venerdì 27 febbraio 2015



PUBBLICAZIONI DI CARLO GROPPI

(XVII)

2009, febbraio. Mi decido a dare alle stampa un fascicolo di “proverbi licenziosi”, tra le migliaia di proverbi raccolti in decenni di ricerche, sia  su testi editi, sia dalla viva voce del popolo: “Di passere e d’altri uccelli…Proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle Colline Metallifere Toscane  e in Maremma, tra i fiumi Cecina e Fiora, in Toscana, con l’aggiunta di alcune espressioni proverbiali italiane e straniere”. Il fascicolo, spillato, di 32 pagine è stato stampato dalla Grafitalia di Sandro Gherardini in 300 copie numerate per gli amici dell’autore, rapidamente esaurite. In questi seguenti  sei anni ho intensificato la ricerca, raggiungendo, ad oggi, oltre settemila voci proverbiali ed aforismi, ma il lavoro è praticamente infinito! Lo lascerò manoscritto! Vorrei chiamarlo “Meglio è di risa che di pianti scrivere,ché rider soprattutto è cosa umana”. Si tratta di proverbi licenziosi ed altri motti spiritosi della cultura orale nelle Colline Metallifere, in Maremma e in Toscana, con l’aggiunta di aforismi ed espressioni proverbiali moraleggianti, latine, italiane e straniere. Di questa grande ricerca riporto la Premessa:

                Che cosa è un proverbio? Pro-verbo, ossia verbo, parola…posso rispondere così: è un detto breve e arguto, di origine e diffusione popolare, che esprime per lo più in modo
figurato e allusivo, verità, concetti, regole, consigli o convinzioni comunemente accettate, dal remoto passato ai tempi moderni, tanto che tutti i popoli ne sono ricchi, trasfondendovi in larga parte i fondamenti delle loro usanze e legami sociali, timori, speranze e sentimenti. Tuttavia i proverbi non sono dei dogmi ed ognuno ha piena libertà di contestarli, di modificarli, di crearne dei nuovi giocando sul gioco delle parole, la rima, le assonanze, il ritmo, cioè dando più valore, molte volte, al significante che non al significato
               
Lo studio dei proverbi si chiama paremiologia che vorrebbe significare, pressappoco, “che sta sul sentiero, fuori della strada normale”.

                Hanno proverbi gli esquimesi e gli abitanti delle isole Figi, i tagiki ed i bantù, e nuovi proverbi, o modi proverbiali nascono nelle grandi aree metropolitane del mondo intero. Per fortuna la nostra regione, la Toscana, è una delle aree del mondo più ricca di proverbi che abbracciano ogni contesto della vita dell’uomo fino a far accogliere i suoi proverbi, condivisi e parlati,  in tutto il Paese. In essi sono sintetizzate le leggi morali, civili, religiose e politiche che si estendono a tutti i casi della vita, della quale, nutriti dall’esperienza,  esaltano i beni e censurano i difetti e i vizi, con quella saggezza che s’è tramandata di generazione in generazione, fino ad invadere con abbondanza la globalizzazione informatica, dopo essere stata la regione che, nell’Ottocento, con la sua lingua aveva dato unità di linguaggio all’Italia intera. In Toscana il proverbio era sulla bocca di tutti e una delle sue caratteristiche è un realismo crudo, legato al quotidiano, che non risparmia neanche la sfera del sacro e del sublime, né, tantomento della sfera sessuale e dell’eros.
               
                Il proverbio era strettamente legato, nella massima parte, alla civiltà agricola; sparita la mezzadria e rivoluzionata dalle macchine l’agricoltura, le sue metafore sono in larga parte diventate incomprensibili. I giovani, che non sanno più cosa sia la fermentazione del vino o la differenze tra un gallo, una gallina e un cappone, non li capiscono, anche se, però, è proprio una cosa che sta morendo a incuriosire di più. In particolare la brevità e musicalità dei proverbi, la loro ricchezza espressiva, ben si rapportano con il modo di comunicare attraverso l’etere e il web.   

