lunedì 30 marzo 2015






Bruciano, Mathilde e Wagner…


A distanza di pochi giorni dalla mia “conferenza”, ossia dal racconto di una delle mie storie, alla Univ. della Terza Età di Pomarance, mi ha scritto una signora del Nord Italia, molto interessata alla storia di Franz Von Wesendonck; contemporaneamente è andata all’asta in prima seduta la vendita dell’intera proprietà della Fattoria di Bruciano, appartenente a Franz  e, dopo la sua morte, in eredità ai suoi figli (non conosco ancora l’esito); pochi giorni dopo, in una piccola “veglia” con due anziani amici e collaboratori di Franz a Bruciano negli anni ’40-’50, ho appreso molti particolari inediti sulla conduzione della Fattoria e sulla vita della famiglia Wesendonck. Perciò stamattina, di ritorno da Massa Marittima, ho deciso di farci un salto per scattare qualche fotografia. Ne pubblico due, insieme a due pannelli di immagini che ho utilizzato  per l’incontro di Pomarance. Spero di arricchire la biografia di Franz che registrai lassù, con lui, nel 1994. 

domenica 29 marzo 2015

Alberi.

Ho raccolto due frammenti d'alberi al margine di un bosco dove tagliano i "tagliatori": in uno ho ravvisato l'orologio del tempo inverso a quello umano, si espande dall'anima velocemente e poi rallenta in cerchi sempre più ampi, per centinaia o migliaia di primavere se cresce in libertà; l'altro m'ha fatto meditare sulla similitudine con la nostra epoca, la storia, e cioè se l'anima non è pura l'albero si ammala ed infine secca.
L'ho fotografati.



sabato 28 marzo 2015




IVO BIANCHI.

Ieri è morto un vecchio amico, Ivo Bianchi, di Pomarance. E’ una di quelle persone incontrate nell’adolescenza, con la quale ho condiviso sette od otto anni di vita, lui già uomo e operaio, io studente prima e poi manovale all’Ufficio Geologico della Larderello SpA. Era nato nel 1930. Al tempo della mia specializzazione in “perforazione del suolo”, che comprendeva la scienza geologica, e la scienza e pratica della trivellazione dei sondaggi geotermici, lui era addetto all’ ”Archivio delle Carote”,  cioè degli strati delle rocce incontrate durante la perforazione dei pozzi geotermici. Non un Archivio cartaceo (il digitale non c’era ancora!), ma un Archivio di rocce vere e proprie. Erano per me reperti eccezionali, sui quali fantasticavo: ad esempio in alcune zone si incontravano terreni appartenenti a strati rocciosi profondi anche migliaia di metri, come il “retico”, o il “lias” o, addirittura il “permiano”, ed allo stesso tempo si potevano osservare le stesse rocce in superficie. Addirittura sulla cima del monte “Cornata”, alto 1059 metri sul livello del mare, si trovavano calcari del Lias con strati di rosso ammonitico e bei resti di ammoniti! Dunque, pensavo, da un mare profondo due o tremila metri, laggiù dove si depositavano i gusci di questi pesci, durante centinaia di milioni di anni questo fondale marino s’è sollevato per almeno tremila metri! Era una grande e chiara lezione dell’evoluzione terrestre ed anche una scala del tempo, cioè del futuro del nostro pianeta. E Ivo me li mostrava con fierezza. Anche se lui era soltanto l’Archivista mi ha fatto appassionare alla scienza della terra! In più sapeva fare le “sezioni sottili” in laboratorio, cosa questa che non m’è mai riuscita! Con noi ragazzi era un amico che ci incantava con le storie di un suo grande amore per una donna del suo paese, forse la più bella, anzi bellissima, che ci fosse, poi sua sposa; e con queste confidenze invogliava anche noi, timidi e impacciati, a svelargli i nostri segreti amori, magari per avere qualche consiglio! Caro Ivo, mi perdonerai se negli ultimi mesi, quando ti vedevo da lontano passeggiare nel giardino, cercavo di evitarti, per risparmiarmi una inutile sofferenza, tanto la malattia ti aveva cambiato, ma non era per indifferenza, era per amore. Ti ricorderò dunque in quella magica luce della giovinezza. Come vedi un amore ancora vivo


giovedì 26 marzo 2015




Groppi  Renzo

Castelnuovo di Val di Cecina, 5 aprile 1915 – Volterra, 19 gennaio 1985

1° Centenario della nascita


Operaio specializzato – saldatore - alla  Larderello SpA, poi ENEL,  dal 1929 al 1969; figlio di un valente musicista, Dario, dimostrò precocemente il suo talento tanto che all’età di 12 anni entrò a far parte, come clarinettista, della famosa Filarmonica del paese, “Principe di Piemonte”, che, poco dopo, ottenne prestigiosi premi nazionali e l’encomio del compositore Pietro Mascagni ospite  del Principe Piero Ginori Conti a Larderello. All’età di 14 anni, in virtù del suo talento musicale,  fu assunto come operaio dalla Larderello SpA. Negli anni di guerra, esentato dal servizio militare per una malformazione causata da un parto difficile, costituì con i suoi amici musicisti Alfio Benincasa, Mario Benincasa, Alberto Ciampi, Alfio Fulceri, Emio Frasconi, Lando Groppi, Bettino Panichi, Ciro Panichi, Sirio Serenari, Cesare Tagliabue,  un complesso jazz, poi denominato “Stella d’Argento”, suonando la fisarmonica, le cui note, unitamente a quelle del clarinetto piccolo si bemolle nella eccellente banda castelnuovina “Giuseppe Verdi, l’accompagneranno fino alla soglia della morte,  sopraggiunta a causa di un mesotelioma pleurico per ripetuta inalazione di fibre di amianto. Fu per me un padre esemplare e anomalo, un amico e, infine, un figlio. L’ho amato tanto,
 “tuttavia se ne andò tra i più”.

