venerdì 28 luglio 2023

 

Piazza del Plebiscito - Castelnuovo di Val di Cecina (PI) Italia: si trova sul lato sinistro  di fronte all'apertura con arco rotondo a sinistra, e la poesia "Ricordi lontani, evanescenti..." si svolge  tutta lì!

 

Ricordi lontani, evanescenti.

 

Seduto nel luminoso mattino

di una bizzarra primavera,

quasi in perfetta solitudine

se non ci fossero i gridi

e i saettanti voli dei rondoni

sulle alte muraglie,

apro il libro dei ricordi lontani,

sempre più smilzo ed evanescente.

Ormai anche il mio tempo

si avvicina “al salto nel buio”

della morte e, dopo,

non c’è dato di sapere.

 

In questa antica Piazza del Plebiscito,

fin dal Medio-Evo cuore pulsante

di un Borgo arroccato,

chiuso da quattro porte,

qui, dove ora passeggio,

c’era l’unica fonte e cisterna

protetta da leggi severe,

e, al di sotto, i serbatoi

racchiusi da mura possenti.

 

La Piazza, la Cripta, la Scuola,

la Chiesa, l’orto del Prete,

un tempo cimitero,

un brulicar di vecchi, di monelli,

e di storie! Anche di amori,

e antiche memorie.

 

Sul lato Ovest s’apriva la “Voltola”,

un misterioso passaggio, coperto

e sterrato, sotto il pavimento della Chiesa,

intitolata al “Principale”, Gesù,

il Salvatore, che usciva alla Porta Santa!

Una ripida scala ci portava

all’interno di una grande navata

sormontata da un antico Cristo

crocifisso, molto venerato.

 

 

E qui ebbi anch’io,

in un solo rito, Cresima e Comunione,

dall’Arciprete Stanislao Menichelli,

un paesano di antica stirpe,

che aveva dimora fuori della Porta Santa.

Ma con la cattolica religione

non ho avuto feeling,

forse perché i miei genitori

si erano separati prima dei miei

cinque anni di età, pur avendo

sposato in Chiesa!

Del mio Battesimo

non ci son memorie.

 

Don Stanislao fu l’ultimo prete

castelnuovino di un’ultra centenaria storia;

ci si provò un altro, Claudio,

che quasi ordinato, lasciò la tonaca

per una bella ragazza, che sposò:

ma non rese i regali degli amici!

In compenso scrisse deliziosi sonetti

parafrasando Renato Fucini.

C’ero diventato amico!

 

Sul lato ad Est c’era la casa

di Chiapparicci e dei suoi figli,

Graziano e Vittoriano,

nomi benvisti dal Fascio dominante,

(ma per poco!)

Vittoriano, mio coetaneo,

ebbe vita breve per fulminante malattia

e volò troppo presto in cielo.

Ricordo di aver pianto!

 

Scendendo in Via dell’Indipendenza

c’era la casa dei Fabbri,

un caposonda con moglie e figlio,

Nardo, un po’ strano e intelligente!

 

Nato prima delle Leggi Razziali,

potevo benissimo esser registrato

Benito o Umberto o Galeazzo,

ma ebbi il nome Carlo,

un nome famoso ed anche neutro,

dato San Carlo ed anche Carlo Magno!

A Karl Marx nessuno pensava!

 

Prima dell’inizio

del grande altissimo muro,

c’era la casa di Alamanno,

che ebbe il figlio schiacciato

da un camion della Boracifera

presso la curva dell’antica ghiaccera!

 

Da quell’alto muro,

dove la vista spaziava

fino alle cime dei monti,

la Carlina e la Cornata,

si raccontava fosse precipitato

il Nangi, addormentato,

dopo una solenne sbornia,

restando quasi illeso,

sul duro selciato.

Forse restò un po’ zoppo,

ma superando i cent’anni di età,

fu pubblicamente festeggiato!

 

Scendendo dalla Piazza

in Via dell’Indipendenza,

si aprivano case abitate:

quella di Italo,

giovane ardimentoso

e capo banda!

La sua mamma,

la mitica “”Bruna”,

gestiva un Bar alla fine

di Via della Repubblica

prospicente il Piazzone,

dove tutte le storie

avean dimora!

 

Quella di Cirone, musicista,

e del mio babbo amico;

del cieco Orazzini, dei Raspi,

fino alla latteria di Milda.

 

C’era anche un forno

per il pane e le schiacciate,

ed un sarto, Egidio,

che dopo la morte

di mio nonno Dario,

rivoltò il suo logoro cappotto,

e ne fece per me uno nuovo!

 

Dalla Piazza del Plebiscito

si accedeva in Piazza Padella,

un luogo senza sbocco,

proprio ai piedi

dell’altissimo campanile.

 

Ci abitavano numerose famiglie,

quella di Nonno Chele, dei Nepi,

di Bazzino, di Leonida Grassini,

amico di mio zio Gino,

ed anche mio,

che ebbe vita avventurosa

navigando sulle petroliere.

Nella solitudine

della sua vecchiaia, gli procurai

un pasto caldo alla Mensa Comunale,

e lui, per ricompensa,

m’invitava in Corsica,

al Camping “Corsicana”,

tra i nudisti, inviandomi cartoline

di nude femmine bellissime!

Ma non ci andai, e me ne pento!

 

I Bucalossi, con i loro tre o quattro figli,

abitavano sul lato Ovest della Piazza,

nella ex Casa della Milizia Fascista,

non se la passavano troppo bene.

