sabato 2 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(III)

Nota  (a cura di Carlo Groppi):


Per una sintetica ricostruzione delle vicende che accaddero nella città di Massa Marittima sono di particolare importanza i Ricordi di vita partigiana in Massa Marittima del professor Enrico Cheli, valente medico presso l’ospedale cittadini, pubblicati sulla rivista mensile La Torre Massetana, gennaio 1985: «…Ritornato a Massa, fui sempre più sorvegliato e segnalato, al punto che un maresciallo delle SS tedesche ebbe ad aggirarsi per Massa con i suoi sgherri dicendo che, se mi avessero messo le mani addosso, mi avrebbero fatto “kaputt”. Ne posseggo la documentazione. Fortunatamente i nostri servizi di informazione funzionavano bene: quando tedeschi e fascisti venivano a cercarci eravamo irreperibili! Quante volte abbiamo attraversato il fosso della Sata e abbiamo dormito tra il fieno! Meno male che non sono di costituzione allergica, altrimenti mi avrebbero scovato per il rumore degli starnuti…Le mie prestazioni mediche si intensificarono: un giorno mi chiamarono a soccorrere un partigiano ferito, Mario Calvani da Monterotondo Marittimo, cui un colpo di fucile aveva maciullato un dito della mano. Dovetti amputarglielo. La sala operatoria fu, in un pomeriggio di primavera, la cucina del podere Scheggiolaia, a Poggio Romitorio, operai in anestesia locale, su un tavolino. Mario fu bravo a sopportare il dolore. Gli avevano fatto bere parecchio vino, in mancanza di superalcoolici. Né la ferita si infettò, pur non esistendo allora gli antibiotici. Gran razza, quella maremmana! La V Armata Americana del generale M. Clark avanzava: il 4 giugno aveva liberato Roma. Le milizie fasciste abbandonarono allora Massa Marittima dirette al Nord. Il Commissario Prefettizio al comune di Massa, Tappari (ne faccio il nome perché operò sempre bene, pur fascista) compì un atto di limpido spirito democratico: non volle abbandonare la civica amministrazione, ma non volle neppure governarla da solo. Indisse pertanto una pubblica e libera riunione di cittadini, nel Teatro Mazzini, onde venissero eletti liberamente e direttamente, cinque cittadini che collaborassero con lui negli incombenti della civica amministrazione. Volle cioè, il Tappari, la nomina diretta, per acclamazione, di una specie di “Giunta” comunale. Fui eletto anch’io e con me Ivo Carboncini. Non ricordo i nomi degli altri. Ricevetti il foglio di nomina, da parte di Tappari e, quando la “Giunta” decadde, con l’arrivo delle truppe statunitensi, mi giunse il ringraziamento dello stesso Tappari. Conservo gli originali di quell’epistolario. Debbo però confessare di non aver mai partecipato ai lavori di quella “Giunta”. Fui presente alla riunione popolare, ma il clima politico non mi permetteva ormai più di fare apparizioni in città. Le scorribande tedesche erano continue (l’eccidio di Niccioleta è di quel periodo). Il soccorso ai compagni del bosco era sempre più impellente. Ero ferocemente ricercato dalle SS. Mi ritirai quindi definitivamente al bosco, nella formazione “Camicia Rossa” con Mario Chirici, Viazzo Zazzeri e tanti altri con i quali mi sono ritrovato l’11 giugno scorso. Svolgevo le funzioni di medico itinerante di battaglione, con recapito a Scheggiolaia, anche con funzioni di accoglimento dei dispersi e di chi volesse sfuggire ai tedeschi. Un giorno avvistammo due soldati germanici che a cavallo, lungo un viottolo della boscaglia si dirigevano verso la cima del Poggio Romitorio. Noi eravamo tre o quattro, con pistole e moschetti. Ci appostammo per l’imboscata: quando i due tedeschi ci passarono davanti a pochi metri, mi mancò e ci mancò il coraggio di far fuoco…Erano giovani come noi e certamente in qualche paese germanico c’era qualcuno ad attenderli. Era un luminoso mattino di primavera. I rifugiati al bosco aumentavano e costituivano un impaccio per la tattica partigiana. Chirici mi incaricò della loro organizzazione e dell’assistenza ai feriti ed ai malati. Tra le boscaglie di Poggio Romitorio, il 14 giugno, ci pervenne la notizia dei terribili fatti di Niccioleta. E sempre là assistemmo al mitragliamento, da parte