martedì 30 dicembre 2014

LOVE

I say goodbye when I approach you, Love,
as my age and this gray would have me do.
There was the shadow of the earth and sun
and, oh, the heart of a heartless boy in you.

Ti dico addio quando ti cerco Amore,
come il mio tempo e questo grigio vuole.
Oh, in te era l’ombra della terra e il sole,
e il cuore d’un fanciullo senza cuore.


(Umberto Saba, 1947) 
(II Parte dell'anno 2014):








Un anno (il 2014) con molti doni, ricordi e speranze (Parte I):









sabato 27 dicembre 2014








Che levataccia!


Ore 5,40, la suoneria mi sveglia di soprassalto. Passerà Massimo alle 6.00 perché ho deciso di accompagnarlo nel giro della raccolta latte tra gli allevatori e pastori della Maremma. Mi vesto in fretta e tiro su le serrande delle finestre, fuori c’è ancora un buio profondo. Con 10 minuti di anticipo vedo l’auto di Massimo sotto casa mia: sono pronto e abbastanza agile, scendo rapidamente. Dobbiamo andare a Monterotondo Marittimo, al “Caseificio San Martino”, dove si trova il camion. E’ freddo, e la temperatura esterna è calata di 8 °C., ed oscilla tra i 3 ed i 5°C., ma la volta del cielo brilla di meravigliose stelle! Alle 6,30 partiamo. Non viaggiavo su un camion dall’infanzia e mi fa un certo effetto appollaiato lassù, vedo le cose da una nuova prospettiva e ciò mi piace anche se la rigidità del camion, sulla strada assai disconnessa, mi crea ansia e indolenzimento per la vecchia e malmessa colonna vertebrale, nonostante, molto precauzionalmente, abbia indossato un bustino rigido! Scendiamo verso la costa, dal Frassine, Suvereto, Venturina (frugale colazione con cappuccino e brioche), poi verso nord sulla superstrada a fino ai Palazzi. Imbocchiamo la strada 206 per Pisa, con uscita a Luciana nei pressi di Collesalvetti dove facciamo il primo prelievo. Strade strette e dissestate, per fortuna con poco traffico in un’alba che si accende all’orizzonte basso, mentre il cielo si copre di nuvole. Ritorniamo indietro sulla 206 e ci fermiamo in un’area a margine della strada dove ci attende un camion latte per il secondo carico. Siamo proprio nel punto dove c’è un monumento all’UOVO! Una trentina o più di anni fa c’era qui un grande allevamento di polli! Adesso il degrado regna ovunque. Riprendiamo la superstrada direzione Grosseto, imboccando a Braccagni stradette strette e pericolose nella pianura, un tempo fondo del lago Prile, circondata da una bella catena di profili collinari punteggiati dai borghi di Roccastrada, Roccatederighi, Sassofortino, Sticciano, Montepescali coi suoi stupendi oliveti, fermandoci in due allevamenti ovini per i relativi prelievi. Il camion ora è assai più stabile avendo caricato una ottantina di quintali di latte! Adesso non ci rimane che l’ultimo carico da fare. Si ritorna verso nord e attraverso strade secondarie arriviamo nei pressi di Monteverdi Marittimo. Intanto la pioggia s’è fatta insistente e la stradina sterrata, molto stretta, s’è fatta melmosa. Con difficoltà, qualche scivolone, e paura mia, facciamo l’ultima sosta in un podere nella grande macchia mediterranea. Riprendiamo la SR 398 attraversando il borgo di Canneto e salendo verso il bivio per Lustignano e da qui, scendendo al fiume Cornia, che passiamo a guado, giungiamo finalmente al caseificio San Martino dopo aver percorso circa 300 chilometri! Sono circa le ore 16. Poiché non abbiamo trovato un’osteria aperta, telefoniamo a casa che ci preparino un piatto di pasta…un pranzetto inaspettato e gustoso! Sono stato felice di stare insieme a Massimo, parlare con lui di latte, pecore, problemi di una attività esaltante, complessa, faticosa nel perdurare di una crisi economica difficilissima da superare e rievocare episodi legati ai luoghi che attraversavamo: amici miei cari di un tempo, come Lando, Alberto, Oris,  Gabriella, il mio babbo e la motocicletta MIVAR 125 SPORT che ci portava alla spiaggia dorata di Follonica e al mitico Gatto Grigio! Un ultimo suggerimento: cercate nelle gastronomie di COOP, CONAD ed altri negozi di generi alimentari e caseari i Formaggi di San Martino! Non ve ne pentirete, son prodotti con amore, dalla sapienza e dalla fatica dell’uomo..

