lunedì 28 marzo 2016


I dodici numeri Santi.

Uno, sopra a Dio non c’è nessuno,
Due, son Padre e Figlio, in cui crediamo,
Tre, è lo Spirito Santo che ci tien per mano,
Quattro, gli Evangelisti che adoriamo,
Cinque, le Vergini delle lampade accese,
Sei, i giorni della Creazione,
Sette, i dolori di Maria,
Otto, le beatitudini dei poveri di spirito,
Nove, i  lebbrosi purificati da Gesù,
Dieci, i Sacri Comandamenti,
Undici, le stelle del sogno,
Dodici, i venerati Apostoli Santi.

Dimenticavo la Luna e il Sole…i pianeti,
le comete, l’Universo e il suo splendore:
ma a tutti Dio è superiore.  


LA PERLA (famose acque minerali e termali).

Foto scattate lunedì dell'Angelo 2016.







BAGNO A MORBO E PERLA (2^ serie di foto).














BAGNO AL MORBO/LA PERLA.

Terme antiche e moderne in abbandono. Foto di oggi Lunedì dell'Angelo 2016.


Come si legge sul  saggio di Umberto Sborgi e Angelo Galanti “Ricerche chimiche e chimico-fisiche sulle acque minerali della Perla (Pisa)”, pubblicato in Annali di Chimica Applicata, vol. 27, fsc. 5, Roma, 1937, “…la zona dei Soffioni Boraciferi della Toscana è ricchissima di Acque minerali-termali; ma in particolar modo ricco ne è il territorio del Comune di Pomarance (Pisa), tanto da far affermare al Tioli: <Pochi comuni non solamente d’Italia, ma d’Europa, possono, come quello di Pomarance, contare un numero sì grande di sorgenti di Acque mediche e di tanto valore terapeutico>. I principali gruppi di tali sorgenti sono quelli di San Michele e La Perla, che, con l’altro pure vicinissimo (a un chilometro circa), per quanto sotto il comune di Castelnuovo, di Bagno al Morbo, costituiscono un insieme di acque, fin dai tempi antichissimi conosciute e tenute in grande considerazione, come attestano le memorie di numerosi scrittori…E’ nostro intendimento riesaminare a fondo le Acque di questa Regione, interessanti di per sé e rappresentanti dei più svariati tipi…appartenenti ad una Regione delle più singolari d’Italia, ed anzi, del mondo, la Regione dei Soffioni Boraciferi. Le acque sono quella del Cacio cotto di Bagno al Morbo, di San Luigi, di San Giuseppe, dei Bagni, La Perla, San Michele. Tali acque furono già analizzate dal prof. Bertoni nel 1903, e dopo tale data tutte le sorgenti hanno subito alcune sistemazioni, specialmente per opera della Società Boracifera, che ne è divenuta proprietaria nel 1935. Seguono una ventina di pagine di analisi accuratissime ed infine le conclusioni: “…ciò che ha importanza fondamentale è la presenza in queste acque della Perla di elementi di tanto significato terapeutico e biologico quali lo stronzio, il bario, il litio, il potassio, il manganese, insieme a quantità di acido borico e di idrogeno solforato. UN CONSIMILE AGGRUPPAMENTO PORTA QUEST’ACQUA IN PRIMO PIANO NEL CAMPO IDROLOGICO, ED IN PRIMISSIMO POI SE SI CONSIDERA CHE, TRA LE MOLTE MIGLIAIA DI ACQUE MINERALI DEL GLOBO, LE STRONZIANIFERE ARRIVANO A POCHE CENTINAIA, ED UN QUARTO SOLO DI QUESTE SONO INSIEME BARITICHE E STRONZIANIFERE: INOLTRE, IN CONTENUTO DI STRONZIO, L’ACQUA DELLA PERLA SORPASSA LE CELEBRI ACQUE DI VICHY, BADEN BADEN, KARLSBAD, ST. MORITZ: E IN RAPPORTO AL RESIDUO FISSO L’ACQUA  DELLA PERLA E’ LA PIU’ RICCA FIN QUI NOTA, ANCHE IN PARAGONE ALL’ACQUA DI SALSOMAGGIORE E A QUELLA DI PIANCASALE…SENZA ENTRARE IN CAMPI CHE ESCONO DALLA NOSTRA COMPETENZA, NON CI SEMBRA DI ARRISCHIATO DIRE CHE TUTTO CIO’ RENDE AMPIO CONTO DELLA FAMA CHE DA GRAN TEMPO CIRCONDA QUESTE TERME DELLA PERLA, TANTO PIU’ NOTEVOLE IN QUANTO SPONTANEA E FORMATASI ALL’INFUORI DI OGNI RICHIAMO”.

