venerdì 13 febbraio 2015



Campo ai Bizzi 2015. 14 febbraio 2015, ore 10,30 Teatro del Ciliegio a Monterotondo Marittimo

“Le scuole incontrano la Resistenza

Ringrazio gli organizzatori di questo “incontro”: l’ANPI, il Coordinamento antifascista/antinazista alta Maremma e Alta Val di Cecina, gli insegnanti e gli studenti, il sindaco di Monterotondo Marittimo, Giacomo Termine, e Paolo Edoardo Fornaciari, ossia Pardo, filosofo, ricercatore e cantore della Resistenza, che sono convinto vi emozionerà con le  sue ballate più delle mie sommesse parole. Sarebbe stato  bello se tra noi ci fosse stato anche il babbo di Pardo, Pierino, detto “Pedro”, antifascista e comunista, che operò con la XXIII Brigata Garibaldi nel nostro territorio e, all’avanzare degli Alleati, vi si unì combattendo sul fronte del fiume Arno ed entrando tra i primi liberatori a Fornacette, Cascina e Pisa nel settembre 1944. Dopo la sua morte, a testimoniare l’amore  che lo univa alla Resistenza, volle che le sue ceneri fossero disperse sui monti della Carlina, presso il podere Cetinelle, al Capanno dei Partigiani.

Io ho solo un titolo da esibirvi, ed è il certificato di nascita: 3 settembre 1938. Ero dunque presente agli avvenimenti della guerra e della Resistenza, anche se non me ne rendevo conto, ma a poco a poco ho iniziato a interessarmi e fare ricerche locali: sulla resistenza, sulla Shoah, sul CLN, sulle biografie di partigiani e partigiane. Forse spinto dal fatto di essere nato nel fatidico anno, il 1938, l’anno della promulgazione delle tristemente note Leggi Razziali di Mussolini che portarono ad Auschwitz oltre settemila ebrei italiani, oltre cinquanta  dei quali partendo dal Campo di Concentramento di Roccatederighi, ubicato a pochi chilometri da Monterotondo Marittimo.   

Ma stamattina sono qui per commemorare, come facciamo ogni anno, un avvenimento che interessa direttamente il vostro territorio e cioè  la vicenda del 16 febbraio 1944  al podere Campo ai Bizzi, nei pressi della borgata del Frassine con la morte di cinque partigiani e l’arresto di numerosi altri, e domani ci recheremo a Campo ai Bizzi per non perdere la memoria della loro morte e del loro eroismo e il senso dei valori che animarono i partigiani maremmani (coloro che, tra i primi in Italia, impugnarono le armi contro i fascisti e i nazisti già nel settembre 1943, percorrendo su sentieri e strade campestri l’anello intorno al Frassine dal podere Campo ai Bizzi, a Fonte Larda e Poggio Rocchino.

Si tratta, in tale vicenda, di un avvenimento che vide protagonisti soltanto italiani: da una parte i partigiani della III Brigata Garibaldi, Banda Camicia Rossa, al comando di Mario Chirici e Alfredo Gallistru, dall’altra i fascisti delle Brigate Nere della RSI, al comando di ufficiali italiani, in una vasta azione di annientamento delle bande partigiane che ormai si stavano organizzando in vere e proprie formazioni militari in molte aree della Maremma. A dirigere tali operazione di repressione c’erano il Capo della Provincia di Grosseto, Alceo Ercolani, il capitano De Anna, insieme a Barberini e Maestrini, rispettivamente comandante e vicecomandante della 98^ Legione della GNR e dal capitano Giovanni Nardulli, coadiuvati da un centinaio di “camicie nere” quasi tutte della provincia grossetana, ma alcune provenienti da quelle di Siena e di Pisa ed anche dall’Alta Val di Cecina, come ebbe a scrivere del suo diario un  impiegato della Larderello SpA di tendenze antifasciste: “…16 FEBBRAIO: AL FRASSINE SI E' SVOLTO UNO SCONTRO FRA RENITENTI ALLA CHIAMATA DI GRAZIANI CHE SI TROVANO ALLA MACCHIA E MILITI DELLE BRIGATE NERE. CI SONO STATI MORTI E FERITI. CIRCOLANO VOCI CHE I CADAVERI DEI PARTIGIANI SIANO STATI SEVIZIATI, E CHE P. E B. ED ALTRI CONOSCENTI SIANO TRA GLI ESECUTORI”.

