venerdì 24 novembre 2017






59. L’Enel e la coltivazionedel bacino geotermico[1] di Travale-Radicondoli (1978) (Siamo costretti a non poter pubblicare tabelle e diagrammi).

 1) Dai primi tentativi di sfruttamento all’Enel

Anche se ci sono pervenute poche notizie si ha ragione di ritenere  che le manifestazioni termali dell’area di Travale-Radicondoli fossero già conosciute nell’antichità da etruschi e romani, e dal latino “lacunae” deriva il moderno nome di “lagoni[2]” che compare nel medioevo, nome che, con l’aggiunta di “boraciferi”, è giunto fino a noi.
Dal 1400 furono estratte nelle vicinanze di due lagoni presso Travale, delle concrezioni boriche note come “vetriolo turchino o di Cipri[3]”, come testimonia Vannuccio Biringucci nella sua famosa opera “Pirotecnia”; ma, comunque, lo sfruttamento industriale si rivelò limitato causa la scarsa concentrazione di boro nelle acque di quei lagoni. Fu la scoperta dell’acido borico, avvenuta nel 1777 per merito del chimico tedesco Uberto Francesco Hoefer (direttore delle Spezierie del Granducato di Toscana), a destare nuovo interesse per queste manifestazioni geotermiche: infatti due anni dopo, nel 1779, il grande naturalista ed anatomico senese, Paolo Mascagni, estese le ricerche dell’acido borico anche ai lagoni del travalese. Sempre il Mascagni, nel medesimo anno, propose un metodo per l’estrazione industriale del “sal sedativo” (ossia dell’acido borico) disciolto nelle acque dei lagoni. La realizzazione dell’impianto progettato dal Mascagni fu tentata nel volterrano dal 1815 al 1818 con risultati deludenti.
Dopo la messa a punto da parte di Francesco Larderel del processo industriale per la produzione dell’acido borico, fu costituita nel 1860 la “Società Travalese” per lo sfruttamento dei lagoni. Furono eseguite delle perforazioni ed ottenuti così dei discreti soffioni per cui furono costruite della caldaie di evaporazione; ma, nonostante ciò, la produzione si mantenne molto limitata e la manodopera occupata non supero mai le poche unità. La fabbrica passò successivamente ai signori Coppi e Toscanelli e gli eredi la gestirono fino al 1916, anno in cui venne rilevata dalla “Società Boracifera” di Larderello, che con tale acquisto ultimò la sua impresa monopolistica, venendo quindi in possesso di tutti i lagoni e soffioni noti e suscettibili di sfruttamento industriale.
Anche a Travale venne esplorato il sottosuolo con nuove perforazioni che spingendosi fino al “serbatoio carbonatico[4]” (peraltro quasi affiorante in superficie) ottennero dei soddisfacenti risultati, tanto che la Società progettò l’installazione di un turbo-alternatore da poche centinaia di HP. Successivamente questo progetto fu sospeso per il perdurare della prima guerra mondiale: infatti in quegli anni, per l’urgente bisogno di energia elettrica, fu intensificata la ricerca nelle aree già note, dove si potevano ottenere con maggior successo, dei soffioni più potenti.
Nel 1942 erano produttivi, nella zona di Travale, tre piccoli sondaggi che erogavano complessivamente circa 25 tn/h di vapore e 70 tn/h di acqua. Le temperature dei fluidi però non erano elevate (125-150°C) e con il passar del tempo la quantità di acqua tendeva ad aumentare progressivamente, tanto che il vapore erogato si trasformò in una miscela di acqua e vapore.
Nel 1949 la “Larderello SpA” perforò nel “campo geotermico” di Travale un pozzo profondo 362 metri che risultò produttivo con 38 tn/h di vapore e 30 tn/h di acqua. Tale successo spinse la Società ad intensificare notevolmente la ricerca di vapore, ma l’area esplorata risultava ancora circoscritta ad una piccola zona intorno alle antiche manifestazioni naturali.
Dal 1949 al 1955 furono perforati 17 pozzi (per un totale di metri 3720), di cui 9 si rivelarono produttivi con circa 154 tn/h di vapore alla pressione media di 3,2 atmosfere e con una erogazione intermittente di notevoli quantità di acque calde.
Questi positivi risultati portarono all’installazione, nel 1951, di un piccolo gruppo generatore a scarico libero[5] da 3,5 Mw. Questo gruppo ha sempre funzionato, sia pure in certi periodi a regime ridotto per la mancanza di vapore e con un consumo specifico molto alto, fino al 1961. La mancanza di  vapore, insieme all’abbassamento della temperatura e della pressione del fluido ed il progressivo aumento dell’acqua trascinata (60-70 tn/h), furono le cause della sospensione dell’esercizio del gruppo.
Gli alti vertici della “Larderello SpA” decisero la fermata della Centrale di Travale affrontando il problema nell’ottica delle ristrette conoscenze geotettoniche relative alla parte esplorata del bacino geotermico di Travale e non tenendo invece conto della tettonica[6] di area vasta, assai più complessa.
Per chiarezza riportiamo le deduzioni conclusive che furono formulate, sul campo geotermico di Travale, dai tecnici della “Larderello SpA”:
a)                         Nella zona ad W, SW e S, immediatamente a ridosso dei sondaggi, affiorano (con circa 2 Km/q di superficie), i calcari mesozoici della “serie toscana”. Queste rocce immergono verso NE la zona dei sondaggi, costituendo così il bacino geotermico. Analisi isotopiche[7] permettono di affermare che l’acqua piovana alimenta il sistema idrico del campo infiltrandosi nel sottosuolo attraverso i calcari permeabili, in quantità maggiore del deflusso operato dai sondaggi.
b)                        Con l’estrazione del vapore attraverso i sondaggi aumenta la circolazione delle acque nei calcari portando così ad una maggiore dissoluzione dei carbonati e solfati con notevole incremento delle incrostazioni nelle tubazioni dei pozzi.
c)                         La consistente circolazione di acque “vadose”[8] porta, invadendo le modeste depressioni appena formate a seguito della fuoriuscita del vapore, al raffreddamento ed allo spegnimento di tutto il campo.
d)                        Il fenomeno termico, sia come temperature, sia come pressioni, appare in ordine di grandezza notevolmente inferiore a quello di Larderello.

