mercoledì 6 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(VII)


Lo storico toscano Claudio Biscarini, Palazzaccio 4 luglio 1944, La memoria scomoda, Siena, Nuova Immagine Editrice, 1997, afferma che: «…ben pochi pretesti servivano ai reparti di Kesserling per effettuare le uccisioni dei civili sia in presenza di azioni partigiane o, e questa è la novità, anche non in presenza di tali azioni. Ovviamente l’organico completo di una divisione non ha mai partecipato a una strage, ma solo piccoli reparti o addirittura singoli militari di essa (L. Klinkhammer ha ipotizzato la partecipazione ai massacri in Italia del 5% dei soldati tedeschi)…La recrudescenza «delle misure contro i civili» si ebbe, poi, con lo scontrarsi, dopo l’operazione Barbarossa, con la Resistenza sovietica e con quella Jugoslava. In Italia, nell’estate 1944, i comandi delle armate X e XIV non fecero che applicare le stesse norme che erano di prassi all’est. E quando una zona veniva scelta dal Gruppo di armate C per organizzare una di quelle linee d’arresto di cui la Toscana fu piena, divenne indispensabile sgombrare il territorio da potenziali quinte colonne, con o senza azioni partigiane…se la Magistratura italiana, oggi, dopo Priebke, ha deciso di riaprire le indagini sui casi di stragi in Italia, questo vuol dire che, e giustamente, ognuno resta responsabile davanti alla legge terrena e di Dio, dei propri atti. Lo storico Schreiber, al processo contro l’ex SS Priebke a Roma, ha dimostrato, sulla base di documenti, come fosse possibile la disubbidienza agli ordini categorici di Hitler. Tuttavia, anche ammettendo che ciò non sia sempre stato possibile, specie per un membro delle SS, resta il fatto che oggi sappiamo come spesso sia stata l’iniziativa personale del singolo ufficiale o sottufficiale tedesco, sicuro di passarla liscia in base agli ordini superiori, a scatenare le azioni più terribili…come nel caso del Padule di Fucecchio (non si dimentichi che il tenente Block, responsabile dell’uccisione degli 83 minatori di Niccioleta, fu poco dopo promosso di grado!) Uno dei problemi che la Wehrmacht si trovò ad affrontare durante le sue campagne fu la lotta partigiana diversamente organizzata da nazione a nazione. Nella Grande guerra gli eserciti combattevano contrapposti, in trincee poste le une di fronte alle altre, e la popolazione, salvo casi eccezionali, non era direttamente coinvolta nei combattimenti. Il problema si pose con l’operazione Barbarossa all’est. L’esercito tedesco si troverà a contatto con i primi elementi partigiani organizzati in formazioni di notevoli dimensioni e appoggiate dalla popolazione. Scatteranno così le misure già studiate dai nazisti per simili evenienze nel maggio 1936 a Potsdam. Il trattato allora elaborato prevedeva di infiltrare piccole pattuglie o singoli V-manner (informatori) nel territorio sospetto. “Quanti, nella Toscana dell’estate 1944, dovranno la loro morte a “tedeschi disertori” chiedenti aiuto, che riappariranno poi alla guida dei reparti rastrellatori? Quanti, fra questi, erano veramente tedeschi e quanti altoatesini o peggio italiani spesso delle stesse contrade dove si sarebbero svolti i massacri? A titolo di esempio potremmo citare il Padule di Fucecchio (175 morti, 23 agosto 1944) e S. Anna di Stazzema (oltre 500 morti, 12 agosto 1944). Altre direttive nella lotta antipartigiana emanate nel 1941 dai vertici della Ordnungspolizei, stabiliscono categoricamente: il nemico deve essere annientato completamente. La continua decisione sulla vita e sulla morte dei partigiani o degli elementi sospetti che si trova dinanzi è difficile anche per il soldato più duro. Va fatto. Agisce bene chi prende in mano la situazione senza riguardi e misericordia trascurando completamente personali impulsi sentimentali di sorta…in tutti i villaggi o abitazioni, che vengono incendiati in una forma o in un’altra, bisogna aver cura di catturare al completo la popolazione…ogni capo reparto deve avere ben chiaro che tutti gli abitanti che sfuggono dopo la distruzione della loro abitazione, diventano nuovi membri di bande e contribuiscono notevolmente a minare la pacificazione della zona». Ma queste popolazioni sono da considerare veramente tutte coinvolte nella lotta partigiana? Secondo gli estensori dei documenti coevi tedeschi, in Italia parrebbe di si. In ogni ufficiale e in ogni soldato si insinua questa convinzione con precise disposizioni. Al Padule di Fucecchio c’erano sicuramente italiani, anche del luogo, mascherati e in divisa tedesca, a guidare gli uomini di Strauch. Chi erano? I V-manner volevano ben 200 ribelli in marcia verso le retrovie della 26^ panzer. Gli esecutori materiali degli eccidi erano spesso ordinary men, inseriti in reparti della Wehrmacht e non nelle più tristemente famose SS. Infatti salvo l’eccezionalità della Goring (16^ Panzer grenadier) e del III Bataillon “Italien”, i massacri furono eseguiti in Toscana dalla 26^ corazzata a Fucecchio, dalla 305^ e 94^ fanteria a S. Polo, e dalla 19^ della Luftwaffe a Guardistallo. Tutti agli ordini di Kesselring. Kesserling dichiara, Memorie di guerra, Garzanti, Milano, 1954, p. 263, che le perdite subite dalle sue truppe a causa degli attacchi dei partigiani solo fra il giugno e l’agosto 1944 ammontano a 5.000 morti e da 25.000 a 30.000 feriti e dispersi: la forza di alcune Divisioni! Si può dunque tranquillamente e giustamente affermare che i combattenti alla macchia non potessero esimersi dall’assalire il nemico ovunque e dovunque, pena lo stravolgimento della loro volontaria scelta di lotta.  Molte delle azioni di repressione tedesche hanno soltanto preso a pretesto gli attacchi dei partigiani per terrorizzare la popolazione.


                                                                                  (continua)

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