giovedì 30 maggio 2019




Il tesoro immateriale.   

Ritrovo una perla frugando nel mio “tesoro immateriale”, un libriccino, che acquistai nel primo anno di lavoro: QUARTINE di Omar Khayyam, pubblicato da Einaudi al prezzo di 1000 (Mille) lire. Siamo alla fine del 1956 ed i libri erano carissimi! Credo che  il mio salario non fosse superiore alle 30.000 lire mensili, cioè il valore di 30 di questi libriccini di 98 pagine. Già a quel tempo m’era compagna ed amica la poesia.  Omar sembra che sia nato  in Persia verso la metà del secolo XI d.C. e morto verso il 1126.  Deve essere stato un personaggio di grande intelligenza perché figura in una commissione regia di astronomi per la riforma del calendario. Condusse vita avventurosa e godette i favori del sultano.  Trascrivo adesso tre quartine, tra le mie più amate, tradotte  da Alessandro Bausani dall’originale persiano.

n. 54.                                                           
Coloro che furono oceani di perfezione e di scienza
E per virtù rilucenti divennero Lampade al mondo,       
Non fecero un passo nemmeno fuori di questa notte scura:
Narrarono fiabe, e poi ricadder nel sonno.

n.56.
Questi che sono ora vecchi, e questi giovani ancora,
Ognuno ansioso s’affanna a corsa verso la Mèta;
Ma questo vecchissimo mondo, in fine, a nessuno rimane.
Andarono; andremo; altri verranno; ed andranno.

n.282.
Puri venimmo dal Nulla, e ce ne andammo impuri.
Lieti entrammo nel Mondo, e ne partimmo tristi.
Ci accese un Fuoco nel cuore l’Acqua degli occhi:
La vita al Vento gettammo, poi ci accolse la Terra.

Questa magnifica quartina, ultima della raccolta, ben merita di chiudere, quasi sintesi suprema del pessimismo khyyamiano. Gli ultimi due versi contengono i nomi dei quattro elementi. L’acqua degli occhi sono le lacrime, che accendono fuoco di dolore nel cuore.

sabato 25 maggio 2019







Nei Tatry.

E’ tutto!

