domenica 23 febbraio 2014

L’Italia è sempre stata questa?




L’Italia non è sempre stata questa, dico, forse per consolarmi. No, non è sempre stata questa, ossia, non l’ho vista mai con gli stessi occhi e con lo stesso amore. Adesso che a forza di guardare lontano la vecchiaia m’è piombata addosso, e m’accorgo di lei, indulgo al pessimismo. Eppure, nell’età prima che aveo molti désiri, giocavo tra le macerie fumanti delle case del Borgo bombardate dagli americani, mentre sotto la palma di destra entrando nel Piazzone c’erano ancora una decina di soldati tedeschi uccisi, in attesa di essere seppelliti nel camposanto sotto una croce di legno senza nome, con l’elmetto infilato sulla sommità, e poco più in là, non cessava il via vai di donne, vecchi e bambini, al “vallino della morte” dove erano stati trucidati 77 minatori…e noi, monelli, giocavamo alla guerra, con pietre, archi, archetti ed anche con una vera spada d’acciaio, mentre i più grandi maneggiavano polvere da sparo, micce e dinamite! Il Borgo era grigio, buio nella notte, finestre senza imposte, case senza WC, ma con una buca puzzolente, e tanta fatica a portar legna, carbone, fascine…e d’inverno i vestiti non ci riparavano mai dal freddo, avevamo le vacche nelle cosce per covare i caldani ed il braciere, ed tante volte la nonna mi mandava a letto presto con lo scaldaletto, a rischio di morire per il gas e bruciare le lenzuola. D’altra parte non ricordo pigiami o camicie da notte, noi s’andava a letto tutti vestiti, naturalmente senza le scarpe! Non abbiamo patito la fame e, come diceva mio padre, l’importante era non far debiti e alla fine del mese andare da Liberino a pagare il libretto della spesa. Con una paghina della Larderello e tremila lire di pensione della nonna, deve essere stata molto dura la vita. Per questo la nonna, Enèlida, ultrasessantenne, andava ad opre dai mezzadri e dai contadini. Una tragedia se per me non ci fosse stata la giovinezza! Comunque, poiché innamorarsi non costava niente, ossia, qualche volta, la domenica, un gelato da dieci lire e raramente un ascaro da trenta lire o un bicchiere di spuma S. Francesco d’estate alla pista, ed anche il profumo del glicine era gratis e quasi tutti i frutti in un raggio di quattro o cinque chilometri dal Borgo (a parte un paio di sandali vecchi, tanto mi costò far ragia al Tommi), ed anche  i due o tre baci che ricordo, la vita e tutto ciò che offriva mi pareva meravigliosa. C’erano inoltre le prime letture ideologiche, dato che in casa mia gli attivisti comunisti, il Cinci, il Costagli, Fabbrino, ci portavano, la domenica, l’Unità ed una volta al mese il Calendario del Popolo, con i quali guardavamo al luminoso avvenire di una società socialista, sul modello dell’Unione Sovietica, “il paradiso di Lenin e di Stalin”. Intanto studiavamo con ardore e benché giovani ci industriavamo a cercare lavoretti, fare i garzoni nelle poche e modeste attività commerciali paesane, o tagliar fascine e pedagna per il forno della cooperativa; poi far funghi, battere la coccola, raccogliere le castagne, pescare nel torrente…in attesa di diventar grandi, forti, ed entrare nel mondo del lavoro, che accoglieva tutti. Le cose iniziarono ad andar meglio (o peggiorare, per certi versi) con il cosiddetto miracolo economico degli anni ’60. Racconterò soltanto un episodio personale, su questo miracolo: dopo quattro anni di scuola-lavoro, nel febbraio 1956 fui assunto in economia, attraverso una Cooperativa, dalla Larderello SpA e immesso fin dal primo giorno in un ufficio (geologico) con la qualifica di manovale ed un salario di circa trentamila lire al mese. Dopo tre anni e mezzo, il 15 settembre 1959, la Larderello SpA mi assunse in pianta organica, sempre nello stesso Ufficio, con la stessa qualifica di manovale ed un salario di circa quarantasettemilalire. La Larderello SpA fu nazionalizzata ed entrò ufficialmente nell’ENEL il 1 giugno 1963. Mi ritrovai “promosso” impiegato, con la categoria più bassa esistente, C1 o CS, e la paga era decisamente aumentata credo intorno alle sessanta o settantamila lire. Quando nel 1991 sono andato in pensione, dopo 35 anni 6 mesi e 1 giorno di lavoro ininterrotto, e con la categoria A, notammo che fin dal primo giorno di lavoro mi erano state messe tutte le marchette sull’apposito libretto, ma che, purtroppo, nel conteggiare gli anni della “liquidazione”, mi erano stati tolti  più di 8 anni, dato che negli iniziali passaggi venivo liquidato. E così con 40.000 lire avevo perduto circa 20 milioni finali. Era il prezzo che dovevamo pagare al miracolo economico, anche se su di esso molti vantaggi e molti sprechi si erano via via stratificati, almeno per i settori più “forti” dell’industria. Abbiamo sempre lottato per migliorare il sistema sociale e politico dell’Italia, ottenendo molti successi, con la partecipazione di grandi masse di popolo e di lavoratori e lavoratrici, rigettando la teoria del terrorismo e della violenza e confinando in esigue minoranze le tendenze estremistiche, malattia mondiale del comunismo, da sempre presenti nella sinistra. Fieri di essere italiani. E ottimisti. Forse è per tali motivi che non sono diventato qualunquista, come la maggior parte dei vecchi, e riesco ancora ad apprezzare la vita e i regali che essa ci dona ogni giorno, nel ciclo della natura e degli affetti, e dei ricordi e delle speranze. Sono iscritto al PD, all’ANPI, ad una Associazione Culturale del mio paesello, IL Chiassino,  ho la tessera Coop, quella dell’AIRC, e di altre associazioni umanitarie…Sono rimasto molto male al gesto di Letta nel riconsegnare il campanello a Renzi, nel momento della fine del suo mandato, addirittura di Presidente del Consiglio dei Ministri della Repubblica Italiana! Un po’ di amarezza, per il modo di tale trapasso di poteri la posso comprendere, ma non quella di affilar lame e cercar gente per “fondare” un nuovo partitino! Non era meglio, come esempio, che si rimboccasse le maniche e ritornasse tra il suo popolo ad operare per il bene comune?  

Nessun commento:

Posta un commento