venerdì 8 agosto 2014


Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(X)

I preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane.

"...la sottovalutazione della strage di Niccioleta si può misurare nelle esigue cinque o sei parole (nelle note!) che lo studioso Giovanni Verni gli dedica nell'ampio studio La Resistenza Toscana, in Ricerche Storiche, a. XVII, n. 1, gennaio-aprile 1987, ESI, Napoli, pp. 61-204, citando come bibliografia il solo volume di Bianciardi-Cassola, I Minatori della Maremma, e non più spazio si trova nell'ultima aggiornatissima opera nazionale, Dizionario della Resistenza, cit., pp. 462-463, dove, passando in rassegna nominativa le località ove avvennero le stragi della Toscana, tra le quali quella di Niccioleta-Castelnuovo di Val di Cecina, si scrive soltanto che esse "assistettero a stragi nazifasciste con almeno cinquanta vittime ciascuna". Quasi nulla, infine, è stato scritto sui drammi individuali e collettivi delle famiglie degli uccisi di Niccioleta. Essi si possono intravedere seguendo la vicenda umana e pastorale di don Gino Bracci, il parroco del villaggio, che dopo aver invano "tentato l'impossibile per salvarli", e dopo essersi successivamente adoperato ad attenuare i rancori, i desideri di vendetta dei superstiti, il dolore di madri e spose, ne rimase così sconvolto da entrare in crisi sacerdotale spretandosi. Tale crisi "non fu che la conseguenza delle minacce subite e dei suoi sforzi inimmaginabili nello stare vicino alle famiglie dei trucidati, perché non si allargassero gli odi e non si arrivasse a nuovi lutti ed inutili vendette". Su don Gino Bracci, l'archivista della Curia Vescovile di Massa Marittima, don Antonio Pini, parla serenamente non di "crisi religiosa", ma di "crisi umana" dettata da motivi di "solitudine affettiva" e dal turbamento generato dalla immensa tragedia. Infatti, Gino Bracci, spretatosi, laico e sposato con la vedova di un minatore ucciso, rimase un uomo di grande fede svolgendo ruoli importanti nell'Azione Cattolica diocesana. Merito soprattutto di don Bracci fu l'intervento pronto e largamente determinante del Papa Pio XII, che mandò direttamente una sua nipote con monsignor Ferdinando Baldelli (presidente nazionale dell'Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale degli Operai, ONARMO), a vedere e a provvedere. La situazione sociale, lo smarrimento mentale, le problematiche del lavoro, resero ancor più difficili i rapporti fra la "Montecatini" ed i sindacalisti che operavano in modo lucidamente politico e criticabile sotto molti aspetti. Il clima di tensione che si percepiva a Niccioleta aveva reso ancor più invivibile il villaggio e tutta la zona mineraria. Molti orfani, a causa di questi eventi, trovarono accoglienza al Rifugio S. Anna, in Massa Marittima", in C.E.T., Chiese toscane, cit., pp. 360-362. Un aspetto ancora poco noto è l'azione del clero della diocesi di Massa Marittima a favore dei minatori e l'impegno del vescovo Faustino Baldini, in contatto continuo con monsignor Ferdinando Baldelli e, suo tramite, con Pio XII. Nel Comitato di Niccioleta oltre ad un membro delle famiglie dei fucilati ed uno della Direzione della miniera entrò a farne parte un membro designato dalla Curia vescovile. I compiti di tale Commissione, composta dall'ing. Gnech Martino, da Gino Bracci e dal signor Bianchi, riguardavano anche l'erogazione di un assegno mensile, erogato dall'ONARMO, alle famiglie delle vittime. Infine, per il ruolo avuto dalla chiesa massetana, soprattutto nel portare aiuto alle famiglie delle vittime di Niccioleta, vedi la documentazione esistente nell'Archivio della Curia Vescovile di Massa Marittima, consistente in alcune lettere del presidente dell'ONARMO, Ferdinando Baldelli, al vescovo Faustino Baldini e tre testi di allocuzioni del vescovo stesso