Una settimana di “influenza” mi ha costretto a stare in casa. Adesso va’ meglio e domani andrò a votare per l’Europa e per il mio Comune. Per fortuna mi piace il ciclismo in tv, e da sempre seguo le “classiche”, il Giro ed il Tour, naturalmente i Campionati del mondo, su strada e su pista, per uomini e donne, professionisti e dilettanti! Ieri bellissima tappa nel Gran Paradiso. Perciò non mi annoio troppo. Naturalmente, come ho sempre fatto fin da quand’ero bambino, approfitto per rovistare tra le vecchie carte e cianfrusaglie, con la sicurezza di trovarvi dei tesori! Cioè, vecchie fotografie, più o meno sbiadite, santini di cresime e comunioni, tessere di partito e di sindacato, ricordini dei nonni morti ed altri piccoli oggetti della mia amata nonna ed anche cartelle sanitarie dei miei non pochi soggiorni negli ospedali. Queste cartelle mi fanno ricostruire il “cammino della speranza” perché sono abbastanza felicemente approdato alla bella età di 81 anni! Certo, alcune volte l’ho scampata bella, anzi, una volta, se non ci metteva l’anima una Santa francese, potevo benissimo andare a far terra da ceci! Nel 1949 mi salvò la vita l’arrivo nel paesello della “penicillina”! E così cominciai a credere alla “scienza medica”. Seguirono ricoveri e terapie negli Ospedali di Volterra, Massa Marittima, Pisa, Grosseto, Siena, Firenze, Bologna…e su questo tema ho scritto alcuni racconti e “poesiole” ricordando episodi grotteschi, sentimentali, professionali, miracolosi. Una delle ultime volte fui addirittura invitato dal primario  del Settore a tenere una “lezione” dal mio lettino, sulla mia patologia e suo decorso, dopo un intervento chirurgico, ad un gruppo di studenti di medicina della locale Università! Un’altra volta avvenne il “miracolo” per una guarigione, data ormai per impossibile. Ci fu anche un soggiorno lungo per un intervento chirurgico breve, di attesa, durante il quale bisbocciai con altri pazienti egualmente in attesa, e feci amicizia con l’unica suora “brabantina” di quel reparto. Sapendo che mi piaceva far ricerche di storia, mi chiese se potevo inserire  nel saggio che stavo  predisponendo un accenno alla sua “beata”, Domenica, dando così un contributo  per la sua causa di santificazione! Cosa che feci e per quasi trenta anni mando una piccola offerta al suo Ordine, dato che ella non è più in Italia. Paure, angosce, sorrisi, carezze, speranze, non sono mancate. La Santa “francese” sono andato anche a trovarla a Parigi, per dirle “MERCI!”. Anche la saturazione di una venuzza che s’era rotta  nel cranio ebbe momenti tragici e poi  di gioia  immensa! Constatai in quell’occasione  l’incredibile processo tecnologico salvavita umana e la grazia di quella meravigliosa chirurga che  mi accarezzava!  Tutto m’è ritornato alla mente ieri sera, leggendo alcune pagine  del libro di Jaroslav Seifert “Tutte le bellezze del mondo”. E’ questo un libro letto e riletto più volte, al quale ho rubato diversi spunti poetici! Leggendolo nella traduzione in lingua italiana credo di perdere molto della sua freschezza, ma, purtroppo, nonostante  che per decenni la mia vita si sia intrecciata con persone delle odierne Repubbliche Ceca e Slovacca, non sono riuscito ad imparare che cento o duecento parole, affidandomi del tutto alla capacità di quei popoli di apprendere con facilità la lingua nostra! Scrive Seifert all’età di ottanta anni:
“…E’ tutto!
Sento spesso oggi questo sorprendente modo di dire. Al principio non lo capivo troppo. E qui qualcuno mi ha insegnato che significa; è finito, è tutto, è la fine. Ma voglio confidarvi ancora qualcosa. So perché molti giovani medici non cercano moglie chissà dove e non intraprendono per lei lunghi e avventurosi viaggi per mari e monti. Si guardano due o tre volte attorno nel loro luogo di lavoro e ci sono le nozze. Anche a me, del resto, piacevano le colombine inamidate dalle cuffie candide e rigide fermate nei capelli con dei fermagli. A volte le infermiere portano malvolentieri questa cuffia. Per loro è più piacevole quando d’estate stanno a testa scoperta; la caposala poi le richiama. Evidentemente non sanno quanto dona loro. Ma che sciocchezza! Lo sanno fin troppo bene. Quando ero ricoverato in ospedale, a dire il vero ero in una posizione alquanto scomoda, ma nonostante ciò, mi piaceva guardare le alucce bianche che svolazzavano da un letto all’altro, da un dolore all’altro e da un gemito a dei sospiri. Ventiquattro ore su ventiquattro…
In uno dei policlinici mi avevano prescritto la ionoforesi. Aspettavo insieme ad altri malati che mi chiamassero. Quando si sentì il mio nome, un’infermiera mi diede una compressa di calcio da mandare giù. Poi mi guardò con aria abbastanza severa e mi chiese bruscamente:
<Le piacciono le poesiole?>.
<Mi piacciono, - proruppi sorpreso. – Perché me lo chiede?>.
<No, solo per il nome che ha>.
Ebbene, è tutto. Ciò ch volevo e potevo dire, l’ho detto. Ho concluso il mio racconto. E’ la fine.
E’ tutto!

mercoledì 22 maggio 2019




Il sorriso di Monna Lisa

Da te non so distogliere lo sguardo.
Sopra al guardiano di servizio stai appesa
le mani intrecciate mollemente
                e sogghigni beata.