(tamen abiit ad plures)

domenica 22 marzo 2015






Giustizia non vendetta, perdono non oblio.

Nel corso dell’anno 2014 e in questo 2015, rispettivamente 70° Anniversario della Liberazione del territorio delle Colline Metallifere Toscane e della Toscana, e il seguente 70° della Liberazione d’Italia e d’Europa dal nazifascismo,  con la fine del secondo tragico conflitto mondiale, non sono mancate le riflessioni sui temi del “perdono”, ai popoli, tedesco, italiano, giapponese ed ai loro alleati, nonché ai diretti responsabili dei “crimini di guerra”, in particolare  per lo sterminio di circa 6 milioni di ebrei. All’inizio degli anni ’90 alcuni giovani tedeschi, avevano richiesto il “perdono” per le rappresaglie compiute in Maremma, alle Autorità civili e religiose di Massa Marittima, ricevendone un rifiuto. D’altra parte, come ci ammonì Simon Wiesenthal, il perdono lo può concedere soltanto la “vittima” e pertanto la richiesta non ebbe allora seguito. Questa vicenda mi spinse ad una riflessione sul tema che inviai al settimanale volterrano La Spalletta e fu pubblicata sul numero del 26 agosto 1995, pg. 14, con il titolo: “Giustizia non vendetta, perdono non oblio” e che oggi ripropongo ritenendone ancora valide le motivazioni.

“Esprimo il mio modesto punto di vista su un articolo pubblicato dalla Spalletta il 15 luglio 1995, a firma Nedo Giuliani, mio amico da tanti anni, che non ho dimenticato: Volevano il perdono. Non ho seguito i precedenti del problema e mi riallaccio esclusivamente a quanto contenuto nel testo pubblicato. La richiesta di perdono per il crimine commesso contro i minatori di Niccioleta (83 fucilati, 15 deportati in Germania) e per le criminose rappresaglie nazifasciste verso le popolazioni civili dell’Alta Maremma e della Val di Cecina (oltre ai 77 minatori di Niccioleta vennero uccisi, nel Comune di Castelnuovo, 10 partigiani), mi sembra veramente un evento eccezionale. Chiedono perdono i figli o i nipoti di quel popolo tedesco che si macchiò di orrendi delitti. L’Olocausto, primo fra tutti. Sono persone che non vogliono dimenticare, ma vogliono capire e sono anche gli ambasciatore di idee di fratellanza e di vera misericordia, gli unici sentimenti sui quali l’Umanità potrà costruire un futuro. La storia ha da tempo emesso il suo verdetto contro i capi ed i gregari dei partiti nazista e fascista: colpevoli! Purtroppo la condanna è stata per lo più morale, perché nella pratica solo un esiguo numero di criminali ha pagato il proprio debito con la giustizia. Con la giustizia, non con la vendetta, perché già nei giorni che seguirono la liberazione i CLN ed i governi democratici non si macchiarono le mani con tragiche ritorsioni. Il perdono, che oggi si nega, fu la regola morale e di vita messa in pratica – salvo rari casi singoli - da chi, in prima persona, aveva subito i torti maggiori. Un perdono che nasceva dalla forza morale di sapersi nel giusto. Le strade della riconciliazione passano naturalmente per la ricerca della verità. Nessun velo, nessuna censura, nessun occultamento, nessun oblio. Ed è bene ricordarci che mentre gli ufficiali del battaglione che compì l’eccidio dei minatori erano SS tedesche, che nessuno ha mai ricercato e individuato, i soldati che azionavano le mitragliatrici e gli sgherri in abiti civili che li aiutavano, erano legionari della Milizia della Repubblica Sociale Italiana, membri di quelle italianissime “Brigate Nere” volute da Mussolini e da Pavolini. E italiani erano i fascisti locali, impauriti dalla incombente sconfitta: gerarchi di paese, squadristi manganellatori, marcia su Roma e sciarpa Littorio, sordidi individui che temevano ritorsioni e vendette personali. Questi italiani tradirono i loro fratelli italiani e li mandarono al macello. E che dire del “bando” di Almirante? Che dire della tragica farsa del processo per l’eccidio di Niccioleta? Dei trenta indiziati (tutti italiani), solo otto comparvero alla sbarra della Corte d’Appello di Firenze. La sentenza venne pronunciata il 20 novembre 1949 in un giorno di pioggia violenta, tra il silenzio del pubblico presente e l’arroganza degli imputati: tre vennero condannati a 30 anni di reclusione con il condono di un terzo della pena; gli altri cinque vennero assolti per insufficienza di prove dall’accusa di strage e per amnistia riguardo all’accusa di “collaborazionismo”. Di tutti si persero rapidamente le tracce, ma c’è da supporre che nelle patrie galere il soggiorno sia stato estremamente ridotto. A cinquant’anni di distanza ci rendiamo conto che ciò che doveva essere fatto fu disatteso, che la verità fu più o meno volutamente occultata, che un silenzio carico di compromessi ha accompagnato il nostro cammino e quello dell’Italia fino ad oggi. Orai qualcosa è stato avviato (valga per esempio la ricerca che sta conducendo la dottoressa Katia Taddei sull’eccidio di Niccioleta) e forse la verità storica (quella morale è nota) si sta avvicinando. Per tutte queste considerazioni, per l’aiuto che ci possono dare, nella ricerca della verità, dobbiamo accogliere sinceramente questi nostri amici di Germania che non dimenticano e che vogliono crescere insieme a noi nella sicurezza della giustizia e nella conoscenza della verità. Sarà forse il miglior contributo che potremo dare a chi versò il proprio sangue per un’idea vaga di libertà e di fraternità, di pace e di lavoro”.


venerdì 20 marzo 2015

Wagner e Mathilde a Pomarance.


