lunedì 17 febbraio 2014



Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.

Parte (VI).

4.Con Stoppa al capanno dei partigiani


      ...Verso le ore 22, era una splendida serata con la luna piena, ci mettemmo in cammino percorrendo la vecchia strada della miniera di Montebamboli e un tratto costeggiante il torrente Ritorto e ci portammo nella zona del Poggiarello. Giunti al mattino del giorno 17 febbraio, stanchi e affamati, facemmo sosta nel bosco rimanendo nascosti per tutta la giornata. Io, che ero il più giovane, fui inviato al podere Poggione per chiedere notizie su eventuali movimenti di persone sospette. La famiglia dei contadini mi assicurò che non avevano notato nulla di anormale. Riferito al comandante quanto appreso, fu deciso di ritornare al podere per chiedere, dietro pagamento, qualcosa da mangiare. Ci dettero alcuni pani, delle salsicce e del buristo; con l'occasione fissammo anche una polenta per la sera. Quando si fece buio ci portammo tutti alla casa colonica dove era apparecchiata una enorme polenta di farina gialla. Al podere Poggione, alla presenza di tutti i superstiti del Frassine, fu deciso di includere nell'elenco ufficiale della formazione i nomi dei due coloni catturati prigionieri coi nostri compagni e quello di Livio Milani che si trovava con noi al momento del rastrellamento. Io, oltre al ruolino della III Brigata Garibaldi banda «Camicia Rossa», custodisco gelosamente detto elenco. Dopo cena fu convenuto che: il capitano Chirici con il tenente Gallistru e i partigiani Dino Cocolli, Libero Fedeli, Bruno Giannioni e Rodolfo Tamburini rimarranno nella zona per reclutare i partigiani sbandati a seguito del rastrellamento. Enrico Filippi e Giuseppe Martellini preoccupati della loro situazione familiare decisero che non intendevano, almeno per un po' di tempo, di affrontare altri rischi. Verso la mezzanotte, con il dottor Stoppa e tutti gli altri, ci mettemmo in cammino in direzione del podere Malfatto. Vi giungemmo al mattino del giorno seguente. Il contadino ci fece alloggiare nel fienile a patto che durante il giorno non ci si muovesse. In questo podere riconobbi una famiglia di massetani, i Costagli. Credo che si trovassero in questa località perché lavoravano come boscaioli. Alla sera, dopo aver mangiato una polenta di farina gialla con salsicce di maiale, il dottor Stoppa ci rivelò gli accordi stabiliti con il comandante Chirici: Giorgio Vecchioni, Vinicio Modesti, Mauro Tanzini e Franco Venturi  si dovranno spostare provvisoriamente nella zona delle Cornate di Gerfalco; Stoppa con gli altri si sarebbero diretti in Valle Calda. La mattina del 19 febbraio arrivammo ai piedi del Poggio Mutti; facemmo sosta dentro un seccatoio di castagne di proprietà Ido Pierini, abitante al podere Romano. Appena giunti, nonostante la stanchezza, Vecchioni e Venturi andarono in cerca di cibo. Io e Modesti rimanemmo nel seccatoio. Dopo alcune ore arrivò Franco Venturi: aveva procurato un panetto di pane e del formaggio, erano favolosi per la mia fame di diciannovenne! Nel pomeriggio rientrò Giorgio Vecchioni, ci disse che era andato al podere Romano a trovare la famiglia Pierini, suoi vecchi conoscenti. Gli raccontò della delicata situazione nella quale si trovava e che aveva con sé altri tre compagni. I Pierini offrirono al Vecchioni il loro aiuto. La sera stessa fummo invitati a cena da questa simpatica famiglia. Con nostra meraviglia, dopo molto tempo, ci potemmo sedere comodamente a un tavolo e fare un'ottima cena. Ci sembrò un banchetto nuziale tanto non c'eravamo più abituati. Pernottammo al podere. Si dormì in un soffice letto di paglia, nella stalla. I buoi, in quest'occasione costituirono il nostro impianto di riscaldamento. La mattina del 20 il Vecchioni si allontanò per la ricerca di contatti con i CLN della zona. Nei giorni di permanenza nella zona delle Cornate nevicò abbondantemente ed io, Modesti e Venturi, fummo ospitati presso i mezzadri dei poderi Campo alle Rose (Pierini), Capanne (Banchi e Grassi), Romano (Pierini). Gli ultimi giorni di febbraio ritornò il Vecchioni insieme ad un certo "Balilla", colono del podere Brezza. Insieme al Modesti ripartì il giorno stesso. Io, con Franco Venturi, accompagnati da "Balilla", ci trasferimmo in un capanno nella Carlina, sul versante di Travale. Questo capanno era stato approntato su direttiva del CLN di Travale. Infatti ci venne a trovare Arduino Marconi che era stato incaricato dal CLN di Travale di rifornirci di indumenti e viveri. Dopo qualche giorno il Marconi ci portò la notizia che per delega dei CLN il dottor Stoppa assumeva il comando di tutti i partigiani della Carlina e anche io e il Venturi venimmo accompagnati dal Marconi in un ex ovile sito nei pressi di un podere semidiroccato, di nome Belcaro. In seguito, in detto podere, si insedierà il comando della XXIII^ bis Brigata Garibaldi "Guido Boscaglia", brigata che prenderà il nome dal suo primo caduto. Il secondo giorno che eravamo rimasti soli, io e Venturi, avvenne il ricongiungimento con Stoppa e con un gruppo di partigiani superstiti del Frassine. Da questi miei vecchi compagni seppi che avevano ritrovato il cane. Il cane "Mondiale" era rimasto con Chirici e Tamburini nella zona del Poggiarello. Poiché ero il più pratico della zona fui inviato da Stoppa dal capitano Chirici per comunicargli quanto era avvenuto e che sarebbe stata costituita la base della nuova formazione in località Belcaro.  