sabato 22 febbraio 2014

Frane…frane!

La chiusura totale agli automezzi della variante a monte del paese invoglia ancor di più le persone a utilizzare la bellissima strada panoramica per footing e passeggiate. Ed anche per incontri e discussioni. Ieri sera ci siamo scambiati  i punti di vista, sulle frane, con un amico intelligente, un ingegnere, il quale, a differenza di me, conserva abbastanza fiducia sulla soluzione dei problemi franosi che si stanno manifestando per quasi tutto il tratto dei 2,2 Km. complessivi del tracciato. Il mio scetticismo deriva da tre cose: non aver fiducia nei politici, aver vissuto 76 anni in questo luogo e conoscere bene il territorio, avere nozioni di geologia del medesimo avendo lavorato all’Ufficio Geologico della Larderello SpA, poi Enel e, praticamente, per quasi trentacinque anni al Servizio Minerario. La morfologia del Monte di Castelnuovo è mutata nei secoli, con l’espandersi del centro abitato e della popolazione e con la necessità della medesima di procacciarsi cereali, fieno, legna e mandare al pascolo il bestiame sulle pendici esterne al perimetro del Borgo, sempre di più, in alto e in basso, fino a lambire il “piede” stesso del macigno sul quale in centro abitato è costruito ed anche a lambire verso l’alto il monte che lo sovrasta. Per quest’opera di espansione coltiva è stato abbattuto il grande bosco di castagni domestici e selvatici che si estendeva dal torrente Pavone alla vetta del Monte (tra le curve di livello di 360 ed 850 metri slm). Tutti sappiamo che l’espansione urbanistica antica del Borgo si era arrestata almeno 7 secoli fa, salvo riprendere nel 700 lungo la via Leopoldina, incontrando ad Est, Sud e Nord le barriere naturali di due profondi fossati e una ripida sbalza (le Rocche), nonché l’uscita dalla solida roccia arenaria per avventurarsi su un terreno mosso e più instabile costituito da flysch argilloso e detriti del macigno. Verso Ovest si ergeva il Monte, alto 850 metri, e lungo la sua dorsale di levante il terreno era costituito da detrito e flysch  che ricoprivano lo zoccolo del basamento autoctono del macigno (nella parte più alta) e, scendendo verso la valle, in particolare lungo la faglia tettonica dove erano localizzate le manifestazioni geotermiche, lasciando affiorare i terreni della serie toscana, molto laminati, del cretaceo e del retico, ossia scisti, anidriti e calcari. Tuttavia gli antichi agricoltori ed anche i terrazzani e ortolani, che possedevano minuscoli appezzamenti di terra dati a livello dalla Comunità, avevano una grande cura del terreno, fonte delle poche risorse alimentari della famiglia. Drenavano bene le acque convogliandole, con i solchi, ai fossati laterali, costruivano muri a secco e piantavano frutti…andando verso l’alto avevano lasciato addirittura una notevole striscia di terreno incolto, tra due aree disboscate, nella quale crescevano robuste specie arboree e sgorgavano sorgenti, la “Serretta”, una cintura di sicurezza che arrestava lo scorrimento delle acque e garantiva per la solidità del terreno sottostante. Proprio al di sotto della “Serretta”, in direzione della prima grossa frana sulla variante della 439, c’era inoltre una attiva “putizza”, dalla quale si sprigionava il classico odor di zolfo, mentre fuoriusciva l’acqua giallastra, rossastra e biancastra delle mineralizzazioni di zolfo, ferro, manganese e alluminio. Era evidente, in quel punto e poi scendendo giù giù per il Riputido un’area di contatto tra terreni alloctoni ed autoctoni ben evidenziata da una faglia. Verrebbe quindi da temere che le frane localizzate lungo la variante, non siano fenomeni circoscritti, ma rappresentino un movimento molto più ampio e profondo di “scivolamento” dei terreni di copertura su quelli del basamento autoctono,  attivati dal taglio della sede stradale e dalla sottovalutazione dello stesso in fase progettuale. Questa lunga e dilettantesca descrizione, e tema della chiacchierata di ieri sera, non vuol dire che la variante stradale non dovesse essere costruita, ma solo che doveva essere costruita BENE valutando accuratamente l’impatto geologico e il peso complessivo dell’opera e dell’uso che se ne sarebbe dovuto fare, cioè il transito dei mezzi pesanti e non un ampio viale da passeggio. Anche se nessuna persona fisica, tra quelle che in questi decenni si sono interessate del progetto e dei controlli, non ha tirato fuori di tasca nemmeno una lira o un euro, si deve ricordare che i 10 o più milioni di euro finora spesi, SONO SOLDI PRELEVATI DALLE TASCHE DEI CITTADINI ITALIANI. Adesso ascoltiamo e leggiamo dichiarazioni ottimistiche sul futuro dei lavori, sulla disponibilità delle risorse ecc. ecc. ma non dobbiamo dimenticare che i recenti violenti eventi atmosferici hanno messo in evidenza non solo la franosità delle opere viarie della “variante a Monte”, ma di tutto il Centro abitato di Castelnuovo di Val di Cecina e della viabilità regionale in direzione di Massa Marittima e Siena, ma addirittura delle vie comunali di accesso al Borgo, sia da Porta Fiorentina che da Porta Romana ed anche più in alto fino a lambire le abitazioni e la Canonica. Rispetto a questa situazione, veramente drammatica, oscurata dai media che si sono concentrati sui 30 metri di frana di un tratto delle mura medievali di Volterra, pare che non si faccia praticamente niente, se non iniziative parziali, dovute principalmente alle autorità Comunali.


Ecco le foto di ieri:

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