Ieri sera una bella serata a Pomarance, all’Università della Terza Età, raccontando la storia dell’amore tra Wagner e Mathilde Wesendonck, alias Agnes Luckemeir, una  giovane donna di rara bellezza e talento letterario, l’autrice dei testi degli unici 5 lieder del geniale compositore e l’ispiratrice dell’opera musicale Tristan und Isolde. Le mie “lezioni”, in realtà, non sono lezioni scolasticamente intese, ma un intreccio di storie che nascono dall’averle in parte vissute. Certo, non ho conosciuto i due protagonisti, Wagner morto nel 1883 e Mathilde nel 1902, ma ho conosciuto alcuni dei loro discendenti, ho visto gli originali di diverse pagine di musica, e, attraverso una cara amica di Zurigo, ho depositato all’archivio del Museo Ritberg le due parti del saggio che scrissi nel 2002 sulla storia di tale amore. Infine ho raccolto libri, ritratti, dischi e film ed articoli di giornali, in lingua italiana e tedesca. Mi sono molto affezionato a Mathilde, delicata poetessa, che continuò ad amare l’irrequieto genio Richard Wagner, lontana e in silenzio, per venticinque anni, fino alla sua morte. Ed è proprio sulla tomba del Maestro che finalmente ella potè rivelare il suo amore in una bellissima lirica che ho letto in lingua italiana. Ho approfittato dell’incontro per parlare di Franz Von Wesendonck (1916-2006), mio amico, che ebbe la bontà di  raccontarmi la sua memorabile vita in lunghi pomeriggi a Bruciano, davanti a delicati calici di fresco vino bianco, rievocando le vicende di Mathilde e della sua famiglia. Sono stato inoltre sorpreso per aver esaurito le dieci copie del mio ultimo libricino di poesie GRAZIE ALLA VITA e per aver firmato, su richiesta, le medesime! Grazie dunque a Luciana, Lorita, Domenico, Girolamo, Furio e altri coordinatori dell’UTE ed alle molte gentili signore e signori presenti per la pazienza e l’interesse che mi hanno dimostrato!

Ecco alcune immagini di Mathilde e Wagner.








Eclissi e metafisica.









giovedì 19 marzo 2015



David Oistrakh (Odessa, 1908 – Amsterdam, 1974).

Domenica, 20 ottobre 1968,  ore 17, Teatro Comunale di Firenze. Uno dei famosi concerti del primo ciclo della Stagione Sinfonica 1968-1969. Avevo trovato alcuni biglietti…a buon prezzo e questa volta ero in platea, in prima fila. Il grande David Oistrakh suonava (credo) le romanze per violino dall’opera 61 di Beethoven. Oistrakh  superò se stesso e la sua fama, un’entrata inconfondibile, un tocco morbido, caldo e dolce. Era come se il violino parlasse alla mia anima romantica. La tecnica, il virtuosismo, in Oistrakh, non sono mai fine a se stessi, il virtuosismo è sempre funzionale all’intento di dare corretta espressione alla melodia eseguita. Ero esaltato e alla fine del Concerto applaudivo così intensamente che un mio vicino di poltrona, un signore distinto del tutto sconosciuto, mi si rivolse in un italiano incerto, dicendomi pressappoco così: <Gentile signore, lei ama molto la musica, l’ho notato!> <Si, amo la musica e questo meraviglioso violinista russo…ma stasera ci sarebbe dovuto essere mio padre, lui si che se ne intende di musica, anzi, è un musicista…> <E’ bene che i giovani italiani amino la musica come lei…da noi, in Unione Sovietica, la musica è al primo posto nella nostra  cultura> <Mi interesso molto dei grandi successi del popolo sovietico…> <Allora, lo vorrebbe salutare David?> <Ma è impossibile!> Dette queste parole il mio vicino si alzò e mi porse la mano <Andiamo da lui!> Lo seguii come un automa, aggirammo il proscenio ed entrammo nella zona dei camerini, lui conosceva bene i passaggi, arrivati ad una porta, bussò ed aprì. Oistrakh, seduto di fronte ad un grande specchio, si stava asciugando il sudore, scamiciato, il faccione sorridente,  scambiò alcune frasi con il mio accompagnatore e mi presentò, credo, come un fans dell’artista, in più amante dell’Unione Sovietica, forse avrà anche aggiunto che ero comunista, non lo so! Oistrackh si alzò e mi abbracciò e mi baciò poi, prendendo una sua foto ed una penna stilografica mi fece una dedica…che dopo 47 anni, ed esposta alla luce, è sbiadita. Si rimase un po’insieme, e quel ricordo non m’ha più abbandonato.


venerdì 13 marzo 2015



Da Raynaut a Fabaro a Piero Ginori Conti: una pagina di “diario” della prima applicazione mondiale della geotermia alla produzione di energia elettrica.