E sarà proprio per questo fatto di sangue e crudeltà e per l’uccisione di 11 partigiani a Istia d’Ombrone e 14 partigiani a Scalvaia, più altri in Maremma,  che il Segretario Generale del Partito Fascista Repubblicano, Alessandro Pavolini, invierà un cinico messaggio ad Ercolani, nel quale plaude “…con ammirazione ai legionari fascisti che, in nome della patria e dell’idea, si battono per conseguire l’epurazione degli elementi avversari alla gloriosa marcia per la grandezza dell’Italia fascista repubblicana” (pensate che quando si scrivono queste incredibili ed assurde parole la  sconfitta del nazifascismo in Europa e nel mondo, è ormai irreversibile!) 

Intorno al Frassine, nelle colline che gli fanno corona, su una delle quali era il podere Campo ai Bizzi, si erano installate da poco le squadre del maggiore Chirici con 65 di partigiani. Campo ai Bizzi, nel Comune di Monterotondo Marittimo, era il podere dove una apposita squadra di 6 partigiani cuoceva il pane. Esso fu completamente circondato dai fascisti, armati fino ai denti, che aprirono il fuoco contro porte e finestre, alla cieca, utilizzando anche un mortaio. I partigiani, sorpresi nel sonno, risposero al fuoco, fino a che non finirono le munizioni. Allora uscirono sull’aia, con le mani alzate, ma anziché essere fatti prigionieri, come avrebbero voluto le leggi di guerra, furono tutti uccisi, salvo uno, Canzio Leoncini di Massa Marittima,  che gettandosi nella macchia fu soltanto ferito. Dopo morti i loro corpi furono straziati a colpi di pugnale e abbandonati sul terreno. Tra i morti c’era un volterrano, Silvano Benedici e con lui erano Pio Fidanzi e Otello Gattoli di Massa Marittima, Salvatore Mancuso di Catania e Remo Meoni di Montale (PT). Il podere fu dato alle fiamme e nella stalla bruciò vivo anche l’amato cavallo dei partigiani:  Sauro. Nell’operazione di rastrellamento, che comprese anche il podere Uccelliera, furono fatti prigionieri 16 partigiani e 2 mezzadri che, condotti a Massa Marittima furono esibiti alla popolazione come “trofei di caccia”, insultati e picchiati, e da Massa a Grosseto e successivamente al carcere delle Murate di Firenze.

            Alla fine della guerra furono avviati i primi ed unici processi contro i criminali nazifascisti, uno per gli eccidi compiuti in Maremma e nella provincia grossetana e l’altro per quello contro i minatori di Niccioleta. Alceo Ercolani fu indicato come il maggiore responsabile delle stragi e nella sentenza presso la Corte d’Assise di Grosseto pronunciata il 18 febbraio 1946, furono emesse  condanne esemplari: De Anna, Maestrini, Pucini, Ciabatti, Gori: alla pena di morte per fucilazione; Ercolani e Scotti: 30 anni di reclusione. Giovanni Nardulli, un efferato criminale fascista, catturato ad Asti era stato condannato a morte e fucilato nel settembre 1945. La Corte di Cassazione, alla quale fu appellata la sentenza, annullò le condanne e riaprì una nuova fase processuale (nel mutato clima politico che si era instaurato in Italia coi governi democristiani appoggiati dalla destra neofascista), fino a giungere, nel 1954, alla cancellazione di molte pene e rinviando il giudizio definitivo  ad una nuova istruttoria  presso la Corte  di Perugia. Di fatto le pene furono tutte ridotte e annullate e gli imputati rimessi in libertà. Come saprete, molte di queste carte sono state per decenni occultate nei cosiddetti “armadi della vergogna” e soltanto da poco i medesimi sono stati aperti portando ai processi per  i nazisti della strage di Sant’Anna di Stazzema, processi ininfluenti sul piano effettivo delle pene, data la morte di quasi tutti gli imputati, ma di grande valore morale perché, come è noto, i crimini commessi contro l’umanità non cadono mai in prescrizione! L’unico fucilato, come ho detto, fu Giovanni Nardulli, il comandante della GNR di Massa Marittima, al quale risultano addebitati molti delitti perpetrati nel territorio maremmano, compreso quello di cui fu sicuramente il mandante, contro Norma Parenti, vostra concittadina, essendo nata a Monterotondo. Risulta che Alceo Ercolani rientrò prestissimo al suo paese natale in provincia di Viterbo dove si godette la pensione della Repubblica Italiana tra l’amicizia e la stima della popolazione.

