalla visita del maestro Pietro Mascagni, l’autore della Cavalleria Rusticana, che la diresse in due o tre concerti! Le loro condizioni di vita migliorano molto e Gino avviò addirittura una redditizia attività commerciale. Il nonno morì nel 1948, la nonna, che mi aveva allevato sostituendosi a mia madre, nel 1974, mio padre nel 1985 e suo fratello nel 1986. Anche le femmine sono ormai tutte morte, alcune di vecchiaia, ma le uniche mie cugine del ramo paterno, le mie indimenticabili Jolanda ed Eleonora, m’hanno lasciato troppo presto, con un gran carico di ricordi… che stranamente, mentre s’avvicina il Natale e anch’io godo la felicità che irradiano i miei due nipotini, Bereket e Yobdar, mi immalinconiscono. 

martedì 6 dicembre 2011


Duccio e la sconsolata “tarapinella”…

Conosco bene la sala dedicata a Duccio di  Buoninsegna con la grande Maestà (1301-1311), capolavoro che avvia l’eccezionale stagione della pittura senese. Dal 1771 la Pala della Maestà è stata segata in due tavole distinte, mentre quand’era in Duomo si poteva vedere unita e dipinta su due facce, e mi sono spesso soffermato sulla scritta latina che suona: “O Santa Madre di Dio, sii causa di pace a Siena, sii vita a Duccio poiché egli così ti pinse”.  Per calarmi in quel tempo lontano sono ritornato a leggere il bel libro di Piero Misciattelli “Mistici senesi”, del quale ho la settima edizione, pubblicata a Siena nel 1914 dalla libreria Editrice Giuntini Bentivoglio. “…Il cinquantenario di Monteaperto Siena lo celebrò recando in trionfo al Duomo, per le sue strade cosparse di fiori, la famosa ancona della Madonna dipinta da Duccio di Buoninsegna il quale sull’iscrizione del dipinto volle significare alla regina della Città la supplichevole gratitudine di tutto un popolo: Mater Sancta  Dei sis causa Senis requiei/Sis Ducio vita te quia pinxit ita. Agnolo di Tura, cronista senese, dice che fu “la più bella tavola che mai si vedesse et facesse” e che “costò più di tremila fiorini d’oro”. Duccio a dipingerla ci mise trentadue mesi. Venne allogata al Buoninsegna il 9 ottobre 1308 da messer Iacomo di Gilberto Marescotti, operaio, ossia Rettore del Duomo. Un cronista cittadino che probabilmente prese parte alla festa così la descrisse: “…in quello dì che si portò al Duomo si serraro le buttighe; et ordinò il Vescovo una magnia et divota compagnia di preti e frati con una solenne prucissione, accompagnato dai signori Nove e tutti gli uffiziali del Comuno e tutti i popolari e di mano in mano tutti e più degni erano appresso a la detta tavola per insino al Duomo facendo la prucessione intorno al Champo  come s’usa, sonando le champane tutte a gloria per divozione di tanta nobile tavola quanta è questa, la qual tavola fece Ducio di Niccolo dipintore, e feciesi in casa de’ Muciatti di fuore de la porta a Stalloreggi. E tutto quello dì si stette a orazione con molte limosine, le quali si fece a provare persone, preghando Iddio e la sua Madre, la quale è nostra Avocata, ci difenda per la sua infinita misericordia da ogni avversità e ogni male, e guardici da mani di traditori e nimici di Siena”. Duccio di Buoninsegna lo sapeva che la sua Madonna era bella; essa non assomigliava a le rigide madonne bizantine dagli occhi aperti e fissi nello spavento di gastighi celesti e terreni. Anch’oggi le alita intorno come un odor di primavera. La Vergine duccesca è donna di popolo, non Regina; è figlia della grande rivoluzione francescana e democratica del popolo italiano; ha il cuore di madre, e sa piangere con quelli che piangono perché conosce il dolore. Dinanzi alla bellezza d’un tal dolore femminile, tremante su gli abissi della disperazione, ci tornano alla memoria i versi d’un ignoto poeta senese del Dugento:

Amor crocifisso, Amore,
e perché mi hai lasciata, Amore?

Amor, tu m’hai lasciata
lo cor mi s’assottiglia
tutta quanta è disviata
la nostra famiglia,
la tua mamma è sconsolata:
ma chi la consola, Amore?

Amor, non aggio padre,
né mamma, né sorella,
né altro figlio, né frate
per me tarapinella:
tu eri la mia reditate
di ròcche e di castella, Amore!

 Amor, se m’abandoni
non saccio che mi fare,
mettaromi a cercare,
lo mondo in giune e ‘n sune
se mi dovesser mangiare
li orsi, Amore.

Questi versi vibrano di passione e sembrano lacrime, singulti, e sospiri d’un’anima angosciata nella solitudine dell’abbandono, povera dell’unica e vera ricchezza, povera d’amore.

sabato 3 dicembre 2011






Siena.