venerdì 26 dicembre 2014



Giovenale, Decimo Giunio (Aquino, 50/65 – 140 ca. d.C).

Poeta latino.

Si hanno  notizie molto incerte sulla sua vita. Forse esercitò l’avvocatura e si dedicò alle declamazioni, allora molto di moda. Si dice, ma le notizie sono poco attendibili, che sia morto in Egitto. La sua opera giunta fino a noi è formata da 16  satire (l’ultima è incompleta), divise in 5 libri, databili tra il 100 ed il 130, quindi scritte o pubblicate in una età matura., quando nell’Impero Romano erano palpabili la rilassatezza e la dissolutezza delle classi dominanti, anticamera della crisi che più tardi lo avrebbe travolto. Giovenale avvertiva profondamente che il suo tempo non era quello “di una straordinaria felicità dei tempi”, anzi, percepiva la fine degli antichi ideali etici romani. La società gli appariva perversa, viziosa,  drammaticamente cruda, se non brutale ed egli ne denunciò tutti gli eccessi, senza illudersi che la denuncia, seppur violenta e trasgressiva, potesse contribuire ad un risarcimento morale. Cantò le perversioni del costume: la vacuità della letteratura alla moda; l’abiezione  sessuale; la goffa stupidità della classe politica sotto Domiziano; le umilianti cene dei clienti; le miserie dei letterati costretti a prostituirsi o a restare affamati; l’indegnità dei nobili. Celebre per la sua tormentata e appassionata violenza è la lunga invettiva contro la libertà di costumi delle donne (satira VI). Il canto di Giovenale è cupo, senza speranza,  preveggente anticipatore della “crisi”. Molti dei suoi esametri son divenuti proverbiali. Leggerlo, alternando le Vite parallele di Plutarco, riequilibra la visione “eroica” della romanità, precorrendo altresì, in molte parti, la decadenza etica e la violenza del nostro tempo. L’introduzione e la versione di Guido Ceronetti, per I Millenni Einaudi, 1971, sono esemplari, graffianti e straordinariamente attuali.

Del Libro V, Satira XV, mi hanno colpito questi esametri:

La natura, al genere umano, ha dato
Le lacrime. Il più alto bene
In noi, è l’infinita tenerezza.

Naturae imperio gemimus, cun funus adultae
virginis occorri vel terra clauditur infans

et  minore igne rogi.

domenica 21 dicembre 2014



PIL 14 dicembre 2014, RADICONDOLI.

Il tema di questo piccolo incontro letterario era “Errare umanum est (o ovest)”. ..ed anche “L’Ego lega”. Eravamo soltanto i sette e alcuni si sono soffermati su “errare”, come camminare, vagare transumare…oppure sui movimenti dei popoli nomadi, esempio i rom…in due, invece, abbiamo preso  l’errare, come l’errore. Da parte mia ho ammesso, ripensando bene alla mia lunga vita, di aver commesso e commettere, anche quotidianamente, molti piccoli errori veniali, diciamo, ma  mai errori capitali o “mortali”. A una settimana di distanza, scrivendo questo post sul blog, credo che avrei dovuto aggiungere una cosa fondamentale, ma lì per lì non mi venne alla mente: i due o tre veri errori che credo di aver commesso, ma dei quali non desideravo e non desidero parlare, mi portarono grandi doni! Perciò anche la valutazione dell’errore dovrebbe essere ben ponderata e osservata da diverse angolazioni, non soltanto da quella del soggetto attivo, né da quelli passivi, oppure, dalla “morale” corrente, ma dagli effetti successivi, se non altro, per un artista, mettendoli in relazione alla sua creatività. Dopo aver letto la poesia La cattiva maestra (ossia, la storia), sollecitato dal bel diario di viaggio in Tessaglia, di Moreno, ho letto la lirica “Bella Ciao a Glifada Beach”, che ha sollevato qualche risolino di compatimento, trascurando di dire che si trattava di un testo abbastanza antico, fine anni ’60 inizio anni ’70, del quale però omisi la nota 60 che lo riguarda, sul testo del mio Canzoniere a pagina  1007.



