sabato 19 febbraio 2022

 






Il giro del Canalino.

 

Per fare una breve passeggiata urbana (evitando incontri spiacevoli, come i lupi), percorro il “giro del Canalino”, che parte dalla mia casa, oltrepassa il Canale e prende il secondo bivio a destra, in ripida discesa (adesso asfaltato, ma un tempo solo imbrecciato), e raggiunge il Palazzo de Larderel ai Lagoni  immettendosi sulla via principale che sale verso il paese. Si può percorrere infine la passerella pedonale panoramica e raggiungere i giardini del Piazzone e poi via Gramsci e via Fucini, da dove sono partito. Ci sono molte cose da osservare in questo percorso, ed anche molti ricordi. Le cose da osservare sono “brutture”, e non mi ci soffermo, mentre i ricordi, seppur lontani, sono ancora vivi e luminosi: la caduta di bicicletta con abrasioni in tutto il lato destro del corpo, il “Lagon de’ cani” ancora ribollente di melma e fumante, l’Ortone dell’Azienda Agricola della Larderello SpA, e, infine, il giardinetto con la fontanella, dove sbocciarono i nostri primi amori; ed anche il muro al quale era addossato il capannuccio di Baldo, che vi creava i suoi capolavori  artistici, oggetti e strutture in ferro ed acciaio, ed in più ci raccontava le sue vicende di guerra e di Resistenza! Un “piccolo mondo antico” che non c’è più.

mercoledì 16 febbraio 2022

 OGGI SANTA GIULIANA. (16/2/2022).



Pasqua senza Giuliana [i]

 

Troppo facile tu fossi qui con noi

che ti abbiamo amata tanto!

 

Solo il figlio di Dio è risorto, o uno

si attende, per lenire l’angoscia

degli uomini e consolare della morte

il terrore.        

 

Ma tu, tu, piccola donna,

tu mio più grande amore,

non ti sento allegra intorno

al forno, ad accudire il fuoco

del pranzo rituale.

 

Ci siamo tutti, e in più

c’è il bimbo tanto atteso,

che t’avrebbe timidamente sorriso

al limitare del campo,

 tra i ciliegi in fiore.

 

Rimane soltanto la tovaglia

ricamata nel tempo amaro dell’attesa,

ed un tuo ritratto sbiadito

con un fiore, sul marmo, freddo.

 



 

[i] La poesia è dedicata alla cara amica Giulia Pisu (Giuliana), nata a Barisardo (1944-2005) e madre del marito di mia figlia Barbara. Una dolce donna che m’è mancata troppo presto!

domenica 13 febbraio 2022








NOTIZIE DI ATTUALITA'

 Da qualche giorno sono scomparso, ma tutto ok! Adesso sono allentate le misure anticovid, tuttavia la prudenza non è mai troppa, anche se noi non frequentiamo le discoteche! La mia gatta cieca assume pose un po' scomposte, mi ama molto. Infine una visita a Montecastelli Pisano-Area sportiva, e di meditazione, e un salto alla Tomba Etrusca del VII° sec. avanti Cristo, a dimostrazione della nostra storicità, infine un salto a Pescia e Siena. Bel sole, in attesa di un po' di freddo e di un po' di neve! Buona notte a tutti!

giovedì 10 febbraio 2022

 


Il Palazzo di Garibaldo, nei ricordi di 72 anni fa!

 

