domenica 31 agosto 2014




Buon Compleanno Spalletta!

Dal  1984 ad oggi (2014) un settimanale sempre presente nella cronaca volterrana, nella buona e nella cattiva sorte. Trent’anni non sono pochi e ormai il settimanale corre verso il “documento storico”, quel documento che servirà, alle future generazioni, a comprendere le loro radici forse meglio di strumenti didattici e rievocativi. Si, per la maggior parte c’è la cronaca minuta, condita dagli antagonismi, picche e ripicche del sanguigno cuore volterrano, quella che piacerebbe agli storici della scuola francese, ma ci sono anche cronache di maggior spessore, le realizzazioni, le ansie e il progredire della società cittadina, e, perché no? di tutto il territorio che le fa corona. Non ho mai storto il naso di fronte alla Spalletta, anzi il più delle volte  m’ha aiutato a svolgere il mio lavoro ed a capire gli umori che fermentavano nell’humus della sua antica e grande civiltà. Senza far torto a nessuno non citerò  nomi,  ma della Spalletta, oltre a molti numeri completi, ho ritagliato e archiviato tantissimi pezzi pregevoli sia di studiosi, che di personalità importanti, come di semplici cittadini. In più posso consultare nell’emeroteca della Biblioteca Guarnacci la collezione completa, che si unisce e tramanda la gloriosa stampa volterrana dall’Ottocento ad oggi!

Sono contento di aver scritto qualcosa anch’io sul settimanale, piccole notiziole di paese, cronache della Resistenza, e biografie di persone che non solo hanno combattuto per la Libertà, ma che per essa hanno dato la vita. Tengo inoltre caro l’almanacco per il 1991 La SPERANZA, un volumetto prezioso nella sua semplicità, redatto dai pionieri Giovanni Batistini, Giorgio Gazzarri, Carlo Lazzeri e “dalla già esperta Sandrina”, che con loro collaborava, attendenone un altro prima possibile! Grazie Spalletta e Auguri. (carlo groppi).

venerdì 29 agosto 2014





Carlina.

Carlina, è il diminuitivo del nome Carla, ma è anche il nome di un monte, “La Carlina”, di quasi 900 metri di altezza,  posto proprio sul fronte est del Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina. Per la verità questo monte mostra a noi l’aspetto più tipico, riconoscibile da grandi e piccini, cioè le natiche perfettamente modellate, si pensa di una donna, naturalmente! Ma il suo nome non è derivato da una mitica dea “Carla”, bensì da una pianta selvatica,  che nel medioevo veniva legata sulle porte delle case, insieme ad altri arboscelli spinosi, come l’agrifoglio, e il pungitopo,  per non permettere l’ingresso al maligno, in tutte le forme nelle quali esso amava allora presentarsi. Questa pianta spinosa cresceva in abbondanza sui pianori e nei sodi della montagna. Era dunque considerata come un antidoto a streghe e stregoni e altre presenze diaboliche i cui nomi si riscontravano e si riscontrano ancora a indicare monti, fossi e luoghi vari del nostro territorio: Aia dei Diavoli, La Stregaia, Le Calaferne, l’Infernaccio, Valle del Diavolo, ecc. ecc. Nelle campagne, nel basso medioevo, in quello che veniva chiamato il feudo del castello Poggio ai Corvi, in quel di Vecchienne ( Volterra), oltre al pungitopo, venivano inchiodate sulle porte le civette, accusate di essere portatrici di sventure. Tali rituali non erano soltanto un antidoto contro streghe e stregoni, ma proprio contro il maligno detto anche Ghiavolo che si aggirava per le campagne sotto mentite spoglie. Un’altra  storia ci dice che la Carlina è una specie di cardo selvatico di media montagna,  senza fusto, che cresce con un capolino radente al suolo, da cui si irradiano a stella le foglie spinose.  Delle circa venti qualità che si conoscono, ce ne sono alcune di cui si mangia la base del capolino, come si fa con i carciofi. Il termine deriva da “cardo”, ma è alterato in “carlina” per accostamento al nome di Carlo, e sembra derivare proprio da Carlo Magno. In effetti, un’antica leggenda narra che questo imperatore, in viaggio verso Roma, si trovasse a passare con il suo esercito, decimato dalla peste, vicino al massiccio del monte Amiata, o, secondo altri, al massiccio delle Cornate di Gerfalco. L’animo di Carlo Magno era in preda all’ansia per la sorte dei suoi soldati, ed anche per la propria. Ma, durante la notte sognò un angelo che gli disse di salire sul monte, e una volta in cima, di scagliare la sua lancia il più lontano possibile: l’erba la cui radice sarebbe stata trafitta dalla lancia, doveva essere raccolta, tostata, e ridotta in polvere; quindi mescolata al vino, doveva essere somministrata ai soldati, che sarebbero guariti e resi immuni dalla peste. Carlo Magno destatosi, fece come gli era stato suggerito in sogno e il suo esercito fu liberato dal terribile contagio. La leggenda dice che ancora oggi questo vegetale mostri nella radice il segno del colpo di lancia dell’imperatore Carlo Magno.


Ho annotato queste notiziole da una mostra sulla stregoneria, qualche anno fa, in Francia, come si può dedurre dalla foto, da una nota di Renzo Brucalassi e un elzeviro di Frate Indovino 2014.

domenica 24 agosto 2014





Alcune vedute del "Borgo" di Castelnuovo di Val di Cecina, Toscana.

Gert Backhaus (si proclama dilettante della pittura).
 La mostra chiuderà il giorno 28 agosto 2014.



Sono ritornato a vedere con più attenzione le opere esposte  da Gert a Castelnuovo di Val di Cecina, una notevole mostra di disegni e acquarelli, e ho avuto modo di avere alcuni dati personali. Le opere non sono datate ed esposte senza un ordine cronologico, la grande varietà dei luoghi  non rispetta una collocazione omogenea, ma apparentemente casuale, le opere non sono in vendita, ma Gert ha preparato una copia di ognuna che regala a chiunque ne sia interessato. Poiché ho in mente un piccolo progetto editoriale, cerco di mettere insieme almeno 12 illustrazioni di 12 artisti, riguardanti il tema “fiori” con cui vorrei illustrare altrettante poesie. Perciò ne ho avute 2 in regalo, ma, di più: Gert mi ha fatto scaricare dalla sua USB tutte le immagini delle opere esposte! Avrò perciò tempo sufficiente per operare la scelta con abbinamento ad un testo. Mi ha pure trascritto succinte informazioni biografiche, che riproduco: “…sono nato in Barranquilla, Colombia, il 3 aprile 1935 da genitori tedeschi. Mio padre emigrò in Colombia prima della guerra mondiale del 1914. All’inizio della Seconda guerra mondiale la Colombia dichiarò guerra alla Germania ed in conseguenza di ciò i padri tedeschi e giapponesi furono messi in un Campo di concentramento in Fusagasugà, un luogo a sud di Bogotà. La famiglia è dovuta  rimanere a Fusagasugà, dove non c’era scuola. Per questo i ragazzi non potevano frequentare una scuola e i genitori gli hanno insegnato quello che sapevano. Dopo la guerra (1945) sono finalmente andato a scuola all’età di 11 anni, a Fontibon, un villaggio vicino a Bogotà. Successivamente la mia famiglia è ritornata a Barranquilla dove ho continuato gli studi fino ad ottenere la maturità. Terminata la scuola ho lavorato, per qualche mese come assistente nel laboratorio chimico di una fabbrica d cemento, prima di recarmi negli USA per iniziare gli studi di ingegneria meccanica che ho completato in Germania, laureandomi in Ingegneria Elettrica nell’Università di Hannover. Ottenuta la laurea sono rientrato in Colombia per trovare un lavoro, ma senza successo. Perciò sono ritornato in Germania ottenendo un contratto di lavoro dalla Ditta Siemens, nella quale ho lavorato per 48 anni in differenti settori (Centro Ricerche, Energia Elettrica, Computazione elettronica, Centro di Medicina). Adesso ho un incarico in una Ditta che produce ingranaggi di diversi tipi. La pittura è un hobby che ho praticato fin da giovane. Amo molto l’Italia, la Toscana e Castelnuovo di Val di Cecina, dove trascorro lunghi periodi di vacanze”.

sabato 23 agosto 2014

Gert Backhaus e i suoi acquarelli.