Jula De Palma - Domani

venerdì 25 marzo 2016








BAGNO AL MORBO, ossia le Aquae Volaterranae, già descritte nella
Tabula Peutingeriana. Nel Comune di Castelnuovo di Val di Cecina,
Toscana.

Non è per fare pubblicità ad un mio saggio, pubblicato nell’anno 2000 e rapidamente esaurito,
<SOPRA LE TOMBE VECCHIE E’ PASSATO L’ARATRO. LA COMUNITA’ DI CASTELNUOVO DALL?INIZIO DEL XIV SECOLO ALLA MORTE DI MICHELE MARULLO (1500), che metto a promemoria questo breve estratto, ma per denunciare lo stato di totale abbandono nel quale si trovano le famose Terme.

Nell’anno 1477, nei verbali dei Consigli della Repubblica fiorentina e precisamente in quelli del mese di settembre, si trova scritto che le Terme del Bagno al Morbo sono molto nominate e le sue acque molto lodate e che, con opportune riparazioni sarebbe stato “el più degno Bagno che abbi tutta l’Italia”. E’ in questo periodo che a poca distanza, nel fossato, venne scoperta una sorgente d’acqua purgativa conosciuta col nome di !acqua di San Luigi. Lucrezia Tornabuoni, sposa fu di Piero di Cosimo di Giovanni de’ Medici, era una assidua frequentatrice delle terme di Bagno al Morbo ed anche in quest’anno, in maggio, vi si reca intrattenendosi a lungo e per quanto vi trovasse “stanze da archimisti e cimice che paiono capperi (così scrive Lucrezia al figlio Lorenzo il 10 maggio 1477), lo tiene in affitto  perpetuo per se e per i suoi figli e discendenti maschi  in infinito. Per ordine di Lucrezia un tale Oliviero, medico, “…ne ricercava e separava, distillava le acque e quelle della vena del “cacio cotto” trovava perfettissime  a scabie, agli asmatici et risolviva et mundificativa d’ogni macula del corpo, a dolori di giunture e di nerbi, e molte altre virtù si contengono in essa”. Lorenzo de’ Medici, “della patria sua splendidamente tiranno”, vi si recava annualmente, talvolta anche con madonna Clarice Orsini,  sua moglie,  e con un seguito numeroso di poeti, musici ed umanisti, senza badare alla incomodità del luogo e senza ricevervi che i soli familiari e vi si tratteneva  alternando la cura della sua indisposizione corporale con gli studi ed esercizi letterari che tanto lo dilettavano. La visione dei “Lagoni” viene richiamata da Lorenzo in una mirabile descrizione nel poema mitologico AMBRA, composto qualche anno più tardi:

Quando gonfiato e largo si restrigne
tra gli alti monti di una chiusa valle,
stridon frenate, turbide e maligne
l’onde, e miste con terra paion gialle:
e grave pietre sopra pietre pigne
irato a’sassi dell’angusto calle:
l’onde spumose gira e orribil freme,
vede il pastor dall’alto e, sicur, teme.
Tal fremito piangendo rende trista
la terra drento al cavo ventre adusta;
caccia col fumo fuor fiamma, acqua mista,
gridando, ch’esce per la bocca angusta,
terribile agli orecchi ed alla vista:
teme vicina il tuon alta e robusta
Volterra, e i lagoni torbidi che spumano:
e piove aspetta se più alto fumano.