Arrivando da nord sulla SS 439 a Castelnuovo di Val di Cecina, oltrepassati l’ex Cinema e il palazzo della Misericordia, poco dopo la “croce del convento” s’apre “Via della Repubblica”, dove un tempo si svolgevano le Fiere e la “passeggiata” paesana che a gruppetti o coppie, nel bel tempo d’estate, veniva percorsa instancabilmente avanti e indietro dalla gelateria di Boris alla bottega  dei barbieri Lando e Sorge. Anche volendo scambiarsi un bacio, non c’era un riparo, una via di fuga, dagli attenti sguardi di mamme, babbi, nonni e parenti! Allora, su e giù, parlando, parlando, magari ridendo, e dopo, rimanendo soltanto noi maschi, ancora una o due ore fino alla buonanotte, seduti sugli scaloni del Palazzo Stolfi, o della Farmacia, in attesa dei sogni giovanili. Siamo nei primissimi anni ’50 del Novecento, la mia famigliola abitava in affitto due stanzette all’ultimo dei cinque piani di uno dei casamenti più alti del paese, una cucina con piccolo focarile e una cameretta con due letti, quello matrimoniale dove dormivamo io ed il mio babbo Renzo e quello di lamiera ad una piazza dove dormiva la nonna Enélida, da poco vedova alla soglia dei settanta. Non c’era un bagno e l’unico di quel piano era uno sgabuzzino esterno, una buca su un basso muretto, con il secchio dell’acqua e il fetore che faceva lacrimare…e da questo sgabuzzino si poteva uscire attraverso una traballante passerella di legno nel magico orto sulla pendice del Serrappuccio. Eravamo approdati, dopo aver abitato la grande casa del Borgo in Via Cavour 26, soprastante la Chiesa, in queste minuscole e spartane stanzette affittate a buon mercato, perché sullo stesso piano c’era la casa di Garibaldo Bisogni, il famoso socialista e Sindaco del Comune che fu deposto dai fascisti nel 1921 mettendogli sulla scrivania una bomba a mano, pronta ad esplodere. E fu così che Garibaldo, cessando ogni segno di opposizione politica, poté mantenere il negozietto di calzolaio posto al piano terra del palazzo dove abitava. Garibaldo aveva tre figli, José, Bimas e Iris. Josè entrò alla Boracifera in virtù della sua conoscenza musicale, sposò e andò a vivere in un paese vicino; Bimas sposò una paesana, ma non ebbe fortuna, e  un bel giorno la moglie sparì, si seppe al nord o in Liguria, lasciando due figli piccini Mauro e Gabriella. Così Bimas entrò nella bottega del babbo a fare e vendere scarpe. Mancava in questa famiglia una donna…e fu così che Iris, dopo aver sposato nel 1929 il mio zio Gino Groppi, insieme alle due figlie gemelle Jolanda ed Eleonora, nate nel 1933, andò ad abitare nella casa di suo padre Garibaldo, accudendo a tutta quella famiglia. Ma tutto l’alto palazzo era in parte abitato dai Bisogni, dai Groppi e dai Benucci, familiari e parenti!  

Partiremo, nel descrivere i ricordi di quel microcosmo, dal pian terreno, per poi salire le strette, buie ed alte scale, fino alla sommità ed agli orticelli. Si affacciavano sulla via principale, ora Via della Repubblica, le due botteghe di Menotti e Garibaldo, fratelli e calzolai. Quella di Menotti angusta e specializzata nelle riparazioni, quella di Garibaldo più ampia e che, oltre alle riparazioni, produceva scarpe su misura per uomo e per donna. Le loro storie sarebbero interessanti e avventurose, ma le dobbiamo omettere. Erano entrambi ”sovversivi”, forti bevitori di vino, cantori e corpulenti e sognatori. A Garibaldo era morta la moglie Liduina, a Menotti era morta la “compagna”, una parmigiana, che gli aveva dato una figlia Elvira, mentre la prima moglie era ancora viva e viveva nel Borgo con un figlio, si chiamava Eufemia ed aveva sentor di stregoneria, povera donna che ne aveva passate tante, era gobba e vestita di nero, e costituiva lo zimbello dei ragazzacci borghigiani.