                Chi volesse sbizzarrirsi nel far raccolta di proverbi a tema e regionali, oggi troverebbe sul web, credo, decine di migliaia di proverbi di tutto il mondo, magari non esattamente ritmati e talvolta approssimati, tuttavia io n’ho fatto un uso limitatissimo, qualche volta più per le comparazioni che per aggiungere novità.

                Se sarà facile spiegare il contenuto della mia ricerca sui proverbi, arduo è descrivere l’immensa scienza della letteratura delle sentenze, poiché essa è il  patrimonio e il frutto della vita e dell’osservazione di tutti i popoli. I libri più antichi, dagli ammaestramenti del re egizio Amenemhet (circa 2000  a.C.) ai Veda indiani, dall’ I-King al Talmud, alla Bibbia e al Corano, ricordano che i proverbi sono nati con l’Uomo. Aristotele affermava che i proverbi sono “frammenti dell’antica filosofia conservatisi tra molte rovine, grazie alla loro brevità e musicalità” e Cervantes fa dire a Don Chisciotte: “…mi pare, Sancho, che non ci siano proverbi che non siano veritieri, perché tutte le sentenze derivano dall’esperienza, madre di tutte le scienze…” ed anch’io ho messo come incipit alla raccolta due motti latini: Horas non numero nisi serenas (non indico ore se non serene) e Omnia munda mundis (tutto è puro per quelli che sono puri).

                Per quanto riguarda i nomi del sesso utilizzati nei proverbi, si deve vedere l’indagine sociolinguistica di Valentina Fanelli, dottore di ricerca linguistica, e la relativa bibliografia sul web. Un altro studio importante su “le parole del sesso” si deve a Vito Tartamella, autore del libro “Parolacce, BUR, Milano, 2006, primo studio italiano di psicolinguistica sul turpiloquio. Tartamella è caporedattore della rivista scientifica Focus e docente del Corso di giornalismo scientifico al master di giornalismo dell’Università IULM di Milano. Il lessico erotico italiano comprende circa 3160 parole dalle quali però sono esclusi molti termini sulla morale sessuale, e quelli strettamente dialettali. Se si potessero aggiungere tali termini si potrebbero totalizzare 4000 parole, che costituiscono un patrimonio comune a tutti ed è parte integrante del nostro repertorio linguistico, nel quale “cazzo” figura come la parolaccia più pronunciata dell’italiano parlato.

                I primi proverbi l’ho appresi bambino dalle mie nonne,  e mi hanno sempre affascinato. All’inizio degli anni ‘70 del secolo scorso ho iniziato a trascriverli, partendo proprio da quelli locali. Successivamente mi sono dedicato a raccogliere quelli sulla pastorizia, confluiti in un libriccino dal titolo  “Fiorin di cacio, facciamo finta di chiamare il micio…”,  pubblicato nel 1999 con la collaborazione di Claudia Vallini, e, per la parte grafica di Fabrizia Doloverti e Liliana Grazzini. Su questa spinta, nel 2006 è uscito il libriccino di Claudia “Fior di grano…profumo di pane”, con illustrazioni di Margherita Cianchi. Parallelamente a queste trascrizioni e ricerche mi sono immerso in un segmento  specializzato appuntando diligentemente tutti i proverbi, modi proverbiali, arguzie, motti, locuzioni, detti, relativi all’immaginario della sfera dell’eros, che via via mi capitavano sotto gli occhi: dall’innamoramento all’amore, al matrimonio, alla voluttà, agli eccessi, al tradimento ed alla fiducia, alla fisicità del corpo umano, alla trivialità dell’invettiva, così come ci erano stati tramandati, molte volte soltanto oralmente, nel territorio  delle Colline Metallifere, in Maremma e in Toscana, con l’aggiunta di aforismi ed espressioni proverbiali moraleggianti, greche, latine, italiane e straniere.
               
