giovedì 28 maggio 2020





MENOPEGGIO

La democrazia costituzionale nel XXI secolo.

Autore: Tania Groppi
Editore: Il Mulino <(www.mulino.it> - 2020 (€. 32,00)


Cosa sta accadendo alla democrazia costituzionale nel nuovo millennio? L’illusione che, dopo il 1989, si sia aperta una fase di illimitata espansione in tutti i continenti è tramontata. A trent’anni di distanza, si è di fronte a un arretramento, che pare investire sia i paesi che hanno vissuto recenti transizioni democratiche, sia quelli di democrazia consolidata. In più, emergono nel mondo nuovi potenti competitors, Stati non democratici che vantano risultati significativi quanto a sviluppo economico ed efficienza dei processi decisionali.
Insomma, le democrazie non possono più dormire sonni tranquilli, appoggiandosi su una legittimazione percepita come inscalfibile da parte dei loro cittadini. Il volume, raccogliendo alcuni contributi degli ultimi quindici anni – basati, oltre che sull’attività di ricerca, sull’esperienza internazionale di insegnamento e di consulenza dell’autrice – cerca di fornire una risposta a tale domanda, nella convinzione che la democrazia costituzionale del Secondo dopoguerra sia la migliore (o la meno peggio) forma  di reggimento di cui l’umanità abbia fatto esperienza, o, comunque, la migliore (o la meno peggio) storicamente disponibile in questa epoca.

Tania Groppi è professoressa ordinaria di Istituzioni di diritto pubblico nell’Università di Siena, dove insegna anche Diritto comparato. Ha diretto e dirige progetti di ricerca, nazionali e internazionali, sulla giustizia costituzionale, la democrazia costituzionale, il dialogo tra le corti. Ha partecipato ad attività di Institution building in Irak, Repubblica democratica del Congo, Tunisia. E’ autrice, tra l’altro, dei volumi “Il federalismo”  (Roma-Bari, 2004); “Canada” (Bologna, 2007); “Le grandi decisioni della Corte costituzionale italiana” (Napoli, 2010) e curatrice di “The Use of Foreign Precedents by Constitutional Judges” (Oxford, 2013, con M.C. Ponthoreau) e “Tunisia. La primavera della Costituzione” (Roma, 2015, con I. Spigno).

sabato 23 maggio 2020


Ecco il famoso caffè che porta il nostro cognome: 
Groppi!

CAIRO: Nel 1884, Giacomo Groppi (1863-1947) 
venne dalla Svizzera  in Egitto, dove avrebbe fondato una famosa industria 
alimentare con il nome di famiglia.
 
Nel 1890, Groppi arrivò ad Alessandria, 
dove costruì un gran numero di negozi.
 E all'inizio del XX secolo (1909-1925) stabilì tre caffè 
al Cairo, che portano ancora il suo nome.
 
Il caffè più famoso si trova in Talaat Harb Square, 
nel centro del Cairo. Questo posto era il preferito 
dell'alta borghesia in Egitto, 
e alcuni lo consideravano il caffè più lussuoso del mondo.
 
Il leggendario "Groppi Talaat Harb" è situato nel cuore 
della capitale egiziana ed è stato fino a poco tempo fa meta 
di molti visitatori prima di essere chiuso per manutenzione e restauro.
 
“Siamo venuti negli anni '50 al Groppi Garden 
ogni mattina per mangiare cornetti freschi. 
Ricordo ancora il gusto di oggi ", ha detto Shafiq Nakhla, un architetto.
 "I prodotti Groppi erano migliori 
di quanto non fossero a Parigi in quel momento".
 
“Nessuno poteva competere con Groppi. 
Abbiamo potuto vedere la classe aristocratica 
che sembrava andare a una festa che discendeva 
da una Rolls-Royce o una Cadillac indossando 
i migliori cappelli e cravatte ed entrando in Groppi. 
"Le donne indossavano abiti eccezionali", ha detto Shafiq.
 