Furono quindi formulate alcune ipotesi per il ripristino del campo:
        
1)    Pompare all’esterno masse enormi di acqua, anche con la costruzione di una galleria sotterranea fino al fiume Cecina;
2)    Chiudere i pozzi rilevando i dati della pressione e temperatura;
3)    Utilizzare i fluidi a bassa entalpia con nuove tecniche di sfruttamento.

Era ovvio che per il momento nessuna delle tre ipotesi sarebbe stata realizzata. La caUsa di fondo dell’abbandono fu, praticamente, l’imminente nazionalizzazione. Infatti la “Larderello SpA” non intendeva più investire nuovi capitali in ricerche, dai risultati incerti, e comunque non immediatamente produttivi in termini di recupero economico.
         Il 12 giugno 1962 è sancita infine la conclusione dell’esperienza produttiva del “campo geotermico di Travale”.
         Queste motivazioni tecniche e scientifiche, formulate dalla “Larderello SpA”, ben si confacevano alla “non volontà” (riporteremo questa parola tante volte) dell’Enel, subentrato successivamente, di operare scelte coraggiose per la ricerca di fonti integrative al petrolio. Questo assenteismo porterà ad un ritardo non ancora colmato di oltre dieci anni, che ha provocato immensi sprechi produttivi ed ha favorito, nel contempo, la disgregazione economica e sociale di una vasta zona che, potenzialmente ricca, ha visto compiersi in questi anni una emigrazione di massa mai verificatasi prima in tali proporzioni.

         2. Nove anni perduti

Nonostante il continuo impegno e la denuncia delle forze politiche e sociali, per lunghi anni il bacino di Travale fu abbandonato, ne è testimonianza non solo la mancata formulazione di un programma di ricerca, ma la disdetta di alcuni “permessi di ricerca” già in precedenza ottenuti.
Nel 1969 i pozzi ancora in esercizio erogavano circa 23 tn/h di vapore a 2,5 ata e 125 °C, con una quantità di acqua di circa 50 tn/h fuoriuscente in gran parte dal pozzo n. 21. In quest’anno furono ripuliti dalle incrostazioni cinque pozzi e fu riottenuta una produzione di circa 80 tn/h di vapore ad una pressione bassissima. Anche la portata dell’acqua ritornò al valore di circa 120 tn/h.
Il 16 gennaio 1970 si svolse presso la Direzione Studi e Ricerche dell’Enel (Dsr) di Roma, una importante riunione alla quale parteciparono il Compartimento Enel di Firenze, la Dsr, il Cnr. Fu esaminato lo stato della collaborazione, nel settore geotermico, tra l’Enel, il Cnr e l’Istituto Internazionale di Ricerche Geotermiche (IIRG, con sede a Pisa), sorto in questi anni come emanazione del Cnr stesso. In questa riunione fu inoltre affrontato il problema dei programmi di ricerca energetica ed alla fine fu concordato che la zona geotermica a nord-nord est di Travale non era di “interesse per il Compartimento di Firenze”. Questa decisione fu presa dall’Enel nonostante che fossero stati ripuliti i cinque pozzi di Travale ed eseguiti alcuni lavori di ricerca, tra cui una prospezione geoelettrica[9], nuove misure chimiche e fisiche dei fluidi e, soprattutto, ultimati dieci pozzetti geotermici, che rilevarono una notevole anomalia termica appunto nella zona a N-NE del vecchio campo di Travale.
Alle iniziative delle Direzioni locali e dei tecnici, in parte sensibili alle pressioni esercitate dalle forze sociali e politiche, si contrapponeva nuovamente la negativa visione dell’Enel sull’energia geotermica.
Il Simposio sull’energia geotermica organizzato dalle Nazioni Unite nel settembre-ottobre 1970 a Pisa e Larderello, mise allo scoperto i limiti dell’iniziativa italiana, tanto che Felice Ippolito, affermò in un saggio: “…fu altresì chiaro a Pisa che la tecnologia geotermica degli Usa stava diventando la più avanzata, mentre quella italiana era ormai la più arretrata e non solo in termini quantitativi, ma perché il campo di Larderello era stato trattato da anni come unico al mondo, quale specie di un singolare mostro del quale soltanto i suoi unici custodi potevano parlare”.
Nel dicembre dello stesso anno, alcuni ricercatori pubblicarono un interessante “rapporto” sulle possibilità produttive del vecchio campo di Travale. In tale “rapporto”, sulla base dei dati disponibili, si riteneva utile esplorare con una perforazione “allo scopo di eliminare ogni dubbio sulla produttività dell’intera area”, la nuova zona di anomalia termica individuata a 2-3 Km. dal vecchio campo e che non sembrava preclUsa alla produzione di vapore.
Probabilmente questi ricercatori, alcuni dei quali dipendenti Enel, erano a conoscenza della mancata volontà politica dei massimi vertici dell’Ente elettrico ed erano quindi consapevoli di presentare una situazione che, essendo suscettibile di insuccesso, poteva ritorcersi contro di loro. Da questa condizione di dipendenza nascono “certi silenzi ed ambiguità”, contenuti nel “rapporto”. Nell’Enel non si credeva assolutamente alla geotermia e i nove anni di gestione assenteista lo stanno a dimostrare.
Questa situazione è sufficientemente denunciata e riassunta in un documento del sindacato Fidae-Cgil di Larderello, pubblicato nel 1973, in cui si affermava: “…nel 1962 venne definitivamente abbandonato il bacino di Travale, ove era in funzione una piccola centrale geotermoelettrica, per condizioni sfavorevoli delle componenti termodinamiche del fluido e perché si riteneva questo bacino circoscritto all’area delle attuali manifestazioni naturali e pertanto sufficientemente esplorate per ricavarne la certezza di un impossibile sviluppo a fini produttivi. Veniva quindi disdetto il Permesso di ricerca “Rancia-Montalcinello”, che copriva la zona. Per chiudere definitivamente l’argomento iniziava in collaborazione con il Cnr di Pisa uno studio dei risultati delle precedenti perforazioni che, con l’ulteriore apporto dei risultati di prospezioni geoelettriche, metteva però in evidenza l’esistenza di una zona interessante nella direttrice nord, verso Radicondoli e Montalcinello. Anche per mettere a tacere le insistenti voci critiche delle Amministrazioni Comunali, delle Organizzazioni sindacali, dei partiti politici e di “qualche tecnico dissidente”, veniva eseguito il sondaggio “Travale 22”, quello che, nella mente degli scettici, doveva definitivamente chiudere il discorso sulla zona, del resto abbandonata a se stessa da circa dieci anni…”.