Dal piano terra si salgono ripidi scalini per arrivare al primo piano dove abitavano Menotti ed Elvira, in due stanze più una specie di cucinotto e ripostiglio, forse un WC!. Elvira, allora ragazza, era una accanita lettrice di fotoromanzi ed io la praticavo per farmeli prestare. Mi ricordo che insieme a lei ed un’altra ragazza ci mascherammo, io da donna Elvira da uomo e l’altra da ragazza: una specie di famigliola che destò grandi risate e curiosità nel Corso del paesello tanto che il dottor Cappelli venne a toccarmi il culo! Salendo ancora le scale si trovava la porta della famiglia Fabbri che aveva tre figli: Torquato, Adele, Maria. Torquato era un giovane azzimato, Adele aveva la faccia piatta, e di soprannome  si chiamava “la teglia”, Maria, la più giovane, sarà nata nel 1936 o 1937, era invece una bellissima ragazza, che si sposò ebbe famiglia, ma morì ancor giovane.

Al piano superiore, c’era l’appartamento più bello i tutto il casamento: vi abitavano Paolino Benucci e sua moglie Dantina. Paolino era un fratello di mia nonna Enélide, ma soffriva di arteriosclerosi e io non l’ho mai visto, Anche la nonna non andava mai a trovarlo, perché aveva ricevuto da lui e sua moglie molte umiliazioni, specialmente quando arrivavano i “pacchi” dalle cugine americane, loro si prendevano le vesti e gli oggetti più belli e nuovi e lasciavano alla nonna straccetti e latte condensato! Dantina e Paolino avevano una bellissima figlia, Feria, che sposò Adelmo Ceccarelli, un operaio della Larderello, originario di Volterra. Era così bella che qualcuno se ne innamorò ed uno veniva sotto le sue finestre a cantargli “portami tante rose” un canzone in voga in quegli anni. Feria e Adelmo avevano una figlia Diana, una delle bellezze del paese. Mi ricordo che Feria mi invitava qualche volta a vedere questa “venere” quando faceva il bagno…ma ero timido e non ci sono mai andato! Da grandi, morti i vecchi e Adelmo, si trasferirono in un Comune vicino dove Diana si sposò, e così l’ho incontrate, mamma e figlia, più volte. L’appartamento di Via della Repubblica è rimasto vuoto per tanti anni.

Arriviamo dunque al quinto piano dove, come ho detto, andai ad abitare io accanto alla casa di mio zio e lì rimasi per quasi due anni, prima di trasferirmi nella casa di legno di Raspino, proprio di fronte ai platani del Piazzone. L’altra famiglia era di Luigi Settembrini che vi abitava con la moglie Filomena e i figli Loredana e Sergio. Avevano un buon appartamento ed anche una passerella che lo univa all’orto, al di là della chiostra. Era una famiglia comunista e Filomena, brava pittrice, ricordo che aveva disegnato dei cartelloni giganti con le facce dei leader:Togliatti, Lenin, Stalin, Gramsci, esposti alla Festa dell’Unità, che quell’anno si svolse nei “Piazzone” del paese e della quale ho stampata nella retina una mini-sonda posizionata a lato della “catena” d’ingresso, e che serviva per calare dal piano di manovra una cordicella in un tubo collegato sotto il pianale con legato ad esso un pentolino nel quale veniva messo il premio  pescato con il numero  estratto della lotteria! Quest’opera geniale fu concepita da  Baldo Tani. Morti Luigi e Filomena i figli lasciarono l’appartamento, e non so’ chi vi sia tornato ad abitare.