Ero amico e compagno di scuola

di Corrado. E’ ancora vivo

e a lui si deve un grande impegno

nella Confraternita di Misericordia

di Castelnuovo,

opera di un immenso bene!

 

 

Per gli amori ero troppo piccolo,

e il primo timido bacio

fu per Aurora, la francesina,

che abitava in fondo alla Chioca,

 a pochi passi dalla mia casa nel Borgo.

 

Pure Normina mi piaceva tanto,

ma il suo ricordo, oltre il nome,

è svanito; e più non sò

se sia morta o viva!

 

Quasi tutto il Borgo Antico è sparito:

cani e cristiani, ciuchi e maiali,

e vecchi cantastorie come Pocchio,

e musicanti e gonnelline corte

e ginocchi sbucciati, stente vigne depredate

e castagne rubate, e il suon delle campane,

il lavatoio

per le ciarle delle donne,

e l’abbeveratoio per i somari:

un mondo intero irripetibile

è svanito.

 

In quello di oggi non restano

che evanescenti ricordi

e sogni mossi dal vento,

negli stretti vicoli!




mercoledì 19 luglio 2023

 ULYSSE.

 

 

James Joyce, scrittore irlandese (1882-1914), dopo aver scritto un piccolo libro di poesie, una raccolta di novelle ed un saggio autobiografico, mise mano all’Ulysse, ardito romanzo psicologico nel quale l’Autore applicò una nuova tecnica narrativa. Così stava scritto sulla “Piccola Enciclopedia Mondadori” (PEM) che mi fu regalata nel 1954.  Una sera del 2009, mesto mesto, riportavo il romanzo, non letto fino in fondo, alla Biblioteca Comunale. Per la strada mi venne voglia di aprirlo e leggere qua e là, alla poca luce e senza occhiali. Mi pentii subito di restituirlo, anche se da sei mesi non riuscivo a superare la duecentonovantatreesima pagina (con qualche capatina oltre la cinquecentesima)… uno degli ultimi tentativi dopo una serie di altri innumerevoli insuccessi… Credo di aver fatto bene  a non arrivare fino in fondo a questo libro meraviglioso, rigenerante, perché mi rimase sempre qualcosa da desiderare e da sperimentare.

 

 

Vien giù la rugiada.

Non fa bene, mia cara,

star seduti su quella pietra.

Provoca perdite bianche.

Avrei voluto essere la pietra

su cui sedevi,

anche a rischio per le emorroidi.

Piccolo tesoruccio,

non sai quant’eri carina!

Cominciano a piacermi

a quell’età. Mele acerbe.

Afferrano tutto quello che capita

sottomano.

Penso che è l’unico caso

in cui noi incrociamo le gambe,

stando a sedere.

Anche alla Biblioteca oggi:

quelle laureate,

beate le seggiole che l’hanno accolte..

Ma è l’influsso della sera.

Sentono tutte queste cose;

si aprono come fiori,

conoscono le ore,

girasoli, carciofi di Gerusalemme,

nelle sale da ballo

lampadari, viali sotto i lampioni,

violacciocca nel giardino

dove la baciai

dietro l’orecchio.

Vorrei avere un bel quadro

a olio di lei a quel tempo,

figura intera.

Era anche estate

quando le facevo la corte.

L’anno ritorna, la storia

si ripete.

Picchi e montagne

ancor sono tra noi.

Vita, amore, viaggio

intorno al piccolo mondo.

E ora? E  lei? Triste,

angosciata, naturalmente,

ma occorre stare in guardia

e non intenerirsi troppo.

Ne approfittano quasi sempre.

Un’altra volta,

su quel pezzetto di sabbia.

Si scendono quattro scaloni.

La musica ti arriva alle spalle,

quando non te l’aspetti,

l’onda si quieta

nella striscia del faro.

Siamo fuori stagione.

Ettore Socci, ossia,

la sua bronzea testa,

sempre là,

nel giardinetto spoglio.

Sono contento che rimanga,

anche dopo che sarò morto.

Lui c’era e dei baci

non lo saprà nessuno.

Certo non lo dirò proprio ora.

Mi chino e rivolto

un pezzo di carta sulla spiaggia.

Me l’avvicino agli occhi

miopi e la scruto.

Una lettera? No, illeggibile.

Meglio avviarsi. Meglio.

Ho le gambe indolenzite,

le sere sono frigide,

alla mia età. Circolazione?

Tutti questi buchi

e sassolini, chi ce la farebbe

a contarli?

Non si sa mai quel che si trova.

Bottiglia

con dentro la mappa di un tesoro;

gettata da nave alla deriva?

Involucro di pacco postale?

I bambini vogliono sempre

buttar roba in mare.

Fiducia? Pane gettato

sull’acqua se lo contendono

uccelli bianchi.

 Che cos’è questo?

Un pezzetto di legno. Rosso

stinto.

Oh! Mi ha proprio sfinito

quella femmina.

Non son più giovane.

Mio zio s’addormentava

tra due, diceva. Forse.

Non son più giovane.

Tornerà qui d’estate?

Aspettarla per l’eternità

al riparo della duna?

Devo tornare.

Gli assassini lo fanno.

 E io?

Qui la marea non sale,

inutile, non sale. La luna

è debole, o, forse,

l’acqua non basta?

Anche l’onda sembra stenta.

La camicia rossa,

il pube verginale intatto.

Vietato depilarsi, solo

ai bordi, un pochino.

Quelli più lunghi, ribelli.

Non son più giovane

e la salsa umidità mi bagna.

No, non è pianto. Davvero.