Ed acco un'altra bella mostra assolutamente da vedere presso la sala espositiva di Piazza Matteotti a Castelnuovo di Val di Cecina. Tanto più bella perchè l'artista è un ospite, perchè è un trionfo di ottimismo e di ricordi. Ci regala impreviste emozioni! Gert è nato in Colombia nel 1935. Si è laureato in ingegneria elettrotecnica e vive in Germania. Dipinge soltanto per suo divertimento, ed è una persona molto gentile.  La mostra chiuderà il 26 agosto, l'ingresso è libero e si può avere anche un regalo!




giovedì 21 agosto 2014





PALMIRO TOGLIATTI.

Oggi, il 21 agosto 1964,  moriva  a Yalta, nell'URSS, Palmiro Togliatti, leader del Partito Comunista Italiano che aveva fondato a Livorno, nel 1921, con Antonio Gramsci, Bordiga e altri compagni. 

E’ morto Palmiro [i]

E’ morto Palmiro,
il migliore,
il Partito espone
le bandiere a lutto
col nastro tricolore.

Si parte per la Capitale
occhi rossi di pianto
trattenuto,
e la gran foto sull’Unità,
il suo giornale.

Noi lo crediamo
invincibile e puro,
saggio e sicuro
della vittoria
del Partito Comunista,
a milioni alziamo
            il pugno,
e la bandiera trista.

Il tramonto romano
è un rosso fiume
di gioia e di dolore,
il clero s’è rinchiuso
in Vaticano,
son mute le campane
e l’officine,
il battito del cuore
si dilata
tra la fiumana
che non ha mai fine.

Angelo era e non aveva ali,
santo non era e miracoli
 faceva,
canta il poeta
la sua ballata arcana,
di braccianti ammazzati
e di lupara,
di Modena e Melissa,
Genova, Reggio e Portella,
laggiù nella piana,
dove il sudore si mischiò
col sangue.
E canta l’emigrante
di Torino stipato come
bestia nel vagone,
le valigie legate
con lo spago, di cartone,
e va' e va' a Marcinelle,
Ribolla, nella Ruhr,
a Dieppe ed a Namur,
l’anima e i polmoni
son neri di carbone!

Palmiro incita alla lotta,
difende i vinti, i derelitti
che il capitale
considera merce.

S’è spento un valoroso
un sole grande
dell’ideale,
poi dal buio emergeranno
i mostri,
sarà un demone odiato
della schiera dei martiri,
il simbolo del male,
Palmiro, l’assassino,
al servizio del rosso
Cremlino!


[i] La poesia è dedicata al Segretario generale del Partito Comunista Italiano, Palmiro Togliatti (Genova, 26/3/1893 – Yalta, 21/8/1964), in occasione dei funerali solenni che si svolsero a Roma il 25 agosto 1964, con la presenza di oltre un milione di persone ed ai quali partecipai con un gruppo di comunisti di  Castelnuovo di Val di Cecina.

mercoledì 20 agosto 2014

Omaggio a "Renzino", Renzo Serenari.

Renzo, o "Renzino", è il terzogenito di una famiglia di comunisti. Nato nel 1935 iniziò a diffondere il giornale del PCI all'età di 13 anni e da allora non ha mai smesso di farlo! Nella bottega di calzolaio di suo padre Gino, dove ha sempre lavorato, la stampa comunista e l'Unità erano forse più gli oggetti più numerosi, anche delle scarpe medesime! Nel declino ideologico e nella scomparsa del PCI, ha continuato fino a poche settimane fa a portare l'Unità ai quattro o cinque lettori del paese, instancabile, silenzioso eppur di buon umore! E' un mio carissimo amico, ci conosciamo da sempre! E' dunque stata una grande gioia vederlo finalmente raffigurato in prima pagina del giornale che amava! Tanti auguri "Renzino", ce n'è ancora tanta di strada da percorrere...

 Renzino, 25 Aprile 2014.
Renzino, 2014 e 1948.


domenica 17 agosto 2014






Claudio Bruni e Rosalia Dell’Agnello, due pittori castelnuovini di valore!
  
E’ ormai consuetudine che i due pittori, marito e moglie, lui nato a Monterotondo Marittimo e lei castelnuovina, aprano il loro grande salone-espositivo in Via della Repubblica, 53, nel centro di Castelnuovo di Val di Cecina durante il mese di agosto per la gioia dei concittadini e dei numerosi turisti e villeggianti, italiani e stranieri, che popolano il paese e gli agriturismo del territorio comunale.

Sono due artisti gentili che si intrattengono volentieri con ogni visitatore, senza assillare con proposte di vendita, ma già contenti se chi ammira le loro opere ne resta emozionato. D’altra parte la loro produzione artistica non ha un fine commerciale immediato, ma nasce da una intima esigenza di trasmettere le loro emozioni, da una sfida tra il percepirle ed il rappresentarle utilizzando la tecnica del colore, sia a pastello (Rosalia), sia ad olio (Claudio), sia con composizioni floreali in stile più classico della pittrice, che grandi tele ad olio in stile informale di Claudio, un artista affermato con al suo attivo numerose mostre personali e collettive, che però ama e si esprime anche nello stile figurativo, come evidenziano le grandi opere più recenti esposte nel Salon dall’8 agosto. L’ingresso è libero.  

mercoledì 13 agosto 2014

NAT KING COLE: NON DIMENTICAR

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.



Nota finale.