Bertolt Brecht in una memorabile lirica della raccolta “Poesie di Svendborg” <Domande di un lettore operaio>, pone molti interrogativi sulla Storia, interrogativi che mi s’affacciano sempre alla mente, quando anch’io m’incontro coi principali protagonisti delle vicende locali, per tentare di far uscire sul proscenio, nella chiara luce dei riflettori, le cosiddette “comparse”, abitualmente relegate a rivestire i panni di oscuri, dimenticati, anonimi personaggi:

Tebe dalle sette porte chi la costrui?
Ci sono i nomi dei re, dentro i libri.
Sono stati i re a strascicarli, quei blocchi di pietra?
Il giovane Alessandro conquistò l’India.
Da solo?
Cesare sconfisse i Galli.
Non aveva con sé nemmeno un cuoco?
Una vittoria ogni pagina.
Chi cucinò la cena della vittoria?

Rimuginavo questi versi, ascoltando, domenica 4 luglio 2004, da uno scalino della statua di Paolina Morand, nel “giardino di pietra” di Piazza Leopolda a Larderello, le commemorazioni ufficiali della prima applicazione pratica dell’energia cinetica della geotermia per la produzione di energia elettrica.
L’aveva realizzata, esattamente 100 anni prima, il 6 luglio 1904, a Larderello, il Principe di Trevignano, alias Piero Ginori Conti (Firenze, 1865 – 1939). E il Principe è ritratto nella famosa immagine dell’accensione delle cinque lampadine, anche se, par certo,  che si tratti di un falso, uno spot pubblicitario, realizzato alcuni mesi più tardi di quella data.
Non è certamente attraverso questa breve nota che intendendo affrontare la complessa personalità di Piero Ginori Conti, nei suoi slanci umanitari e solidaristici, di mecenate, prima ancora che di valente studioso e scienziato, e allo stesso tempo di finanziatore delle violente “squadracce” fasciste, nonché di perverso libertino. Vorrei solo operare un parziale risarcimento storico dei cent’anni trascorsi, quelli cioè che sono stati definiti da un oratore “gli anni che vanno dalle cinque lampadine ai cinque miliardi di Kwh geotermiche”.
Dentro questi anni ci siamo in tanti! Gli anarchici ed i socialisti delle competizioni elettorali contro lo strapotere del Ginori, i “sovversivi” animatori del “biennio rosso”, licenziati a seguito del famoso e sfortunato sciopero dei sei mesi, costretti all’emigrazione o alle carbonaie della Maremma e della Corsica, i costruttori, in epoca fascista, delle prime grandi centrali geotermoelettriche, e i “ricostruttori” dopo i disastri della guerra, i fieri sindacalisti del periodo unitario e i manovali delle Cooperative e delle Ditte edili utilizzati in massa, e sottopagati, nel periodo aureo dell’espansione moderna di Larderello sotto la guida dei politici democristiani e di Aldo Fascetti, fino ad arrivare agli anni ’70-’80 del XX secolo che hanno visto affacciarsi e poi affermarsi nuove concezioni scientifiche relativamente al fenomeno geotermico ed alla sua utilizzazione industriale: centinaia, migliaia di uomini e donne, dirigenti e tecnici, specialisti e manovali, tutti consapevoli del proprio ruolo di “attori” protagonisti al servizio del benessere del territorio e dell’intero Paese.
Eppure, anche se il 4 luglio 2004 erano presenti i rappresentanti di alcuni Comuni delle aree geotermiche (più le assenze che le presenze!), non abbiamo visto né udito la parola di un sindacalista, di un rappresentante dei lavoratori! Si sarà certamente trattato di una spiacevole dimenticanza. Del resto anche questa cerimonia doveva essere un evento “mediatico”, uno spot, proprio come quello ideato dal Principe Ginori cent’anni prima!
E sarà stato per questi motivi di “spettacolo” e di “messaggio mediatico” che nessuno ha ricordato che gli studi e le sperimentazioni sull’utilizzazione del vapore geotermico come fonte di energia cinetica siano stati avviati fin dal 1890 a Larderello dal dottor Ferdinando Raynaut, nato a Nizza e cresciuto alla scuola scientifica del De Luca a Napoli, chiamato nel 1884 a Larderello da Florestano de Larderel per assumere la direzione tecnica dell’industria boracifera
Proprio gli studi e le sperimentazioni di Raynaut permisero alla “Larderello” di mettere in marcia, il 25 novembre 1895, la prima moderna raffineria dell’acido borico, valida risposta tecnologicamente avanzata alla sfida “americana”, perché l’Inghilterra e gli Stati Uniti stavano in quegli anni dominando il mercato mondiale. 
Gli esperimenti sull’uso diretto del vapore come fonte di energia meccanica, furono ostacolati sia dall’azione corrosiva del vapore e sia dal problema della pressione del fluido geotermico, ma Raynaut non si dette per vinto e proseguì nelle ricerche fino al 1897, allorché con una ruota palettata del diametro di un metro e mezzo, ruota azionata dal vapore di un soffione (il famoso “foro forte” di Piazza S. Anna), dimostrò, contro le diffuse teorie scientifiche dell’epoca, che si poteva ottenere vapore dai soffioni a una pressione superiore a quella atmosferica senza che il vapore trovasse più comode ed imprevedibili vie sotterranee di risalita alla superficie. Contemporaneamente furono avviate ricerche sull’utilizzo di nuove leghe metalliche più resistenti alla corrosione.
I tempi erano ormai maturi per le sperimentazioni applicative dell’energia dei soffioni alle macchine elettriche, ma il mattino del 29 aprile 1899, Ferdinando Raynaut, mentre dalla sua casa di Bagno a Morbo, nel comune di Castelnuovo, si recava nel suo ufficio di Larderello, fu ucciso nei pressi dei vasconi al Pian di San Marco. Si dette la colpa agli anarchici, ma il movente ed il nome dell’assassino son sempre rimasti ignoti. A sostituire Raynaut fu nominato il dottor Geisenheimer, chimico francese, che si dedicò maggiormente a rendere più moderno e concorrenziale il settore dei prodotti borici.
A proseguire gli esperimenti con la “ruota di Raynaut”, Florestano de Larderel chiamò tra il 1902 ed il 1903, l’ing. Fabaro, Direttore delle Reali Saline di Volterra, che coordinò numerosi operai specialisti di Larderello, ingegneri e chimici. Proprio l’ing. Fabaro ebbe successivamente da Piero Ginori Conti (nel 1904 nominato Direttore degli Stabilimenti), l’incarico di redigere il “diario” della giornata nella quale si rese pubblico l’esperimento dell’accensione delle cinque lampade ad incandescenza. Tale pagina di diario fu stampata nel 1906 in un breve e raro opuscolo che Piero Ginori Conti dedicò alla memoria  della suocera, Elisa de Larderel, <La forza motrice dei soffioni boraciferi della Toscana, sua utilizzazione ed applicazione>, pagina che riproduciamo integralmente perché nelle manifestazioni celebrative che caratterizzeranno il Centenario della Geotermia” (2003-2005) se ne tenga debito conto, ridando centralità agli “uomini ed alle donne” che in decenni di lavoro duro ed appassionato hanno fatto di Larderello non solo una grande realtà industriale italiana, ma un’icona mondiale:

“Il giorno 6 luglio 1904 in un fabbricato dello Stabilimento boracifero  di Larderello, trovavasi in funzione un piccolo motore con distribuzione a cassetto semplice, collegato direttamente ad un corpo di pompa. Il vapore che lo faceva agire, era derivato, per mezzo di un piccolo tubo, da un soffione prossimo al fabbricato, ed attraversava, prima di entrare nel cassetto di distribuzione, un recipiente cilindrico, della capacità di circa 0,3 metri cubici, contenente materie per la depurazione.
La tensione misurata con un manometro, situato su quel recipiente, risultava costante e di atmosfere 3,46. Il motore funzionava senza carico, essendo slegato lo stantuffo della pompa e libero il suo volante.
Al motore venne applicata, per mezzo di cinghia, una piccola dinamo eccitata in serie, della potenza di circa 250 Watts, tensione 110 Volts.
A diversi intervalli venne posta in funzione la dinamo, derivandone l’energia ora prodotta, ora a 4, ora a 5 lampade ad incandescenza che assorbivano da 160 a 200 Watts circa. Trattandosi di una dinamo di così piccole proporzioni il suo rendimento può essere valutato di circa il 60% e quindi la potenza applicata al suo asse nei periodi di maggior consumo di energia, risulta di Watts 330 circa. Osservando poi che un rendimento press’a poco uguale si può ritenere in complesso per la trasmissione per il motore, in vista del tipo e del suo stato non buono, almeno a giudicare dalle sue parti esterne, si desume che l’energia totale richiesta al vapore del soffione ascendeva, in quei periodi di massimo, a circa Watts 550 ossia ¾ HP. Durante l’esperimento si è osservato sempre attentamente il manometro, e non si è constatata mai alcuna variazione sensibile. Negli intervalli di funzionamento della dinamo, le lampade hanno mantenuto costante e fissa la loro intensità luminosa”.
 
                                                                                                         
Bibliografia di riferimento

Burgassi P.D., Il principe Piero Ginori Conti, in “La Comunità di Pomarance”, a. XVII, n. 2,
                       Pomarance, 2004.

Ginori Conti G., L’industria boracifera, in “I progressi dell’industria chimica italiana nel 1°
                      decennio di regime fascista”, Ed. Italia, Roma, 1932.

Ginori Conti P., La forza motrice dei soffioni boraciferi della Toscana sua utilizzazione ed
                      applicazione, Tip. G. Ramella, Firenze, 1906.

Groppi C., Fabbrica amica. Sindacato e lotta politica a Larderello (1944-1956), Ed. G.P.Migliorini,
                     Volterra, 1998.

Groppi C., Atti di repressione a Castelnuovo sotto il governo Crispi: il caso della famiglia Moriani,
                     in “La Comunità di Pomarance”, a. XIII, n. 3, Pomarance, 1999.

Micheletti V., Storia intorno ai soffioni, in “Rassegna Larderello”, 1954-1963.

Nasini R.,  I soffioni e i Lagoni della Toscana e la industria boracifera, Ed. Italia, Roma, 1930.

Sborgi U.,   Piero Ginori Conti, principe di Trevignano. Commemorazione letta in Firenze il 9
                    giugno 1940, Tip. Giuntina, Firenze, 1940.









L’AVANTI!