                Tra essi ho inserito molti proverbi più leggermente allusivi, qualche indovinello, stornello e filastrocca, rispetti e dispetti, tra quelli che mi sono parsi nostrali e originali, lasciando, in tal modo, aperto un ulteriore spazio di ricerca in questo meraviglioso settore della cultura popolare, pubblicando nel 2009, in una edizione privata tirata in 350 copie, un fascicolo contenente 1200 proverbi licenziosi.
               
                Dopo tale pubblicazione (esaurita sul nascere), molte persone mi hanno segnalato nuovi proverbi, frasi proverbiali, aforismi, modi di dire, stornelli, indovinelli, canzoni, da poter aggiungere, e testi da consultare.  Inoltre, man mano che procedevo nella raccolta, mi sono avvalso, oltre delle fonti orali, di innumerevoli scritti di autori antichi e moderni italiani e toscani, scegliendo, con la mia personale sensibilità, tra i modi proverbiali, motti, detti sentenziosi, aforismi e indovinelli, iscrizioni funerarie, sortilegi e pronostici, escludendo, quasi del tutto, le “battute” e i “motti” delle gazzette e pubblicazioni degli ultimi  decenni, fino a raggiungere il cospicuo numero di settemilacentosettantadue (7172).

Ritengo tuttavia che la raccolta di questa rinnovata opera abbia soltanto aperto una finestra sul grande universo de “li vulgari proverbi”, del quale il lettore potrà facilmente intuire la vastità, in particolare per i proverbi regionali, da me poco trascritti, e per un più attento confronto tra quelli dei paesi europei di cultura neolatina e germanica ed i nostri, provenienti da un’area assai più limitata, dalla quale siamo usciti raramente per raccogliere soprattutto proverbi e aforismi greci, latini, italiani, greci, francesi, inglesi, tedeschi, sardi, lombardi, napoletani, veneti e spagnoli, a tema “licenziosità” e virtù morali.

Rinunciando momentaneamente ad  ogni commento, sia per le difficoltà oggettive che per i tempi lunghi che ciò avrebbe richiesto,  ed anche perché nella maggior parte dei casi m’è sembrato evidente il significato, manifesto o allusivo, considerando inoltre che la raccolta (se sarà pubblicata) è destinata a semplici lettori e non a specialisti, ho omesso l’indice delle fonti, scritte e orali, e la bibliografia, quest’ultima davvero imponente, specialmente per gli aforismi. In questo caso basterà citare che la bibliografia stesa da Federico Roncoroni per il suo manuale “Il libro degli aforismi” pubblicato negli Oscar Mondadori nell’ottobre 1989, contiene 39 segnalazioni, di autori dal sec. XVII al XX. Mi sono tuttavia reso conto che in moltissimi casi, specialmente per i proverbi e modi di dire dei secoli XVI – XVIII e antecedenti, il loro significato ci resta oggi molto oscuro e del tutto fuori dal contesto sociale nel quale s’erano formati. Alcuni, tuttavia, li ho riportati, soprattutto attingendo a vocabolari o rimari toscani, per le dovute comparazioni tra due modelli antropologici non lontanissimi: uno che si avviava al declino, l’altro all’alba, quello preindustriale della mezzadria e quello della rivoluzione scientifica, delle macchine e della comunicazione digitale.
In Italia, l’interesse a raccogliere proverbi, sia da testi scritti, sia dalla viva voce del popolo, ed a trascriverli o inserirli in opere erudite, scientifiche e letterarie, è antichissimo, risalendo ai grandi scrittori greci e latini (le cui sentenze, con oltre diecimila citazioni, sono state pubblicate da Rizzoli nel 1991), e, a partire dal secolo XIII, da autori  italici.

Il  più antico testo misogino in volgare compare anonimo tra il 1152 ed il 1160 “Proverbia amalidicuntur super natura feminarum”,  cioè agli albori della nostra letteratura; mentre altri appariranno in Toscana ed in Piemonte nel primo trecento, essenzialmente a carattere moraleggiante e allegorico e Dante Alighieri ne farà largo uso all’interno della Divina Commedia in versi memorabili. Un frequente uso si troverà  in altri capolavori della letteratura italiana a  partire dal Decamerone di Boccaccio e dal Canzoniere del Petrarca, per giungere al Manzoni ed al Verga.
               