Si prospetta in questi versi la spaventosa solitudine dei soffioni e dei lagoni, stretti nella valle del Torrente Possera, sulla quale incombono gli alti monti di Castelnuovo in una landa disabitata e selvaggia. Al Bagno al Morbo, nell’aprile 1484, Lorenzo riceverà da Bartolomeo Scala gli eleganti versi latini che quel Cancelliere della Repubblica fiorentina, buon letterato e poeta, frequentatore anch’esso del bagno per la sua podagra, aveva lì composti nell’estate precedente. Alcuni secoli dopo il naturalista Targioni Tozzetti prenderà visione di una relazione fatta dal dottor Pietro Leoni, medico personale di Lorenzo e di sua moglie Clarice, nella quale si afferma che “il Bagno a Morbo…tiene bagni di più sorti quasi lui solo, quanti insieme tutti gli altri d’Italia”. E’ infine noto che più grande potere curativo quelle acque lo esercitavano contro la sterilità delle donne. Pietro Leoni concluderà tragicamente la propria esistenza perché. essendosi sbagliato nella diagnosi di una malattia di Lorenzo, si getterà  per disperazione (o vi sarà gettato) nel pozzo della villa di Careggi a Firenze.

E pochi giorni or sono vi ho accompagnato una amica francese, letterata e ricercatrice storica, con la quale ho documentato in parte lo stato di incuria, abbandono e pericolosità  nel quale versa  Bagno al Morbo (per non parlare dell’adiacente ex Albergo termale La Perla, nonché della vicina Pieve Matrice di San Giovanni Battista a Morba!), nel constatare l’inefficienza globale delle italiche Istituzioni.  


lunedì 21 marzo 2016

Antonio Fini è morto!

Ieri è morto Antonio Fini, all’età di 64 anni. Era un “castelnuovino doc”, anche se cittadino del mondo. Amava la “compagnia” ed altre cose. Era un buontempone, si diceva, un po’ con “le tasche sfondate”, ma buono d’animo, forse troppo buono. Sono stato sempre un amico della sua famiglia, nonni compresi (la nonna era una eccezionale fungaia!), che abitavano a uscio con la casa dei miei nonni, parlo di quando Antonio non era ancora nato!, e successivamente, con suo zio Franco e con suo padre Mario, che frequentava la bottega di elettricità di mio zio Gino ed era un buon amico di Massimiliano, fidanzato con mia cugina Eleonora, che anch’io frequentavo. E’ sempre stato “democristiano”, cattolico, e successivamente un dirigente sindacale della Cisl-Flaei regionale, un mestierante, ma la nostra buona amicizia – nonostante la politica e l’ideologia ci dividessero -  non è mai venuta meno! Forse anche perché Mario l’avevo conosciuto a Siena, quando in estate andavo in vacanza da mio zio Zeffiro, “il Socio”, a Ravacciano, e lui corteggiava o era fidanzato con colei che sarebbe divenuta sua moglie, la bellissima Mara che abitava nei pressi della chiesa di San Martino, dietro Piazza del Campo. In realtà le belle donne senesi portate via da quella città furono due, due Mare! Antonio lavorava nella stessa fabbrica dove lavoravo io. Ha cambiato varie mansioni, ed infine era approdato a dirigere il Museo di Larderello, una attività che gli era congeniale data la sua facilità di rapporto con le persone. In pensione era approdato di nuovo a Castelnuovo, si era unito al gruppo dei “musicanti” paesani e faceva qualche sortita suonando la grancassa, un personaggio simpaticissimo. Anche “mecenate” perché aveva donato il suo archivio personale  alla Biblioteca Comunale! Si è trovato ammalato da poco tempo, ma in modo grave e non ce l’ha fatta a salvare la pelle. Ci parlavo spesso e l’ultima volta è stata pochi giorni fa’. Incredibile, abbiamo fatto anche delle risate, diceva di sentirsi molto meglio. Sono andato a dargli l’ultimo saluto stamattina, nella chiesina di San Rocco, mentre in tutto il paese nei capannelli delle persone si mormorava, attoniti e commossi, della sua improvvisa morte. C’è stata una continua processione  a dargli l’addio! Tra i suoi familiari mi sono intrattenuto con la sua mamma, Mara, ormai novantenne, ma lucidissima, al punto di ricordarsi di me dopo più di cinquant’anni che non ci vedevamo! Ed a ricordare Siena, la vecchia stazione ferroviaria, le mie cugine,  Ravacciano, San Martino e Salicotto, ed anche la sua bellezza, eleganza e civetteria! Molto charme la bionda Mara!