Come la torre di Pisa sei famosa
e il tuo sorriso si dice sia ironia.
Già … chi lo sa perché ride Monna Lisa?
Ride di noi, per noi, a dispetto di noi, con noi, contro
                di noi
                   o come?

Piano ci insegni quello che si approssima.
Perché, Lisetta, la tua immagine ci mostra
                che  chi di questo mondo ha visto tanto
                sorride, posa le mani in grembo
                                                                              e tace.

Kurt Tucholsky, ebreo tedesco, Berlino 1890 – Stoccolma 1935.
Nel 1933, il 10 maggio, nella Germania nazista, i nazionalsocialisti accendono i roghi di libri, e così anche tutte le opere del poeta  Tucholsky vengono date pubblicamente alle fiamme con queste parole: “Contro l’impudenza e l’arroganza. Per rispetto e riverenza verso lo spirito immortale del popolo tedesco”:  Il poeta ripara in Svezia richiedendo la nazionalità di quel paese. Ma la tragedia che ha travolto la sua patria e l’immane catastrofe che si sta abbattendo sull’Europa gli tolgono la voglia di vivere.  Il 21 dicembre 1935 muore dopo aver ingerito un potente veleno.

lunedì 20 maggio 2019





My love for you do not git old.

Rose’s red, vi’ lets blue.
Sugar is sweet but not lak you.
De vi’lets fade, de roses fall;
But you gits sweeter, all in all.

As sho’as de grass grows’ round de stump,
You is my darlin’ Sugar Lump.
W’en de sun don’t shine de day is cold,
But my love for you do not git old.

De ocean’s deep, de sky is blue;
Sugar is sweet, an’ so is you;
De ocean waves an’de sky gits pale,
But my love are true, an’ it never fail.

1964.

sabato 18 maggio 2019

Work, youth, family.I found some old photographs and put them on Blog my American relatives, whom I warmly greet. I am very happy to see some details of their lives and beautiful daughters!







venerdì 17 maggio 2019












MUBIA

Per chi non lo sapesse questo logo sta per “MUSEO BIANCANE” ossia il GEOMUSEO DELLE BIANCANE di Monterotondo Marittimo! Si può aprire con www.mubia.it
E’ stato inaugurato poche settimane or sono, nel fabbricato della ex Centrale Geotermoelettrica, e, praticamente, costituisce la “porta” alla conoscenza delle “biancane” vere e proprie, e delle sue meraviglie. Sono andato a visitarlo il 16 maggio scorso.  Ti accolgono due gentili hostess, che ti daranno tutte le informazioni necessarie alla visita, sia del MUBIA sia dell’escursione sul terreno delle “biancane”, sia per l’area archeologica  della Rocca degli Alberti,  all’interno del Borgo di Monterotondo Marittimo. Il prezzo del ticket per il MUBIA è modesto.
Sono  rimasto colpito nel constatare il grande sforzo di valorizzazione, fatto dall’Amministrazione Comunale, dalle Associazioni turistiche e culturali, e, in definitiva, da tutta la popolazione  di questo Comune, del loro “tesoro”, il fenomeno geotermico che caratterizza gran parte del territorio comunale,  San Martino, Carboli, Lago Boracifero, San Federigo, con il MUBIA e il riassetto del percorso sulle “biancane”, con cartellonistica e indicazioni adeguate, protezione dei luoghi, centri di sosta e  sentieristica protetta.  Sono altresì convinto che proseguendo su questa via ci saranno, nei prossimi anni, ulteriori sviluppi, soprattutto nel campo idrotermale. Sono un amante di questi luoghi e mi vanto di essere  stato, in tempi recenti, un divulgatore del primato di Monterotondo Marittimo, nell’avvio della scoperta dell’acido borico nel lagone “Cerchiaio” fatta da Hoefer nel 1777, e dell’attività industriale vera e propria avviata  da Gaetano Fossi nel 1812, ben sei anni prima che Francesco Larderel mettesse la prima pietra a quella grandiosa industria chimica ai Lagoni di Montecerboli, che sarà poi famosa nel mondo col nome di Larderello.  

