giovedì 26 febbraio 2015




PUBBLICAZIONI DI CARLO GROPPI

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2001, aprile, esce in prima edizione di 1000 copie, il saggio “La piccola banda di Ariano. Storie di guerra e di Resistenza”,sempre sotto il patrocinio de IL CHIASSINO, br. ril. pp. 272, 32 tav. b.n., con un consistente apparato di note, indice delle fonti,  indici dei nomi di persona. Il volume incontra un notevole interesse e la tiratura si esaurisce rapidamente. A seguito di tanto “successo” l’autore mette mano ad una seconda edizione che uscirà due anni più tardi (2003, maggio), ampliata, in 800 copie, anch’esse esaurite. Si tratta, nella seconda edizione, di un’opera completamente rinnovata ed ampliata, che costituisce uno dei miei più riusciti tentativi nella ricostruzione  storica: “La piccola banda di Ariano. Storie di guerra e di Resistenza nelle Colline Metallifere Toscane (1940-1945)”, br. ril. pp. 432, con  48 tav. n.t. in b.n.. Le note si trovano alla fine di ogni capitolo e sono  assai dense;  gli indici finali riguardano le fonti edite ed inedite; la bibliografia e l’indice dei nomi di persona che compaiono nel testo. Seguono i ringraziamenti  e le note conclusive. Nonostante l’accuratezza della ricerca, protrattasi  per quasi 40 anni, l’uscita di quest’opera invitò molte persone ad offrire notizie e materiali inediti, nonché alcune piccole correzioni. Tuttavia non ho più affrontato l’impresa di una terza edizione, ma ho diluito il tema in altri più brevi saggi, su aspetti rilevanti: il Campo di internamento per gli ebrei a Roccatederighi; Norma Parenti; i sardi nella Resistenza nelle Colline Metallifere Toscane; Stella d’argento. Ho altresì collaborato a studi sul tema con ricercatori e scrittori importanti.

Per la sua pregnante analisi riproduco la prefazione dell’amico Francesco Gherardini, uomo di vasta cultura e scienza, uno dei maggiori protagonisti della storia culturale, sociale e politica dell’Alta Val di Cecina, in Toscana  nell’ultimo mezzo secolo:

«...non fa scienza,/sanza lo ritenere, avere inteso» (Dante, Divina Commedia, Paradiso, canto V., vv. 41-42). In questi versi magistrali si condensa l'importanza che riveste la memoria per la vita dell'uomo. Recenti studi psicologici hanno fissato il declino delle funzioni cognitive negli individui oltre i quarant'anni a causa dell'invecchiamento delle cellule nervose; con tecniche particolari la medicina riesce in qualche modo a ripristinare la trasmissione della conduzione nervosa e ad aumentare l'acuità e la lucidità mentale; ma col passare degli anni i disturbi della memoria aumentano inesorabilmente. La mente umana dovrebbe tenersi sempre in allenamento, dovrebbe fare continuamente esercizio per mantenere la concentrazione e ripristinare questa facoltà. L'assunto qui sopra, se vale per i singoli soggetti umani, a maggior ragione vale per la società civile. Dopo cinquant'anni da un evento, tutto comincia ad annebbiarsi, a diluirsi, a perdere di peso e importanza, a svanire confondendo le tinte e le emozioni in una melassa spesso indistinta e stucchevole. Occorre fare continuamente operazioni di recupero e di salvataggio, chiarire e distinguere, precisare perché se a livello individuale la memoria cede a causa dell'invecchiamento cerebrale, quella della società è volutamente minata da chi ha interesse a farlo, molto spesso per motivi ideologici.
      Dice bene Yosef Yerushami Zakhov, Storia ebraica e memoria ebraica, Torino, 1981: «...il problema è montare la guardia contro gli agenti dell'oblio, contro coloro che fanno a brandelli i documenti, contro gli assassini della memoria». Occorre fare esercizio, mantenere viva la memoria collettiva: in questa impresa ci aiuta la storiografia anche se in eterno conflitto con se stessa. La storiografia (con tanti storici diversamente orientati, ma inflessibilmente determinati a rispettare la massima fondamentale: Non dire il falso, non tacere niente del vero), può essere uno strumento efficace per salvare il passato affinché davvero la historia sia magistra vitae.             
      La ricerca della verità richiede onestà ed anche equilibrio, soprattutto se si sta decisamente da una parte politica; essa si svolge a molti e diversi livelli, a differente profondità, ma ogni ricercatore lotta contro gli agenti dell'oblio, contribuisce a preservare il ricordo, a sviluppare e a interiorizzare la lezione che ci viene dalla vita. Fatti distinti dalle opinioni d'accordo: ma lo storico non può esimersi dal misurarsi con essi, dal dare la sua valutazione senza infingimenti ed ipocrisie, con la necessaria nettezza. Dinanzi ai sei milioni di morti ebrei della Shoah "siamo prigionieri dell'indicibile e dell'impensabile", ha scritto il filosofo Adriano Prosperi, Corriere della Sera, 28 gennaio 2001, pag. 13,: dell'impensabile nel senso che il pensiero è incapace di immaginare un numero così spaventoso di morti, la ferocia del singolo aguzzino e lo strazio delle povere vittime moltiplicato a livelli esponenziali. Impensabile per il fatto che la Ragione non ce la fa proprio a seguire una scia di sangue così spaventosa: ma il Giudizio resta e deve essere espresso, deve suonare di condanna, deve essere costantemente rinnovato e riammesso alla memoria.
      Carlo Groppi guidato da una grande passione documentaria, curioso di biografie, in questo tempo in cui la nostra stessa Regione ha avvertito il bisogno di varare una legge [L. RT 59/1999], intesa a salvare la memoria storica, ha portato alla luce (o riportato, ma solo per qualcuno) fatti quasi del tutto sconosciuti, domande senza risposta e personalità affascinanti, ha reso omaggio al loro coraggio e al loro antifascismo; in qualche modo ha fatto sì che da ora in poi fossero pienamente ricordate e onorate. Ha inserito le storie e i personaggi, La piccola banda di Ariano (Spinola, Stucchi Prinetti, Piredda, Vargiu) e la Guardia armata di Gerfalco (Baldi, Barlettai, Dino e Ido Salusti), in un territorio che non è un'entità astratta, ma piuttosto il luogo vivo che ci ha determinato e ci condiziona ancora. Carlo rievoca momenti di una società così diversa e tanto distante da non tornare più, con le campagne abitate capillarmente dai contadini, con i partigiani espressione di quella terra e di quella società agricolo-patriarcale, con un fortissimo senso della giustizia e dell'onore, con l'idea radicata del bene comune e la voglia di lottare per un futuro migliore per i figli. Esprime malinconia per la perdita di un patrimonio incommensurabile di vita e di cultura insieme con un sentimento per così dire di invidia verso chi ha avuto la fortuna di vivere storie non banali. E rapporti sociali come quelli fra padroni (Spinola, Stucchi Prinetti) e contadini (Piredda, Vargiu) sublimati dalla comune esperienza della lotta partigiana, in un certo senso simbolo di "vie nuove". Affascinante tra le altre la figura del marchese Gianluca Spinola, "moralmente impegnato a non restare passivo e, come estremo sacrificio, a dare la sua giovane vita per salvare l'onore della Patria". Un nobile conservatore, certo non un pacifista, spinto a diventare partigiano per esigenza morale di fronte alla violazione di basilari principi etici cristiani; una figura problematica che ci spinge a chiederci quanto sia possibile distinguere tra adesione al fascismo e avversione al nazismo e a domandarci fino a qual punto si possono servire sistemi così immorali. Di lui la gente ha parlato con rispetto; la sua presenza tra le file della Resistenza certamente serviva a dimostrare che non tutti i partigiani erano comunisti e forse anche ad esaltare le capacità militari degli Italiani, in grado di compiere azioni importanti e di tenere in scacco soverchianti forze nazifasciste. La sua cattura e la morte conseguente furono forse un modo per testimoniare l'esistenza di un altro mondo conservatore, distinto da fascismo e dittatura, impregnato di valori non effimeri, ricco di tolleranza e di rispetto.
      Un approfondimento sarebbe opportuno per il personaggio Giorgio Stoppa, detto "Paolo"; il comandante partigiano, una figura mitizzata un tempo ed ora ricondotta sotto una lente di osservazione più accurata e critica. Paolo, il capo e le morti discusse: che fine fece il carabiniere colpevole dell'errore di Montalcinello? E perché tacere gli episodi terribili e controversi dell'uccisione di Pietro Palmerini e Lorenzo Badii? Alle orecchie di chi vuol sentire Carlo Groppi fa riaffiorare sommessamente queste storie senza dolcezza, tragiche e sotto molti aspetti epiche, anche se il refrain è secco e non ci sono albagie di protagonismo: «si fece quello che si doveva fare». Fare storia vuol dire ricostruire e ripensare sempre in un processo che non si conclude presto: Carlo ricostruisce fedelmente gli episodi, aggiungendovi di suo l'afflato umano, la "simpatia" per le persone e per i luoghi; che è quella di un cittadino di Castelnuovo, il paese dove fino a pochi anni fa tutti ci si conosceva anche troppo bene, dove si poteva anche essere faziosi, schierati decisamente da una parte, ma dove ripugnava la violenza politica, esercitata per fortuna in rarissime occasioni al passaggio della guerra; un paese dove invece si ricordava assai più volentieri la cura e l'amore impiegati per ricomporre le salme dei minatori trucidati da pochi tedeschi e molti militi fascisti e di cui volutamente quasi tutti hanno taciuto l'esistenza per cinquant'anni.                Le pagine di Carlo sono curate, le interviste rigorose, quasi delicate reliquie di un mondo che ci ha lasciato; le ricostruzioni sono fedeli, con l'intenzione di vedere i fatti da una certa distanza, di ricercare il massimo di obiettività. Si avverte la tensione per il rinnovamento politico e morale, fuori dall'ingessatura di ideologie paralizzanti, insieme con la voglia di capire, di dare a ciascuno il suo: un'operazione non facile, più agevole da farsi col senno di poi, fuori dal contesto di una guerra civile, come in gran parte fu davvero,  che non lasciava spazio ai comportamenti cavallereschi. In lui c'è grande attenzione agli affetti e alle storie familiari, ad un mondo che supera la divisione in classi, come entro la piccola banda di Ariano.
     Con quest'opera si recupera uno spezzone di storia locale importante, Carlo Groppi ci rende più consapevoli e più avvertiti, ci offre un'aria più limpida in cui respirare e da cui ripartire. 

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