Siena, 1 dicembre 2011, ore 17, m’affaccio al Chiasso del Bargello che scende sulla Piazza del Campo. Esclamo: ma è magnifico! unico al mondo! Non c’è una piazza più bella! Luci rosate dei palazzi antichi, luna crescente a destra della Torre del Mangia e Arturo brilla nel cielo ancora vuoto di stelle…Un’eco ovattata di sommesse voci sul grande anello, e il mormorio della fontana. Tutto è perfetto.  Ma laggiù, alla Cappella del Palazzo, s’è radunata gente  mentre dal portone esce un gran corteo, di musici, sbandieratori, stendardi e fantaccini, paggi e Priori, tutti nei costumi palieschi, che si snoda in Via Banchi di Sotto per poi imboccare Via di Città e Via del Capitano ed immettersi in Piazza del Duomo. Chiude il corteo il gran stendardo bianco-nero del Comune seguito dalle più alte e rispettate autorità cittadine. E dietro, e sempre a lato per tutto il percorso, grande adunanza di popolo. Le chiarine squillano ed i tamburi rullano, mentre le bandiere son lanciate al cielo, incessantemente, gli occhi son lucidi, i volti severi, una gran compostezza austera negli astanti. A passo svelto risalgo tutto il corteo, accarezzato più volte dalla seta delle bandiere, raggiungendo la sua testa proprio all’ingresso della Piazza del Duomo. Noto con piacere che la prima bandiera è della Contrada della Torre, l’antico rione del Salicotto, che reca una gran torre issata sul dorso di un elefante, con croce bianca in campo rosso. Mi fa ricordare che anch’io, da ragazzo, facevo il tifo per la Torre, dato che torraioli erano tutti i miei parenti, in particolare mio zio Zeffiro, detto “il socio”, e suo figlio Narciso, cantore nel coro della Cattedrale, e che una volta son stato anche nella Chiesa della contrada, dove ricevetti una speciale pergamena…ricordi lontani che non so scacciare, se non ricordandoli, così m’attraversano la mente immagini di volti e nomi, ormai irrimediabilmente perduti, Anna, Loredana, Messinella, Franca, Giovanni e Mauro…ed altri ancora più remoti, della bellissima Tina e dei discendenti da parte di una zia, sorella del nonno…Salgo sulla scalinata del Duomo ammirando l’ingresso del corteo (che taglia una gran folla), dal portone sinistro, in cattedrale. Ad un signore distinto che mi sta accanto pongo una domanda: cos’è questa sfilata? Mi risponde gentilmente: “Forse lei non sa che oggi, primo dicembre, ricorre Sant’Ansano, ormai da mille anni proclamato, assieme alla Vergine Maria, patrono e protettore della città e del popolo di Siena? No, non lo sapevo! Per noi senesi, e per il popolo che si rauna nelle 17 contrade vive, l’anno non inizia il 1 gennaio e finisce il 31 dicembre, ma finisce il 30 novembre e inizia proprio oggi 1 dicembre, e da circa settecento anni il 1 dicembre le diciassette contrade, si recano, nel modo che lei ha visto questa sera, a rendere omaggio al martire Ansano ed alla vergine in cattedrale! Ci sono tutti i capitani e il Priore Generale delle Contrade, i maggiorenti della città e l’Arcivescovo con tutto il clero…Ieri abbiamo salutato l’anno che muore, con messe e cene, contrada per contrada, perché la città vive e pulsa per le rivalità e le alleanze che esse rimangono intatte nei secoli, ed oggi tutte insieme convergono in Duomo per offrire l’amore di Siena alla Madonna ed a Sant’Ansano, chiedendo protezione e grazie…solo noi senesi possiamo capire cosa accada, perché si tratta della nostra invincibile identità”. Avrei qualche domanda da fargli, ma lo ringrazio per la gentilezza ed entro anch’io nella grande cattedrale già colma di migliaia di persone. Sfiorando la navata destra noto che il pavimento intarsiato, meraviglia tra le meraviglie dell’umanità, è scoperto, anche se protetto dal calpestio, ma non ho il tempo né lo spazio di soffermarmi, arrivo alla cappella della “Vergine del Voto”, antica e amata icona della fede religiosa di Siena, accendo un candelotto a ricordo dei miei cari morti ed anche, con una punta di agnostico opportunismo, a protezione di tutte le persone che amo e che mi amano. E’ un gesto che compio ormai da molti decenni…poiché le mie frequentazioni senesi risalgono alla metà del secolo passato. Lentamente ce la faccio a raggiungere una delle colonne più vicine al transetto, c’è una buona visuale dell’abside e un’acustica perfetta. Intanto il clamore dei tamburi e delle chiarine sale altissimo e le bandiere son lanciate al soffitto da mani abilissime che mai le lasciano cadere al suolo. Iniziano i pronunciamenti, per primo il Priore Generale delle Contrade, a cui fa seguito l’Arcivescovo. Mi sembrano parole importanti, dette con cuor sincero. Ad un tratto mi sento toccare un braccio, mi volto e vedo una giovane ragazza asiatica, con in mano un apparecchio fotografico, sorridente, che guardandomi negli occhi mi chiede, in inglese, ma capisco, cos’è questa festa? Le chiedo se parla la lingua tedesca, della quale ho appreso qualche rudimento, ma lei dice di no, aggiungendo che è cinese! Ah, allora tentiamo di dire di cosa si tratta, in un inglese che dire approssimato è dire poco, in più inframmezzato da parole in tedesco e italiano. Ripeto parte delle notizie che avevo da poco ricevuto, destando viva curiosità nella ragazza, contenta di essersi trovata dentro un evento non costruito per i “turisti”! Scatta molte fotografie e ne fa una anche a me. Il suo sorriso è gentile gli occhi neri. L’incanto dura poco e la piccola cinese viene rapidamente riassorbita dalla folla. Esco dalla porticina laterale, mi soffermo sullo scheletro del Duomo Novo, il sogno infranto di una città troppo superba,  rientrando a casa per le conosciute vie.