Riferii tutto al Chirici e dalla sua espressione capii che era ampiamente soddisfatto, tanto che mi fece latore di un biglietto per Stoppa nel quale gli comunicava il rientro del tenente Gallistru e che avrebbe atteso il ritorno dello stesso con altri partigiani da una missione per ritirare delle armi, dopo di che ci avrebbe raggiunto nella località stabilita. Al mio rientro, prima di giungere al capannone dove avevo lasciato i miei compagni e il dottor Stoppa, fui fermato dall'alt! di due individui armati che vestivano la divisa militare fascista. Non feci in tempo ad estrarre la pistola che già avevo due mitra puntati contro di me. Con modi bestiali venni perquisito e tradotto nel capannone, ma dentro non vi trovai nè Stoppa nè nessuno dei miei compagni, erano un gruppo di una quindicina di persone molto  malmesse. A questo punto ebbi la sensazione di non essere vittima dei fascisti. Pensai subito che il motivo del violento interrogatorio fosse stato motivato dall'arma che possedevo e da una carta topografica della zona consegnatami dal capitano Chirici assieme al messaggio da consegnare a Stoppa. L'arma e la carta mi furono tolte, mentre al biglietto per Stoppa non dettero nessuna importanza e mi venne lasciato. Più tardi mi feci coraggio, nel senso che cominciavo sempre più a sperare di non essere caduto in un tranello, e cominciai a fare i nomi dei componenti i CLN locali: Arduino Marconi, Bruno Cioni, Bruno Banchi ("Garibaldi"), Primo Radi ("Balilla"). Alla rivelazione di questi nomi, uno del gruppo (che mi parve il più anziano di tutti) mi disse: "Domattina faremo venire una delle persone da te citate e se non sarai riconosciuto saranno guai". Era chiaro che questa diffidenza nei miei confronti era motivata per il momento, poiché per loro ero una volgare spia. Dopo mi venne chiesto se avevo fame, al mio si mi dettero due fette di polenta dolce. La sera venni fatto stendere sopra un mucchio di strame, avevo freddo, ed ero guardato a vista da due armati. A notte inoltrata, da uno dei due che mi facevano la guardia ebbi la conferma che avevo a che fare con dei partigiani. Mi disse che erano un gruppo proveniente da Montalcinello, venuto in Carlina per unirsi con la Banda di Stoppa. Da questo partigiano seppi anche che i massetani si erano dissociati da Stoppa, pertanto non riconoscendogli l'autorità di capo avevano deciso di ricongiungersi al Chirici. Questo fu il vero motivo del loro disarmo accompagnato dall'invito di lasciare immediatamente la Carlina. Io, che ero stato un componente la sezione comando, accolsi la notizia come una mazzata in testa. La notte non passava mai, la mia mente si era offuscata, ogni tanto si affacciavano tristi presentimenti: non chiusi mai occhio. Alle prime luci dell'alba entrò nel capanno il carissimo compagno Arduino Marconi. Appena mi vide mi si buttò al collo e mi baciò, rivolto agli altri che erano rimasti sbigottiti disse: "Disgraziati, non sapete che avete davanti a voi un valoroso partigiano?". A queste parole mi parve di toccare il cielo con un dito. Non ci fu bisogno d'altro. Ma, nonostante le scuse e le manifestazioni di simpatia di cui fui oggetto, non ebbi la forza di contraccambiare. Mi furono anche riconsegnate la carta topografica e la pistola. All'invito di restare con loro esternai il desiderio di rivedere Stoppa per conoscere da lui il motivo dell'abbandono dei massetani. Verso mezzogiorno arrivò Stoppa, mi salutò ed io gli consegnai il messaggio del Chirici. Notai subito che non si degnò nemmeno di dare un'occhiata al contenuto tanto fu sollecito nel farlo a pezzi e nel gettarlo nel fuoco. E così amareggiato, io che avevo manifestato di condividere l'impostazione che Stoppa avrebbe voluto dare alla nuova formazione, decisi di lasciarlo per ricongiungermi ai miei vecchi compagni di lotta. Le lusinghe di Stoppa non furono capaci di dissuadermi. Stoppa, prima che partissi, dette l'ordine di togliermi la pistola e la carta topografica. In cambio mi consegnarono una bomba a mano del tipo "balilla".



                                           (continua)

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