lunedì 10 marzo 2014



La grande bellezza.

Alla TV, in una trasmissione interessante e molto seguita dagli italiani, il presentatore, signor Fazio, intervistando il regista cinematografico Paolo Sorrentino, recente premio Oscar per il miglior film straniero, cioè il campione del mondo al di fuori dei soli USA, a proposito del suo film “LA GRANDE BELLEZZA”,  gli ha rivolto la fatidica domanda: “Ma cosa è la bellezza?” Era proprio la stessa domanda che mi sono posto anni fa, in un mio libricino di poesie “Viandante nella memoria”, a pagina 35, che ripropongo, accompagnandola da una foto del “Museo dell’innocenza”, la mia foto, mentre sorrido al futuro, all’amore, alla vita. Avevo scritto:

Guardo dalla finestra il giovane ciliegio che quest’anno ha maturato i suoi primi frutti, gioia dei due o tre bambini che abitano in Via Giusti e degli uccelli che popolano il grande cipresso che lo sovrasta e lo protegge dai freddi venti dell’est, ora sembra levitare nel suo trasparente velo di foglie di gialla madreperla, penso alla bellezza, ma cos’è la bellezza? Anche l’albero dei pomi, ormai spoglio, è stranamente armonioso con i frutti penduli disposti simmetricamente secondo una ignota legge matematica, e tra la nebbiolina di questi tiepidi mattini di novembre richiama alla memoria altre visioni, dal Theatrum Sanitatis, Liber magisteri di Ububchasym de Baldach, oppure dalle novelle della primissima infanzia, come quella delle tre melarance,e dell’audacia del principe, che si cala nel “mondo di sotto” superando incredibili prove per ritornare ad abbracciare la “principessa” amata! Ma cos’è e dov’è la bellezza? Forse era nel giardino nascosto al centro del mio paese? Nell’angolo dove fioriva un vetusto camelio? Oppure racchiusa nella siluette della palma che anno dopo anno osservavo dalla finestra della casa dov’ero nato, nel Serrappuccio, meravigliandomi dell’inesausta tenzone amorosa con il vento? Da questa lotta ci ricavai molti ammaestramenti. La bellezza era in quel mixer di giovinezza, di tepore familiare, di amore in boccio, di attesa del futuro, di poesia della vita? La poesia, si, era la confidente più preziosa e fedele! Le sono molto grato, a dispetto dei detrattori! Quando fui nominato componente di un organo direttivo di una importante Associazione, nella prima seduta di presentazione fui  apostrofato come “Poeta e storico…”, senza alcun titolo scolastico o di appartenenza a club internazionali, sollevando risolini di compatimento in quella congerie di altisonanti personalità. Eppure, qualche anno dopo, fui tra i pochi protagonisti di una importante azione etico-economica, che assicurò democrazia, trasparenza, sviluppo ad una città ed un vasto territorio. Non sapevano che “il poeta è colui che sa vedere”, come scrisse Paul Eluard, e che la Poesia scruta le profondità dell’anima e ne anticipa i moti.

D’amore si patisce e non si muore

Danzano per un pubblico invisibile
le fiammeggianti odalische,
negli abiti trasparenti delle foglie.
E’ l’ultimo commiato alla linfa della vita
prima che la malinconia del ricordo c’invada
 l’anima
e il sapore dei baci si disperda, quei baci che
racchiudono la speranza, l’amore,  la morte,
ah! quei baci sommessi scritti con la lingua
sulle labbra sottili, che subito scoccati ci appaiono
come mai dati, quei teneri baci
che all’infinito vorremmo ripetere, mio sogno,
senza l’intervallo del tempo, che porta il dubbio
e l’angoscia della lontananza.

E domani, domani, non camminerò nel bosco
 spoglio,
nelle cattedrali scoperchiate su cieli nebbiosi,
resterò muto nella corazza dell’attesa
mentre tutti balleranno lieti la danza della
                                    solitudine.

Quanto mi piace l’erba fatta a cuore!
Quella che sta su le sponde del mare:
d’amore si patisce e non si muore.

Una parola m’è salita al cuore…

L’alba era sommersa dalla nebbia
fiochi lampioni facevano tristezza.
Sarebbe stata una giornata grigia
mi sono detto – rientrando nel letto,
in un tepore amico. Tacevano i merli
il rinnovato amore, batteva  fitta
la pioggia ai vetri con tremore,
ma prima di ritrovare il sonno
una parola m’è salita al cuore:
“bellezza”, veniva da lontano,
così ho pensato al camelio in fiore,
di sangue e di smeraldo, sotto
l’acqua sottile, - che ne sarà di quei
turgidi boccioli? appassiranno
come il sogno interrotto?

Crepuscolo a Volterra.


Al crepuscolo, uscendo dalla cantonata che sbucando da Piazza dei Priori immette nella Piazza Martiri della Libertà, all’improvviso sono entrato nel grande incendio di un tramonto fiammeggiante. Il sole era calato, ma laggiù, oltre la costa Tirrenica, tutto ardeva mentre si stagliavano nere, nei nitidi contorni, le montagne della Corsica. La grande valle al di sotto delle antiche mura si riempiva di mille piccole luci mentre a sinistra tra le propaggini delle Colline Metallifere, salivano al cielo le bianche colonne dei vapori endogeni.  Una messa in scena da applauso al grande regista della bellezza dell’universo. Costeggiando il muricciolo, la famosa “spalletta”, tanto caro ai volterrani ed ai turisti, ho notato sedute due belle ragazze e due ragazzi che appena alzati si stavano allontanando. Belle le ragazze come altrettanto volutamente sciatti e rattoppati quegli immaturi adolescenti. Intanto si stava avvicinando la terza ragazza: “Vanno via perché arrivo io?” “No, siediti qui con noi” “Che tristezza che sento!”. Le ho oltrepassate, ma la parola “tristezza” m’ha colpito. Si è facilmente tristi a quell’età, mi son detto, E forse lo ero anch’io. Adesso mi da gioia la bellezza che colgo in ogni dove. Stasera nel rosso tramonto. Quando ero adolescente guardavo terra terra, non ricordo come fossero i profili delle colline, né tramonti, né albe, e nemmeno i “panorami”, non ricordo nemmeno le luci dei paesi lontani, ero immerso totalmente in me stesso, magari in quei brufoli che non ci dovevano essere! Magari in quella figuretta sottile che usciva da un portoncino sul corso principale del paese, e pareva che mi ignorasse, ignorasse il mio amore giocando con me come il gatto con il topo! Finiva tutto lì. O poco più. Forse lo sguardo che s’apre per abbracciare il mondo e la corsa irresistibile alla conoscenza, questo sfrenato consumismo, non solo di oggetti materiali, ma delle emozioni e dei sentimenti, accompagna l’età tarda, e/o la solitudine dell’anima? La ragazza non lo sa che la vita è sua, può compiacersi della sua tristezza. E’ triste, in sé, e la rappresentazione del tramonto di fuoco non le dice nulla. Penso che questa tristezza passerà alla svelta. Anch’io mi consolo dell’effimero che mi stringe, di un tramonto freddo, di una bellezza aliena. La vita è altrove.

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