Ho pochi ricordi personali dei circa due anni che ho vissuto in quel piccolo appartamento: avevamo un apparecchio radio comprato di seconda mano, con un grazioso mobiletto, che avevamo soprannominato la “checca” dal soprannome  del suo proprietario che abitava al “Poggetto”, detto “il Checchi”; mi ammalai di pleurite-polmonite e mi salvò la vita il dottor Bruno Cappelli con le iniezioni di penicillina; ma si vedono ancora ai raggi X le tracce; stavo molte volte affacciato alla finestra per osservare la strada in basso e il “coccodrillo” della Larderello SpA che portava i tubi dei vapordotti; vidi di lassù anche sbocciare l’amore tra Piero e Miranda, allora  avranno avuto lei la mia età e lui due o tre anni di più. Piero, che fu per lungo tempo l’autista degli ingegneri dell’Enel-Larderello, ed anche il mio nei mesi che lavorai a Rifredi, al Servizio Minerario, è morto precocemente per i postumi di una caduta da un albero e Miranda abita sulla costa livornese con la figlia, ma ha casa a Castelnuovo e quando ci incontriamo ci facciamo molta festa ed io gli ricordo del loro primo ed unico amore tra il sorriso e qualche lacrima. Un altro ricordo è quello dell’orto, del mandorlo, del lavatoino e delle teleferiche che costruivo lassù; infine l’amicizia con le mie cugine Jolanda ed Eleonora, allora giovani ragazze e bellissime. Con loro ci conoscevamo già perché venivano ogni tanto a dormire dalla nonna Enélide, dopo il 1948, quando era morto nonno Dario e ci dormivo io con la nonna. Mi prendevano sempre in giro accennando ai miei acerbi e fantasiosi amori. Jolanda ed Eleonora sono state le persone che ho più amato oltre quelle della mia famiglia e l’ho frequentate fin quasi alla loro morte alla fine degli anni ‘90, ancora giovanili, eleganti e belle! Ora vado a salutarle nel nostro Camposanto…

 

martedì 8 febbraio 2022




8 gennaio 2022. 

Ora che i fuochi si stanno spengendo…

 

Cosa alberga nella mia mente,

ora che i fuochi

si stanno spengendo?

Sono molto confuso

e mi aggrappo

alla Poesia.

Essa è la mia sposa

e amante segreta

che  stranamente non invecchia

e mi accompagna.

Naturalmente ho nell’anima

più passato che futuro,

più ricordi

che attese, più riflessioni

che emozioni,

anche se quest’ultime

son state forti

fin quasi ad oggi.

Ma ora ho nel cuore i fiori

dei sentieri della mia vita,

pur con un po’ di malinconia,

perché i fiori sfioriscono;

ma anche di armonia,

di profumi e baci lontani

che mi avvolgono nei sogni

e vorrei trasferire

in questi poveri versi.

Sono ancora in cammino,

con passo lento e incerto, 

ma è camminando

che si fa il cammino.

E ciò un po’ mi consola.

 

Sono in pausa creativa.


Il tempo è cambiato!

Nubi e nebbia sui nostri monti.

Solitario ritorno lassù,

tra i fruscianti paleri,

per catturare il tramonto,

ma il sole non cè.

La solitudine non è messaggera

della pandemia

e delle sue paure,

non ci riguarda,

un po’ ci intristisce, ma,

a saperla prendere è buona.

 

Sono in pausa creativa,

ho soltanto impegni

con me stesso,

forse non vorrei scrivere più,

ma ricordare vivendo

gli amori di un tempo:

perché chi vive di ricordi

di nuovo s’innamora!

 

Certo è difficile

amare una donna

che non ci ama più,

e ancora più difficile

non amarla.

Rimane un po’ di miele

in quel che mi sussurri,

ma più dolce fu il bacio

che rubai alle tue labbra.

Si, c’è angoscia e dolore

nel non più essere amato,

se s’ama ancora,

ma è assai più doloroso

essere ancora amato

quando non s’ama più!

 

Nota biografica, (2022).