3) Il “soffione della speranza”

Con il “Travale 22”, esploso il 7 gennaio 1972, si aprì veramente un capitolo nuovo nella geotermia e, soprattutto, rinacquero le speranze per la zona di Radicondoli-Montieri-Chiusdino, e la fiducia della speranza nell’energia del sottosuolo. Il “Travale 22” venne subito battezzato il “Soffione della speranza” e sui cartelli di una manifestazione organizzata dal Pci  con una marcia da Castelnuovo a Larderello (fu la prima volta che le bandiere rosse entravano nel grandioso cinema teatro aduso ai fasti ed agli spettacoli della “Larderello SpA” e dell’Enel), si poteva leggere una significativa frase rivolta alle gerarchie dell’Enel: “Travale vi smentisce!” Ma gli ostacoli, le difficoltà, le non volontà, non erano stati definitivamente battuti. Gli avversari della geotermia, dentro e fuori l’Enel, continuavano a dirigere, a determinare le scelte produttive e politiche della nazione. Gli effetti li vedremo analizzando il periodo 1972-1977.
L’esplosione del grande soffione (il più potente mai esploso nel mondo con oltre 300 tn/h di vapore) non solo richiamò migliaia di curiosi nella sperduta vallata a sud di Montalcinello (SI), ma accese una vivace disputa tra i vari Enti operanti nella ricerca geotermica, ognuno dei quali rivendicava il maggior merito della scoperta. Anche la Direzione del Compartimento Enel di Firenze fu investita in pieno dall’inatteso successo e, a parte certe malignità messe in giro in quei giorni della primavera 1972 (“vedrete che porterà acqua”, “è troppo vicino al vecchio campo, si sgonfierà”), sembrò non comprendere pienamente l’importanza di tale ritrovamento. Quindi, nonostante il “Travale 22” l’Enel continuò anche nella nuova area la vecchia politica deleteria del “vivere alla giornata”, con esasperata lentezza, senza un programma a medio e lungo termine, forse cullando la segreta illusione che il tempo avrebbe alla fine dimostrato che, in fondo, anche il “Travale 22” altro non era se non un passeggero fenomeno, un accumulo di vapore che si sarebbe rapidamente sgonfiato. Gli effetti delle pericolose implicazioni di questa linea politica si dovevano registrare poco dopo, come vedremo.
A tale proposito è significativo riportare parte di un articolo pubblicato sulla rivista regionale della Fidae-Cgil nel gennaio 1974 in cui si analizza sinteticamente la situazione, denunciando limiti e pericoli per la parte produttiva messa in esercizio: “…nel gennaio del 1972 la notizia del ritrovamento di un potentissimo soffione nel campo geotermico di Travale-Radicondoli, il più forte del mondo, apparve sulla stampa internazionale. Si mosse anche la televisione ed alcuni dirigenti dell’Enel tennero una conferenza stampa, ognuno rivendicando le ragioni di quel successo, anche se è noto che fino al momento dell’esplosione nessuno ci credeva, anzi si affermava che questo sondaggio doveva chiudere per sempre il discorso su Travale, abbandonato allo sfacelo da quasi dieci anni, per arrivare fino alla fatidica dichiarazione “questo foro non ci voleva!”
Dalla Valdicecina, zona depressa per mancanza di investimenti specialmente da parte delle aziende di Stato e a partecipazione statale, per un pauroso spopolamento delle campagne, per infrastrutture in una condizione disastrosa (viabilità), insieme alla soddisfazione di chi aveva sempre creduto possibile il ritrovamento di grandi quantità di vapore e aveva impostato su questo obiettivo forti battaglie, si levò la speranza che dietro questo grande successo l’Enel si ponesse seriamente il problema, di fronte ad una crisi energetica che si andava aggravando di giorno in giorno, della ricerca e dello sfruttamento di questo nuovo bacino geotermico nell’area di Radicondoli-Travale.
Ma ancora una volta questa speranza doveva essere delusa: le forze coperte e scoperte che perseguono l’emarginazione dell’energia geotermoelettrica erano entrate in azione. Si sarebbe dovuto subito intraprendere un programma di ricerca che prevedesse, oltre al rilevamento geologico di superficie, diverse prospezioni geofisiche e un sufficiente numero di sondaggi profondi per il reperimento di altro fluido, mentre, inoltre, si sarebbe dovuto avviare il rapido sfruttamento di quello già reperito. Invece si è andati avanti “alla carlona”, programmando un sondaggio alla volta, quasi a caso, con il risultato che dopo due anni erano stati perforati solo altri due sondaggi, purtroppo improduttivi. Nella zona fu dislocato un solo impianto di perforazione. I ritardi nel programmare i nuovi sondaggi hanno causato tempi morti tra la fine di un pozzo e l’inizio del successivo. Basti pensare che sono stati perduti 15 mesi di lavoro su un totale di 24 (il 60% del tempo disponibile) con un costo valutabile a circa 300 milioni di lire.
Inoltre lo sfruttamento del vapore reperito avveniva in modo avventuroso; infatti si dirottava a Travale un gruppo da 15 Mw progettato per un’altra centrale. Questo gruppo, dopo l’effettuazione di migliaia di ore di lavoro straordinario per la sua messa a punto, e grazie all’impegno profuso dai lavoratori di Larderello, entrava in servizio nell’agosto del 1973. Ma subito si manifestarono grosse carenze tecniche, anche per conflitti di competenza, nella progettazione delle tubazioni di adduzione del vapore, in quanto non resistevano alle sollecitazioni della grande massa del fluido endogeno trasportato. C’è poi da considerare che l’ubicazione della centrale su terreno instabile desta oggi grave preoccupazione. Infatti, sembra addirittura che il basamento su cui poggia la turbina sia fratturato e c’é il rischio di veder andare tutto in rovina, con le conseguenze che ognuno può immaginare.
Queste responsabilità discendono dall’annoso abbandono dell’Enel nei confronti dell’energia geotermica ed è sintomatico registrare l’impressionante dequalificazione tecnica, specialmente dei livelli direttivi. Basti pensare che a Larderello, su un organico di 1250 dipendenti esistono solo 4 ingegneri. Si lavora soltanto per il “mantenimento”. Si riducono gli impianti di perforazione, si favorisce la diminuzione del personale non rimpiazzando adeguatamente e tempestivamente i dipendenti che per effetto delle note leggi stanno andando in pensione, non si apportano migliorie alle centrali, né alle importanti officine di manutenzione.