Nel 2006 è uscito l’interessante lavoro di Marco Palla, docente di storia contemporanea all’Università di Firenze ed autore di studi sul fascismo e sulla Seconda guerra mondiale, dal titolo Storia della Resistenza in Toscana, volume I, edito da Carocci  sotto l’egida della Regione Toscana. Sono 333 pagine fitte fitte di testo e di note alle quali, purtroppo, come spesso accade per le opere importanti, che potrebbero essere di ausilio alle ricerche di microstoria territoriale, mancano tutti gli indici, in particolare quello dei luoghi e dei nomi di persona. Per tali motivi ho saltato le prime 188 pagine andando al capitolo La resistenza armata in Toscana, redatto da Giovanni Verni. Naturalmente vi ho cercato riferimenti alla Resistenza in Maremma, agli eccidi, tra i quali quello degli 83 minatori di Niccioleta, all’internamento degli ebrei, alla emblematica morte di Norma Parenti. A pagina 228 ci sono 4 righe e mezza sul rastrellamento del Frassine del 16 febbraio 1944 E nella pagina seguente si fa riferimento ai capi delle province di Siena e Grosseto (Chiurco ed Ercolani) ed al loro ruolo di repressione dell’attività partigiana, citando alla nota 126 i lavori della T. Gasparri e N. Capitini Maccabruni, in modo molto generico. A pagina 243 si afferma  che….l’entità dell’afflusso di nuovi partigiani e la sua presenza su tutto il territorio regionale si possono desumere dall’andamento delle azioni di carattere strettamente militare in aprile e maggio 1944,  nelle quattro aree già in precedenza utilizzate (nota 163: Grosseto 74, 137; Pisa 23, 27; Siena 67, 157). Siamo nei due mesi precedenti la Liberazione della Toscana. A pagina 244 si sviluppa il tema derivante dall’incremento numerico di persone, soprattutto giovani renitenti alla leva e soldati sbandati, che entrano nelle formazioni partigiane, afflusso che obbliga ad una maggiore strutturazione delle medesime, sia per dare incisività alle azioni militari sia per ridurre le perdite. La brevità di vita di tali nuove Brigate, nonché, dopo la caduta di Roma, specialmente dalla metà di giugno, la velocità dell’avanzata degli Alleati, schiaccia la cronaca della formazioni presenti nelle Colline Metallifere Toscane, a cavallo delle tre province di Siena, Grosseto e Pisa. Cioè la Brigata Spartaco Lavagnini nel senese; la 23 bis Brigata Garibaldi Guido Boscaglia, nel senese-grossetano. E il Raggruppamento Monte Amiata collegato con il comando clandestino badogliano, nel quale, con una operazione “a tavolino” furono fatte confluire le Bande Camicia Rossa e Camicia Bianca della 3 Brigata Garibaldi al comando di Mario Chirici. Uno dei compiti di tali formazioni badogliane, in stretto contatto con gli alleati liberatori, fu quello di disarmare rapidamente tutti i componenti delle varie formazioni, non appena le medesime venivano in contatto con le truppe della V armata.  Dopo la seconda metà di maggio venne a scadenza il bando di amnistia per i renitenti e i disertori della RSI e contemporaneamente  in molti settori della Resistenza toscana vennero diffusi i bandi coi quali si comminava la pena di morte per chi avesse continuato a sostenere la RSI e il PFR, pene che furono in alcune zone immediatamente applicate. Intanto il disgregamento delle truppe germaniche era sempre più evidente e nel periodo dal 3 al 20 giugno 1944 i fenomeni di disgregamento furono così  grandi che si può parlare di “una soldataglia selvaggia tanto che lo stesso Feldmaresciallo generale Rease della XIV Armata, dovette emanare ordini severissimi per porre freno alle ruberie e ai saccheggi di appartenenti alla Wermacht, senza che gli ufficiali vi si opponessero. Ciò chiarisce in un certo modo anche l’accentuazione della cruente “guerra ai civili” e “guerra alle bande”, che insanguinò le Colline Metallifere Toscane, dall’Amiata a Massa Marittima,. compreso l’eccidio degli 83 minatori di Niccioleta. Il 9 giugno il comandante del LXXV Armee Korps, con l’ordine di Corpo n. 35, disponeva l’estensione della repressione delle bande che dovevano essere accerchiate e annientate, in particolare nell’area Pomarance-Larderello-Castelnuovo di Val di Cecina, in provincia di Pisa e a quella di Riotorto-Montioni-Valpiana-Massa Marittima, posta a cavallo delle province di Livorno e Grosseto. In conseguenza di ciò l’11 giugno vennero effettuati numerosi rastrellamenti impiegando il gruppo Hoffman della 19 Lufwaffe-Feld Division; il Battaglione Lange della 16 SS-Panzergrenadier-Division e il Battaglione di Polizia Kruger, azioni nel corso delle quali persero la vita numerosi singoli partigiani. I partigiani frattanto effettuavano simboliche “liberazioni” di piccoli centri abitati dopo il noto appello ai patrioti del generale Alexander, trasmesso nella notte tra l’8 ed il 9 giugno, affinché i partigiani ostacolassero in tutti i modi possibili la ritirata tedesca. Ciò determino la decisione dal comando della LXXV Armee Corps tedesca di predisporre le forze per la repressione e l’annientamento e, su ordine del Feldmaresciallo Kesselring  del 17 giugno, a “procedere con draconiana severità”. Ma il comandante supremo dell’OB Sudwest si trovò in buona compagnia nell’ordinare l’escalation del terrore e fu addirittura anticipato dall’Oberfuhrer Karl Heinz Burger, fin dall’8 giugno, con un ordine che poneva i civili in completa balia di ogni ufficiale tedesco. E ciò avvenne, in particolare, nell’area delle Colline Metallifere nelle quali il generale Joachim Lemelsen, comandante della XIV Armata della Wehrmacht, di fronte ai crescenti atti di sabotaggio effettuate dalla popolazione e dai partigiani sulla direttrice Siena-Grosseto-Volterra aveva raccomandato e permesso che per ogni soldato ucciso o in presenza di accertati sabotaggi collegabili ai piani del nemico, dovessero essere fucilati fino a 10 abitanti maschi del luogo atto alle armi. Si identificavano in tal modo i civili coi partigiani. Questa direttiva fu ampliata nei giorni seguenti prevedendo l’incendio delle case di abitazione dove si trovassero i ribelli o da cui si fosse sparato sui soldati tedeschi. I tedeschi decisero  di impiegare reparti altamente specializzati nella repressione come ad esempio il Lufwaffe-Jager-Regiment della 19^ Lufwaffe D-Feld Division ed al 3 SS Panzergrenadier Division sostenuto dall’artiglieria nell’ azione su Roccastrada. E’ necessario rilevare che i principali massacri di cui si resero responsabili i soldati della Wermacht generalmente non si verificarono nel corso di attacchi a formazioni partigiane, che furono eventi secondari, ma ebbero carattere preventivo, cercando di paralizzare col terrore i civili rimasti nelle immediate retrovie del fronte come si verificò a Niccioleta (si citano solo 77 morti e non 83) e, nelle settimane seguenti, nel Pisano dove gli eccidi di massa furono sostituiti da un continuo stillicidio di singole uccisioni che si potrebbero definire “micro massacri”, i quali, nel loro complesso, però, raggiunsero una cifra tale da consentirci di parlare di un eccidio.  


Queste succinte note non tengono conto di molti studi storici (Pezzino, Battini. Taddei, Groppi, Spinelli, edi altri) che inquadrano in modo diverso gli eventi dell’uccisione degli 83 minatori di Niccioleta + 4 altri partigiani, la deportazione di 17 giovani e la successiva scia di sangue fino alla vigilia della Liberazione di Massa Marittima, Castelnuovo e Pomararance. Che, a mio avviso, potrebbero integrare l’analisi di questo interessantissimo lavoro di Marco Palla.
Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XVI)


Riguardo al ruolo della popolazione di Castelnuovo di Val di Cecina verso le vittime di Niccioleta,  il vescovo di Massa Marittima, Faustino Baldini affermò che: "...altre madri, altre spose, altri figli seguiteranno a deporre un fiore sulle tombe dei nostri cari e faranno da madri, da spose e figli, la gente di Castelnuovo gentile: i morti avranno un sentimento di pietà". Toccherà infine al partigiano della III Brigata Garibaldi, Mauro Tanzini, cittadino massetano, componente il Comitato promotore per l'erezione del cippo ad eterna memoria sul luogo dell'eccidio in località Le Bertole (1946), tradurre in realtà il senso della pietà popolare custodendo per molti anni personalmente, con il solo aiuto di alcune persone amiche: Astenio Di Sacco, Renzo Groppi, Niccolo Marconcini e Angiolino Rossi, la manutenzione dell'area sacra, in seguito con il tangibile aiuto della "Larderello" SpA, dell'ENEL, oggi ERGA. In due lettere si palesa infine l'ammirazione e il riconoscimento dei rappresentanti delle vittime per la solidarietà della popolazione di Castelnuovo di Val di Cecina. Il 25 luglio 1944 il CLN di Niccioleta scrive al Sindaco, al CLN e alla popolazione: "Quando il triste vento della sventura ci passa d'accanto, noi, nello smarrimento della bufera, ci guardiamo d'intorno e se vediamo che qualcuno cammina a nostro fianco e cerca di consolare il nostro dolore, ci sentiamo confortati. Nella triste bufera che ci ha schiantato il cuore, togliendoci i nostri più cari, vi abbiamo saputo vicino a loro, che morirono, e conosciamo tutta l'opera da voi svolta per le salme; vi abbiamo sentiti vicino a noi in tutte le delicate premure che vi siete presi in tante circostanze. Sentiamo infinita riconoscente gratitudine per voi e ve la esprimiamo con la presente, per noi, per le mamme, le spose, i padri, le sorelle, i fratelli, i figli dei nostri martiri e a nome di tutto il Villaggio. Colui che veglia sulle cose umane e tutto accoglie che sia carità, vi ricompensi con ogni più grato favore. Accanto al ricordo dei nostri cari ci sarà sempre sacra la memoria di tutta l'opera da voi svolta si benevolmente". Il 26 luglio seguente, il direttore della miniera di Niccioleta, Luciano Mori Ubaldini, scrive al CLN di Castelnuovo di Val di Cecina: "Desidero esprimere a codesto Comitato di Liberazione ed alla popolazione tutta di Castelnuovo la commossa riconoscenza mia personale e della Direzione per la partecipazione al lutto che ha colpito l'intero Villaggio dei minatori di Niccioleta, vilmente trucidati dalle belve tedesche. La pietosa assistenza ai caduti, prestata dagli uomini e dalle donne quando ancora incombeva la minaccia delle SS non potrà essere dimenticata ed imperituro ne resterà il ricordo...". Sulla figura politica e morale del Direttore della miniera di Niccioleta non è stata mai fatta piena luce. I recenti lavori storici di Pezzino, Battini e Taddei., mettono in risalto la sua ambiguità e il ruolo passivo, se non accondiscendente, avuto nei riguardi delle SS italo-tedesche durante il rastrellamento e la fucilazione e deportazione dei minatori. Successivamente all'evento, da più parti, e soprattutto dal CLN di Massa Marittima e di Niccioleta, si tenne a precisare che il Mori Ubaldini, ancora Direttore della miniera, era stato un collaboratore dei partigiani e un antifascista. Ben poche prove furono però prodotte ed al processo, nel 1949, la sua posizione apparve ancora una volta molto ambigua. La lettera che l'ingegner Giovanni Custer, vicedirettore della miniera di Niccioleta, inviò il 21 febbraio 1945 al CLN di Massa Marittima, più che un probante documento storico appare, ad una lettura attenta, un atto di sudditanza gerarchica: "...io sottoscritto ing. Giovanni Custer, vicedirettore della miniera di Niccioleta, sono a conoscenza che nei precedenti mesi alla liberazione di questa zona da parte degli Alleati, l'ingegner Mori Ubaldini Luciano, direttore della miniera, collaborò con le formazioni della XXIII bis Brigata Garibaldi "Guido Boscaglia" fornendo viveri, scarpe, coperte, attrezzi ed esplosivi, benzina ed olii lubrificanti ai partigiani della zona. Nell'officina della miniera inoltre fece riparare agli stessi, armi e costruire cavalletti per mitragliatrici...".