"Ho appreso da mio padre che molti dei personaggi 
avevano i loro posti, tra cui il giornalista e poeta Kamel Al-Shennawi, 
così come lo scrittore Tawfiq Al-Hakim 
e il premio Nobel Naguib Mahfouz, che hanno letto i giornali", 
a detto Mustafa, uno dei camerieri senior.
 
"Ho anche sentito che durante la seconda guerra mondiale 
gli uomini dell'ottava armata britannica visitavano 
spesso Groppi in Adly Pasha Street,
 incluso il generale Montgomery, 
che era in visita per godersi le serate di jazz 
nel giardino", ha detto Mustafa.

giovedì 21 maggio 2020

Carole King’s Pandemic Performances From Home Are Beautiful


Nel caso abbiate perso il promemoria: 
Carole King è una leggenda assoluta. 
La cantautrice ebrea di New York, 
che ha rivoluzionato il mondo della musica 
con i suoi brillanti testi e la sua voce incredibile 
- e che ha scritto e co-scritto 
più di 100 canzoni migliori del tabellone 
per le affissioni - è ancora feroce e stimolante 
a 78 anni come non lo è mai stata. 
(Non che abbiamo mai avuto dubbi al riguardo!)
E ora, la musicista ebrea 
(e la mamma di quattro figli)
 sta usando i suoi incredibili doni 
per portarci un po 'di luce 
e bellezza durante la pandemia 
di coronavirus.

·               
·          
Just in case you missed the memo: Carole King is an absolute legend. The Jewish songstress from New York, who revolutionized the music world with her brilliant lyrics and incredible voice — and who has written and co-written more than 100 billboard top songs —  is still just as fierce and inspiring at 78 as she ever was. (Not that we ever had any doubt about that!)

And now, the Jewish musician (and mom of four) is using her incredible gifts to bring us some light and beauty during the coronavirus pandemic.

Since the shelter-in-place orders began, King has been recording videos of her gorgeous songs, changing the lyrics to reflect our current reality. Each video starts with a sweet message from King. Now, I’ve never been fortunate enough to see this legend perform live, but there is something so sweet and human and touching about these messages — she looks directly at the camera and even though we know she’s at home, it truly feels like she’s talking to all of us.

These spoken messages are enough of a gift — dayenu!  But then, she belts out her songs and it is just transcendent. Her vocals give me chills, and, yes, at times, they have even made me cry.

She started the series of in-home performances on March 30, with “So Far Away,” from her iconic second studio album, “Tapestry.” It’s a song that, just as it was written, truly captures how hard it is to be distanced from our loved ones right now. That’s true even for those of us who may live in very close proximity to their extended family or BFFS, but, thanks to social distancing, they all feel oh so far way.
Nonetheless, King gave her new version a special 2020 touch: She changed the lyric “Doesn’t anybody stay in one place any more?” into “Everybody has to stay in one place any more.”
Watch it and prepare to be moved — and don’t miss the beautiful silver menorah behind her!

 
In a second performance, King starts by talking about how she’s thinking of all those who have died, and all those who have lost a loved one at this time, and about how sorry she is.
“I sometimes don’t know how to express myself in words, but I can often find the song,” King says, and sings a song from the movie A League of Their Own, called “Now and Forever.” She sings, “I miss the tears, I miss the laughter,” and it is enough to give anyone goosebumps:

 
In another video, King is wearing a beautiful blue colorful scarf as she sings “Home Again,” also from Tapestry. “I’ve got a song on my mind. It’s a song with a lyric that isn’t really germane to our situation right now, at the time it’s being recorded, we’re all staying home, but I thought I’d have a little fun with the lyrics.”
She adds: “I also want to take this opportunity to thank all the people who are going into a job every day or every night or both to keep the rest of us going, it means so much, and thank you, just from the bottom of my heart, and I know you all join me, if you’re not one of these people. If you are one of these people, stand back and accept our thanks and take a break for a second — just feel the love.”
I can’t imagine a more perfect message — you can really see that it comes directly from her heart. And then, King opens the song with some updated lyrics: “Sometimes I wonder if we’re ever not gonna be home again.”
King ends the video by saying, “Take care of yourselves, and take care of each other.” And just in case you’re not a puddle on the floor after hearing her sing this song, King also tells us all “I love you” in a way that is so moving and disarming.