Ogni tanto apro il file di un lavoro terminato negli anni ’90, che mi manda nel disordinato deposito cartaceo alla ricerca di qualche documento. Ieri sera ho trovato “un tesoro”, una decina di originali del giornale socialista l’Avanti!, anni 1943-1945, di varie edizioni locali, compresa quella di Firenze, comprati per poche migliaia di lire da un collezionista della Val d’Era. Il saggio storico l’ho chiamato “IL SOGNO  NEGATO. Noterelle per una storia del Partito Socialista Italiano in un centro operaio della provincia di Pisa: Castelnuovo di Val di Cecina.  29 giugno 1944 - 7 giugno 1953. Dalla guerriglia partigiana, all'esperienza del Comitato di Liberazione Nazionale (CLN) e alla ripresa della vita democratica. La sconfitta del Fronte Popolare il 18 aprile 1948 e il tentativo di "colpo di stato istituzionale" messo in atto dalla Democrazia Cristiana nel giugno 1953, con un cenno alle vicende dei protagonisti e delle battaglie proletarie a Castelnuovo (dal "Circolo Socialista" alla conquista del Comune), prima dell'avvento del fascismo, e tra gli operai della Boracifera”.  Come incipit ho messo dei versi di una poesia T’ang a me cari:
                                                                                                                  Voce come di vento sale le sette corde:
nella pace odo il freddo stormire dei pini.
Antiche melodie, è vero che vi fate amare.
Ma oggi chi vi suona è raro.

Nel piano di lavoro di una vasta cronologia storica della Comunità di Castelnuovo di Val di Cecina, del quale sono usciti i primi sei volumi, si colloca il presente fascicolo che traccia una sommaria ricostruzione delle vicende  del movimento politico socialista dalle sue prime origini fino alla competizione elettorale del 7 giugno 1953.

Il nucleo fondamentale dei documenti esaminati riguarda gli anni 1945-1948 ed essenzialmente la sezione socialista di Castelnuovo, ma piano piano intorno a questo nucleo si sono andati raccogliendo documenti più antichi che ci permettono di gettare una luce nuova sulla nascita del movimento operaio a Castelnuovo e nella Comunità. Ciò si deve principalmente alla consultazione della stampa socialista dell'epoca e, in particolare, dei settimanali "Il Martello" e "La Martinella" di cui disponiamo delle collezioni complete.

Molto abbiamo scoperto e rivelato per la prima volta. Innanzitutto la grande tradizione di combattività e di maturità politica dell'avanguardia del proletariato di Castelnuovo, del Sasso e di Montecastelli, che si esprime, dopo l' Unità d'Italia, nei "Circoli Operai", nelle "Leghe di Resistenza" e nei "Circoli elettorali socialisti" prima di dar vita, dopo il congresso di Genova del 1892, al Partito Socialista Italiano.

Avanzate e sconfitte si alternano e alle più cupe posizioni di pessimismo subentrano euforiche visioni di vittoria definitiva del Socialismo. Il pensiero vivificante di Karl Marx raggiunge i villaggi più sperduti e alle suggestive parole d'ordine del pensatore tedesco la battaglia politica si snoda incessantemente: proletari di tutti i paesi: unitevi!; lavoratori: voi non siete piccini se non perché state in ginocchio, alzatevi!; l'emancipazione dei lavoratori deve essere opera dei lavoratori stessi.

Ben tre sindaci socialisti guidano il comune di Castelnuovo prima dell'avvento del fascismo: Ottavo Cascinelli, destituito arbitrariamente dal Prefetto di Pisa; Pietro Cascinelli; Garibaldo Bisogni, destituito con la violenza dai fascisti. Insieme a loro si staglia grandiosa la figura di Sesto Bisogni, dirigente sindacale e deputato che rimarrà sempre fedele ai suoi ideali. Con Sesto emergono molti altri validi dirigenti politici e tra questi Emilio Fanetti, il contadino della Leccia, scrittore e sindacalista nella zona e a Piombino. Dopo le esaltanti e tragiche giornate del "biennio rosso" si scatena la violenza reazionaria, sostenuta e diretta nella zona boracifera da Piero Ginori Conti che riuscirà rapidamente a debellare ogni organizzazione socialista ed a instaurare un regime fatto di terrore e di paternalismo. E' il periodo "grigio", quello meno documentato e che và dal disfacimento delle sezioni socialiste fino al 25 luglio 1943, alla caduta del fascismo. Da questa data si avvia ovunque la ricostituzione del PSI che ha la fortuna di disporre a Castelnuovo di un gruppo dirigente numeroso, intelligente  e preparato con uomini di assoluto valore tra i quali emerge "il compagno venuto da lontano", il ligure Dante Sommovigo, che accoglie con slancio le idee sostenute dall'altro grande dirigente socialista volterrano Enzo Fantozzi. Gli anni della Costituente, dei primi governi di coalizione, del "Fronte Popolare" che porterà alla tragica, ma inevitabile sconfitta del 18 aprile 1948; del patto di unità d'azione con i comunisti che contrassegnerà gli anni della lenta ripresa delle sinistre fino al 7 giugno 1953 e alla sconfitta della "legge truffa", tuttavia con un diverso rapporto di forza tra i partiti marxisti: infatti il PCI ha ormai sopravanzato elettoralmente e organizzativamente il PSI, che non accetterà un ruolo di emarginazione e di subordinazione. Grandi eventi internazionali e nazionali si intrecciano con quelli locali e ne formano lo sfondo sul quale si muovono gli uomini in carne e ossa che abbiamo conosciuto e che adesso è più facile comprendere nei loro sogni e nei loro errori. Il titolo di questo fascicolo è "Il sogno negato" a sottolineare l'accanita resistenza delle classi dominanti contro gli aneliti di democrazia e l’ascesa politica alla direzione del paese delle grandi masse dei lavoratori italiani. Un sogno, appunto, tanto splendido e quasi irreale esso appariva agli uomini; ma un sogno mai cancellato dall'alba grigia del giorno seguente, bensì tenacemente impresso nella coscienza collettiva di un popolo e dei popoli, che alla fine di un lungo cammino, saranno ancora protagonisti  nel processo di cambiamento istituzionale, di una maggiore giustizia sociale  e nel tentativo di unità economica e politica dell’intera Europa.