(Nota 60) Ascolto canzoni d’amore e di nostalgia mentre leggo, prima di addormentarmi, lasciando correre le note negli auricolari, fino al primo risveglio. Di alcune non seguo la trama delle parole incantate, solo una o due o tre, mi rimangono come un chiodo fisso nella mente. Le ritrovo e ci costruisco i miei sogni. Son mescolati alla poesia di Jaroslav Seifert. Ma con chi condividere malinconia e desideri? Man mano che divento vecchio m’accorgo d’esser rimasto solo. Forse non ho saputo costruire niente nella mia vita. Niente di ciò che rende meno pesante l’esistenza, e che riesce a dare un surrogato di felicità e di passione. Il mio cuore non palpita per la sorte degli uomini e della mia stessa Patria. E’ assuefatto al male e alla banalità. Si è arreso all’invincibilità del tempo eterno e veloce: nulla esso conserverà, e poi, a quale scopo? Immagino, in rari sprazzi di tenerezza, di stringere il filo invisibile che mi lega alla mia lontana madre, all’origine del tempo, perché io esisto, ma nulla si muove nelle fibre del dna, si, proprio come la luce di stelle splendenti nel firmamento, che non esistono più, sono morte, miliardi di anni fa! Tutto è morto o morrà intorno a me creatura d’evanescente materia ed anche la bellezza del mondo non mi stupisce, ma soltanto le esili ombre che ancora riescono a risalire dalla lontana memoria, forse per abbeverarsi della fredda luce di primavera, mi parlano. Si, anch’io di notte, sogno di svegliarmi e in silenzio rovisto nei miei ricordi come nel cassetto di un vecchio armadio. Ad un tratto, nel buio mi guarda il viso di una ragazza. E’ una ragazza strana. Viene da altri mondi. Sul labbro superiore, all’angolo, ha una cicatrice, che la rende voluttuosamente sensuale, attira i miei baci. E la pelle, man mano che il sogno la rischiara, si scurisce, si fa nera. Ha gli occhi tristi un po’ assonnati, denti di un bianco selvaggio, la camicetta sbottonata e in essa due piccoli seni, neri come una manciata di mirtilli di bosco. Mi chiedo: ma è lei?  E’ la cerbiatta che saltava tra le dune a Glifada Beach? Meravigliato riesco a chiederle: <Est-ce toi?> E dal profondo sottosuolo sepolto nella polvere del tempo si fa sentire piano, pianissimo, come un petalo d’albicocco che cade sull’erba: <Oui, c’est moi!
J. LADA

Dal "magico" album di tutta l'opera del grande artista, peso 7,5 Kg., riproduco, per la gioia dei miei amici, in questi giorni del Natale e di Capodanno, sei immagini, un po' per prendere le distanze dai 30 telegiornali quotidiani, un po' per farci sognare...







sabato 20 dicembre 2014


In questa foto anni '50: in piedi Renzo, mio padre, seduto Jughetti, appoggiato Gino Barsotti e a sinistra, di spalle Eude Groppi.

La bella mora e il maialino.