4) Nonostante la crisi energetica ancora degli anni perduti

         Mentre nazioni con risorse energetiche superiori a quelle dell’Italia investono grosse cifre nella ricerca e nello sfruttamento delle “forze endogene”, l’Enel si ostina a distruggere quelle stesse risorse che la natura ci ha così generosamente messo a disposizione e dalle quali è possibile produrre energia pulita a costi competitivi.
         Le perforazione nel “nuovo campo di Travale”, in 56 mesi (dal 15 ottobre 1972 al 1 giugno 1977) sono state soltanto 13, di cui 8 produttive, mentre le altre 5 sono risultate negative, anche per incidenti tecnici durante la perforazione. I metri perforati sono stati circa 15.000, con una profondità media dei pozzi di circa 1150 metri.
         Da questi dati appare subito evidente l’esiguo numero delle perforazioni, in quanto nel suddetto periodo potevano essere eseguiti almeno 30 pozzi in tutto il “campo” e non soltanto attorno al “Travale 22”. Bisogna inoltre ricordare che degli 8 sondaggi produttivi 2 vanno a “pescare” nelle immediate vicinanze del “Travale 22” e i rimanenti sono comunque compresi entro un raggio di 1.200 metri. In definitiva, dopo sei anni dal “Travale 22”, non è ancora conosciuta né la presunta potenzialità produttiva del bacino geotermico, né la sua estensione geografica; inoltre non è stato ancora misurato e valutato tutto il vapore reperito.
         La mancanza di questi dati ci fa ben capire quale sia la volontà dell’Enel: essi sono indispensabili alla progettazione di impianti per la produzione di energia elettrica, che altrimenti potrebbero essere costruiti con gravi difetti tecnici, e l’Enel non si è preoccupato né dei dati né, tantomeno, dei progetti.
I rilievi per determinare le caratteristiche del pozzo “Travale 22” furono eseguiti nel settembre 1972 e dettero i seguenti risultati: pressione massima di chiusura = 54 ata; portata massima del fluido = 370 tn/h.; temperatura del fluido alla boccapozzo = 250 °C; rapporto gas/vapore[10] = 11%. Dalla fine di agosto 1973, con il vapore proveniente dal pozzo, si è iniziato a produrre energia elettrica alimentando un gruppo da 15 Mw a contropressione, da 11 ata, 190 tn/h. Date le caratteristiche di questa turbina, destinata ad altra centrale, si è dovuto “laminare[11]” il vapore, facendolo confluire solo in parte al gruppo utilizzatore. Nel primo anno di funzionamento si è verificato un decremento energetico naturale del pozzo e si è notato che la curva del decremento si sta sensibilmente riducendo.
Nell’ottobre 1974 l’Enel preparò un piano per l’utilizzazione del “Travale 22” nel quale si dimostrava la convenienza tecnica ed economica a costruire una nuova centrale a condensazione[12] che allora si prevedeva di far entrare in funzione all’inizio del 1978. Era prevista la trasformazione da unità a scarico libero ad unità di condensazione, di potenza maggiore (25 Mw), che avrebbe consentito un miglior sfruttamento del “Travale 22” e del “Radicondoli 4”.
Si affermava chiaramente che il costo dell’energia geotermoelettrica, a parte di ogni altra considerazione politica, era decisamente inferiore a quella termoelettrica di circa 10 lire per Kwh prodotto e che questa differenza, anziché diminuire, sarebbe aumentata in futuro dati i costi sempre più alti dell’olio combustibile. Ma probabilmente, e lo sta a dimostrare la vicenda dei gruppi da 15 Mw e 8,5 Mw, tante volte promessi e mai ordinati o ordinati solo in parte, e con estremo ritardo, i dirigenti dell’Enel continuavano a pensarla in ben altro modo.

La politica geotermoelettrica dell’Enel si è caratterizzata, in questi anni, per:

-         la non tempestiva e razionale utilizzazione dei grandi ritrovamenti di vapore del “nuovo campo di Travale” e di quello di Monterotondo Marittimo;
-         il rallentamento della ricerca geotermica;
-         l’abbandono, fin dal lontano 1969, della ricerca operativa nell’area del Monte Amiata;
-         l’aver installato quasi esclusivamente centrali a “scarico libero”, che hanno, come è noto, un consumo molto più elevato di quelle a “condensa” e producono effetti inquinanti assai importanti.


5) Il “soffione della speranza” ha rischiato di morire

Nel luglio 1975 avvenne un fatto assai importante che determinò la mobilitazione dei lavoratori, delle popolazioni della “Regioni Boracifera”, delle Amministrazioni locali, Provinciali e della Regione Toscana, e ebbe una grande eco anche a livello di opinione pubblica regionale e nazionale a seguito di numerosi articoli apparsi sulla stampa: un “volantino” redatto dalle Organizzazioni sindacali di Larderello denunciava la grave compromissione del pozzo “Travale 22” a seguito di errori tecnici compiuti dall’Enel nell’utilizzazione del sondaggio e dava ragione alla profetica denuncia pubblicata l’anno precedente sul periodico regionale della Fidae-Cgil.
         La notizia colpiva in primo luogo la coscienza della gente: perché il “Soffione della speranza” rischiava di morire? Chi era l’assassino?
         Ovviamente non c’era un responsabile diretto, le responsabilità erano molteplici, ma soprattutto individuabili in una mentalità arretrata, ostile alla geotermia, nell’immobilismo antico che guidava la politica dell’Enel, nella dequalificazione scientifica dei livelli più alti, impegnati da sempre nella conquista del potere e delle poltrone, oltre, naturalmente, in cause tecniche oggettive e in parte imprevedibili.
         La polemica che ne seguì fu salutare e da quel momento la Direzione del Compartimento Enel di Firenze seppe che non le erano più concessi margini dilatori sulla geotermia. Il pozzo “Travale 22” era ormai un “sorvegliato speciale”, nessuno avrebbe potuto impunemente permettersi di ucciderlo. Furono quindi adottate complesse e costose misure per il ripristino del soffione e dopo alcuni insuccessi iniziali dovuti a troppa faciloneria, furono perforati due nuovi pozzi a profilo deviato (“Travale 23/D”, “Radicondoli 8”) che andavano a “pescare” vapore nella stessa “frattura” del “Travale 22”. In poco meno di un anno il sondaggio fu completamente ripristinato.
          