Carlo Groppi è nato il 3 settembre 1938 a Castelnuovo di Val di Cecina, in Toscana. Figlio di un operaio e di una mezzadra, all’età di quattro anni soffre la separazione dei genitori andando a vivere, per un breve periodo, con la madre, in un casolare sperduto sui “poggi di Castelnuovo”. Durante il secondo anno delle scuole elementari fugge dalla madre per andare ad abitare in paese con il padre ed i nonni. Dopo aver frequentato le scuole elementari ed il quadriennio delle Scuole Aziendali della Larderello SpA, inizia a lavorare nella grande fabbrica elettro-chimica di Larderello, e in questa fabbrica, dopo trentacinque anni di ininterrotto servizio, viene collocato in pensione. Groppi ha da sempre svolto una intensa attività culturale, sociale, politica ed amministrativa, ricoprendo incarichi di responsabilità a vari livelli, locali, provinciali e regionali, tra i quali quelli nel Partito Comunista Italiano, nel sindacato della CGIL, nell’Amministrazione comunale di Castelnuovo di Val di Cecina, nell’Associazione storica toscana di usi e costumi locali, nell’Associazione culturale “Il Chiassino”, nella Fondazione della Cassa di Risparmio di Volterra. E’ socio dell’Accademia dei Sepolti di Volterra e del’Associazione Storica Agapito Gabrielli di Massa Marittima. Instancabile “viaggiatore” ha percorso l’Italia e l’Europa, compresi Turchia ed Israele, coltivando importanti amicizie. Autore di numerosi volumi di storia locale e di saggi letterari, è collaboratore della rivista La Comunità di Pomarance, sulla quale ha iniziato, nel 1997, a pubblicare le sue prime poesie. A partire dall’anno 2007 son cominciate ad uscire, in tirature limitate, e stampate ad uso privato, le raccolte di poesie e prose, in nove volumetti: La cometa Swan, El poeta canta por todos, La vita larga, Viandante nella memoria, Grazie alla vita, Notte che sgorghi e ti dilati e, insieme alla poetessa Luciana Radi, nel marzo 2018, il volumetto in lingua francese “Nous sommes ici”, dedicato dall’Amministrazione Comunale di Castelnuovo di Val di Cecina, al Comune gemellato francese di Les Vans.  Nel novembre 2019 esce in 320 copie, rapidamente eaurite, “Poesie” con testi di Luciana Radi e Carlo Groppi. Infine, nell’ottobre 2021, “Non tutto morirò”, 21 poesie, di Carlo Groppi, in 364 copie, subito esaurite.

sabato 5 febbraio 2022

 



Un ricordo molto personale di Renato Bacci.

 

Renato Bacci è nato a Volterra nel 1948, io a Castelnuovo di Val di Cecina nel 1938. Quando lui aveva 8 anni io ero stato assunto come manovale dalla Larderello SpA e destinato all’Ufficio Geologico del Gruppo Minerario. Cambiando varie tipologie di lavoro ci sono rimasto fino al 1991. La mia vita, quattro anni di scuola aziendale più 36 anni in un ufficio, comprese attività culturali e sindacali si è svolta dentro una fabbrica, se pur tra oltre 2000 lavoratori e quasi un migliaio delle Ditte Appaltatrici. Ed anche sul finire degli anni ’80, quando sono diventato sindaco  di Castelnuovo, rimanendoci con vari incarichi fino al 1995, sono stato legato alla Fabbrica ed al mio Comune. Naturalmente avevo contatti con gli amministratori, i sindacalisti, i Responsabili della Sanità volterrana e zonale, ma, diciamo pure, secondari. Le mie due figlie sono approdate al Liceo Classico di Volterra e all’Istituto per Geometri, con brillanti risultati, e pur indirettamente sapevo chi erano i loro professori, tra i quali c’è stato anche, al Liceo,  Renato Bacci, considerato brillante e un po’ fuori dagli schemi dottorali. A questo proposito ricordo che a distanza di alcuni decenni, una sua allieva aveva mantenuto nei suoi confronti un bel ricordo e stima, che si palesarono pure in alcuni incontri. Non voglio svicolare nei miei ricordi personali con la città di Volterra, che risalgono alla fine degli anni ’50, quando con Mario, si veniva in motocicletta per incontrare due ragazzine. Ma, insomma, il mio legame con Volterra è stato forte ed antico, tanto che esso è confluito in un testo poetico ancora inedito dal titolo “Elegia Volterrana”. Infine, del tutto casualmente ed inaspettatamente, mi sono ritrovato, nel 1999, dentro  gli Organi della Fondazione della Cassa di Risparmio di Volterra, dove ho avuto la fortuna, per sei-sette anni, di frequentare e conoscere il professor Renato Bacci, con il quale ho stretto un importante rapporto di amicizia, stima, collaborazione, che sono proseguiti in tutti gli anni seguenti. Il nostro territorio “comune” era la coerenza, l’amore per Volterra, l’amore per la “classicità”, per la poesia, per il cibo e l’ammirazione per la bellezza femminile, ed anche la condivisione che si stava verificando di un lento impoverimento della città e dei suoi punti di riferimento. Renato era un “uomo libero”, mentre io son sempre rimasto legato ad un “partito” che non c’era più. Questa sua libertà, credo, abbia fatto si che il grande sapere di cui era custode, non si esplicitasse in pubblicazioni, nomine importanti, ma in “guide turistiche cittadine”, brevi articoli su Rassegna Volterrana, nessuna menzione nel Dizionario di Volterra e qualche conferenza tematica. Amava la cultura ed il turismo culturale e  così ha potuto godere di essere “la guida” in numerosi viaggi, in Italia ed all’estero. Adesso che è uscito un suo libro biografico, dalla sua nascita nel 1948 alla fine degli anni ’60, corredato da moltissime fotografie dell'amico maestro Damiano Dainelli, sappiamo molto di più della sua giovinezza e del legame profondo che lo univa alla città di Volterra, soprattutto a quella umanità tipica ed unica dei “volterrani”, quel mondo operoso e irripetibile, libertario e scanzonato, fatto di “soprannomi” e di contatti umani. Ed anche in questo mi sento a Renato molto legato, come, ad esempio, per i suoi contatti con amici cecoslovacchi che già coltivavo, ed all’amore per la Francia e Parigi ed i suoi caffè… E’ infine Renato che mi ha scritto il più bell’elogio per le mie poesie e per il Caffè Flora! Ultimamente devo a Renato la mia “ricomparsa” a Volterra, alla BAV, ed alla Libera Età, presentando in un clima gioioso, la mia raccolta di “proverbi licenziosi”!  Resta indimenticabile, dopo una di queste serate, la traversata del centro di Volterra, in una sera fredda, io, lui e Luciana e tutti sintonizzati idealmente e molto allegri! Grande amico, indimenticabile, ti rivedo in quell’ultimo sorriso e mi manchi tanto!