Gli anni 1944 -1953 sono anni cruciali per la storia d'Italia e anche per la storia della Comunità di Castelnuovo. Crolla il fascismo, insieme al suo potente alleato nazista; si passa dalla monarchia dei Savoia alla repubblica; si formano o si ricostituiscono i partiti politici e le organizzazioni della vita democratica; si scrive e diviene operante la Costituzione; si sperimenta una larga alleanza di forze antifasciste, prima nel Comitato di Liberazione Nazionale (CLN), quindi nel governo del paese. A seguito delle decisioni prese cinicamente a Yalta dai vincitori del conflitto mondiale, l'Italia si trova ad essere schierata nel campo occidentale. Sull'onda delle conseguenze della "guerra fredda", si rompe l'alleanza  di governo tra i partiti democratici di centro e i partiti della sinistra (PSI e PCI), che tuttavia restano uniti riconfermando il "Fronte Popolare", una alleanza strategica che, nata nell'emigrazione in Francia il 17 agosto 1934 per combattere il fascismo e il nazismo, si contrapporrà, nel 1948, alla Democrazia Cristiana. Le sinistre vengono sconfitte nettamente e alla sconfitta elettorale seguono le scissioni nel movimento sindacale e nel partito socialista. Nel 1953 la DC tenta la carta di un colpo di stato "istituzionale" varando una legge elettorale capace di assicurargli, pur con la minoranza dei voti, la maggioranza del Parlamento. Il tentativo fallisce e la cosiddetta "Legge Truffa" non passa. La vittoria elettorale delle sinistre anziché dar seguito ad un moderno progetto politico riformista, favorisce l''ultimo atto di un patto politico e ideologico tra socialisti e comunisti che poi si spezzerà definitivamente di fronte ai tragici avvenimenti internazionali: il XX° congresso del PCUS, l'invasione dell'armata rossa in Ungheria per reprimere il tentativo di democraticizzazione.

            Il PSI comprende e afferma solennemente che socialismo e democrazia non possono essere disgiunti; ripudia il comunismo, il leninismo e lo stalinismo, nella ideologia e nella pratica; si avvicina alle correnti di pensiero democratiche del mondo socialdemocratico europeo: una linea politica che successivamente lo porterà a dar vita al centro-sinistra, all'alleanza con la DC, nel tentativo di modernizzare l'Italia e di far crescere il peso dei lavoratori, della democrazia partecipata dal basso e della solidarietà nel nostro paese.

            I documenti socialisti ci consentono, sia pure a grandi linee, una lettura incrociata con le fonti finora note del periodo e quasi esclusivamente di provenienza comunista: sia quelle partigiane, che del CLN, sindacali, amministrative e politiche. L'archivio del PSI di Castelnuovo è di eccezionale importanza perché l'unico - almeno risulta - pressoché completo che giunge fino a noi. Dai documenti emergono con forza le idee guida, i comportamenti dei dirigenti, i temi trattati, i conflitti interni e le difficoltà dei rapporti esterni. Emergono anche le figure di notevoli dirigenti politici: Dante Sommovigo, Azolino Groppi, Savino Galardi, Benso Cheli, Alberto Conti, Secondo Virgili, Lara Bertini, con i loro slanci, i loro dubbi e debolezze.

A premessa di questo periodo abbiamo introdotto una cronaca delle vicende dei socialisti castelnuovini: dal sorgere delle prime società di Mutuo Soccorso alle Società Operaie ed alla nascita del partito socialista nel 1892; alla conquista del Comune, alle persecuzioni subite ad opera dei fascisti capeggiati dal principe Piero Ginori Conti e da suo figlio Giovanni, al formarsi delle bande partigiane e del C.L.N. La ricerca è stata condotta  sulla stampa locale dell'epoca, sul carteggio comunale, sui depositi nell'Archivio di Stato di Pisa, su alcune interessanti tesi di laurea (prima fra tutte quella di Enrico Gasperi), su diari e memorie dei protagonisti e su molto materiale eterogeneo di proprietà di privati cittadini, nonché su opere edite di grande valore, tra le quali citiamo quella di Stefano Maggi ove si tratteggia ampiamente la figura del grande socialista castelnuovino, due volte parlamentare, Sesto Bisogni.