domenica 12 maggio 2019






Un libro

Nell’aprile 2019 è uscito il libro di Giacomo Mameli “LA CHIAVE DELLO ZUCCHERO”, per la casa editrice Il Maestrale (Nuoro). Questo libro si aggiunge agli altri suo libri di antropologia, tutti interessanti ed a quelli deliziosi di letteratura: La ghianda è una ciliegia (2006); Il forno e la sirena (2013) e “Le ragazze sono partite” (2015). Giacomo Mameli (1941), giornalista e scrittore è laureato in Sociologia a Urbino, vive in Sardegna tra Cagliari e Perdasdefogu. Sono felice di averlo conosciuto a Castelnuovo di Val di Cecina, e di avergli fornito  del materiale di base per due delle storie di “La chiave dello zucchero”, cioè le vicende di Vittorio Vargiu e di Francesco Gallistru, due partigiani sardi, Vargiu della “Piccola banda di Ariano” comandata dal marchese Gianluca Spinola e Gallistru della “Terza Brigata Garibaldi, Banda camicia rossa”, comandata da Mario Chirici. Vargiu fu fucilato dai tedeschi, insieme ai suoi compagni Piredda, Stucchi Prinetti e Spinola il 14 giugno 1944 a Castelnuovo di Val di Cecina (PI), mentre Gallistru cadde eroicamente in battaglia contro i nazisti il 10 giugno 1944 a Monterotondo Marittimo (GR).  Gallistru è stato decorato di Medaglia d’ Argento al valor militare. Si deve aggiungere che i resti mortali dei due partigiani riposano nei cimiteri comunali di Castelnuovo di Val di Cecina ed in quello di Massa Marittima.  Le loro vicende  si trovano nel mio saggio storico “La Piccola Banda di Ariano” edizione 2003.

Mameli però lascia in secondo piano il rigore della storicità delle vicende dei due partigiani sardi, affidandosi in notevole misura alla poeticità e creatività del racconto letterario. Da ciò ne sorte un pahtos avvincente, emozionante nel quale  anche il trasporto emotivo si fa storia, nella descrizione delle persone, dei fatti e dei luoghi. Dunque, con abilità, Mameli intreccia memorie orali, sapiente 
indagine giornalistica e letteratura storiografica, ma sempre tenendo saldo il filo di un’affabulazione che sa di racconti sul canto del fuoco.

LA CHIAVE DELLO ZUCCHERO è stato presentato al Salone del libro di Torino ed. 2019 ed ha riscosso un gran successo, approdando, con il suo autore, sulle reti televisive nazionali  ed impegnando Giacomo Mameli per decine di presentazioni ed incontri letterari in contatti in Sardegna e nel resto d’Italia.

Per eventuali contatti o ordini di acquisto indico:

Edizioni Il Maestrale, Redazione Via Manzoni, 28 – 08100 NUORO, telefono 0784-440684
E-mail privata di Giacomo Mameli: lueso@tiscali.it

lunedì 6 maggio 2019

Alberto Viti è morto.

Un pensiero al mio caro cugino Alberto Viti, deceduto stanotte all'Ospedale di Volterra dove era ricoverato da alcuni giorni. La salma arriverà oggi a Castelnuovo di Val di Cecina, alla Chiesina di San Rocco, alle ore 14 circa. Il funerale ci sarà domani nella Chiesa Parrocchiale del SS. Salvatore alle 14,30.
Sono stato da sempre molto affezionato a lui ed alla sua famiglia, e mia madre era sorella della sua, la "grande zia Tajura delle Fonti! La sua famiglia ha sempre avuto la porta di casa aperta a tutti, fin dai tempi dei mitici Gianni e Gosta, poi di Pietro e infine di Alberto e di sua moglie Rina. Ho di lui ricordi belli, da quelli del giorno del suo matrimonio (1956) a Fosini fino alle merende degli ultimi anni, tra figli, nipoti e bisnipoti! E' stato un uomo buono e generoso, mite e intelligente. Ci siamo voluti sempre bene. Mi mancherà.
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domenica 5 maggio 2019












L’infinito

Sempre caro mi fu quest’ermo colle,
al cui riparo, tra il Dolmi, il Carbonciolo,
i ginepri e  i roggiolai,
ancora bambino, pascolai il mio gregge
e a primavera, nell’erba novella,
le prugnolaie segrete saccheggiai.