giovedì 3 febbraio 2022

 


RITRATTO DI UNA CONTESSA.

Si tratta di Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini, zia del mio antico amico Franz von Wesendonk. E la zia Lydia aveva posseduto (senza mai risiedervi) la grande tenuta di Bruciano di circa 1200 ettari, che si estendeva  nei Comuni di  Castelnuovo di Val di Cecina e Massa Marittima, acquistata  nel 1909 dagli eredi dei conti Ricciarelli di Volterra. Successivamente questa grande tenuta fu acquistata per la metà, circa 600 ettari (mentre l’altra metà era stata ceduta per il pagamento delle imposte) da Franz von Wesendonk, che venne ad abitarla, con la famiglia, nei primi anni ’50 del novecento, dopo la sua liberazione dalla prigionia in Russia a seguito della seconda guerra mondiale, nella quale, Franz, fu pilota di aerei. Nelle sue memorie Franz parla con grande rispetto ed amore della zia Lydia. Adesso la “Fattoria di Bruciano” è stata acquistata all’asta da un imprenditore lombardo, ma nessuno (tranne un “custode”) è mai venuto ad abitarla e la sua decadenza è palese.  Ebbene, nel 2020, è stato pubblicato un bellissimo volume, con molte illustrazioni, dal titolo “Ritratto di una CONTESSA, Lydia Caprara Morando Attendolo Bolognini”, di  pp. 112, nel quale si cita l’acquisto della Tenuta di Bruciano, mentre alcune fotografie sono state fornite dalla Collezione von Wesendonk. Tuttavia, al di là, di questo modesto particolare, che riesce tuttavia a costituire un legame tra il nostro territorio e tutti i possessi di Lydia e il suo ruolo di mecenate di importanti collezioni d’arte al Comune di Milano, il volume  ci offre  una storia affascinante. E si potrà richiedere a officinalibraria.net, costo di copertina 16 €. Ringrazio la mia gentile amica Emilia, per questo dono!