dei caccia “Spitfire” inglesi, di una lunga colonna germanica, autotrasportata e corazzata, che percorreva in ritirata la strada Nuova, verso Pian di Mucini. Fu un combattimento feroce: i tedeschi avevano postato le mitragliatrici dietro alle casematte che ancor oggi fiancheggiano la strada: gli aerei sbucavano dietro il Poggio e si avventavano sulla colonna che continuava a sfilare; gli automezzi colpiti si fermavano o scoppiavano; anche un aereo si allontanò lasciando una densa scia di fumo nero…Le carcasse degli automezzi rimasero a lungo ai margini della strada, a testimonianza di quel terribile duello svoltosi per un’ora almeno sotto il sole, nel primo pomeriggio. Ci fu poi il “confronto” tra carri armati americani che sparavano da Massa ormai conquistata ed un cannone tedesco che rispondeva da Poggio Romitorio e che danneggiò parecchi edifici della città. Ne ha scritto di recente, su “La Torre Massetana”, Monsignor E. Lombardi. Un proiettile penetrò diritto, sul lato nord-est dell’ospedale di S. Andrea, in quella che era stata la mia cameretta da letto e la distrusse. Se non avessi fatto la scelta partigiana, la mia vita sarebbe probabilmente finita allora. Era il 24 giugno 1944. Il cannone tedesco – annota bene monsignor Lombardi – era uno solo: ma lo si seppe dopo. Si spostava nella boscaglia simulando che ce ne fosse più d’uno. E sparò per oltre 24 ore. Tanto che il comando americano, ormai ben attestato in Massa Marittima, pensò di attuare un rastrellamento a tappeto, mediante cannoneggiamento, di tutta la superficie di Poggio Romitorio. Le bombe cominciarono a cadere sulle falde del Poggio, lato sud, verso le ore 14 del 25 giugno, a strisce lunghe qualche chilometro e spaziate, le sottostanti dalla soprastanti, non più di 5-10 metri. Il maggiore Chirici spostò la formazione e mi lasciò tra i poderi Scheggiolaia e Serra di Fiori, affidandomi donne, bambini e malati. Quando mi accorsi che le bombe cadevano via via più in su, verso la cima del Poggio, ordinai lo sparpagliamento dei presenti in cerca di riparo. Io lo trovai in una trincea naturale del terreno, sotto le radici scoperte di un enorme leccio secolare. Ci riparammo sotto di esse, accovacciati, stretti uno contro l’altro, eravamo cinque: Wanda Chirici e la sua figlioletta Doretta, Zeno Fedi con un ginocchio rigido per ingessatura e Danilo Rosi. Furono momenti terribili: il fischio dei proiettili, fino allo scoppio, si ravvicinava sempre più…almeno due deflagrazioni al minuto. Ad un certo momento, uno schianto lacerante e fummo ricoperti da un cumulo di terra. Il proiettile era caduto sul bordo inferiore della trincea gettando contro di noi la terra e sopra di noi le schegge. Rimasi lucido: il fischio e la deflagrazione successiva furono al di sopra della nostra trincea. Quando il cannoneggiamento si fu allontanato, ci contammo. Nessuno mancava e nessuno fu ferito. Verso le ore 17 di quel 25 giugno il cannoneggiamento cessò e sul Poggio Romitorio calò il silenzio. La guerra, per Massa Marittima era finita. Il generale Mark Clark alle ore 17 si recò in Duomo, ma proprio allora cominciò la discesa, lungo le falde di Poggio Romitorio, dei feriti: e furono molti ed a parecchi di loro prestai le cure che potevo. Era calata la notte: lampadine a mano, fiaccole, voci nel buio, indicavano il rientro a Massa di tanti fuggiaschi. Molte donne di Massa venivano incontro ai loro cari. La 3 Brigata Garibaldi “, banda «Camicia Rossa»,” fece il suo ingresso in Massa Marittima nelle prime ore del pomeriggio del 26 giugno. Entrammo dalla porta di S. Rocco e sfilammo fin davanti al Municipio. In testa erano il maggiore Mario Chirici e Viazzo Zazzeri. Dai davanzali delle case pendevano bandiere tricolori e l’entusiasmo fu grande. In Piazza Garibaldi, davanti alla Cattedrale ed agli austeri palazzi che testimoniano la storia secolare di Massa Marittima, culla di civiltà e di libertà democratiche, finì la nostra guerra partigiana. A me toccò però, nello stesso pomeriggio, un’altra avventura, segnata ancora una volta dalla buona sorte. C’erano dei feriti sotto Massa, nel piano. Salii su una jeep americana, percorrendo