Of course, King also gave us a cover of “Beautiful,” dedicated to everyone feeling isolated right now. “If you live alone and feel alone, you are not alone, in your solitude you are making the world safer and better and you are helping others,” she says. “And we are so grateful, we want you to remember that you are resourceful, you are strong, and you are beautiful.”
Then she belts out her most iconic song:

And you are beautiful too, Carole! Thank you for sharing with us your earnestness and the gorgeousness that is your voice.

martedì 19 maggio 2020

LARDERELLO, 1956.
Ho una foto originale. Gennaio 1956, a Castelnuovo, dopo un pranzo alla Locanda Roma per festeggiare il pensionato signor Bernardi. E' praticamente tutto l'organico del Settore Minerario della Larderello SpA, anche se mancano: Renato Burgassi, Mila Bruscoli, Dante Fontanelli, Lando Cellai, Maria la rabdomante...tra quelli che io ricordo, dato che entrai all'Ufficio Geologico di quel Settore nel febbraio dello stesso anno! Da sinistra a destra: Soldateschi, Rombai, Cigni, Calamai, Guelfi, Foderi, Agazzi, Giovannoni, Salvadori, Niccolini, Brunetti, Vidali, Dell'Agnello, Mezzetti, Battini, Tanzini, Boddi. In primo piano il festeggiato Bernardi e al suo fianco il Capo del Settore, ing. Contini. Questo Settore, che comprendeva tutto il Parco Sonde e il Magazzino, lo chiamavano "il glorioso Reparto"!
Susanna Mattiangeli

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Emergenza vs. normalità: una dicotomia inevitabile? 
A proposito di COVID e dintorni

Stato di emergenza

La parola “emergenza” ha costellato le nostre giornate nell’epoca del
Coronavirus. E con ragione. Infatti, il 31 gennaio 2020 il Consiglio dei
ministri ha dichiarato lo “stato di emergenza”, dopo che il giorno
precedente l’Organizzazione mondiale della sanità aveva affermato che
“ the outbreak of 2019-nCoV constitutes a Public Health Emergency of
International Concern”.

Che cosa sia un’emergenza è intuitivo, lo abbiamo visto all’opera nelle
nostre vite: qualcosa di improvviso e sconvolgente, che ci porta fuori dalla
“normalità”, cioè dalla “ordinarietà”, dalla “regolarità” delle cose,
introducendo elementi di a-normalità, dis-ordine, stra-ordinarietà, ir-
regolarità.

La stessa etimologia della parola italiana (e inglese), dal latino e-mergere,
composto di e (fuori) + mergere (affondare, tuffare), ci mostra che
l’emergenza è qualcosa che viene a galla, che spunta fuori.
L’emergenza porta con sé un corollario di altre situazioni e parole:
l’urgenza (con tutto il suo connotato semantico di “incalzare”, “premere”:
urgere), la necessità (con la sua carica di inevitabilità: nec-cessum),
l’eccezione (anch’essa con il senso di “trarre fuori”: excipere).
Insomma, l’emergenza è una situazione di fatto, un accadimento o un
insieme di accadimenti che fuoriescono dall’ordinario, che capitano
improvvisamente. Potremmo dire: è un in-previsto.
Ma va subito aggiunto: un imprevisto che non reca con sé niente di buono.
Anzi: sono guai.