Il funerale ci sarà domani alle ore 15. Non mancherò. A Dio caro Antonio, ci mancherai.

mercoledì 16 marzo 2016








GROSSETO

Mi piace questa piccola città di provincia, prossima al mare ed alle sue bellissime spiagge ed isole,  nei profumi della maremma, ricca di storia, di arte e di archeologia, e preistoria, con fiumi, lagune e laghi, un tempo terra di miniere, di fonderie e di folklore. Ricca anche di fede, coi suoi Santi e Beati. Ed oggi città orizzontale, che puoi percorrere tutta passeggiando, per le stradine e sui bastioni delle mura medicee, mite per lunga parte dell’anno, e rovente nel solleone. Buona cucina, grandi prodotti enogastronomici, ottimi gelati, prezzi più contenuti che in altre consimili città, con la sue librerie, caffè, trattorie, archivi, musei, impianti sportivi e centri commerciali, strutture sanitarie pubbliche e private d’eccellenza. Carattere un po’ rude, della Maremma, anche se sciolto in un contesto eterogeneo di italiani e forestieri. Città accogliente, tollerante.  Ci trovo tutto! Anche qualche aspetto negativo, s’intende! Ma prevalgono i positivi! Ci vado quando faccio ricerche sul brigantaggio, oppure sulla Resistenza, qualche volta al cinema, qualche volta nelle strutture mediche, ed altre a fare shopping! Ieri vi ho trascorso un bel pomeriggio.









Mio padre…e il suo libriccino di algebra.


Mio padre non amava scrivere e aveva una brutta calligrafia! Invece amava leggere, e grazie alla Biblioteca “Edmondo De Amicis” di Castelnuovo, fondata alla fine dell’800 dal filantropo dottor Burchianti e dai socialisti, s’era fatto una buona cultura da autodidatta sulle grande opere dei romanzieri europei, pubblicati nelle collane della Utet. “I grandi scrittori stranieri” negli anni ’30 del Novecento. Anche i suoi appunti di musica, e le trascrizioni per i suoi strumenti sono scritti in modo sgraziato. A parte questi spartiti musicali non ho mai visto nella nostra casa dei libri veri e propri! Denaro ne circolava pochissimo per poterli acquistare. Perciò è adesso impossibile, a trent’anni dalla sua morte, tentare di ricostruire qualcosa del suo “mondo culturale”. La mia nonna, per accendere il fuoco, quando mancava qualcosa da utilizzare come esca, usava pagine di giornali e qualche volta pagine dei libri e di quaderni.  Lo posso dedurre addirittura dalla bruciatura di due mie pagelle delle scuole elementari, e di una salvata a metà! Nelle nostre  famiglie povere, sempre in alloggi in affitto, piccoli, bui e malsani, senza i servizi essenziali, oppure con il gabinetto ubicato fuori della casa, se non addirittura nell’orto, lo spazio vitale era limitatissimo e niente di quello ritenuto superfluo veniva conservato. La nonna provvedeva, di tanto in tanto, a fare il cosiddetto “spoglio”, cioè bruciare o gettare nelle immondizie tutte le carte, che si potevano trovare in casa, compresi ricordini dei morti, santini delle comunioni, libretti della cooperativa ecc. ecc. come qualche rara lettera che ci arrivava dai nostri parenti americani contenente l’immancabile 1 dollaro! Questo dollaro era davvero poco, specialmente quando anch’io, nel 1956, iniziai a lavorare. Mio padre face cessare questa nemmeno elemosina così. Quando arrivò la famosa letterina mi disse: “Bimbo, prendi mille lire, e spediscile agli americani!” Lo feci, e da allora non arrivò più niente. Ho subìto qualche perdita anch’io, perché degli anni 1952-1954, non ho più alcuno dei miei testi poetici, nonostante ci sia un elenco sopravvissuto. E forse è stato un bene. Ma oggi, in cantina, grufolando tra vecchi incartamenti, ho trovato il libriccino di algebra che aveva usato mio padre per le scuole aziendali della Larderello SpA. Manca della copertina, inizia da pagina 5 e s’interrompe a pagina 220 con le operazioni con i logaritmi. L’autore è ignoto. Su alcune pagine bianche ci sono i miei primi ed unici segni della scrittura, perciò, in più al ricordo di mio padre, m’è caro. A pagina 104 c’è un promemoria con le date dei temi svolti (si tratta della IV classe elementare, con il maestro Orsini Otello, quello che mi dette i voti più alti!), a pagina 150 il titolo di un tema, del 22.2.1949,  a pagina 153 ci sono quattro versi del 1953, a pagina 196  un appunto del 18 gennaio 1953:  “In questo momento sto bene. Leggo il libro “L’isola misteriosa”, II Corso.