A seguito dei fatti di Campo ai Bizzi, la Brigata di Mario Chirici, si divise in alcuni gruppi partigiani, uno dei quali, comandato da un massetano, Elvezio Cerboni, capitan Mario, si spostò nei boschi di Berignone  tra Volterra e Pomarance, mentre un altro, alla guida di Velio Menchini, si portò nell’area senese, da dove proveniva. Per profondi contrasti ideologici e strategici, anche un gruppo di partigiani comunisti e azionisti lasciò la Brigata del Chirici, e si installò sui monti della Carlina al comando di Bargagna e di Stoppa dando vita alla XXIII Brigata Garibaldi, mentre altre bande, tra le quali la “Camicia Bianca” comandata da Renato Piccioli, si sposteranno tra Massa Marittima e Suvereto, ed altre ancora tra Suvereto e la costa livornese. Tuttavia nuove forze arrivarono ad ingrossare la formazione di Mario Chirici fino a trasformarla in una vera e propria brigata, la III Brigata Garibaldi, Banda Camicia Rossa”.
           
La complessa storia di questi avvenimenti, delle azioni militari, spostamenti, sconfitte, errori e anche le drammatiche frizioni ideologiche all’interno delle Brigate Partigiane, è adesso impossibile esaminare e presenta ancora, per gli studiosi, molti lati lacunosi nonostante l’immensa mole di documenti e pubblicazioni, tra i quali il noto “Diario partigiano” di Mauro Tanzini, le memorie di Chirici, Sorresina e Tartagli, nonché la presenza in Toscana di importanti Archivi Storici della Resistenza e della Liberazione.

            E così, per merito dei suoi 1302 partigiani, dei suoi 1.568 patrioti, dei suoi 166 caduti per la causa della Liberazione, dei suoi 155 caduti in combattimento, dei suoi 4 dispersi, del suo altissimo e imprecisato numero di feriti, imprigionati  e torturati, dai nazifascisti, la provincia di Grosseto ha l’orgoglio di essere stata la prima in Italia a venir liberata dalle formazioni organizzate della Resistenza. Credo che avremo in quest’anno l’occasione di celebrare il 70° della Liberzione d’Italia dal nazifascismo rievocando la famosa battaglia Monterotondo del 10 giugno 1944 e l’eroica morte dei partigiani: Alfredo Gallistru (Ruinas, SS), Mario Casalini, (Piombino, LI), Mario Cheli (Monterotondo Marittimo, GR), Gino Borsari (San Felice sul Tanaro, MO), Ercole Ferrari (Sassuolo, MO).


Gli alleati, quando arrivarono nell’estate 1944, trovarono quasi ovunque l’ordine, trovarono i governi locali funzionanti con alla guida gli uomini del CLN, e fu facile per il Governatore Alleato insediare il Sindaco e la Giunta, espressione democratica di tutti i partiti antifascisti.

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