Previsione e precauzione

Da sempre, gli esseri umani - e le società assai sofisticate ed evolute che
essi formano – cercano di “pre-vedere” (cioè “vedere prima”) gli
accadimenti, in modo tale da farsi trovare “pre-parati” (prae-parare: avanti
+ apparecchiare) o “pronti” (promptus: promere, mettere fuori). Si tratta di
un’esigenza antica, legata com’è alla stessa sopravvivenza della specie: chi
è in grado di “pre-vedere” un fenomeno può “arrivare prima” (cioè prae-
venire). Insomma, ha una “marcia in più” rispetto agli altri, grazie alla
quale accresce le possibilità di sussistenza sue e della sua stirpe.

Il tentativo di prevedere gli avvenimenti per millenni si è intrecciato con il
sacro e il soprannaturale. Ha rappresentato uno dei principali desideri
umani, strettamente collegato all’immortalità. Ah, la famosa palla di
cristallo, per conoscere il futuro! Potremmo persino leggere la storia
dell’umanità come un percorso di accrescimento di questa capacità di
“prevedere”, finalizzata a “prevenire” accadimenti negativi, per
neutralizzarli, o addirittura per trarne benefici. Gli sviluppi della scienza ci
hanno dotato di strumenti sempre più sofisticati di previsione degli
accadimenti naturali e persino nelle scienze sociali sono stati messi a punto
indicatori per prevedere i comportamenti umani e le loro conseguenze. Un
vero e proprio nuovo principio, detto di “precauzione” è stato forgiato, e si
è iniziato a parlare, in molteplici campi, di “mitigazione dei rischi”.
L’emergenza, insomma, si determina quando, per qualche ragione, il
meccanismo del “prae” non funziona e un accadimento (negativo)
imprevisto ci piomba addosso. Possiamo (nel senso di “sappiamo”)
prevedere, più o meno, sulla base dell’esperienza, quanti saranno, il
prossimo anno, i casi di tumore al seno, o gli incidenti stradali che
implicano danni cerebrali, o quanti bypass coronarici saranno richiesti, ma
non possiamo-sappiamo prevedere un’epidemia. O, almeno, stavolta non
abbiamo potuto-saputo farlo.

Gli imprevisti tra fatto e diritto

Di fronte a una situazione “imprevista”, come davanti a una incalzante
domanda, ecco allora scattare l’esigenza di risposte, anch’esse
“impreviste”.
Al mondo delle risposte appartiene il diritto. In queste settimane sulle
nostre vite, ben più dei fatti (riconducibili, nel caso di una epidemia, a
malati e morti, spesso ridotti a crude cifre, per chi non sia stato colpito
direttamente o nei suoi affetti), ha inciso il diritto. Un profluvio di
provvedimenti normativi che, come una ragnatela a maglie sempre più
strette, è calata sulle nostre vite, imbrigliando i nostri comportamenti,
orientandoli e determinandoli fin nei minimi dettagli.
Superato il primo momento di stupore di fronte a tanta e così dettagliata
produzione normativa (si è preteso di regolare abbracci, starnuti e finanche
gli sbadigli), va però detto che non c’è niente di nuovo sotto il sole. Nel
senso che il diritto, come regola di condotta delle (e per le) società umane,
è sempre una reazione ad accadimenti. In questa relazione con i fatti sta
l’essenza stessa del diritto, la sua vera e propria giustificazione, almeno da
quando si sono affermate le concezioni contrattualistiche del legame
sociale. Ciò è ancora più importante, anzi, è essenziale, quando il diritto
venga ad incidere sui “diritti”, cioè sulle libertà dei consociati:
nell’adeguatezza ai fatti sta la ragionevolezza delle norme giuridiche.
In sostanza, la stra-ordinarietà dell’emergenza non muta l’ordinario
rapporto tra fatti e diritto.