RAINER MARIA RILKE.

I sonetti a Orfeo.

2, XXVII.

L’infanzia, così profonda, e promettente,
diviene – poi – nelle radici muta?

Ah, lo spettro dell’effimero
attraversa come fosse un fumo
chi in sé l’accoglie ingenuamente.

Questo noi siamo, come chi vaga trascinato,
e solo questo noi contiamo, di presso
delle forze permanenti, come divino uso.


Ieri, sulle mura di Grosseto, dopo aver visto partire l’amica Simone dalla stazione ferroviaria di Follonica, ed aver gustato un delizioso yogurt-gelato, sono salito sulle mura della città ed ho aperto a caso  il libro di R.M. Rilke “I sonetti a Orfeo”, ed. Classici Feltrinelli, traduzione di Franco Rella, 1991, soffermandomi sul sonetto XXVII, della seconda parte, e, di seguito sugli ultimi due. Come sappiamo, i critici hanno sentenziato che quest’opera, scritta da Rilke in tre settimane, nel febbraio 1922 in Svizzera, a Muzod, in quel brevissimo “innominato turbine” creativo, è forse l’opera più alta, più misteriosa, più complessa e problematica di tutta la letteratura del ‘900. Sull’ultima di copertina, nella breve scheda critica, si leggono le parole scritte da Marina Cvetaeva a Rilke: “Cosa può fare ancora, dopo di Voi, un poeta? Un maestro (Goethe, ad esempio) lo si può superare, ma superare Voi – significa (significherebbe) oltrepassare la Poesia”. Naturalmente ho pensato “alla mia poesia” ed alla sua effimera essenza, che mi invita al silenzio. Ma non ascolto l’ammonimento. Continuo a dare essenza a quelle misteriose parole, fumo che sgorga ingenuamente spontaneo dalla mia anima, e dai suoi ricordi profondi, memoria non solo di me, ma di un luogo e un tempo irripetibili, per placare un’ansia interna e, allo stesso tempo, costruire ponti sospesi sul vuoto, sul cammino che ci condurrà all’ultima verità.  

lunedì 7 marzo 2016







Solitudine.


