venerdì 29 agosto 2014





Carlina.

Carlina, è il diminuitivo del nome Carla, ma è anche il nome di un monte, “La Carlina”, di quasi 900 metri di altezza,  posto proprio sul fronte est del Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina. Per la verità questo monte mostra a noi l’aspetto più tipico, riconoscibile da grandi e piccini, cioè le natiche perfettamente modellate, si pensa di una donna, naturalmente! Ma il suo nome non è derivato da una mitica dea “Carla”, bensì da una pianta selvatica,  che nel medioevo veniva legata sulle porte delle case, insieme ad altri arboscelli spinosi, come l’agrifoglio, e il pungitopo,  per non permettere l’ingresso al maligno, in tutte le forme nelle quali esso amava allora presentarsi. Questa pianta spinosa cresceva in abbondanza sui pianori e nei sodi della montagna. Era dunque considerata come un antidoto a streghe e stregoni e altre presenze diaboliche i cui nomi si riscontravano e si riscontrano ancora a indicare monti, fossi e luoghi vari del nostro territorio: Aia dei Diavoli, La Stregaia, Le Calaferne, l’Infernaccio, Valle del Diavolo, ecc. ecc. Nelle campagne, nel basso medioevo, in quello che veniva chiamato il feudo del castello Poggio ai Corvi, in quel di Vecchienne ( Volterra), oltre al pungitopo, venivano inchiodate sulle porte le civette, accusate di essere portatrici di sventure. Tali rituali non erano soltanto un antidoto contro streghe e stregoni, ma proprio contro il maligno detto anche Ghiavolo che si aggirava per le campagne sotto mentite spoglie. Un’altra  storia ci dice che la Carlina è una specie di cardo selvatico di media montagna,  senza fusto, che cresce con un capolino radente al suolo, da cui si irradiano a stella le foglie spinose.  Delle circa venti qualità che si conoscono, ce ne sono alcune di cui si mangia la base del capolino, come si fa con i carciofi. Il termine deriva da “cardo”, ma è alterato in “carlina” per accostamento al nome di Carlo, e sembra derivare proprio da Carlo Magno. In effetti, un’antica leggenda narra che questo imperatore, in viaggio verso Roma, si trovasse a passare con il suo esercito, decimato dalla peste, vicino al massiccio del monte Amiata, o, secondo altri, al massiccio delle Cornate di Gerfalco. L’animo di Carlo Magno era in preda all’ansia per la sorte dei suoi soldati, ed anche per la propria. Ma, durante la notte sognò un angelo che gli disse di salire sul monte, e una volta in cima, di scagliare la sua lancia il più lontano possibile: l’erba la cui radice sarebbe stata trafitta dalla lancia, doveva essere raccolta, tostata, e ridotta in polvere; quindi mescolata al vino, doveva essere somministrata ai soldati, che sarebbero guariti e resi immuni dalla peste. Carlo Magno destatosi, fece come gli era stato suggerito in sogno e il suo esercito fu liberato dal terribile contagio. La leggenda dice che ancora oggi questo vegetale mostri nella radice il segno del colpo di lancia dell’imperatore Carlo Magno.


Ho annotato queste notiziole da una mostra sulla stregoneria, qualche anno fa, in Francia, come si può dedurre dalla foto, da una nota di Renzo Brucalassi e un elzeviro di Frate Indovino 2014.

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