I principi della democrazia costituzionale

In questo trovo che i nostri costituenti siano stati assai perspicaci. Essi
hanno coscientemente (come ci mostrano i lavori preparatori) evitato di
prevedere risposte eccezionali per situazioni di emergenza. In particolare, a
differenza di molti altri, hanno evitato di introdurre clausole derogatorie o
sospensive per i diritti e le libertà.
In altre parole, i diritti possono essere limitati, anche in situazioni di
emergenza, così come in quelle di “normalità”, sulla base di principi
cardine delle democrazie costituzionali. Innanzitutto il principio di legalità
(rule of law), ovvero con l’intervento di norme primarie, nel rispetto della
separazione dei poteri, della trasparenza dei processi decisionali, della
giustiziabilità degli atti. Quindi la proporzionalità: le misure adottate
debbono essere finalizzate a risolvere l’emergenza e debbono essere
proporzionate rispetto alle situazioni di fatto, limitando nella misura
minima necessaria i diritti che sono coinvolti e senza toccarne il nucleo
essenziale. Infine la temporaneità: le misure di emergenza debbono
rimanere circoscritte nel tempo, essendo collegate alle situazioni
straordinarie che ne sono all’origine.
I costituenti peraltro non hanno ignorato l’eventualità di un’emergenza,
stabilendo, nell’articolo 77 della Costituzione, una procedura che consenta
una risposta rapida per situazioni di “straordinaria necessità ed urgenza”,
tramite uno strumento normativo ad hoc, il decreto-legge, che dà al
governo la possibilità di intervenire con immediatezza, senza tagliare fuori
il parlamento, cioè l’organo direttamente rappresentativo della volontà
popolare.
Possiamo (e dobbiamo) a questo punto precisare quanto detto. Nel nostro
ordinamento la straordinarietà di eventi imprevisti può ben richiedere
risposte proporzionalmente straordinarie, per un tempo limitato, da adottare
nel rispetto delle procedure previste dalla Costituzione.

Emergenza e risposte ragionevoli

Entro queste coordinate, che costituiscono un presidio sia in termini
democratici che di garanzia dei diritti, la risposta (cioè il diritto) dipende
dalla domanda (cioè dal fatto). Perché, al di là del comune carattere di
“imprevisto”, ogni emergenza pone esigenze differenti: non si può fare di
ogni erba un fascio.
L’emergenza che ci siamo trovati a vivere, anzi che stiamo vivendo, è
radicalmente diversa, ad esempio, da quella che può insorgere a seguito di
minacce terroristiche, oppure di calamità naturali come terremoti o tsunami
o, ancora, di una repentina crisi finanziaria.
Da un lato, siamo di fronte a una minaccia che tocca non soltanto un
interesse pubblico, ma uno specifico diritto, quello alla salute, riconosciuto
come tale a livello internazionale e nazionale, strettamente collegato con un
diritto considerato come assoluto (ovvero non bilanciabile con altri), cioè il
diritto alla vita.
Dall’altro, alcune delle decisioni politiche finalizzate a garantire tale diritto
(non tutte: ci sono anche obbligazioni positive, cioè di fare: costruire
ospedali, assumere medici, acquistare respiratori, distribuire mascherine,
intervenire a sostegno dell’economia, prevedere sussidi ecc.), quelle volte a
ridurre il rischio di contagio, possono essere valutate, nei loro contenuti,
soltanto in riferimento a conoscenze scientifiche che restano al momento
assai contraddittorie e limitate.
Insomma, come tutti gli accadimenti tra i quali gli esseri umani si trovano a
destreggiarsi, su questa terra, anche quelli imprevisti (cioè emergenziali)
richiedono risposte ragionevoli: richiedono cioè che il lumicino della
ragione non si spenga nemmeno di fronte ai forti venti contrari, col loro
turbine di paure e incertezze che li accompagnano. Anzi, proprio in questi
momenti è più necessario che mai che resti acceso e continui a guidare i
decisori politici e in definitiva il comportamento di noi tutti.

Tania Groppi
Professoressa ordinaria di istituzioni di diritto pubblico
Università degli studi di Siena

lunedì 18 maggio 2020




Ricordo del mio incontro con un Papa.