Amo questo piccolo borgo toscano, nonostante tutto. Qui ho i miei ricordi e molti dei miei affetti. Ma, forse per la mia tarda età, forse per i miei occhi che vedono meno, forse per il mio sangue che scorre più veloce soltanto grazie alla cardioaspirina, forse perché molti dei miei amici non ci sono più, e dormono lassù all’Olmone tutti i miei antichi maestri, forse perché ci vorranno due o tre generazioni per far integrare le centinaia di extracomunitari, non dico con noi vecchi, ma anche coi nostri figli e nipoti, avverto pungente il senso della solitudine. Non ho ricette. Percorro le strade semideserte, ricostruendo nella memoria fatti, volti, amori, morti, lotte, balli, riunioni, passioni, che non esistono più. Mentre siamo abbandonati a noi stessi, non ci garantisce una soddisfacente qualità della vita la nostra “presunta” autosufficienza di governo, e per verificarlo basta allontanarsi di qualche centinaio di metri  dal “centro”. 

giovedì 3 marzo 2016




Canzone del torrente.

Dopo gli anni dell’impetuosa giovinezza mi ero messo a rileggere, confrontando diverse versioni, il Cantico dei Cantici, e rimanendone sempre folgorato. Nella vecchiaia ci sono ritornato cercando nuove parole per esprimere le parole amorose che più mi davano ancora gioia riportandomi alla memoria il volto giovanissimo e bellissimo di Swan, riemerso, come Elsa di Kralupy di Seifert, dalla  infinita lontananza. Perciò da Salomone ho rubato l’ispirazione ai versi finali della “Canzone del torrente”, una canzone che appartiene al poemetto “Agnes e Martin”.

 Il torrente impetuoso che scorre nel tempo
rimodella il suo corso ad ogni primavera.

Dall’alto del grande masso che s’innalza
sul profondo e quieto pozzo dei Cavalli
immergo la memoria nelle limpide acque
del gorile del vecchio mulino;
ombrose frescure l’accarezzano tra esili
crògnoli e noccioli e pioppi svettanti.

Dimenticate immagini liete riaffiorano:
gli occhi si inumidiscono al racconto
della fiaba fanciulla, eppure,
non sono le acque che vidi,
ormai onde marine, a farmi palpitare il cuore,
ma quest’acqua nuova scesa dal monte,
proprio questa che manda lampi d’oro
e sussurra misteriosa il canto
dell’amore inatteso.

Non è quest’acqua soltanto
l’unione di molecole di ossigeno e idrogeno
ma l’unione della bellezza della vita
che mi sfiora per un’ultima volta.

Quest’acqua in cui mi lavo e m’abbevero
senza paura, questa
santa acqua che m’attraversa l’anima,
acqua battesimale, che mi dischiude
la porta della felicità e porta baci
- come petali strappati alle rose selvatiche -
dalle mie labbra,
dalle tue labbra che sono la mia vita,
dal tuo cuore che è la mia dimora.

Sei bella amica mia,
diletta mia, mia colomba,
in quest’acqua che di te canta
la trasparenza sottile
mi sprofondo.


Dal Cantico dei Cantici.

Sei come un giglio tra i fili d’erba.
La tua statura somiglia a una palma,
i tuoi seni somigliano a dei grappoli.
I tuoi occhi splendono come colombe
all’ombra del velo. Alzati, mia cara, vieni!
L’inverno è passato, è venuto il tempo dei canti
e la voce della tortora risuona.
Il tuo grembo è un frutteto di melograni
con frutti preziosi, henné e nardi.
Le tue labbra sono irrorate di miele,

sotto la tua lingua c’è miele e latte.

martedì 1 marzo 2016



Carlo

La ragazza dalla cicatrice sul labbro…

Non tutte, ma chi mi amava
lo faceva in modo speciale
perché in me batteva un cuore diverso,
tenero come la brezza della notte estiva,
che faceva innamorare.

Ma di quella ragazza, dalla cicatrice
sul labbro, e per il resto tutto uguale,
si potrebbe dire insignificante
ad uno sguardo distratto,
nelle cui vene ardevan sogno e desiderio,
carezza, balocco, neve, speranza,
ora non resta niente, se non vuote parole
e il ricordo della sua bocca
così ambigua e tremante.