I dati della successiva tabella sono, naturalmente, abbastanza approssimativi ed inoltre suscettibili di continue variazioni poiché le portate del fluido non ancora stabilizzate. Manca inoltre una conferma ufficiale dell’Enel, anche a seguito di una più accurata e sistematica, misurazione.

6) Gli altri soffioni

         L’Enel, nel nuovo “campo di Travale”, come già ricordato, dal 15 ottobre 1972 al 1 giugno 1977, ha realizzato soltanto 13 sondaggi, di cui solo 8 sono risultati produttivi. I pozzi “Travale 22”, “Radicondoli 8”, “Travale 23/D”, possono essere considerati, per i motivi sopra detti, come un unico pozzo in quanto alimentati dalla medesima “frattura”. Il pozzo “Radicondoli 4” eroga invece una grande quantità di gas (CO2) e viene utilizzato, dal marzo 1976, separatamente, con un piccolo gruppo  da 3 Mw a scarico libero. Il “Radicondoli 9” è distante dal “Travale 22” di circa 300 metri e quindi ancora nelle immediate vicinanze della zona altamente produttiva. Assai più interessanti risultano essere i pozzi “Radicondoli 5” e “Radicondoli 6” sui quali ci soffermeremo. Il pozzo “Radicondoli 5” è ubicato a nord del “vecchio campo di Travale”, in una zona intermedia tra lo stesso e il “Travale 22” (a 700 metri da quest’ultimo).
Il sondaggio esplose alla profondità di 950 metri il 19 gennaio 1976 con una notevole portata di acqua e vapore. Si pensò che anche questo pozzo avesse le caratteristiche negative dei vecchi “Travale 21” e “Travale 20”, eroganti contemporaneamente vapore e grandi quantità di acqua, e praticamente mai utilizzati. Dopo otto giorni dall’esplosione il pozzo aveva perso la maggior parte dell’acqua trascinata, passando da una portata di 30 tn/h a 0,1 tn/h. Anche le caratteristiche fisiche del pozzo risultarono successivamente assai diverse da quelle degli altri pozzi inutilizzati: infatti la portata era di 98 tn/h. di miscela acqua-vapore a 225 °C di temperatura, con una quantità di gas pari all’8%. Per valutare le analogie con gli altri pozzi del “vecchio campo” fu studiata la composizione chimica delle acque e le analisi dettero risultanze diverse.
Il pozzo “Radicondoli 6”, ubicato a 1250 metri ad W del pozzo “Travale 22”, è esploso il 4 febbraio 1977 con una portata di 150 tn/h., una pressione di 5 ata e una temperatura di circa 140 °C. L’esplosione di questo pozzo non ha modificato le caratteristiche di quelli esplosi in precedenza, tranne un lieve iniziale abbassamento di pressione del vicino “Radicondoli 5”. Una nota della Fidae-Cgil di Larderello, immediatamente successiva al ritrovamento, affermava: “…anche se non è possibile in questo momento formulare un giudizio più approfondito, rileviamo che il nuovo successo conferma quanto sostenuto nelle rivendicazioni delle Organizzazioni sindacali e delle altre forze politiche ed Enti locali, cioè un potenziale energetico di grandi prospettive per lo sviluppo di questi Comprensori, che però si ritarda a ricercare e mettere in produzione. Si tratta ora di rimboccarsi le maniche per recuperare il tempo perduto e sarà questo il modo nel quale l’Enel potrà dimostrare che i suoi ripetuti discorsi sullo sviluppo della geotermia non sono soltanto aria fritta”.
Il sondaggio realizzato immediatamente a NE del “vecchio campo di Travale”, sull’horst[13] del basamento filladico-quarzitico[14], e denominato “Radicondoli 7” è esploso il 1 giugno 1977, alla profondità di circa 800 metri. La pressione di chiusura è di 22 ata. In produzione, alla pressione di 2,5 ata, fuoriescono 110 mc/h di acqua a 118 °C ed alcune decine di tn/h di fluido saturo.