                Tra tutti deve essere ricordato però Angelo Poliziano che raccolse, negli anni 1477-1479, i motti, gli aneddoti e le facezie del suo tempo, che furono stampati a Firenze nel 1548 da Lodovico Domenichi, poligrafo, sotto il titolo, di autore anonimo: “Facetie et motti arguti di alcuni eccellentissimi ingegni et nobilissimi signori”.  I 413 detti e proverbi furono successivamente estrapolati da Albert Wesselski, e pubblicati a Jena nel 1929 con il titolo di: “Angelo Polizianos Tagebuch”. Il Wesselski dimostrò con sicurezza che essi erano opera dello stesso autore delle Stanze e dell’Orfeo. Qualcuno espresse delle perplessità, ma oggi gli storici della letteratura italiana concordano nel ritenere valide le conclusioni a cui giunse il Wesselski. Dopo l’edizione di Jena del 1929, i Detti piacevoli non sono stati più pubblicati, né in Italia né altrove. Infine, fu stampata la prima edizione italiana moderna dei Detti dagli Editori del Grifo di Montepulciano, con il titolo I detti piacevoli, nell’anno 1985 a cura di Mariano Fresta, dalla quale abbiamo ricavato 50 proverbi e facezie.

Ci è piaciuto riportare inoltre, in una lingua toscana più controllata, estrapolandole dai così detti “scritti letterari”, alcune facezie di Leonardo da Vinci più allusivamente vicine al nostro tema della “licenziosità”, in ciò rendendo un  “picciolo honore” al sommo genio toscano.               

Ad Antonio Corazzano si devono infine, nel secolo XV, le opere “De proverbiorum origine” e “Proverbi et facezie”, quest’ultima ad esplicito carattere licenzioso.
               