San Giovanni Paolo II, il Papa polacco, del quale oggi si celebra il Centenario della nascita, venne  a Volterra il 23 settembre 1989



in visita pastorale. Fu un avvenimento eccezionale che rendeva anche omaggio al radicamento del cristianesimo nella città, e ciò non deve stupire se il secondo Papa, il successore di  Pietro, fu proprio un volterrano:  Lino, figlio di Herculanos della famiglia dei Mauri (in etrusco Murria). (poi San Lino, patrono di Volterra). Ma Volterra annovera tanti altri Santi e Sante, compresi quelli che prima del Mille evangelizzarono tutto il grande territorio volterrano, erigendo le Pievi Matrici e facendo di Volterra una Diocesi ricca e vastissima, della quale le vestigia non sono ancora scomparse. Come tutti i Sindaci dei Comuni della Diocesi ed altre personalità, fui invitato anch’io a questa cerimonia che registrò una eccezionale partecipazione popolare.

Naturalmente gli incontri si limitarono ad una stretta di mano e ad una breve frase, introdotta dal Vescovo  Bertelli, mio carissimo amico, che, conoscendo le mie idee politiche, mi presentò con particolare calore e, forse un po’ di ironia!

Ci scattarono alcune foto e le mie tre sono molto significative. In una c’è la presentazione e il Papa mi porge la mano aperta, nella seconda il Papa mi stringe la mano e nella terza, mentre mi allontano, il Vescovo deve aver aggiunto  qualcosa che fa sorridere il Papa!

Per dire la verità, mi ero avvicinato alla Chiesa Cattolica, al tempo del Papa Roncalli, Giovanni XXIII, il quale  in una delle sue encicliche aveva finalmente liberato tutti  gli iscritti al partito Comunista Italiano, dalla famosa “scomunica” di Papa Pacelli, facendo una distinzione netta tra “errore” ed “errante”. L’errore, cioè l’ideologia marxista, veniva condannata, ma “l’errante” era proprio una figura amata, e da rispettare.





LETTERE

Le corrispondenze letterarie e d’amore di artisti, poeti, letterati, italiani e stranieri, mi hanno sempre affascinato. Anche quando non riuscivo a comprenderle. Tra le varie forme di scrittura alle quali mi sono dedicato, la lettera scritta è stata per me una delle principali. Non a caso raccoglievo tutte le emissioni filateliche del Giappone, dedicate appunto, ogni anno, alla “settimana della lettera scritta”. Oggigiorno credo che questo tipo di “letteratura” stia del tutto scomparendo, o quasi, soppiantato dalla scrittura elettronica  e dalla viva voce. Probabilmente anche dal fatto che non c’è più nulla da  dire di veramente importante! Io ho iniziato presto ad inviare e ricevere lettere. Diciamo pure  da quasi 70 anni! Di epistolari completi  andata e risposta, ne ho conservati una ventina. Uno di essi copre un arco  temporale di  63 anni ininterrotti, e la mia amica aveva disposto che alla sua morte la nostra corrispondenza fosse riunita! E proprio uno dei suoi figli è venuto da Zurigo a portarmi il grande scatolone! Adesso che la memoria comincia ad essere lacunosa, queste lettere mi sono utili per ricostruire la storia della mia vita, ed anche per mettere insieme quella indispensabile “cronologia” che accompagnerà il mio lascito, un Canzoniere 1952 - 2020, di oltre 1300 pagine. E stamattina, riprendendo in mano le lettere di Goethe a Charlotte von Stein, diciamo pure, tra i suoi tanti amori, quello più profondo e durevole,
leggo  ciò che il poeta ebbe ascriverle lunedì 23 dicembre 1815:

“…Tu nascesti nel giorno del natale di Cristo
e mi nacque in quel giorno  anche il mio diletto Augusto.
Lascia che io ti saluti, in questo giorno del freddo inverno
con un dolce presente che addolcisca la lontananza a me
che, come sempre,
quando mi manca il sole
in solitudine, amo, soffro ed imparo.

sabato 16 maggio 2020





Gigolette.