E’ stata per noi una scoperta estremamente positiva. Le amare vicende degli ultimi anni del partito socialista italiano non la rendono inattuale, anzi, il contrario! perché fa vedere la radice sana di questo glorioso partito sul quale poi, spregiudicati avventurieri, hanno innestato il buttone dell'albero dalle "mele d'oro", dei frutti velenosi. Ma questa è solo una parte della storia, una parte minoritaria, che non può far obliare la verità sull'intero passato né sminuire le potenzialità che sono rappresentate oggi, in Italia e in Europa, da un grande progetto progressista e riformista, un progetto di socialismo democratico connotato da forti ideali "etici" e permeato da una rinnovata tensione morale, filosofica e di slancio solidaristico: una vera e propria sfida alla concezione liberista in economia, al risorgente nazionalismo, al fanatismo religioso, alla apparente deriva dei contrasti tra popoli e stati, nord e sud, fame e sprechi. Progetti e tensioni che hanno da sempre costituito l'humus fecondo del movimento socialista in tutto il mondo verso il quale anche noi guardiamo non con la nostalgia malinconica del "balocco perduto", ma con la serena consapevolezza di stare dentro un processo, non deterministicamente tracciato, nel quale l'uomo, gli uomini e le donne, le loro idee, le loro passioni, le loro lotte, possono indirizzarlo alla giustizia e alla libertà.





       


lunedì 9 marzo 2015


 Belforte (SI), Casa della Memoria, l'Aquilante, sede dei PIL:



Una piazza enigmatica di Belforte: in realtà si tratta di un eroico partigiano caduto in combattimento, Betti Alvaro, nome di battaglia "Ciocco" della XXIII Brigata Garibaldi che operò sui nostri monti. Si potrebbe spostare la targa di 10 centimetri?


8 Marzo 2015, PIL di primavera a Belforte.


Le due coordinatrici dei Piccoli Incontri Letterari ci avevano assegnato un tema (ma si può andare sempre fuori-tema) per me accattivante: In posizione di ricordo. Quale tema più facile ed arduo per chi s’è formato sulle ricordanze leopardiane, le fanciulle in fiore proustiane, e gli accenti nostalgici per la Praga perduta di Seifert, la dolce  memoria di Guiomar di Machado? Naturalmente ho in mente anch’io di aver pubblicato un libricino di poesie dal titolo “Viandante nella memoria” e di aver depositato una autobiografia dei miei primi venticinque anni di vita al centro Diaristico Nazionale! Ma sono andato lassù, all’Aquilante, anche per ammirare nella fredda luminosità di una incombente primavera, i panorami e le viuzze deserte di un borgo del quale conservo delicate memorie. Eravamo soltanto in quattro, me compreso. C’è voluto coraggio a metterci “in posizione di ricordo”. In questi ultimi otto anni la “spinta propulsiva” della letteratura e della poesia, ironia, gioia dell’incontro e dello “scambio”, che trovai nei PIL a Belforte, mi sembra vada inesorabilmente esaurendosi. Troppe e ripetute e nemmeno sempre motivate, le assenze, difficilmente colmate da qualche nuovo ingresso,  e pochi o rari gli input creativi che ricevo. Pur stando insieme, nello sforzo di condividere, restiamo inevitabilmente solitari testimoni del tempo e delle vicende personali. Anche questa volta, a parte i meravigliosi dolcetti di cioccolato, e un cielo profondissimo  con le prime stelle e Giove di una sorprendente lucentezza sui neri profili dei  monti,  non ho trovato – ma forse ero io che non cercavo – un’emozione. Ossia, le citazioni di un libro “Mi ricordo” di Joe Brandano, m’hanno riportato alla mente una canzone del Festival di Sanremo del 1953 “Vecchia Villa Comunale” della quale ho canticchiato l’avvio di una strofa:  “…mi ricordo, mi ricordo, ero bimbo e anch’io giocavo”, che allora m’aveva procurato tanto dolore, perché quella famosa “mamma” della nostalgica canzone io non ce l’avevo più, ma qualche risolino m’ha impedito di andare avanti!  Per questa occasione avevo scelto quattro poesie del periodo 1978-2014, che non hanno destato curiosità alcuna…eppure, anche soltanto a voler applicare la formula di Ungaretti, che ogni poesia  nasconde un segreto, ce ne sarebbero potute essere di domande. Anzi, su quella del “gioco dell’anello” avevo preparato una breve spiegazione, ma che ho omesso, tanta m’era parsa l’indifferenza alla lettura del testo. Sarà per un’altra volta! 

domenica 8 marzo 2015





Le "donne" di Piero Villani e Cesare Baroncini, due grandi artisti di Sasso Pisano (con un mio autoritratto).

8 Marzo

Grazie donna tu mi hai dato la vita,
la speranza la gioia il calore il sorriso.
Grazie donna tu mi hai dato l’amore:
donna madre sposa figlia amica.

Mimose oggi fremono nel vento
e freme anche il mio cuore accanto a te,
questo cuore sempre pronto alla lotta
donna, è accoccolato sul tuo grembo.

Donna, tutto ancora io non so’, né
credo vorrò mai sapere ed essere uguale,
ma compagno nel bene e nel male
soltanto desidero.

Lungo ancora è il cammino
e allettanti le ombrose radure,
il fresco dei fossi, le trasparenti
insenature pronte all’approdo.

E incerto è il pensiero,
inquieto e ammaliato dal canto
di languide irreali sirene:
talvolta esso fugge
per nascondere il pianto!

Grazie donna per l’amore mutevole
che ogni giorno accetti e rinnovi,
mentre passano gli anni
esso cresce senza tristezze.

Grazie memoria bandiera mimosa
grazie mani carezze parole
grazie compagna sorella amante
grazie, donna, dolcissima e ribelle.