Mercoledì, 17 dicembre, sono andato a Pomarance per sbrigare una semplice pratica all’ACI, anzi, per una domanda. Ne ho approfittato per fare una passeggiata nel centro storico, nel bel mattino di sole. Ho ancora diversi amici in questo ridente  paese, dove una volta, ma parlo di 30 – 40 anni fa! ne avevo moltissimi  Il tempo, si dice, è galantuomo…e compie ogni giorno il suo lavoro, adesso quasi nessuno mi riconosce ed io non riconosco quasi nessuno di coloro che incontro. Infine trovo Gigi, un uomo che ha dedicato tutta la sua vita al lavoro sindacale nella fabbrica chimica di Larderello e nelle strutture territoriali, in più ad una grande passione politica, sempre nella sinistra “di classe”, un po’ fuori dal coro dei compromessi, anche se non tutti i compromessi sono stati da buttare. Siamo stati buoni compagni, e ci siamo rispettati nelle divergenze, che non sono state poche. Mi ha fatto piacere ascoltarlo, sempre combattivo, anche se, come tanti, scoraggiato di fronte alla situazione nazionale ed anche locale, dato che la “base” o non esiste più o non conta nulla! Caro Gigi, siamo nei tempi  bui, come avrebbe detto Brecht, noi che pensavamo di esserne usciti e viaggiare verso una forma di vera e luminosa onesta e partecipata democrazia! Ma, infine, ecco sopraggiungere un vecchio amico di mio padre, e mio, Scalabrino, un sondista burlone e intelligente. Ci siamo abbracciati con calore. Naturalmente la memoria è andata indietro indietro alla ricerca dei ricordi e così, scansando quelli tristi – che la maggior parte sono nei cimiteri delle nostre colline – ci siamo soffermati su quelli più piacevoli, in particolare quando lui, al Magazzino Sonde, lavorava insieme al mio babbo. La lingua batte sempre lì, sulle donne e sulle avventure galanti, si fa per dire, dato che i loro contatti erano con disinibite mezzadre e contadine. Quando costruivano la lunga condotta dell’acqua industriale, dal Mulino di Pavone, al Poggio della Colombaia e da lassù a Larderello, non c’era podere che non avesse avuto un tubicino derivato clandestinamente dalla tubazione principale e portato al casolare con tanto di rubinetto senza contatore, gratis, e addirittura, quand’era possibile, anche un tubicino con l’acqua calda! Ovvero, qualche volta c’era uno scambio in “natura”! Ci fu addirittura una bella mora che regalò ai due generosi, un bel maialino vivo, che Scalabrino allevò con amore fino al peso giusto per essere ammazzato e lavorato e mangiato! Scalabrino si gode ancora una bella vecchiaia, ad esempio, poiché aveva i pantaloni rimboccati gli ho chiesto se fosse una nuova moda: ma che dici Carlo, stamattina presto sono stato nell’orto a cogliere i cardoni! E quest’anno ho ammazzato due bei cinghiali, in Camerino!  Ma Camerino è sopra la Pieve di Morba, vicino a Castelnuovo…Si, la nostra squadra ha preso in affitto un podere, Farinello, e viene a cacciare il cinghiale lassù, ed io ho fatto due tiri e due centri! O bravo Scalabrino, incontrarti mi dà sempre gioia e speranza e stamani m’hai reso felice.

venerdì 19 dicembre 2014

  
Dina Ferri (1908 – 1930).

Few more tender and poignantly beautiful works have been published than these fragments from the lyrical journal of the young Sienese poetess, Dina Ferri, who died 1930 at the age of twenty. Even before her death she had begun to be acclaimed in Italy, and the Nazione said of her work: “All the lyrical forms of this Sienese shepherdess have the rare gift of naturalness-the force of originality.”
Within the soul of this young woman endowed with the traditional virtues of her race every experience was transmuted into sounding and evocative poetry. The discerning critic will appreciate the power of the country girl’s style. She brings fresh pleasure to lovers of poetry in the clearness of her vision and in the pure music which wells from her inner being without the artificiality  engendered by instruction in metrical art. She has what the Tribuna calls: ”…a fresh voice which comes to rejoice the hearts of those who thirst for simple and natural beauty-poetry untrammelled by the rules and restraints of pedantry”. The Notebook is the only record extant of her work, and so it is fortunate for English readers that the translation is a delicately able one, admirably suited to bring over into our tongue the tender nuances of the original (BRUCE HUMPHRIES, INC, Bosto, USA, 1933).