7) Le centrali geotermoelettriche

La mancanza dei dati riguardanti la reale potenzialità produttiva dei soffioni ritrovati nel “nuovo campo di Travale”, come già ricordato, lascia in sospeso il dimensionamento della nuova centrale a condensazione da costruire, con sistema modulare[15], nel Comune di Radicondoli, in Località “La Canonica”.
Tuttavia questa misura, pur importante, non è da ritenersi decisiva. E’ da pensare infatti che nuove grandi quantità di vapore saranno reperite man mano che le ricerche e le perforazioni si estenderanno alle aree limitrofe e a quelle intermedie tra i campi geotermici della tradizionale zona boracifera, cioè ad una superficie di oltre 400 Km/q. Pertanto è indispensabile avviare prontamente i lavori di costruzione di questa prima centrale a condensazione, calcolandola in modo tale da permettere lo sfruttamento di tutto il fluido disponibile nelle sue prossimità.
E’ chiaro che una centrale di questo tipo avrà un rendimento assai maggiore di quella a contropressione in funzione attualmente. Infatti oggi occorrono circa 14 Kg/h. di vapore per produrre 1 Kwh di energia elettrica, mentre nel caso di centrale a condensazione il consumo specifico è di circa 8 Kg/h per 1 Kwh.
Una sommaria analisi dei costi di installazione porta il valore unitario per Kw. di potenza installata a lire 230.000, cioè molto al di sotto di tutti gli altri costi per produzione di energia elettrica. Il costo del Kwh prodotto con l’energia geotermica (ricerca+esercizio), escludendo quello di distribuzione, è di circa 11 lire, un costo largamente competitivo. Queste cifre danno la dimensione del breve periodo di ammortamento e recupero dei capitali investiti per la costruzione di una centrale modulare di media potenza quale quella che dovrebbe inizialmente sorgere in questa zona, valutando che la producibilità annua, secondo una stima Enel, è attualmente di oltre 400 milioni di Kwh.
L’investimento di nuovi capitali per l’ammodernamento e in alcuni casi per la ricostruzione, deve essere uno dei principali obiettivi da raggiungere. Non esistono dubbi che l’Enel abbia lasciato deperire anche gli impianti per la produzione di energia elettrica, infatti la tabella che pubblichiamo dimostra non solo la situazione di stallo, ma il mancato progresso tecnologico. E’ infatti da notare che, per le centrali della zona boracifera di Larderello, ad un aumento della potenza installata corrisponde una sensibile riduzione della “potenza netta disponibile”, con un consumo medio estremamente alto (10,7 contro gli 8 Kgh/Kwh ottimali).
Va notato inoltre che nel 1975 erano in funzione 11 gruppi a scarico libero, con un consumo medio (spreco) di 20 Kgh/Kwh. Da queste brevi considerazioni s’intuisce l’esigenza di costringere l’Enel ad operare una corretta ristrutturazione delle centrali in esercizio ed alla sostituzione dei gruppi a scarico atmosferico, perché altrimenti non solo non saranno impiegate nuove maestranze locali, ma verrà messo in discussione il posto di lavoro in quelle attualmente presidiate.
Se di fronte al fabbisogno energetico crescente si continuerà a “buttare al vento” la metà del vapore ritrovato e non si aumenterà la “potenza installata”, il settore geotermoelettrico continuerà inesorabilmente a regredire sempre più rapidamente.
Altro effetto positivo della sostituzione delle centrali a scarico libero si avrebbe sulle condizioni dell’ambiente di lavoro e sui processi inquinanti dell’ambiente esterno. Infatti la centrale “Travale 22” ha il primato, se così si può definire, del disagio termico per effetto combinato della temperatura elevata e della scarsa umidità relativa. Questa situazione ambientale, al limite della sopportabilità umana, è anche favorita dalla struttura metallica e dal rivestimento in lamiera ondulata della centrale stessa.
L’esperienza ci ha inoltre dimostrato che l’allargamento delle aree produttive e quindi la necessità di dover provvedere al trasporto del vapore verso gli impianti utilizzatori (centrali) da sempra maggiori distanze, comporta una perdita di potenza causa il degrado delle componenti termodinamiche dei fluidi geotermici. Questo ulteriore importante elemento, fino ad oggi non pienamente valutato, sconsiglia la costruzione di grandi centrali tipo “Centrale Larderello 2”, “Centrale Larderello 3” e di quella di Castelnuovo V.C., oggi in parte inutilizzate. Infatti le centrali 2 e 3 di Larderello hanno diminuito la produzione del 33% dal 1965 al 1976 e nello stesso arco di tempo hanno prodotto al 57% della loro potenzialità.
I ritardi dell’Enel nella geotermia ostacolano la definizione di programmi precisi  e innestandosi su precarie situazioni socio-economiche di area, consentono richieste non puntualmente rapportabili a reali situazioni tecniche. Occorre quindi, in primo luogo, superare questi ritardi, avere programmi a medio termine sia per quanto attiene le ricerche, sia per l’utilizzazione del fluido reperito. Allo stato attuale, considerando le differenti pressioni dei pozzi e quindi il diverso grado di utilizzabilità in apposite turbine, è ipotizzabile una centrale di 60-63 Mw di potenza, a condensazione autonoma, dalla quale dovrebbero essere telecomandati in futuro i successivi impianti ubicati nell’area Travale-Radicondoli e nelle zone più periferiche dell’area senese-grossetana.

8) Alcune considerazioni socio-economiche

Esaminando alcuni dati demografici relativi agli anni 1951-1971 ed a quelli dell’aprile 1977 pubblicati a margine dello studio Cgil sui comprensori, si può constatare il grave impoverimento subito da questa zona. Infatti la popolazione residente nel Comune di Radicondoli era nel 1951 di 3227 abitanti, nel 1971 di 1320 e nel 1977 di 1314 abitanti, con una diminuzione del 59%. Nel Comune di Montieri gli abitanti scendono da 4664 a 2574 (- 46%). Questa tendenza, e in alcuni casi in tali proporzioni, è simile ad altri Comprensori montani e collinari ed anche ai Comuni della Valdicecina a seguito della crisi dell’agricoltura e della mancanza di infrastrutture, settori terziari, industrie.
Ma nei Comuni con una base produttiva più sviluppata (Volterra, Pomarance, Castelnuovo V.C.) il decremento è più limitato. Con 10 ab/Kmq il comprensorio di Radicondoli è decisamente il meno popolato fra tutti quelli geotermici. Inoltre, nell’ambito della popolazione residente, l’indice di vecchiaia è passato dal 14,9% del 1961 al 21,5% del 1971, significando ciò che con l’emigrazione forzosa della popolazione  è stato negativamente alterato anche l’equilibrio demografico.
Non si è verificata alcuna riconversione: la fuga dalla terra con il crollo della mezzadria si è tradotta in un movimento migratorio verso le aree più sviluppate dell’hinterland senese. Infatti a Radicondoli, nel 1951, la popolazione occupata risultava così suddivisa: 81% agricoltura, 9,5% industria, 9,5% varie. Nel 1971, mentre gli occupati nell’agricoltura risultavano quasi dimezzati (48%), l’incremento dell’industria era solo dell’8,6%. A Montieri si aveva addirittura decremento, sia negli occupati in agricoltura (- 20,1%), sia nell’industria (- 9,2%).
Negli altri Comuni, pur in presenza di una grave crisi, si verificano invece incrementi nell’occupazione industriale. Sarebbe comunque molto interessante svolgere una analisi approfondita su altri parametri socio-economici di questi comuni che forse farebbero risaltare meglio il grado di impoverimento e di degradazione raggiunto (rapporto popolazione occupata/attiva sul totale dei residenti, indice di presenza di ultra sessantenni, indice di natalità, reditto pro-capite), non solo in confronto al loro recente passato, ma in confronto ad altri vicini dell’area geotermica. Per cui la zona dell’Alta Val d’Elsa e Cecina, inutilizzando le proprie risorse, subisce l’attrazione dei due poli di sviluppo ad essa limitrofi: Larderello (nel pisano) e Colle di Val d’Elsa-Poggibonsi (nella bassa Val d’Elsa senese). Ciò determina una lacerazione nel tessuto socio-economico che ghettizzando una parte della popolazione, influisce negativamente sulle tensioni sociali.
Possiamo di sfuggita rilevare che la suddivisione del territorio toscano nei 22 comprensori, mantiene nella zona interessata dalla geotermia la frammentazione tuttora esistente. Infatti i comuni geotermici sono divisi nei comprensori n. 15 (Pomarance-Castelnuovo V.C), n. 13 (Radicondoli), n. 17 (Chiusdino), n. 16 Montieri-Monterotondo Marittimo). Ciò non favorisce certamente un coordinamento politico amministrativo quale è invece necessario determinare anche mediante forme “consortili”.