La corretta trascrizione dei nomi e dei dati anagrafici, l'esatto luogo di nascita ed altre notizie biografiche delle persone citate in questo lavoro, anche se soltanto parzialmente utilizzate, si è rivelata un'operazione molto complessa, imprecisa e non ancora terminata. Ce ne scusiamo con tutti gli interessati, invitando i lettori a fornirci integrazioni e correzioni scrivendo a: karl38cg@gmal.com e per l’eventuale inoltro di materiale cartaceo all’indirizzo di: Carlo Groppi, Via Renato Fucini 11, 56041 Castelnuovo di Val di Cecina (PI).


                                                                                                          (Fine)

martedì 12 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XV)


Il Clero italiano ha avuto 729 morti dei quali 471 tra i sacerdoti secolari e 258 tra quelli regolari. 415 di questi morti sono dovuti a rappresaglia, a combattimento e a prigionia e dispersione. Di questo numero fanno parte 9 vescovi, 238 parroci, 148 cappellani militari. Il Clero ha preso parte alla Resistenza intesa nel senso più puro e spogliata anche dei non pochi errori, che, quasi inevitabilmente, accompagnano sempre i grandi fatti, nel cammino delle nazioni. Ha inteso collaborare ad una Resistenza che voleva significare ricerca e conquista di libertà con metodi giusti, onorevoli e caritatevoli verso tutti, indistintamente. E’ in questo senso che il clero ha collaborato. E non sarà male ricordare che fu proprio in una canonica di Massa-Carrara che si tennero le prime riunioni del CLN provinciale subito dopo l’8 settembre 1943, non sarà male dire che di quel Comitato e delle sue sezioni comunali alcuni sacerdoti furono membri attivi, mentre anche umili suore ne furono valorose, coraggiose, indispensabili staffette. 9 furono i sacerdoti apuani uccisi dalle SS italo-tedesche. 16 i sacerdoti rastrellati o sequestrati per un periodo più o meno lungo; 17 i sacerdoti costretti a fuggire per un periodo più o meno lungo perché minacciati di rappresaglia e di morte; 3 i sacerdoti incarcerati; 11 i sacerdoti che hanno confortato e assistito i condannati a morte; 9 i cappellani militari del clero diocesano; 23 i cappellani militari del clero regolare nati in diocesi di Apuania.

Naturalmente, non si possono nascondere e sono notissime le collusioni delle alte gerarchie della Chiesa Cattolica con il fascismo e il nazismo e con tutti i regimi dittatoriali d’Europa. E’ sufficiente sfogliare rapidamente tutti i giornali dell’epoca, in cronaca nazionale e locale, per rendersene conto. Sulla controversa personalità del Papa Pio XII sono stati versati fiumi di inchiostro e tuttora si indaga sulle sue responsabilita verso la Shoah. In particolare nel Reich i vescovi non si stancarono mai di ammonire i fedeli ad accettare il governo hitleriano, come l’autorità legittima alla quale era dovuta obbedienza. I vescovi  ammonirono i cattolici tedeschi a “non lasciarsi coinvolgere in progetti di resistenza al regime nazista” applicando la parola d’ordine “i buoni cattolici sono sempre stati buoni patrioti!”. Dopo il fallimento dell’attentato contro Hitler a Monaco di Baviera l’8 novembre 1939, il cardinale Bertram, a nome dell’episcopato tedesco e il cardinale Faulhaber a nome dei vescovi bavaresi inviarono ferventi telegrammi di rallegramenti a Hitler. Pochi anni prima lo stesso cardinale Faulhaber aveva invitato tutti i cattolici tedeschi a recitare un Paternoster per la vita del Fuhrer. Anche in Germania, come in Italia, eminenti cattolici furono membri di gruppi di Resistenza e numerosissimi sacerdoti cattolici vennero giustiziati o morirono in prigioni e campi di concentramento. Alcuni furono veramente martiri delle loro convinzioni democratiche e pacifiste. Eppure, ed è triste osservarlo, furono mosche bianche nel grande esercito delle mosche nere. Come ha detto lo storico cattolico Friedrich Heer “in realtà ogni resistenza cristiana a Hitler durante il terzo Reich era un fenomeno eccezionale e indesiderabile…Nel 1945, la situazione era talmente critica che per salvare la faccia e restaurare l’onore del cristianesimo ufficiale in Germania fu necessaria una grandissima manovra di camuffamento dei fatti”. Nemmeno un Vescovo si vide costretto a dare le dimissioni dalla propria carica! E qualcuno, profondamente compromesso con il nazismo, fu promosso ad Arcivescovo e cameriere privato del Papa. Non è nostro obiettivo, in questo lavoro, andare oltre. Vogliamo solo ricordare che migliaia di antinazisti cattolici tedeschi furono torturati a morte nei campi di concentramento di Hitler; l’intellighenzia polacca fu sterminata; centinaia di migliaia di russi morirono perché considerati e trattati come sotto-uomini slavi; sei milioni di esseri umani furono assassinati perché non erano ariani…mentre avveniva tutto questo l’alto clero in Germania appoggiava il regime che commetteva questi delitti. A Roma il Papa, capo spirituale e supremo maestro morale della Chiesa cattolica universale, taceva.


                                                                                              (continua)

lunedì 11 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XIV)

Il Vescovo di Volterra, Bagnoli e i funerali ai partigiani.

Vescovo di Volterra, Bagnoli, dal 1943 al 1954: “…il comando tedesco che era alla Scuola d’Arte a Volterra, era un comando amministrativo, non era un comando militare. Era un buon uomo il governatore…l’episodio del fucilato condannato a morte al cimitero (di Volterra)? c’era la sua mamma a pregare al suo fianco. Cavallini era il cappellano. Erano stati a Roma. La moglie di Togliatti aveva detto “Non c’è nulla da fare”. Il vescovo di Volterra l’ha saputo dopo della strage di Niccioleta: “…a Volterra c’era una situazione difficile, ma non è mai stata disperata…dopo s’è sofferto, anche per la rivincita. Quando sono tornati i partigiani, portavano i fascisti per le vie della città…cose incresciose”. E’ stato più drammatico il seguito che non la guerra, vero? “…Si, si, una lotta fratricida!” “Riportarono i corpi di quei partigiani morti e li riportarono a Volterra. Cinque cadaveri…” Saranno stati il Mancini…uno o due erano comunisti e appena arrivarono li portarono nella loro sede in Piazza. Gli altri li portarono nel Municipio. Poi vennero da me “Eccellenza, i funerali? Siamo tutti fratelli, abbiamo tutti combattuto per la stessa causa, si devono fare i funerali…” Va bene, venite, li portate in chiesa? NO! E allora facciamo così: noi andiamo avanti e voi venite dietro. Dietro può venire chiunque”. Scrive Lagorio, Dizionario di Volterra, Appendice, Migliorini, Grafitalia, Peccioli, 2001, p. 11: “…toccò a mons. Bagnoli guidare la diocesi durante l’occupazione tedesca e nei mesi durissimi del passaggio della guerra (primavera estate 1944). Durante quella tragica emergenza a lui si devono due atti di notevole significato: la pubblica protesta nei confronti del comando tedesco per le angherie alle quali era soggetta la popolazione e il coraggioso accorrere nel cortile della fortezza medicea dove stava per consumarsi la fucilazione di un gran numero di detenuti e prigionieri che avevano tentato la fuga. Il suo intervento contribuì a scongiurare un massacro”. Scrive don Giovanni Costagli, lettera 20.12.2001 a Carlo Groppi: “…arrivò nel settembre 1943 e nella visita pastorale utilizzo per i suoi spostamenti anche la macchina guidata  dall’ebreo Max Rovà”, suo amico”.