Remembering.

The snow fell white and dreary,
rough was the wind of night.
She was sewing, weary,
the crackling blaze was bright.

The flame burned clear,
the mother sat near.
She mused, she sewed…
In great flakes it snowed.

Translated from English by Karl.

Teneramente ed acutamente sono stati pubblicati i bei lavori dei “frammenti dal diario lirico della giovane poetessa Senese, Dina Ferri, morta nel 1930 all'età di ventidue anni. Anche prima della sua morte lei aveva cominciato ad essere acclamata in Italia, ed il quotidiano La Nazione disse del suo lavoro: “Tutte le forme liriche di questa pastorella senese hanno il pregio raro di naturalezza e di potenza dell'originalità.” All'interno dell'anima di questa giovane, dotata dalla natura di grandi sensibilità creative, ogni esperienza fu tramutata in musica e poesia evocativa. Il critico perspicace aumenterà di valore il potere dello stile della ragazza di campagna. Lei porta un fresco piacere  agli amanti della poesia nella chiarezza della sua visione e nella musica pura che sgorga dal suo essere interno, senza l'artificiosità procreata da istruzione nell’arte della metrica. Lei ha quella che, come l’ha chiamata il quotidiano Tribuna: … una voce fresca che viene a rallegrare i cuori di coloro che hanno sete per semplice e naturale desiderio della bellezza, libera dalle regole e limitazioni della pignoleria. Il “Quaderno del nulla” è l'unico frutto esistente del suo lavoro, e questa è una grande fortuna per lettori nella lingua inglese, che la traduzione è delicatamente capace, e ammirabilmente eseguita,  per apportare nella nostra lingua le sfumature tenere dell'originale (BRUCE HUMPHRIES, Inc Boston, Stati Uniti 1933).

Ricordando.

Cadea la neve bianca,
c’era il vento roco.
Essa cuciva stanca
e crepitava il fuoco.

Di presso la fiamma
sedeva la mamma.
Cuciva, pensava…
la neve fioccava.


mercoledì 17 dicembre 2014






Dina Ferri (Anqua, Radicondoli, 1908 – Siena, 1930). Poetessa.


Ieri sera a Massa Marittima, bell’evento parlando di una grande poetessa, Dina Ferri. Dopo l’euforia nazionale nel 1931, all’uscita del suo libro “Quaderno del nulla”, e sporadiche commemorazioni, che in Italia seguono un ciclo di dieci anni per dieci anni (quando va bene), oppure 50 e 100 e 150 anni, a cose “normali”, mi meraviglio sempre, quando ho opportunità di essere invitato a parlarne, delle emozioni che la vicenda umana e artistica di Dina Ferri suscita negli ascoltatori e della commozione all’ascolto dei suoi bellissimi versi. I supercritici contemporanei forse storcerebbero le labbra alla semplicità degli accordi e dei temi della poetessa, ma ella ci canta non della superficialità, bensì della profondità! riuscendo a penetrare nei cuori e nelle menti di tante persone, e ciò vorrà pur significare qualcosa! Il cortometraggio (30’) di Luigi Oliveto, proiettato a conclusione, e l’opera pittorica del Maestro Dino Petri che ha saputo cogliere l’interiorità di Dina Ferri, dipingendola non solo come poetessa pastora e mito dell’Italia rurale, ma “pastora d’anime”, svelandone allegoricamente la ricchezza interiore, nella pur breve sua vita, e la sapiente cultura, non solo italiana del suo tempo, ma classica e, in sorprendenti casi, straniera. Grazie alla Associazione Storica Agapito Gabrielli, alla Biblioteca Comunale “Gaetano Badii” ed all’UNIELI di Massa Marittima ed ai loro Responsabili, ed alle tante persone presenti e partecipi a questa bella serata! 

domenica 14 dicembre 2014


Facciamo il “punto”.