9) Nuove ricerche geotermiche


         I programmi già predisposti dall’Enel per il 1977-1978 prevedono la perforazione di 5 sondaggi per un totale di circa 11.000 metri. Tra i sondaggi previsti c’è il pozzo “Radicondoli 11” a inclinazione deviata verso il “Radicondoli 1” che, come abbiamo detto, non risultò produttivo caUsa un rifrano delle pareti del pozzo. E’ programmato anche un sondaggio nella zona di Anqua che si presenta assai interessante e potrà fornire notizie utili sulla zona intermedia Travale- Castelnuovo V.C. Da ricordare che in questa zona intermedia sono già stati perforati alcuni sondaggi, di cui uno, il pozzo “Sesta 1” esploso nel 1969 con una notevole portata di gas (CO2 = 210 tn/h), con una pressione di 4,80 ata, alla temperatura di 80 °C, è rimasto fino ad oggi completamente inutilizzato e solo da poco tempo sono in corso analisi ed esperimenti. Anche il pozzo “Elci 1”, perforato nel 1961 in una zona intermedia tra Anqua e Travale, pur non risultando produttivo, rivelò una notevole termalità con 129 °C alla profondità di 1100 metri.
         Non è più pensabile che l’Enel impieghi in quest’area, così vasta e promettente, soltanto un impianto di perforazione. E’ pertanto necessario che si estenda l’area indiziata e si impieghino costantemente due o tre sonde atte a raggiungere anche profondità considerevoli onde arrivare a stabilire a tempi brevi il dimensionamento del campo geotermico.
E’ altresì necessario che il Ministero dell’Industria sblocchi l’autorizzazione per i nuovi “Permessi di Ricerca” richiesti dall’Enel, nel più breve tempo possibile. Il grave ritardo accumulato dall’Enel nel richiedere tali permessi non può giustificarne uno ancora maggiore ed altrettanto assurdo.
Allo stato attuale le aree dove si possono eseguire perforazioni sono limitate alle “concessioni perpetue”[16] “Travale”, “Monte Gabbro” (comprendenti le aree del vecchio campo di Travale e quella intorno al “Travale 22”), al Permesso di Ricerca “Montalcinello”, che scadrà nel 1978, al Permesso di Ricerca “Anqua-Solaio” (scaduto nel novembre 1976 ed in corso di rinnovamento), mentre a N, E, S-E, si trovano le grandi aree dei Permessi di Ricerca ancora in sospeso: “Radicondoli”, “Castelletto” “Bagnaia”, “Monticano”, “Torniella”, sulle quali dovrebbero estendersi le ricerche geotermiche per avere un quadro globale delle risorse.


10) Vecchio campo di Travale

         Il vecchio campo di Travale, pur essendo ormai da diversi anni abbandonato, eroga consistenti quantità di acque calde e vapore. I vecchi pozzi di Travale rappresentano una cospicua sorgente di energia che rimane a disperdersi, determinando uno spreco considerevole, tanto che oggi, più che nel passato, la situazione economica del Paese è decisamente peggiorata. Questi fluidi geotermici possono essere sfruttati, oltre che per la produzione di energia elettrica con apposite turbine, in “usi diversificati”, agricoli e industriali.
         Nel più breve tempo possibile dovrà essere formulato un programma al quale saranno particolarmente interessati l’Ente Regione, l’Enel con le sue strutture (Compartimento di Firenze, Dsr/Crg), il Cnr, le Università ed altri soggetti pubblici, partendo da un coordinamento che eviti dispersioni e faccia compiere un reale passo in avanti a questo settore.
         A tale proposito non sarà nemmeno da respingere la compartecipazione alle scelte produttive, nell’uso diversificato della geotermia e sempre all’interno delle linee di programmazione regionale, e quindi con il controllo dell’Ente pubblico, dell’iniziativa privata, la quale potrebbe apportare capitali e iniziativa imprenditoriale.

11) Le acque termali

“L’uso alternativo non elettrico” dei fluidi geotermici non riguarda soltanto le acque fuoriuscenti dai pozzi, ma anche quelle delle sorgenti termali calde.
         Numerose sono in Provincia di Siena e di Grosseto le sorgenti termali calde, alcune delle quali ben note e sfruttate per le loro caratteristiche terapeutiche, altre, e sono la maggioranza, abbandonate o inutilizzate.
         Alcune di queste sorgenti per la loro temperatura e portata, possono trovare un adeguato impiego in quelli che sono gli usi alternativi della geotermia, come, ad esempio, quelle di San Casciano dei Bagni, di cui è titolare della Concessione l’Ente Locale.
         Accanto a questi settori non elettrici, occorre rilanciare e potenziare il termalismo terapeutico tenendo conto della “Riforma sanitaria” e della richiesta sempre più diffUsa da parte dei lavoratori, di una medicina preventiva e riabilitativa, disinquinante dell’organismo.
Con il passaggio delle competenze sulle acque termali alle Regioni, questo settore può finalmente svilupparsi. L’Enel, inoltre, ha concesso alla Regione Toscana l’utilizzo delle acque calde fuoriuscenti da quattro pozzi, permettendo così all’Ente pubblico un primo intervento sperimentale che ci auguriamo proficuo, nonostante i cattivi presupposti. L’utilizzo pieno e razionale delle acque calde potrebbe consentire sbocchi occupazionali diretti nei settori agricolo-industriale.



12) Rocce calde secche

Le nuove concezioni e le nuove tecnologie che interessano la ricerca e lo sfruttamento del calore terrestre stanno passando dalla fase teorica alla fase pratica. Modelli analogici di produzione sono stati studiati per zone a vulcanesimo attivo e per zone con gradiente geotermico normale, come la Valle Padana. Non sarà del tutto improbabile riconsiderare in questa ottica nuova zone già abbandonate perché prive di fludi geotermici, pur essendo le rocce del sottosuolo a temperatura elevata. In queste aree si potranno creare artificialmente dei campi geotermici con una microfratturazione[17] delle rocce calde secche, con la conseguente immissione di acqua ad alta pressione.