L. a Carlo.

Il vecchio mulino,
spicchi d’acqua,
sabbia assolata,
via lattea di sassi levigati
e la piccola ragazza
con la cicatrice sul labbro;
segreta, un riserbo gentile.

Nasceva lì caro amico
il tuo primo amore?

Nell’angusto rifugio,
nelle nebbie del grano,
nel fragore e nel silenzio
di macine e di stelle?

Veniva dalla mia mamma
che sapeva di libri,
ritornava con le belle storie,
di delicate contadinelle
e di giovani innamorati.

Dopo la lunga strada
ricca di storia, e fiorita,
forse si nascondeva
per leggere tranquilla
fra le vetrici del fiume,

in attesa di te.




Teige Karel (1900 – 1951).

(Seconda parte e fine)

Sapevo della nuova relazione di Teige. Conoscevo sua moglie già da giovane. Era una donna seria, affascinante e rara. La sua amica la conobbi solo di sfuggita, una volta, nella birreria di Girgal. Anche lei era una donna fuori del comune; altrettanto affascinante e di certo anche interessante. Non ho mai avuto dubbi sulla serietà del rapporto di Teige con le due donne. Non voleva, e certo neanche poteva, essere un attore in un banale triangolo matrimoniale. Mi meraviglio però di come quest’uomo dall’intelligenza straordinaria avesse potuto ritenere di poter creare un rapporto tranquillo e armonioso tra le due donne. Come poteva ignorare che nel campo del vero amore non è possibile una cosa simile tra le donne? Egli poteva amare sinceramente entrambe, ma le donne, se amano, non riescono a spartirsi l’amore. Questo gravava su di lui come un pesante fardello e lo faceva stare in una costante tensione. Anche questo non contribuiva a dare forza al suo stanco cuore malato. Chiaramente ne soffrivano tutti e tre.  In quel fatale giorno del 1 ottobre 1951, poiché Teige tardava tanto ad arrivare da lei, la signorina E, si decise di andargli incontro. Attese inutilmente. Strada facendo non si erano incontrati. Soltanto tornando a casa lo trovò sullo spartitraffico della fermata del tram. Stava appoggiato alla colonnina di ghisa e la chiamava. Il suo viso era deformato dagli spasmi del dolore. Era già un volto segnato dalla morte. Ella lo trasportò con gran fatica nel proprio appartamento, e solo muoversi gli procurava un grande tormento. Nell’appartamento egli si sedette, lo fece con difficoltà e fu per lui un male. La donna corse a chiamare un dottore. Lo trovò in un attimo, ma quando tornò Teige era morto. Senza pensarci, decise che sarebbe morta anche lei. Prima, però, dovette comunicare la notizia della morte di Teige a sua moglie. Scrisse una lettera: “Karel non c’è più. E’ morto oggi a mezzogiorno”. E mandò la lettera tramite un tassista. La moglie di Teige, non appena letta la notizia, bruciò immediatamente tutta la corrispondenza di lui. Non era poca. Sebbene avesse rapporti quotidiani con le due donne, quasi ogni giorno scriveva loro delle lettere. E dopo questo triste rito, ella si avvelenò col gas. La signorina E. visse soltanto alcuni giorni di più. Impiegò questo tempo per ordinare i manoscritti, almeno quelli che Teige aveva presso di lei, e li consegnò agli amici. E poi seguì la moglie di Teige. Aprì il rubinetto del gas. Con la sua morte si concluse questa funesta danza della morte, di cui l’opinione pubblica non venne a sapere molto, “grazie” alle disposizioni che seguirono alla morte di Teige. La sala delle cerimonie, durante i funerali di Teige, era quasi vuota. C’erano solo alcuni suoi giovani amici, che a quel tempo noi non conoscevamo ancora. Degli amici e dei conoscenti della nostra generazione, non c’era nessuno. Dietro le sedie vuote, stavamo in piedi soli, io e il pittore Muzika.

Con che uomo straordinario e bello siamo vissuti! Quali forze irradiava la sua ricca personalità! (J.S.)