A grandi falcate arriva il tempo dei bilanci…quello del modesto ccb non lo prendo in gran considerazione,  in un anno risparmi ZERO assoluto; si galleggia a malapena, attenti ad un muover d’onda, per non andar sotto. Quello della “vita” un po’ meglio, anzi per certi versi molto meglio, anche se rimangono zone meno illuminate. Curiosità e creatività tengono il trotto, qualche volta muovono il galoppo, anche se tali movimenti si praticano ormai al chiuso in un terreno d’equitazione coperto dove, al più, ci sono due altri cavallerizzi con i quali non è possibile scambiarci più d’un cenno col frustino in mano! E’ sul “prato” sociale, amicale, culturale che regna la solitudine. Cioè nel microcosmo del mio paese natio. Forse è colpa mia. Lentamente mi sono chiuso in me stesso, invecchiando e guardando sempre più spesso al passato. Ma i “numeri” non aiutano, sono ai minimi termini. Ad esempio, il Circolo del partito politico al quale sono iscritto fin dalla sua fondazione, conta meno di venti adepti…età media circa 66 anni! Praticamente non è più possibile una attività periodica degna di questo nome. E se ciò non bastasse, in tale gruppuscolo, siam quasi “l’un contro l’altro armati”. Uscendo a sera per una passeggiata, il più delle volte non trovo una persona, non dico un amico o conoscente, per scambiare buonanotte! Per fortuna funziona la connessione internet gratuita ventiquattro ore su ventiquattro! E il Mondo l’hai dentro casa tua, nella tua solitudine che non può essere colmata dal web. Per adesso riesco a spostarmi e guidare senza problemi la mia Panda. Stasera andrò a Radicondoli, circa 30 km. distante, per l’incontro con amici ed amiche, una decina, al PIL, cioè l’incontro mensile di Piccoli Incontri Letterari, dove si sta sul leggero, si ride, si mangia un dolcetto e s’ascolta l’oroscopo di Brezny. E martedì a Massa Marittima, a tenere una conversazione sulla poetessa Dina Ferri (1908-1930, Radicondoli-Siena), un caso letterario italiano degli anni ’30 del secolo passato, ma adesso ricordata soltanto su una ristretta base territoriale. Infine aspetteremo l’Anno Nuovo a Volterra, ossia al VILE, sede degli Amici della Natura e del Gruppo Astrofili Volterrani, insieme a tanti amici ed amiche,  che contribuiscono a fare un pieno di energia per proseguire il cammino. Taccio, per la privacy, sulla gioia e l’amore che scambio all’interno della mia famiglia allargata, già questo, a ben pensarci, un DONO MERAVIGLIOSO che mi fa sempre dire Grazie alla vita!

sabato 6 dicembre 2014





Proverbi XIV.

Oh Fontebranda, Fontebranda!
sempre ritorno alla tua frescura,
a specchiarmi: ormai senza paura del ricordo
di lei che fugge, come quest’acqua, per ignota via.

Ancora non amavo, amavo soltanto l’amore,
ma l’amore che non sgorga incessante
è sempre un amore che sta per morire.
Solitario bellissimo fiore, sempre occorre
l’ardore per coglierlo, sull’orlo del precipizio.


Là non osai.

giovedì 4 dicembre 2014


Renzo Groppi, fisarmonica, ed il complesso jazz "Stella d'argento", primi anni '50: Emio Frasconi, Ciro Panichi, Alfio Benincasa, Lando Groppi, Alberto Ciampi.

Via del Borgo 26.

In Via del Borgo ventisei non mancava
pena, né il silenzio, coi suonatori
che da una camera all’altra duellavano
con il quartino e la fisarmonica,
padre e figlio, mentr’io bambino aiutavo
la nonna a preparar la sobria cena.

Mancavano invece la mamma - e la sorella -
per brutti affari amorosi, si mormorava,
rei, entrambi i genitori; ma già
in cuor mio avevo scelto il babbo,
che m’aveva messo dolce il nome.