pronunciate negli anni 1944 e 1945 in occasioni di importanti ricorrenze (Arch. Vescovile, Allocuzioni del Vescovo, 1944, b. 21, b. 23; 1945 b. 15). Sul vescovo Faustino Baldini gravano le ambiguità della collusione con il regime fascista, che si erano fatte ancor più evidenti in concomitanza dell'aggressione all'Etiopia, e le sue frequenti apparizioni tra i gerarchi del partito nelle manifestazioni ufficiali: tali ambiguità permangono e si avvertono anche dopo l'eccidio dei minatori, nella più assoluta asetticità di giudizio del vescovo, tra vittime e carnefici, e nella mancanza di condanna morale per il fascismo ed il nazismo, mai nominati nelle sue allocuzioni. Al contrario risulta forte l’impegno del vescovo Baldini nell’opera di mediazione con i comandi tedeschi per evitare “decimazioni tra la popolazione”. Ai funerali solenni che si svolgono nell'estate 1944 a Massa Marittima, si limita a dire che i settantasette minatori "trucidati barbaramente, senza un'anima gentile d'attorno che ne avesse pietà e ne raccogliesse gli ultimi rantoli e le agonie estreme; senza un sacerdote che li confortasse cogli ultimi Sacramenti e colle ultime preghiere della Chiesa, questi cari fratelli nostri ebbero un seppellimento sommario e in comune e in terra non loro". E nel concludere non può fare a meno di accennare che "...la voce di questi cari, vittime di un odio feroce che ha straziato più che mai la nostra Italia, chiede non rappresaglie di altri morti che getterebbero la Patria in un caos di perdizione completa, ma chiedono l'unione delle menti e dei cuori...serietà di vita e concordia fraterne, ecco il giuramento che io v'invito a deporre su queste salme benedette, se vogliamo incontrare il gradimento dei morti, e giurare alla causa comune della rinascita nazionale". Il 13 febbraio 1945, in occasione della inaugurazione della targa commemorativa per i sei minatori fucilati il 13 giugno 1944 a Niccioleta afferma: "Resti nei secoli questa targa benedetta a ricordare la enormità di un delitto che ha spezzato sei giovani vite e cuori di madri, di spose, di figli. Ma ricordando l'enormità del delitto non ispiri mai questa targa sentimenti di ribellione a Dio che nei suoi imperscrutabili giudizi non sventò i disegni dei traditori, né trattenne la mano dei carnefici...non dunque sentimenti di ribellione verso Dio e nemmeno sentimenti d'odio verso i traditori e i carnefici...ma nell'osservanza del Vangelo, deposte le bombe e le mitraglie di cui foste vittime, ci stringiamo la mano da veri figli di Dio e seguaci di Cristo nella festa della fratellanza mondiale". Del resto è noto, leggendo la stampa cattolica, come l'Araldo di Volterra, che alla iniziale euforia con la quale il mondo cattolico aveva plaudito alla guerra ed alle imprese nazifasciste, vissute principalmente nel disprezzo del valore della vita umana e nell'esaltazione della lotta del cristianesimo contro il bolscevismo ateo e contro l'Inghilterra e gli Stati Uniti, nazioni a predominanza protestante in un non ancora sopito spirito di controriforma, subentra un silenzio gravido di paura. Nelle chiese si implora ora una pace giusta e universale, ma, nella vittoria delle nostre armi, della romanità, della cristianità, perché il Duce l'ha detto Vinceremo! La presa di coscienza collettiva, almeno entro la diocesi di Volterra, della condanna del fascismo e dell'apertura a idee democratiche più tolleranti, non avverrà né il 25 luglio né con la proclamazione della Repubblica e dell'applicazione della Carta Costituzionale. Ben pochi ed isolati saranno i casi di partecipazione di religiosi alla Resistenza nel volterrano e nelle Colline Metallifere:

                                                                                                          (continua)

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