Lassù, dove tu mai andrai,
tra terra e cielo nel fulgore d’oro,
isole, montagne, immote acque,
nebbie sottili  e un gran mistero,
portano un palpito alla memoria antica,
e un fiore solitario tra il palero.

Di quei giorni immensi e dolorosi,
l’innocenza l’ha dispersa il vento,
e più nessuno c’è a richiamarla in vita.


mercoledì 1 maggio 2019

1° MAGGIO 2019

E' per me un 1° Maggio casalingo. La memoria mi porta ai tanti Primo Maggio della mia vita, specialmente negli anni che sono stato un dirigente del Sindacato della CGIL lavoratori delle Aziende Elettriche (FIDAE poi FNLE). Mo porta, soprattutto, al ricordo di tanti amici e compagni che con me condivisero questa esaltante esperienza, anche di coloro che militavano nelle altre organizzazioni sindacali CISL, UIL. Le vertenze che abbiamo insieme guidato ci portarono a ridare valenza nazionale alla GEOTERMIA, a far crescere occupazione giovanile, lavoro per le Ditte Appaltatrici, programmi quinquennali e di più lunga prospettiva. Non erano sogni, utopie! Ma non eravamo chiusi nella nostra Azienda di Larderello, guardavamo all'Italia ed al Mondo! Alla lotta contro il terrorismo, al sostegno ai popoli in lotta per la libertà, alla pace. Uomini e donne. E, soprattutto, amavamo il nostro lavoro, la nostra Fabbrica, il Nostro territorio! Altri tempi, si dirà. Per questo metto una immagine del Novecento, di J.Lada,, con una poesia di un altro Maggio lontano, di Seifert.



Quando giocavamo al gioco dell’anello…


                               a  J ,E, MG, R,G, RM, C,
                               le bambine dei giochi

Quando giocavamo al gioco dell’anello
cercavo di trattenere tra le mie le tue mani, un solo attimo,
eppure il cuore palpitava ed una vampa mi saliva al viso
al momento di pronunciar la scelta per la penitenza: “ bacio”.

I più grandi sorridevano, ammiccando a quell’acerbo
amore e il bacio tanto atteso andava alla vecchia zitella!

Fu allora, oppure molto dopo, in un villaggio lontano,
che al gioco dell’albero del Primo Maggio
e al gioco delle ghirlande del Principe
e della guardiana di oche che in segreto l’amava,
due giovani prescelti tra gli evviva e le coppe di sidro,
dovevano per baciarsi render chiaro un arcano enigma,
uno ero io, l’altra eri tu, mia stella!

Dimmi, ragazza, dimmi,
se vuoi essere mia sposa:
cos’è che cresce senza pioggia,
cos’è che brucia senza mai finire
e cos’è che piange senza lacrime?

Ingenuo Principe, che vieni a chiedermi?
La pietra, cresce senza pioggia,
l’amore brucia senza mai finire
e il cuore, il mio cuore, piange senza lacrime!

La fisarmonica vibrava di passione,
 la zampogna pareva impazzita,
e tutto intorno nel grande prato dei nastri colorati
le giovani coppie sognavano speranze di vita.

Si stringevano nel gioco gli innamorati fanciulli
in quella magica sera, quel giorno, là all’est,
sull’ansa rivierasca del fiume d’argento,
mentre  il tramonto incendiava la selva nera.

E certo non pensavano alla profezia
del silenzioso pianto del cuore,  che li attendeva.