velocemente la discesa dell’Ulivino. Giunti al piano di Schiantapetto, dovevamo prendere a destra, lungo un viottolo. Vi stavamo entrando, quando due colpi di fucile sparati in aria ci fermarono: “Tut min”, ci dissero nel loro italiano gutturale, due soldatoni americani. Qualche ora dopo furono portati in Ospedale, a Massa marittima, un morto e due feriti gravissimi. Una mina tedesca era scoppiata sotto un carro agricolo! Si chiuse così la parentesi partigiana della mia vita. In tutti noi è rimasto un ricordo personale. Ma due generazioni sono ormai passate ed è opportuno che il ricordo rimanga nella storia di Massa Marittima. Della V Armata sono rimaste, sui muri antichi della strada Massetana, le scritte con le quali gli americani hanno segnalato Massa Marittima: Tuscany’s Mediaeval Gem”. Mark Clark è morto il 17 aprile 1984 all’età di 87 anni. Il 24 giugno 1944 quando i soldati americani di Clark entrarono in Massa Marittima era una giornata di sole». Anche Mario Calvani, il popolare “Crimmogeno” di Monterotondo Marittimo, rievoca la sua militanza nella banda “Camicia Rossa”: «…Ce l’hai di quando noi partigiani si rischiò di fare le fucilate con gli americani? Io c’ero. Quando s’entrò a Massa, prima di arrivare a Massa c’è un podere chiamato La Colombaia della fattoria del Cicalino, c’era un uomo che si disperava, diceva che avevano ucciso Norma Parenti. Avevo conosciuto la nostra compagna Norma, attiva patriota, durante un incontro tra lei e il comandante Chirici, in una notte, in una casa periferica di Massa Marittima. C’erano alcuni rappresentanti il CLN con i quali Norma teneva i collegamenti. Gli uomini del famigerato fascista Nardulli, comandante della piazza di Massa, avevano compiuto insieme ai tedeschi l’ultima infamia. Il podere dove avvenne il massacro era “Coste Botrelli”: assieme a lei morì Giovanni Moschini, rimase ferito il carabiniere Ascenzio Carlucci, che morì dopo pochi giorni in ospedale. Entrammo in città il 24 giugno. Chirici voleva subito incontrare i rappresentanti del CLN per prendere accordi. Eravamo nel cinema del paese. Fummo di fatto trattenuti prigionieri dai soldati americani che presidiavano l’uscita. Ci furono momenti di grande tensione perché tutti i partigiani imbracciarono le loro armi. Finalmente uscimmo, ma le armi ci toccò riconsegnarle. S’andò a vedere e si trovarono cinque morti tra cui Norma Parenti, i fratelli Molendi, e Astutillo Fratti, Norma la uccisero in città e per me la portarono laggiù, seviziandola, era una donna che girava tra i tedeschi, tra i fascisti, tra i contadini, bisognava fargli il monumento anche da viva, allora la parte più ignorante la criticava, ma amava la libertà e la giustizia. I fascisti erano furiosi contro di lei! Ma il Chirici è proprio un imbecille che mandava la gente allo sbaraglio che non era capace di adattarsi alla guerra partigiana, fanno bene a screditarlo oggi? Allora te lo dico io e come te lo dico io non te lo dice nessuno: Stoppa è un assassino dichiarato, Chirici no. Chirici era un capitano dell’esercito ed è normale che fuori della legge non voleva andare. Per quale ragione si rischiò con gli americani di fare le fucilate quando volevano giustiziare diversi militari tedeschi? All’articolo tal di tale, dell’anno tal di tale, la Legge Internazionale stabilisce che la vita di un prigioniero di guerra è  sacra e inviolabile! Non poteva far ammazzare quei 32 tedeschi che avevamo prigionieri! Sulla rivista PATRIA Indipendente, n. 6-7 giugno-luglio 2000, Ilio Muraca firma un interessante articolo intitolato “Giustizia partigiana” nel quale, a fianco di un ritratto di Mario Chirici, scrive: “Si è molto parlato di giustizia partigiana, quasi sempre per dimostrarne l’efferatezza e la voglia di vendette verso fascisti e nazisti, colpevoli di gravi delitti a danno della Resistenza. Ma c’è un episodio decisamente in contrasto con questa vulgata. Ed è quello tratto dal volume di Ivan Tognarini Là dove impera il ribellismo, sulla guerra partigiana nella zona di Piombino, in cui il comandante della III Brigatata “, banda «Camicia Rossa», Chirici, dimostra un animo nobile ed un elevato senso di giustizia