Carlo - mi disse una volta -
vuol dire uomo libero, così
speravo che tu fossi, quando
sconfitta la nera dittatura
avremmo allontanato la paura.

Venne la guerra, non ci portò lutti,
la vita riprese stenta, ma ardente
di passione, anche se, rimasti in tre,
chiuso del nonno il banchetto
del calzolaio, la miseria ci sfiorava.

Naturalmente
ero un bambino intelligente, pur
avendo ripetuto la prima elementare;
la maestra diceva sempre:
<Renzo, fallo studiare>!

Diceva bene, però già lo sapevo,
il futuro, per me, non era d’alloro
una corona, era il lavoro.

Il lavoro! S’ha un bel dire,
aveva le gambe lunghe,
e noi comunisti non eravam
sicuri di poterlo avere,
col ritorno delle cappe nere.

Quando la malinconia
m’assaliva – anche se al lavoro
non davo allora importanza –
il babbo mi rassicurava:

<Andremo in giro per il mondo,
tra la gente, io con la fisarmonica
e tu con la gabbietta del pappagallino,  
leggendo la fortuna alle ragazze
e dando il terno al lotto,
per un ventino…diventeremo
ricchi senza rischiar niente!>

Questo lui mi diceva e a lui credevo,

come mai più ho creduto nella vita.

mercoledì 3 dicembre 2014





Arte.

Pur non sapendo fare nemmeno un O con il bicchiere, amo l'arte figurativa in tutte le sue espressioni.  Da giovane mi procuravo cataloghi di mostre e profili degli artisti, visitavo musei e gallerie, acquistavo cartoline, e sono stato, lievemente, sfiorato da alcune presenze importanti: Guttuso, Tavernari, Caruso, Viviani, Bussotti, Marinai, Daniele, Chagall, Lada e Svolinsky...Frugando tra l'imponente mole delle carte e cartacce conservate in oltre sessanta anni ho trovato una cartella e due piccole puntesecche, nomi famosi, che mi fanno compagnia.

martedì 2 dicembre 2014








Vies particulaires,
di Maurizio Cucchi,
traduction et préface par Bernard Vanel
2014.

All’inizio degli anni 2000 ho incontrato Bernard, intellettuale, scrittore e poeta francese. Siamo diventati amici. Ricordo tre incancellabili momenti dei nostri incontri, il suo delizioso salotto a Mende, il pomeriggio sulle “biancane” di Monterotondo Marittimo e la dedica che m’ha fatto sul suo libro “Ombres toscanes” (2004), nel quale  ha tracciato di me il più bel profilo che mai mi sarei aspettato di ricevere! Ed ora ecco questo prezioso volume, con la sua pregnante traduzione! A pagina 79 mi sono imbattuto in un breve componimento “la traversée”:

J’arrive au port avec l’angoisse
et la joie de l’aventure.
Ce fut difficile. Je veux dire de sortir
pour vivre. Etre dedans
pour ne pas mourir, et dire:
ventre, eau, to,
coeur, lit.

Non posso dir d’aver copiato il titolo di questa breve poesia “La traversata” con una mia lunga poesia dallo stesso titolo, perché l’ho scritta alcuni decenni fa! Arrivai anch’io ad un porto, mi staccai dal passato verso l’ignoto, volevo abbandonare la  tristezza e cercare l’amore. Trovai assai di più di quel che m’attendevo, non liberandomi del tutto della mia intima essenza, come il serpente che perde la pelle vecchia, ma non la sua anima; oggi si direbbe “crebbi”, e in questa crescita trovai le cose consuete e fondamentali, ventre, acqua, tetto, morbido, cuore, letto…ma non trovai più quel sogno.


…come fu bella
la prima traversata!
lungo il brivido d’amore,
e quelle pagliuzze d’oro
negli occhi tuoi
                   stupiti
non l’ho scordate mai!
e la tua mano                                                                             
alla mia serrata…
dopo non t’ho più       
incontrata, tra i vivi.