                Per quanto più strettamente legato alla mia ricerca, mi limito a citare: il biblico Salomone, figliolo di David, re d’Israele, al quale si attribuiscono molti proverbi del libro omonimo dell’Antico Testamento, che si fa risalire tra l’VIII ed il IV secolo a. C.; il greco Esiodo, il divino Marco Valerio Marziale, il poeta Virgilio e i due grandi del ‘500 toscano, Cinthio de li Fabrizi e Antonio Vignali. Cinthio pubblicò a Venezia, fuori dal potere del Papa, la sua celebra “Cazzaria”, opera considerata blasfema e posta all’Indice, solo recentemente ristampata. Antonio Vignali (Siena 1500 – Milano 1559), detto l’Arsiccio Intronato, umanista, già membro dell’Accademia senese degli Intronati (cioè da quella fucina di umanisti erotico-comici che componevano l’Accademia senese),  bandito dalla città per motivi politici, scrisse ai suoi compatrioti una “Lettera in broverbi”, composta da 365 proverbi e modi proverbiali dei quali ne ho trascritti ben 52.  Riguardo “al parlar libero”, cioè affrontando in letteratura i temi dell’erotismo più sfrenato e immaginifico, ho attinto, per quanto possibile, alle opere di Pietro Aretino, specialmente ai Sonetti lussuriosi e d al Ragionamento.
Tra i maggiori scrittori cinquecenteschi dell’osceno  devo fare un piccolo riferimento a Nicolò Franco ed alla sua raccolta di novanta sonetti “Priapea”, per la quale l’autore verrà inquisito e impiccato per aver pubblicato un sonetto diffamatorio contro il papa Paolo IV.
                Tra la metà del ‘500 e gli albori del ‘600 Francesco Perdonati riunì, in vari volumi manoscritti, una vasta messe di proverbi, molti dei quali furono successivamente riprodotti nella terza edizione della Crusca nel secolo XVIII.  Non si possono inoltre tacere alcune espressioni proverbiali inserite da Lorenzo Lippi nel suo poema “Malmantile racquistato”, gli aforismi morali di La Rochefoucauld, Chamfort e Montaigne (“Essais, 1589-1592”  nella traduzione di Roberto Bonchio, 2012), ed i deliziosi detti di Bertoldo, i proverbi di Adriano Politi inseriti nel “Dittionario Toscano, del ‘600, quelli di Carlo Tommaso Strozzi, Sebastiano Paoli da Lucca e le raccolte di Michele Pavanello, del veronese Orlando, Angelo Monosini e di Francesco Lama. Nel secolo seguente i proverbi conoscono un periodo di splendore grazie alle riscoperte di molti ricercatori che contribuirono al loro inserimento nelle prime edizioni del Vocabolario della Crusca,  tra cui citiamo quelli toscani dell’abate Luigi Fiacchi (1754-1825) che ritrovò la dichiarazione de’ proverbi di Gio. Maria Cecchi (1518-1587, celebre scrittore di commedie del secolo XVI), creduta perduta dai compilatori della quarta impressione del Vocabolario della Crusca, e la fece stampare a Firenze nel 1820; del Tommaseo e del Giusti che ad essi dedicarono molti anni di studio e di ricerca, e da moltissimi loro discepoli:  Antonio Gotti, Gino Capponi, Augusto Alfani, Eugenio Restelli, Arrigo Pecchioli, Niccola Castagna, Idelfonso Nieri ed ai contemporanei dell’Accademia senese degli Intronati: Bacci, Iacometti, Lombardi e Mazzoni, nonché, per rimanere in terra di Siena, a “nonna Zoe”, originaria di Belforte, che raccolse circa duemilacinquecento proverbi generici, ad Evaldo Serpi di Montalcinello ed a Marino Ferrini che nel 1938 iniziò a raccogliere proverbi, soprattutto toscani, pubblicandone alcune migliaia nel 1998, suddivisi per 573 argomenti. Molti proverbi, detti, stornelli, filastrocche, indovinelli e modi proverbiali l’ho poi estratti dai ventisette volumetti della collana Mezzoscudo, della LEF (Libreria Editrice Fiorentina), , tra quelli che ho trovato nella mia libreria, scelti e curati da Guglielmo Amerighi, un pioniere nel campo delle tradizioni popolari toscane, dai proverbi e modi di dire di Pisa di Riccardo Mazzanti, 1998

                Non posso inoltre dimenticare il mio caro amico “Tista”, Giovanni Batistini, e il suo originale lavoro “Folklore Volterrano”, fonte di sapienza popolare per me tra i più amati; né recenti letture inaspettate, come i “proverbios” di Antonio Machado, il Lunario dei giorni d’amore a cura di Guido Davico Bonino, Einaudi, 1998 e le lettere ad un amico lontano di Cristina Campo. Relativamente agli stranieri accenno soltanto ad alcune opere fondamentali tra le quali: la rivista di paremiologia “Proverbium”, edita fin dal 1965, dalla Societé de Littérature Finnoise, Helsinki; “Sprichtworter-Bibliographie”, di Otto E. Moll, Frankfurt am Main, Klosterman, 1957;  “The Proverb and Index to the Proverb”, Copenaghen, Rosenkilde&Bagger, 1962; “Dictionnaire des proverbes, sentences et maximes” di M. Maloux, Larusse, Paris, 1960; al “Dictionnaire des proverbes du monde” riuniti, classificati e presentati dallo scrittore Elian-J Finbert, pubblicato a Parigi da Robert Laffont nel 1965 nel quale, tuttavia, i proverbi italiani son tratti quasi al completo  da raccolte pubblicate in Italia tra il 1820 e il 1934, e perciò per lo più a tema moraleggiante e non licenzioso, praticamente tutti apparsi in raccolte più recenti da me consultate, mentre si è rivelato utile per numerosi proverbi da me inseriti, provenienti da aree extra europee; ed infine, “Proverbes et dictions francais”, di J. Pineaux,, Presses universitaries de France, Paris, 1967.
               