e di pietà, verso alcuni prigionieri tedeschi che gli americani stavano per fucilare.”La battaglia di Monterotondo: il giudizio che do io è che era  una persona in gamba, e me non mi ha mai comprato nessuno. Quando si venne a Monterotondo, io ero portaordini, a Monterotondo portai un foglio al CLN, al Tafi, il mugnaio, si comunicava che il tal giorno la tal sera noi si sarebbe arrivati in paese, s’apriva il consorzio e tutto quello che c’era si sarebbe consegnato al popolo. Altrimenti tutto andava in mano ai tedeschi. Si arriva a Monterotondo il 9 giugno 1944, e si trova il popolo in sollevazione, mentre secondo i piani doveva rimanere in casa, Chirici voleva andarsene  e s’infuriò con gli uomini del CLN che a suo parere rischiavano di scatenare una rappresaglia nazifascista contro la popolazione. Poteva succedere di tutto. 32 fascisti a discorsi erano in galera, ma ce ne erano solo 2. Chi l’aveva imprigionati? Il popolo! Quando però i tedeschi li interrogarono loro dissero che l’avevano catturati i partigiani, così il paese fu salvo. Chirici ha salvato Monterotondo col la battaglia e con i morti. Lui preferiva meglio un galeotto fuori che un innocente in galera, io ho una idea positiva al massimo del Chirici. Stoppa era una persona ambigua. Noi, una squadra, si partì dal Caglio a Montebamboli e s’andò su verso le Carline, alle Cetinelle, s’era 12: una mattina apparì il tenente Vittorio, che aveva avuto l’ordine di prenderci le armi. Infatti disarmarono tutti meno che me che non volli cedere il moschetto a nessun costo. Alla fine ci rimandarono indietro senza armi. Stoppa aveva dato il comando. Anche i Filoni furono uccisi da Stoppa. Un ragazzo di 14 anni non s’ammazza Stoppa dette l’ordine ma “Boccia” fu l’assassino. Però l’ordine lo dava Stoppa. Poi sembra ucciso nei fatti della “Banda Giuliano” in Sicilia. Si doveva ammazzare il babbo separatamente. Il figlio cercò solo di difendere il babbo. Bisognava aspettare, e se era una spia gli si faceva il processo. Stoppa era un ambizioso e un isterico. Chi era la spia? Era un polacco e fu ucciso. Il discorso del Chirici al Frassine lo tenne una donna, amica dei partigiani, Delia, ha rischiato la pelle centinaia di volte, era la moglie di una guardia. Licurgo Bardelloni è morto a Imperia a Pizzo di Drego. Questi sono tutti i partigiani di Monterotondo: Barzanti Masco, il comandante; Comparini Bongelio, Martini Deo, Giovanni Stampigli, Marconi Marcello, Cavallotti Salusti, Alfredo Traditi,…l’ho fatta fare io, chiesi la fotografia a tutti. Esiste solo questa. Te la presto. Tu lo sapevi di militare in una formazione badogliana? No! Dopo la Liberazione ci si trovò iscritti nel Raggruppamento Monte Amiata, ma noi si sapeva di far parte della 3 Brigata Garibaldi e ci si chiamava “Camicia Rossa”. Un certificato rilasciatomi dal Ministero della Difesa – Esercito, dove si afferma che ho partecipato dal 12 febbraio 1944 al 10 agosto 1944 alle operazioni di guerra in Italia, attesta che militavo nella “Formazione Partigiana “Camicia Rossa” ed è firmata dal Colonnello Comandante Renato Sandrelli. Sono questioni politiche della lotta tra i comunisti e tutti quell’altri! A guerra finita cominciarono a pasticciare tutto. Noi s’era conosciuto Adalberto Croci, era badogliano, antifascista, monarchico. Anche il poro Gallistru era monarchico. C’è un fatto che i comunisti non hanno capito ed io che sono stato comunista gli dico ignoranti!  Noi s’è fatto la Resistenza e in questa resistenza ci si son trovate tutte le tendenze, che volevano difendere l’Italia, buttar fuori i tedeschi e i fascisti, poi tutti fratelli, mi sembra  una cosa normale, tanto bella, che non è da criticarsi, nel posto di Chirici ci doveva essere uno come Bargagna, l’avrei ammazzato con le mie mani, l’odio suo contro i fascisti non poteva compromettere i suoi uomini. Renato Piccioli è bravo, siamo amici. Montemaggio mi ha fatto tanto male: ci son morti a bischeri. Ecco le foto con le bare!”  

                                                                                                              (continua).

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