Don Luigi Rossi, prete di Massa Marittima, nella desolazione e nello sgomento della tragedia di Niccioleta si rimboccò le maniche e cominciò ad operare occupandosi degli orfani, raccogliendo i morti, intervenendo e correndo per dissuadere da azioni pericolosissime chi doveva essere dissuaso, per salvare tutto quello che rimaneva da salvare” In La Torre Massetana a. LXV n. 8 agosto 2001. (AMBO).

Don Enrico Lombardi  nato a Sassetta nel 1909, cappellano a Portoferraio e Piombino, parroco a Donoratico. Dal 1941 canonico e rettore del Seminario di Massa Marittima e in seguito parroco della cattedrale, uomo di cultura e di idee democratiche, autore di un libro interessante sulle meorie storiche di Massa Marittima, morto a Massa nel 1989.

Don Alessio Cenerini, nato a Sasso Pisano, parroco di Radicondoli, membro del CLN, impedì una rappresaglia contro un gruppo di uomini di Radicondoli opponendosi all’ufficiale tedesco e pagando una somma di denaro. Dette informazioni a Norma Parenti per il contatto con la famiglia di Guido Radi, ucciso a Massa Marittima dai tedeschi, protesse gli ebrei fuggiaschi dalla Maremma Grossetana che transitavano verso la Valdelsa, rischiando la vita. Nel dopoguerra sono famosi i suoi “contraddittori” sul palco degli oratori nelle campagne elettorali contro i social comunisti di Radicondoli.

Don Enrico Bulletti, padre scolopio a Siena e  poi a Radicondoli. Antifascista, ricercato. Padre francescano all’Osservanza di Siena. In appoggio ad una formazione partigiana e di ex prigionieri di guerra, nascose le loro armi nel cimitero della Misericordia di Siena. Incarcerato alle Murate e torturato non  tradì la causa: il suo nome circolò in tutta la provincia  come simbolo di nemico interno da combattere e perciò additato all’odio e al disprezzo. Uomo molto colto nel campo della storia francescana e redattore del Bollettino di Studi Bernardiniani.

Don Manfredo Pazzagli, parroco a Montieri sospettato di antifascismo fin dal 1926

Don Zeno Saltini, fondatore di Nomadelfia (GR). Diversi Piccoli Apostoli ed alcuni sacerdoti contribuiscono all’organizzazione della Resistenza, entrano nelle formazioni partigiane e aiutano centinaia di ebrei e di perseguitati politici a raggiungere la Svizzera con documenti falsi. 7 Piccoli Apostoli perdono la vita per la riconquista della libertà. Dopo la fine della guerra, nel 1947, i Piccoli Apostoli occupano l’ex campo di Concentramento di Fossoli, vicino a Carpi, in provincia di Modena, per costruire la loro nuova città “NOMADELFIA” (che dal greco significa: dove la fraternità è legge). Nel 1952 don Zeno trasferisce Nomadelfia in provincia di Grosseto dov’è tutt’ora.

                                                                                                          (continua)

domenica 10 agosto 2014

Carlina.

Carlina, è il diminuitivo del nome Carla, ma è anche il nome di un monte “La Carlina” di quasi 900 metri di altezza,  posto proprio sul fronte est del Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina. Per la verità questo monte ci mostra l’aspetto più tipico, riconoscibile da grandi e piccini, cioè le natiche perfettamente modellate, si pensa di una donna, naturalmente! Ma il suo nome non è derivato da una mitica dea “Carla”, bensì da una pianta selvatica,  che nel medioevo veniva legata sulle porte delle case, insieme ad altri arboscelli spinosi, come l’agrifoglio e il pungitopo, per non permettere l’ingresso al maligno, in tutte le forme nelle quali esso amava allora presentarsi. Questa pianta spinosa cresceva in abbondanza sui pianori e nei sodi della montagna. Forse le era stato messo questo nome come un antidoto a streghe e stregoni e altre presenze diaboliche i cui nomi si riscontravano e si riscontrano no ancora, come Aia dei Diavoli, La Stregaia, Le Calaferne, l’Infernaccio, Valle del Diavolo, per indicare monti, fossi e luoghi vari del nostro territorio.

Ho annotato queste notiziole in una mostra sulla stregoneria, qualche anno fa, in Francia, come si può dedurre dalla foto.




sabato 9 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XIII)