L’assenza di contatti  sociali, politici, di scambi creativi, di relizzazione di progetti sul territorio, dei piccoli impegni per  conferenze all’Oratorio di Montecerboli o con le Associazioni della Libera età o Culturali, mi porta, sempre più frequentemente, a guardare dentro me, ai ricordi della adolescenza e giovinezza, all’inizio dell’attività di lavoro dentro una grande industria, con migliaia di uomini e donne, a quell’intreccio di poesia, lavoro, amore, impegno politico, che mi ha accompagnato fino a pochi anni or sono. E dentro me, sempre più nitide, riemergono, le immagini dei miei cari (nonna e babbo, e cugine), ed anche di ragazzine che non so’ se saranno ancora vive, perche tanto tempo è passato da quegli amori  “a solaio”, ma che non ho scordato. E poi la musica, che era troppa per le mie giovani orecchie, che mio padre, dal clarinetto alla fisarmonica, spandeva in tutta la nostra piccola casa. Arrivavano di tanto in tanto gli spartiti delle canzoni che il babbo imparava a memoria per suonarle nell’orchestrina “Stella d’Argento” nei veglioni paesani e, più volte, nelle veglie  nei poderi vicini, alle Magrine, nella Casetta del Campolungo, al Gallinaccio… o da Ciccina e dall’Orba.  Così ne ricordo ancora qualcuna, come, ad esempio, Gigolette, un dolce valzer, che andava di moda nel 1951 o 1952, dove si parlava di un’amore, di un lampione, di un fiume, la Senna, e di una città, Parigi, che io non sapevo nemmeno dove fossero! Ed oggi l’ho cercata su google e l’ho ascoltata con emozione dalla voce di Gino Latilla, da in vecchio 78 giri! E allora metto due poesie per mio padre, che nato nel ’15 e morto nel ’85, adesso avrebbe 105 anni!

Stella d’argento
                 
         a mio padre

Dicono che le stelle
svaniscono nel cielo,
ma tu sei eterna
ed eterna la mano
che ti sfiorava
magica fisarmonica,

eterno il tuo sorriso
e l’aria tiepida
nella sera quieta.
Noi siamo quegli eterni
fanciulli, d’amor pieni
e di paura, quelle
tenere carni immortali
che furono, quei
primi baci sotto
la pergola dell’uva,
acerbi, com’era acerbo
l’amore che ci avvinse
in quelle note
inconsapevoli,
maledettamente
malinconiche,
che non ti stancavi
di suonare.

Noi siamo eterni.

Le quattro stagioni.
                    
                   a mio padre.

Primavera tempestosa e lietamente,
rese i tuoi giorni colmi di passione;
la musica fu l’amante e quasi un Dio,
che ti aprì ogni còr fremente.

Venne l’estate: la follia della gran calura,
la guerra, la morte, la fatica del lavoro e la paura;
l’amor perduto e quello verginale che più
non isperavi, t’innalzarono alle stelle
che nel nuovo cielo di libertà e speranza,
brillavano d’argento sulla rossa bandiera;
e dentro donna, giovani occhi neri.

Autunno, ti dette, col suo quieto ardore,
i frutti saporiti dell’Eden,
mai conoscesti stagione così bella,
di rinnovata speme e di leggiadre spose:
 e a Sant’Alberto,
dal Babini, la rossa Marina.

Ti regalò le languide note
sulla madreperlacea tastiera,
in quella piccola stanza, aperta
sulla palma, il roseto e sui cameli,
mentre con tuo stupore
anch’io crescevo.

Oh! l’inverno! Ti dava l’amicizia
di un cane, e di ragazzi una schiera
attenti a quelle note del clarinetto
piccolo si bemolle e di Rossini
                            la Cenerentola:
un licor che ogn’anima ammaliava.

E c’era lei, padre mio, la fanciulla bionda,
che i suoi primi baci non mi negava.

Poi venne il freddo d’un Natale e cancellò
le note e i palpiti del cuore,
all’improvviso fu silenzio,
e come a tutti accade, vinse il Male.