lunedì 9 settembre 2013

Per questo canto[i]

Saba resuscitò a cinquant’anni con “Parole”,
ancora visse,  a lungo soffrì, ma prima di morir
ci lasciò “Uccelli” e “Quasi un racconto”,
per consolar i nostri affanni. Da una tomba
Simone de Beauvoir  ci terrorizza al varcar
la soglia dell’età terza, la più pesante soma
dell’intera vita, quella della decrepitezza
che non risparmia genio alcuno, dei poeti
forse ne salva solo uno. La creatività
s’appanna, si contorce su se stessa spire
a spire, d’altra parte c’è poco da dire se
dell’età virile il top si raggiunge a sedici anni!
Ripensandoci le devo dar ragione perché
toccai il culmine poco dopo, ma quella
fatal effimera passione, a quella mensa,
fu alimento per i futuri accordi
della mia cetra amica. Magra consolazione
– qualcuno penserà – in un vecchio,
che nulla speranza mai abbandona,
ma sbaglierà di grosso, e delle prove
potrei produrre a mio favore, senza fare
il nome. Per questo canto, imparando
ad ogni alba sempre cose nuove.



[i] Umberto Saba compose il quaderno “Parole”, nel 1933, all’età di cinquant’anni, toccando forse il punto più alto della sua poesia. Visse ancora poco più di vent’anni, soffrendo molto, ma lasciandoci “Uccelli” e “Quasi un racconto”, due preziose gemme della lirica italiana. Secondo Simone de Beauvoir, nel saggio “La terza età”, l’uomo tocca il culmine della sua potenza sessuale intorno ai sedici anni e poco dopo raggiunge quello della sua creatività. La vecchiaia è per lei improduttiva, e da compiangere. Di tutti gli esempi che vanno oltre il limite dei settanta anni salva soltanto Goethe, forse Platone e pochissimi altri. 

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