Don Piero Gucci Ernani, parroco di Boccheggiano (morto a seguito di un incidente in una città del Lazio mentre assolveva l’incarico di vicesindaco in rappresentanza del PCI), fu un antifascista che ebbe un ruolo importante nelle vicende della Resistenza maremmana. Fu lui, ad ottenere la scarcerazione, nel gennaio 1944 delle mamme dei renitenti che erano state arrestate dal maresciallo Ricotta su ordine dei repubblichini di Boccheggiano. E fu dentro la sua chiesa, proprio davanti all’altare, di fronte a lui, a Ideale Tognoni e a Bruno Cesaratto che i carabinieri Menegalli e Cerretani, della locale stazione, “giurarono” fedeltà al CLN e alla Resistenza. Un altro parroco di Boccheggiano, Amleto Pompili, maturò a Boccheggiano negli anni trenta quelle profonde convinzioni antifasciste che lo avrebbero portato, nel capoluogo della provincia a stringere rapporti e a svolgere attività con i dirigenti provinciali della resistenza in Maremma. Gelindo Lucchesi, nato nel 1933 a Boccheggiano, dirigente del Pci e Sindaco del Comune di Montieri, così lo ricorda: “…La mia sorella, che è morta  in agosto, andava a servire dal prete, io  frequentavo la chiesa, ero un ragazzetto e ci andavo con la mia mamma, servivo la messa, questo prete non era figliolo del Gucci, se l’erano affigliolato, la moglie si chiamava Agatina e il marito Tullio Gucci, venivano da Firenze, per questo ha il cognome Ernani, era nato il 20.4.1907. Morto a Rieti il 22.9.1954, era laureato e faceva l’amministratore pubblico, e l’attivista del PCI e per la CGIL nel sindacato agricoltori, so che a Boccheggiano frequentava gli antifascisti, anzi di tutta l’organizzazione partigiana della zona teneva le fila don Gucci. Abbiamo cinque morti partigiani a Boccheggiano. La sera dell’Armistizio si fece il corteo e s’andò a finire tutti in chiesa, con le bandiere, i tricolori tutta la popolazione in chiesa! Senz’altro era il prete a guidare la manifestazione. Poi la sua amante rimase incinta, e lui si spretò. E’ viva ma ha perso un po’ il capo. A Grosseto c’è Palandri Antonio, ex presidente della Provincia, era il suo cognato…ora è un po’ sbandato, ha perso la moglie ha perso un figliolo di 40 anni, lui sa più cose di me…lui era già un attivista allora. A Boccheggiano non è rimasta la memoria di questo prete antifascista anche perché lui andò via subito, andò a Grosseto e poi a Rieti. Qui sono tornati dopo diversi anni, quando lei, Adelia, era vedova, e aveva due figli, un maschio e una  femmina, Gucci Roberto che lavora in Provincia  e ha fatto attività anche nel PCI. La tomba del Gucci è nel nostro cimitero. Andava col motorino, usciva dal comune, lo misero sotto e morì. Il prete di prima mi dicono che era un puttaniere, anche lui. Poi andò a Grosseto. Boccheggiano è stato da sempre un paese antifascista, le miniere, e anche i preti vivendo in questo clima sociale maturavano sentimenti di solidarietà con i lavoratori. C’era un CLN qui a Boccheggiano, ne facevano parte Altero Lorenzoni, Eraldo Periccioli, Aniello Lorenzoni, Vasco Brachini, Bandino Pimpinelli, Ideale Tognoni e don Gucci.  Il povero  Altero si metteva sempre il distintivo, fecero lo sgancio, coi carri, la notte i contadini, coi bengala, loro facevano il fuoco e illuminavano la zona del lancio da parte degli aerei inglesi: c’era un messaggio che si ascoltava alla radio, cifrato, e quando si sentiva quello voleva dire che la notte c’era il lancio: il nostro messaggio era "Il fiume è secco". Armi, viveri, medicine, divise militari, e qualcuno dice che c’erano anche i soldi  andati in mano a non so chi. Nel CLN c’era anche Bandino Pimpinelli, il figlio del sindaco di Montieri, Ireneo (Bandino Pimpinelli faceva parte della Brigata Garibaldi “Spartaco Lavagnini” dal 15/12/1943 al 20/7/1943 ed era vice comandante di Distaccamento, cioè di una formazione non inferiore a 35 uomini armati). Nel CLN il capo era Lorenzoni Altero, figliolo di un repubblicano, era un muratore, la famiglia era più repubblicana che socialista mentre invece Aniello Lorenzoni era socialista, Ireneo Pimpinelli era socialista, sindaco nel 19 e sindaco nel 44, i fascisti lo levarono e i partigiani ce lo rimisero! Bandino, Anuello, Altero, Cesaratto, veniva dall’esercito, prima tenente poi capitano, la sua mamma era una Pantaleoni, cugina della mia mamma, era Lepri, ma erano cugine, poi lei andò a finire a Roma insieme alla sua sorella, erano poveri e i poveri andavano a servire. I partigiani facevano parte della Brigata Garibaldi, la terza, si tenevano in collegamento con la Spartaco Lavagnini a Luriano, però qui erano sparsi, alcuni erano a Monterotondo, come il Tognoni e il Montemaggi, altri erano a Luriano, altri nelle Carline, non c’era una formazione qui. Boccheggiano era un centro attivo dell’antifascismo una delle prime località dove negli anni ’30 funzionava una cellula comunista e ci sono ancora i verbali. La cellula del PCI di Boccheggiano, fondata l’8 agosto 1938, per “svolgere doverosa propaganda rivoluzionaria”, verbali in parte riprodotti da Mauro Tognoni: al secondo punto degli 11 in cui si compone, si afferma: la nostra attività deve essere protesa all’abbattimento del governo fascista in tutti i modi. Il giuramento cui era sottoposto per statuto ogni compagno recitava: “Nel nome del fondatore sociale Carlo Marx e dei successori compagno Lenì Vittorioso Rivoluzionario e del compagno Stalì, giuro di eseguire senza discutere con tutte le mie forze, fino alla morte, gli ordini che mi saranno impartiti. Firmo nel mio proposito. Giuro. “Lo giurate voi!”. Approvato e applicato dall’originale, 1 settembre 1938. I componenti sono passati dai primi sei fondatori a n. 38. Dicono che ce ne sia stata un’altra, sull’Amiata, sempre di quel periodo, ma siamo tra i primi. Nel 1938 c’era una sezione clandestina e si andavano a riunire in un gallerozzo scavato nel sasso tufo, uno ci si ruppe anche il capo e fu aiutato dal “soccorso rosso”. A Montieri c’erano tanti fascisti ed era forte la repubblichina. Il podestà di Montieri, Engels, sparò sulle donne di fronte al Municipio uccidendo un ragazzo di tredici anni, Delio, abitante a Travale e un minatore di Boccheggiano, ferì anche alcune donne. Erano andati a Montieri per protestare contro l’arresto di due giovani renitenti alla leva di Travale. Questo fatto provocò l’assalto dei partigiani a Montieri. Noi si prendeva il 70% dei voti a Boccheggiano! A Gerfalco c’era un ebreo, la storia mi sembra che l’abbiano raccontata alla televisione, l’avevano portato in un campo di concentramento a Roccatederighi, dov’era la Colonia, nella Villa del Vescovo. A Gerfalco ti potrei indicare una famiglia che ti potrebbero aiutare: Caselli Manlio, è stato consigliere comunale con me, lui ha il suocero Righi Aderano, è un compagno è stato un dirigente della sezione, può darsi che la sua famiglia sappia qualcosa di più di me. A Travale senti Carnesecchi Giuseppe…Fulvio e Sirio erano nella formazione. Ma il marito della postina? Fa il cognome Mastri, lui sa’ molte cose. Il nostro CLN era collegato con Siena, con Grosseto, con Massa Marittima. Qui rappresaglie non sono state fatte. Solo una mattina arrestarono due operai e li volevano fucilare, poi qualcuno riuscì a farli liberare. Cippi ci sono, con tre morti in campagna: uno tornava dai castagni trovò i tedeschi e lo obbligarono a portarli sulla strada per Siena, quando arrivarono a Lustignano, un podere, c’erano delle vigne e dei casotti per i polli, videro a un ramo di una querce appesi due parabellum, così i tedeschi spararono prima una raffica alle spalle del loro accompagnatore e poi uccisero due uomini che sortirono dai casotti, erano due partigiani che si trovavano a visitare le famiglie: una donna, la moglie di uno di loro, aveva partorito da poco e gli aveva portato a far vedere la bambina! Poi giù al Gabellino c’è un cippo con altri due nomi: passate le case dopo un chilometro, ci furono uccisi due partigiani che erano andati a pattugliare, viaggiavano in bicicletta, con le pezzole rosse al collo, imprudenti, si buttarono nel campo,  ma i tedeschi che sopraggiunsero in auto li bloccarono. Uscirono dal grano a mani alzate, ma i tedeschi li mitragliarono subito uccidendoli. Gli fecero la camera ardente qui a Boccheggiano, nella stanza dell'Asilo, c’erano i partigiani armati fino ai denti…Quando uccisero i tre a Lustignano io ero con un altro su un ciliegio, si sentì sparare, poi lui morì maneggiando una bomba a mano. Le donne gridavano e piangevano. Dopo la Liberazione non ci sono state rappresaglie c’è stato solo un fatto, triste, perché c’è rimasto odio e rancore, qui liberarono dalle Murate di Firenze dei partigiani. C’era anche un mio cugino. Brachini Sirio ed altri della zona vennero quassù, c’erano già gli americani, era il 14 o 15 agosto 1944, fecero il giro del paese, casa per casa, anche nelle campagne, andarono al Gabellino, laggiù, e allora picchiarono il dottore che era fascista, picchiarono il Montemaggi, poi il Corsini, che poveracci non avevano fatto nulla di male e quella notte ammazzarono uno: con un moschetto gli piantarono un colpo, era un fornaio, Francesco Naldi, lo volevano picchiare, lui scappò andò giù, ma a metà strada fu colpito da una pallottola! Nel 1953 ebbero il processo che si chiuse nel 1960 con il proscioglimento degli ultimi due indiziati, uno per non aver commesso il fatto ed un altro in base al decreto sulla non punibilità. Noi si aveva la finestra aperta, e la mia sorella sentì dire: ”Chi è stato è stato!” Rapature di donne non ci sono state. A Gavorrano ci furono rapature. La Direzione della Miniera non sembrò coinvolta coi nazisti, anzi fu salvato un pozzo che volevano farlo saltare. Avevano arrestato dei bimbetti, anche un mio zio che aveva scritto Viva Lenin su un vagone, ma null’altro. Nessun danno di guerra. I tedeschi fuggirono e gli americani arrivarono. Il fronte fu rotto a Meleta sulla costa, ma il passaggio fu rapido. In casa mia ci si installò il comando americano e ci stette qualche settimana con la radio trasmittente.  I morti: un monumento con due cippi troncati: Periccioli Alfiero nato il 27 luglio 1924, morto il 11 giugno 1944; Diano Taddei, nato il 21 febbraio 1925, morto l’11 giugno 1944 al Gabellino. Poi ci sono gli altri due: Ghiribelli Libero, nato il 10 luglio 1920, morto il 24 giugno 1944; Malossi Ivo, nato il 6 gennaio 1916,  morto il 24 giugno 1944. Il contadino, Tompetrini Quintilio, aveva 49 anni. La sua lapide è in piazza, ma la data è sbagliata. C’è anche un cippo in piazza dei Minatori. Pimpinelli Ireneo è sepolto a Boccheggiano. “Caddero sotto la ferocia nazifascista nel giugno 1944 Periccioli Alfiero/Taddei Diano/Tompertini Quintilio/Ghiribelli Libero/ Malossi Ivo. La popolazione pose a ricordo e monito il 25 Aprile 1975”. Il comune di Montieri ha registrato oltre 30 morti per cause belliche: 3 per mano dei fascisti; 7 per mano dei partigiani; 17 per mano dei tedeschi; 2 per lo scoppio di mine tedesche, mentre due soldati son dati dispersi”.