                Col solo scopo di indicare una insolita via nell’immenso universo dell’eros, ho inserito quindici aforismi ricavati dall’Antologia Palatina, nella summa che ce n’ha offerta Filippo Maria Pontani  (1913-1983), tra gli oltre quattromila epigrammi greci che vanno dall’età arcaica al X secolo d. C. Dall’avvincente lettura delle opere di Plutarco (Cheronea, Beozia 45 ca. – 125): Vite parallele, Sull’amore e Precetti coniugali,  e da una più attenta rilettura delle diecimila citazioni delle sentenze latine e greche, dall’antichità al rinascimento, a cura di Renzo Tosi e Italo Sordi, pubblicate da Rizzoli nel 1991,  ho tratto alcune centinaia di aforismi, detti, epitaffi, proverbi e frammenti poetici, sia per l’attinenza al tema di questa raccolta ed per attestarne le arcaiche radici, nonché per la musicalità della parola e la suggestione ch’essa genera ancora nell’uomo contemporaneo.
               
                A questo immenso patrimonio hanno inoltre contribuito ricercatori dialettali e locali d’ogni contrada italiana e nell’era di internet si possono trovare sul web centinaia di migliaia di voci proverbiali, modi di dire, detti proverbiali, insieme a stornelli, indovinelli, filastrocche, aforismi, locuzioni, epiteti, esclamazioni, sia in italiano che in napoletano, veneziano, piemontese, siciliano, sardo, friulano ecc. ecc.  Tra questi ricordo tuttavia quattro personaggi importanti: Baffo, Tempio, Porta e Belli e di quest’ultimo riporto in appendice tre famosissimi sonetti.
               
                Ai proverbi e detti proverbiali veri e propri, ho aggiunto una “appendice”, ossia una miscellanea di  pensieri che più di altri mi sono piaciuti nel corso delle mie faticose giornate sui testi antichi e moderni di importanti biblioteche, tra le quali, oltre a quella casalinga, la più importante è stata quella Comunale degli Intronati di Siena. Ma, trattandosi di una “appendice” si potrà, volendo,  ignorare del tutto completamente.

                A chi volesse effettuare confronti e verifiche, nonché approfondimenti, segnalo: il Vocabolario dell’uso toscano, compilato da Pietro Fanfani nel 1863;  il Dizionarietto morale di Niccolò Tommaseo del 1867, nel quale l’autore, uno degli italiani più eruditi del secolo XIX con alle spalle 233 volumi e 162 opuscoli pubblicati, grazie alla bravura nell’arte dell’aforisma, spesso vi raggiunge il suo culmine, nonché il canonico Giovanni Spano, di Cagliari (1803-1878), una figura poliedrica di erudito e collezionista, poi Senatore del Regno, che pubblicò nel 1871 una grande raccolta di poco meno di tremila proverbi e modi di dire sardeschi comparati con le antiche lingue, ebraica ed araba comprese, al quale ho attinto abbondantemente. Non si possono tacere, inoltre: le raccolte di proverbi compilate dal lucchese Idelfonso Nieri nella seconda metà del secolo XX, l’interessante opera di G. Pitrè, voce Proverbi, della Bibliografia delle Tradizioni Popolari d’Italia, Torino-Palermo, 1894, vol. V, pp. 177-257 e 464-475, ristampa CDL, Cosenza, 1965, gli aforismi di Marie Von Ebner – Eschenbach della fine dell’800, nonché i volumi “Dizionario Letterario del Lessico Amoroso: Metafore, Eufemismi, Trivialismi”, Utet, Torino, 2000 e il grande Dizionario dei proverbi, a cura di Valter Boggione e Lorenzo Massobrio, Utet, 2004 che riporta oltre trentamila proverbi; i lemmi specifici del Grande Dizionario della Lingua Italiana, Utet, Torino, 1961-2004; il Diccionario de Refranes di Luis Junceda, i 5000 proverbi e motti latini raccolti da L. De Mauri, Hoepli, 1926 e 1990, i volumetti curati da Guglielmo Amerighi nella collezione “Mezzo Scudo” della Libreria Editrice Fiorentina, ed infine Il Grande Dizionario dei proverbi italiani in Cd-rom di Paola Guazzotti e Maria Federica Oddera, Zanichelli, 2006, che contiene 11.000 proverbi con esclusione di quelli dialettali, dai i quali ho tratto spunti e traduzioni tra quelli raccolti da Claudio Urbani, dai campani, laziali, lombardi e siciliani. Per gli aforismi moderni e contemporanei rimando, oltre a “Il libro degli aforismi” citato, ai testi, almeno una dozzina, usciti tra il 1993 ed il 1994 nella collana “Tascabili Economici Newton di: R. Gervaso, G.K. Gibran, A. Karr, E. Pound, H. Hesse, F. W. Nietzsche, K. Kraus, O. Wilde…ed a quelli più recenti in “Il grande libro degli aforismi” a cura di Olimpia Baldini ed “Il grande libro dell’amore” di Ginevra Belli per l’editore Barbera ed il prezioso  lavoro di Carlo Lapucci “Proverbi e motti fiorentini” pubblicato nel 1993, una vera e propria miniera di saggezza per il mio lavoro. Infine, un ringraziamento speciale lo devo alla mia compaesana Wilma Banchi, per la quantità di proverbi, stornelli e aforismi che mi ha trascritto con precisione, al caro amico Mauro Lisi che m’ha fatto dono di un suo antico quadernetto dal quale ho ricavato ben 81 proverbi molto originali ed a Asia Olinda Castellini, poetessa di Serrazzano, dalla quale raccolsi nell’estate 1998 le ultime spiritose confidenze.

Non rientrava nel mio scopo eseguire un lavoro scientificamente impostato, ma soltanto appagare l’antico desiderio di mettere nero su bianco una parte di quel patrimonio, considerato, non a torto, “la scienza dei poveri”, così volgare, tenero e corposo che ci accompagna nella vita quotidiana, quanto più è nascosto nella cultura ufficiale e scolastica, onde salvaguardarne il bagaglio di sapienza, di ironia, e di saggezza che esso racchiude. Apparirà al lettore moderno, anacronistico e superato il preconcetto, se non disprezzo, del maschio verso la femmina, ispiratore della maggior parte dei proverbi da me riportati, frutto di una cultura millenaria non ancora del tutto rinnovatasi, che trasforma la donna in mero oggetto di piacere e di utilità domestica; una creatura inferiore di cui non fidarsi mai; tuttavia non potevo operarne l’oscuramento. Al contrario, la visione in negativo del ruolo femminile consentirà di apprezzarne il progresso sulla strada della piena emancipazione e parificazione sessuale, quando la tragica fase in cui viviamo, per brevità definita impropriamente del “femminicidio”, che non intendo amplificare in nessun modo,  tantomeno con la stampa di questo lavoro, sarà conclusa,

Con le parole del “maestro”, l’incantevole Rabelais, mi accomiato :

Lettori  amici, voi che m’accostate,
liberatevi d’ogni passione,
e, leggendo, non vi scandalizzate:
qui non si trova male né infezione.
E’ pur vero che poca perfezione
apprenderete, se non sia per ridere:
altra cosa non può il mio cuore esprimere
vedendo il lutto che da voi promana:
meglio è di risa che di pianti scrivere,
ché rider soprattutto è cosa umana.


Si, ridere è cosa saggia e salutare! come recita un antico proverbio: “Chi ride leva un chiodo alla bara!”, ossia vive più a lungo e meglio di chi non lo faccia. Infine, per correzioni e proposte di ulteriori aggiunte, sarò contento di riceve e mail all’indirizzo: karl38cg@gmail.com e in anticipo ringrazio chi lo farà.

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