                                                                                                          (continua)







W. A. Mozart – J. Brahms  a Montecastelli Pisano.

Concerto del 9 agosto 2014 ore 18 a Montecastelli Pisano organizzato dalla Associazione Culturale “La Torre” di Montecastelli Pisano e dal Comune di Castelnuovo di Val di Cecina (PI)

Sotto l’onda dell’emozione credo poter dire che si è trattato di un concerto eccezionale! Per il contesto nel quale si è tenuto e per la qualità dei musicisti, tutti indistintamente, anche se  Philipp Bonnhoefer (viola), il maestro concertatore ed organizzatore dell’evento sarà l’unico menzionato di un gruppo meraviglioso: Paul van Zelm (corno), Aki Mori (violoncello), Christoph Wagner (violoncello) e Angela Christen (violino). Non è di poco conto il fatto che questi artisti non abbiano voluto alcun compenso ma abbiano offerto gratuitamente loro arte alla Comunità.

I due bellissimi brani: Mozart. Quintetto per Corno ed Archi in Mi bemolle KV 407 e Brahms, Sestetto per Archi op, 18.

Applausi prolungati da un folto pubblico sul sacrato della chiesa dei SS. Jacopo e Filippo e un piacevole fuoriprogramma: un brano di Leopoldo Mozart, si dice composto durante un suo viaggio in Italia a contatto con il mondo della campagna toscana, probabilmente nei dintorni di Montecastelli, una “pastorizia” per corno, un corno speciale prodotto nella liuteria di Philipp Bannhoefer nel piccolo borgo di Montecastelli, in prima assoluta mondiale! E’ stata davvero una gradita sorpresa di questi artisti di grande valore e fama internazionale che domani 10 agosto, San Lorenzo e notte delle stelle cadenti, daranno il loro Concerto Maggiore, ore 21,30, sempre sul sacrato della Chiesa di Montecastelli, eseguendo musiche di Schumann; Hindemith; Brahms e Dvorak.


In molti si sono prodigati per la riuscita di questi due eccezionali Concerti, impossibile citarli tutti, ma almeno tre devono essere ringraziati Philipp Bonnhoefer, Matteo Amodeo e Alberto Ferrini. Il primo perché è un musicista tedesco che ama l’Italia e Montecastelli; il secondo perché è da 20 anni l’organizzatore di questi eventi del X Agosto, nonché cittadino e amante di Montecastelli; il terzo, il sindaco del Comune di Castelnuovo di Val di Cecina, perché ama la musica ed è un “buon primo cittadino”, rieletto al suo secondo mandato con largo consenso.    
Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XII)

Don Ugo Salti, in CET…don Ugo Salti  pg. 365: “…antifascista e partigiano. La canonica di Follonica diventò il luogo d’incontro di tutti gli antifascisti della zona. Decorato nel 1947 della medaglia di bronzo al valor militare. E’ raffigurato in una foto nella sala del consiglio comunale di Massa Marittima con il Comandante Mario Chirici e un ufficiale della V Armata USA. A suo nome è stata intitolata la Piazza della Chiesa di S. Leopoldo a Follonica. Fu parroco a Marina di Campo (Isola d’Elba) dal 1935 al 1939 e qui ha origine il suo antifascismo in quanto il locale segretario del fascio si opponeva alla attività della Azione Cattolica. Trasferito a Follonica don Ugo manifestò apertamente la sua avversione al regime con l’entrata in guerra dell’Italia a fianco della Germania nazista. Ma fu con l’8 settembre 1943 e la nascita della RSI che l’avversione si trasformò in antifascismo militante. Fece parte di un gruppo di ecclesiastici della diocesi di Massa e Piombino i quali, nonostante le incertezze e le ambiguità del proprio Vescovo, scelsero l’impegno diretto e aperto contro i nazifascisti. Don Ugo entrò in contatto con i partigiani del massetano. Arrestato dalle SS nel dicembre 1943 insieme al don Ulisse Fignani parroco di Scarlino, interrogato dalla Gestapo e tenuto per alcuni giorni in segregazione fu rilasciato con la diffida di cessare ogni attività attiva e passiva a favore dei ribelli. Ma don Ugo non si fece intimorire e continuò la sua attivita nella resistenza. Con l’avvicinarsi del fronte don Ugo fu avvisato che la sua vita era ormai in pericolo, decise quindi di lasciare la parrocchia e raggiungere i partigiani nella macchia di Tirli con i quali partecipò, armi in pugno, alle ultime fasi della Resistenza e della Liberazione della Maremma. Fu custode dell’archivio della III Brigata Garibaldi  bande “Camicia Rossa” e “Camicia Bianca”, archivio misteriosamente scomparso dopo la sua morte.

Don Angelo Biondi, nato a Massa Marittima nel 1899. Combattente e decorato nella guerra 1915-1918 studiò a Massa, Volterra e Sarzana. Nel 1932 divenne arciprete di San Giusto a Suvereto, ove rimase per 40 anni, fino alla sua morte avvenuta l’8 settembre 1972. Esponente del CLN clandestino del comune coordinò l’afflusso dei renitenti alla leva nelle formazioni partigiane. Decorato con la croce al valor militare nel 1967. I suoi grandi amori furono: la chiesa, il seminario, la parrocchia, la Libertà. Don Biondi è stato un uomo di parte, lo è stato perché lo richiedevano i tempi: antifascista e partigiano, quando occorreva scegliere tra dittatura e democrazia; anticomunista quando la scelta era tra fede e ateismo. A Suvereto il clero dette pieno appoggio alla Resistenza e don Angelo Biondi era il primo della lista delle persone da eliminare da parte dei fascisti repubblicani, tanto che fu costretto a  raggiungere ì partigiani alla macchia dove rimase per molti mesi. Dopo la Liberazione ebbe l’encomio solenne del Comando Raggruppamento Patrioti “Amiata”; il Certificato di Patriota rilasciato dal generale Alexander; e la Croce al valor Militare rilasciata dal Ministro della Difesa nel 1967.


                                                                                              (continua)
Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(XI)


Don Giovanni Tasselli. “…7 giugno 1946: don Tasselli Giovanni parroco di Montecerboli (PI) benedice le bandiere rosse del PCI e del PSI di Montecerboli di fronte ad oltre 1000 persone. Invitato dal Vescovo, a mezzo telegramma, a recarsi a Volterra per darne spiegazioni. Si temono disordini se adottati provvedimenti di censura nei confronti del prete”.

Don Gino Bracci. In CET…pg 360 “…nell’eccidio di Niccioleta ebbe parte preponderante il parroco don Gino Bracci, che tentò l’impossibile, nei limiti consentiti in situazioni del genere, superficialmente giudicabili da chi operava al di fuori del villaggio. Forse anche la sua sacerdotale crisi successiva – psicologicamente difficile a spiegarsi in un prete del genere – non fu che la conseguenza delle minacce subite e dei suoi sforzi inimmaginabili nello stare vicino alle famiglie dei trucidati, perché non si allargassero gli odi e non si arrivasse a nuovi lutti ed inutili vendette. Merito anche soprattutto suo l’intervento pronto e largamente determinante del Papa Pio XII, che mandò direttamente una sua nipote con monsignor Baldelli a vedere a provvedere…a distanza di tempo, il clima anticlericale ha accecato per troppi anni l’ambiente maremmano e ha lasciato il dominio culturale alle sinistre che non hanno permesso una ricerca obiettiva nella storia di questo secolo e soprattutto nel secondo cinquantennio”.

Don Carlo Bartolozzi, parroco di S. Andrea Apostolo a Sassetta. Antifascista dal 1922, nato a Monteverdi Marittimo nel 1882 da Giovanni e Antonietta Giovannetti. Fino all’approvazione delle leggi razziali don Carlo costituì un costante punto di riferimento per tutti gli ebrei sfollati a Sassetta che trovarono in lui un amico pronto ad aiutarli e rischiare per loro. Svolse la sua azione con i partigiani e con il CLN facendo un prezioso lavoro di raccordo, di informazione, di aiuto, soprattutto per gli ebrei. Fu annoverato membro del CLN ottenendo dal Comando del Raggruppamento Patrioti Monte Amiata un attestato, datato 20 luglio 1944. Ricevette anche l’attestato Alexander che testimonia la sua appartenenza al Corpo Volontari per la Libertà. Anche grazie a don Carlo il paese di Sassetta non ebbe alcun cittadino vittima dei tedeschi e nessun ebreo fu catturato, allo stesso tempo, dopo la Liberazione, nessun fascista subì rappresaglie.

Don Ivo Martelli, studia a Roma ed incontra nella Biblioteca Vaticana alcuni leader nazionali dell’antifascismo, tra i quali Alcide De Gasperi. E’ tra i promotori della banda partigiana poi inserita nella III Brigata Garibaldi, che operò fra le montagne di San Vincenzo, Campiglia Marittima, Castagneto e Sassetta, tra il 1 settembre 1943 fino al 20 luglio 1944. Ricercato dalla Gestapo visse per mesi alla macchia con i partigiani con i quali partecipò d azioni militari nella zona. Fu il primo sindaco di San Vincenzo dopo la Liberazione e  Presidente del CLN comunale.

                                                                                                          (continua)


venerdì 8 agosto 2014


Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(X)

I preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane.

"...la sottovalutazione della strage di Niccioleta si può misurare nelle esigue cinque o sei parole (nelle note!) che lo studioso Giovanni Verni gli dedica nell'ampio studio La Resistenza Toscana, in Ricerche Storiche, a. XVII, n. 1, gennaio-aprile 1987, ESI, Napoli, pp. 61-204, citando come bibliografia il solo volume di Bianciardi-Cassola, I Minatori della Maremma, e non più spazio si trova nell'ultima aggiornatissima opera nazionale, Dizionario della Resistenza, cit., pp. 462-463, dove, passando in rassegna nominativa le località ove avvennero le stragi della Toscana, tra le quali quella di Niccioleta-Castelnuovo di Val di Cecina, si scrive soltanto che esse "assistettero a stragi nazifasciste con almeno cinquanta vittime ciascuna". Quasi nulla, infine, è stato scritto sui drammi individuali e collettivi delle famiglie degli uccisi di Niccioleta. Essi si possono intravedere seguendo la vicenda umana e pastorale di don Gino Bracci, il parroco del villaggio, che dopo aver invano "tentato l'impossibile per salvarli", e dopo essersi successivamente adoperato ad attenuare i rancori, i desideri di vendetta dei superstiti, il dolore di madri e spose, ne rimase così sconvolto da entrare in crisi sacerdotale spretandosi. Tale crisi "non fu che la conseguenza delle minacce subite e dei suoi sforzi inimmaginabili nello stare vicino alle famiglie dei trucidati, perché non si allargassero gli odi e non si arrivasse a nuovi lutti ed inutili vendette". Su don Gino Bracci, l'archivista della Curia Vescovile di Massa Marittima, don Antonio Pini, parla serenamente non di "crisi religiosa", ma di "crisi umana" dettata da motivi di "solitudine affettiva" e dal turbamento generato dalla immensa tragedia. Infatti, Gino Bracci, spretatosi, laico e sposato con la vedova di un minatore ucciso, rimase un uomo di grande fede svolgendo ruoli importanti nell'Azione Cattolica diocesana. Merito soprattutto di don Bracci fu l'intervento pronto e largamente determinante del Papa Pio XII, che mandò direttamente una sua nipote con monsignor Ferdinando Baldelli (presidente nazionale dell'Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale degli Operai, ONARMO), a vedere e a provvedere. La situazione sociale, lo smarrimento mentale, le problematiche del lavoro, resero ancor più difficili i rapporti fra la "Montecatini" ed i sindacalisti che operavano in modo lucidamente politico e criticabile sotto molti aspetti. Il clima di tensione che si percepiva a Niccioleta aveva reso ancor più invivibile il villaggio e tutta la zona mineraria. Molti orfani, a causa di questi eventi, trovarono accoglienza al Rifugio S. Anna, in Massa Marittima", in C.E.T., Chiese toscane, cit., pp. 360-362. Un aspetto ancora poco noto è l'azione del clero della diocesi di Massa Marittima a favore dei minatori e l'impegno del vescovo Faustino Baldini, in contatto continuo con monsignor Ferdinando Baldelli e, suo tramite, con Pio XII. Nel Comitato di Niccioleta oltre ad un membro delle famiglie dei fucilati ed uno della Direzione della miniera entrò a farne parte un membro designato dalla Curia vescovile. I compiti di tale Commissione, composta dall'ing. Gnech Martino, da Gino Bracci e dal signor Bianchi, riguardavano anche l'erogazione di un assegno mensile, erogato dall'ONARMO, alle famiglie delle vittime. Infine, per il ruolo avuto dalla chiesa massetana, soprattutto nel portare aiuto alle famiglie delle vittime di Niccioleta, vedi la documentazione esistente nell'Archivio della Curia Vescovile di Massa Marittima, consistente in alcune lettere del presidente dell'ONARMO, Ferdinando Baldelli, al vescovo Faustino Baldini e tre testi di allocuzioni del vescovo stesso pronunciate negli anni 1944 e 1945 in occasioni di importanti ricorrenze (Arch. Vescovile, Allocuzioni del Vescovo, 1944, b. 21, b. 23; 1945 b. 15). Sul vescovo Faustino Baldini gravano le ambiguità della collusione con il regime fascista, che si erano fatte ancor più evidenti in concomitanza dell'aggressione all'Etiopia, e le sue frequenti apparizioni tra i gerarchi del partito nelle manifestazioni ufficiali: tali ambiguità permangono e si avvertono anche dopo l'eccidio dei minatori, nella più assoluta asetticità di giudizio del vescovo, tra vittime e carnefici, e nella mancanza di condanna morale per il fascismo ed il nazismo, mai nominati nelle sue allocuzioni. Al contrario risulta forte l’impegno del vescovo Baldini nell’opera di mediazione con i comandi tedeschi per evitare “decimazioni tra la popolazione”. Ai funerali solenni che si svolgono nell'estate 1944 a Massa Marittima, si limita a dire che i settantasette minatori "trucidati barbaramente, senza un'anima gentile d'attorno che ne avesse pietà e ne raccogliesse gli ultimi rantoli e le agonie estreme; senza un sacerdote che li confortasse cogli ultimi Sacramenti e colle ultime preghiere della Chiesa, questi cari fratelli nostri ebbero un seppellimento sommario e in comune e in terra non loro". E nel concludere non può fare a meno di accennare che "...la voce di questi cari, vittime di un odio feroce che ha straziato più che mai la nostra Italia, chiede non rappresaglie di altri morti che getterebbero la Patria in un caos di perdizione completa, ma chiedono l'unione delle menti e dei cuori...serietà di vita e concordia fraterne, ecco il giuramento che io v'invito a deporre su queste salme benedette, se vogliamo incontrare il gradimento dei morti, e giurare alla causa comune della rinascita nazionale". Il 13 febbraio 1945, in occasione della inaugurazione della targa commemorativa per i sei minatori fucilati il 13 giugno 1944 a Niccioleta afferma: "Resti nei secoli questa targa benedetta a ricordare la enormità di un delitto che ha spezzato sei giovani vite e cuori di madri, di spose, di figli. Ma ricordando l'enormità del delitto non ispiri mai questa targa sentimenti di ribellione a Dio che nei suoi imperscrutabili giudizi non sventò i disegni dei traditori, né trattenne la mano dei carnefici...non dunque sentimenti di ribellione verso Dio e nemmeno sentimenti d'odio verso i traditori e i carnefici...ma nell'osservanza del Vangelo, deposte le bombe e le mitraglie di cui foste vittime, ci stringiamo la mano da veri figli di Dio e seguaci di Cristo nella festa della fratellanza mondiale". Del resto è noto, leggendo la stampa cattolica, come l'Araldo di Volterra, che alla iniziale euforia con la quale il mondo cattolico aveva plaudito alla guerra ed alle imprese nazifasciste, vissute principalmente nel disprezzo del valore della vita umana e nell'esaltazione della lotta del cristianesimo contro il bolscevismo ateo e contro l'Inghilterra e gli Stati Uniti, nazioni a predominanza protestante in un non ancora sopito spirito di controriforma, subentra un silenzio gravido di paura. Nelle chiese si implora ora una pace giusta e universale, ma, nella vittoria delle nostre armi, della romanità, della cristianità, perché il Duce l'ha detto Vinceremo! La presa di coscienza collettiva, almeno entro la diocesi di Volterra, della condanna del fascismo e dell'apertura a idee democratiche più tolleranti, non avverrà né il 25 luglio né con la proclamazione della Repubblica e dell'applicazione della Carta Costituzionale. Ben pochi ed isolati saranno i casi di partecipazione di religiosi alla Resistenza nel volterrano e nelle Colline Metallifere:

                                                                                                          (continua)