         13) La creazione di un movimento unitario

         Una delle cause del mancato sviluppo dell’area geotermica in questione è da imputare anche alla marginalità della medesima rispetto alle tradizionali zone di sfruttamento della “Regione Boracifera”. Inoltre hanno pesato altre questioni logistiche, il cattivo stato delle strade di collegamento, la divisione tra tre diverse Province.
         Nel tempo certe linee di tendenza si sono accentuate e mentre nei comuni della Valdicecina e della Valdicornia si è sempre mirato alla industrializzazione, lo sviluppo dell’area senese-montierina è rimasto legato all’agricoltura ed alle poche miniere, anch’esse emarginate e semiabbandonate (se non in procinto di essere chiuse definitivamente) e non ai processi industriali relativi all’utilizzo delle forze endogene.
         Ciò ha impedito, per lunghi anni, la mancanza di una coscienza diffusa a livello politico sull’importanza della geotermia e quindi non si è verificata una sufficiente mobilitazione e pressione popolare su queste questioni in una prospettiva di sviluppo per l’economia dell’intera zona. Vale la pena ricordare che nella “piattaforma di zona per la Val d’Elsa” elaborata nel 1972, c’è solo un accenno ai problemi dell’Enel ed alla utilizzazione della “sorgente termale delle Galleraie”. Oggi le cose sono cambiate. Si riconosce il valore del potenziale economico della geotermia che è stata posta al centro della vertenza zonale delle Comunità della Val d’Elsa, della Valdicorniai, della Valdicecina e della Val di Merse. Anche le forze politiche a livello provinciale e regionale e gli Enti Locali, stanno compiendo un grosso sforzo conoscitivo, che dovrà a tempi brevi tradursi in progetti concreti nell’uso elettrico e diversificato della geotermia.        Il problema è quindi politico. Non limitato alle scelte dei tre comuni interessati e si potrà risolvere non con prese di posizione velleitarie, ma con la costruzione di un’ampia unità d’intenti tra tutte le forze dei Comprensori prima ricordati, in accordo con le linee regionali e provinciali, delle Organizzazioni sindacali e nel confronto con gli enti Locali e le forze politiche.
         La mancanza di un “centro direzionale” sul territorio, ha dunque senz’altro limitato le possibilità del decollo geotermico. Ma sarebbe oggi ingiusto e perdente porre al centro di rivendicazioni per lo sviluppo della geotermia e la rinascita delle aree senesi-montierine l’obiettivo di isolamento autarchico da Larderello, dividendo nuovamente il movimento.
         L’uso corretto delle attrezzature, del personale e delle disponibilità di forze endogene che si vanno reperendo nelle aree circostanti a quella originaria, va concepita e realizzata in un quadro unitario. Ammettere che possano esistere contraddizioni in tale ipotesi, al di là di ogni pur spiegabile tentativo di giustificazione, significherebbe contribuire a determinare per la geotermia, a partire dalla zona di origine, un avvenire denso di preoccupazioni, perché la frammentazione non è mai uno stimolo alla crescita e divide il movimento operaio rispetto all’unicità della vertenza energetica.
         L’unitarietà del movimento attorno alla impostazione di un programma d’iniziativa e di lotta capace di spingere in avanti i problemi che debbono realizzare l’espansione della ricerca e l’immediatezza dell’utilizzazione dei vapori reperiti, non può prescindere da una riflessione sulla gestione delle apparecchiature e del personale addetto.
         I criteri da porre a base del movimento, appaiono quelli tesi a realizzare:

- una organizzazione e gestione degli impianti esistenti e di quelli da costruire che sia la più funzionale per accelerare i tempi della ricerca e dell’utilizzazione del vapore reperito, nonché per assicurare la massima efficienza ed economicità nell’uso e nel mantenimento degli impianti medesimi;
         - una gestione del personale razionale alle esigenze di sviluppo della geotermia, che, evitando frustrazioni delle legittime aspettative di carriera e di trattamento in generale, sia tale da armonizzarsi con le esigenze sopra richiamate;
         - tutto ciò nel quadro di una ricerca coordinata, che veda impegnati oltre ai tecnici Enel, quelli del Cnr, delle Università e degli Enti pubblici di ricerca, ricerca che sia in grado di far predisporre programmi di uso plurimo dei vapori reperiti, confrontandosi con i programmi di sviluppo che l’Ente Regione sta predisponendo e recuperando ad essa il ruolo di necessario punto di raccodo e direzione politica che gli deriva dall’essere espressione della collettività. Occorre quindi garantire il massimo vantaggio economico-sociale, senza contraddire, ma anzi esaltando, l’adozione di criteri di massima economicità realizzabili soltanto a condizione di superare le visioni settorialistiche fino ad oggi portate avanti dall’Enel, per ognuna delle zone interessate dai ritrovamenti di vapore.

         Nel mentre è opportuno potenziare al massimo le attività di esercizio e di manutenzione, sia nella parte elettrica che in quella di perforazione, con personale locale, è attualmente improponibile decentrare le grandi officine di manutenzione dotate di mezzi complessi, gli Uffici ed altri Reparti di ricerca, che devono essere funzionalmente dimensionati.
         Occorre dunque superare posizioni di divisione e contrapposizione tra zona e zona, partendo in primo luogo da una linea sindacale unitaria coordinata a livello regionale, che trovi puntuale corrispondenza nella elaborazione e nel movimento a livello di base e si inserisca nella piattaforma che la Federazione regionale Cgil-Cisl-Uil della Toscana sta portando avanti nella “vertenza energia”.
         Se il concetto più volte espresso: “geotermia bene pubblico” e “fonte di vita” è ancora valido, dobbiamo rivendicare la più ampia conoscenza delle linee programmatiche, degli investimenti, delle realizzazioni, sia nelle ricerche che nell’esercizio di questa risorsa, e, inoltre, concretizzare le possibilità d’intervento diretto delle Regioni con la loro partecipazione, sia nell’Enel, nell’Eni, nell’Università e nel Cnr, il quale ultimo dovrà finalmente chiarire lo stato delle ricerche sul prototipo di turbina utilizzante miscele di acqua-vapore, promesso fin dal 1974, e sui risultati ottenuti con il “primo osservatorio geotermico del mondo” installato proprio in un fabbricato del “vecchio campo di Travale”, e consentire la liberazione delle energie democratiche presenti in tutti i settori della ricerca e fino ad oggi  spesso limitate e sacrificate dalle scelte manageriali e politiche compiute dall’Enel e dagli altri centri del potere politico ed economico.
         L’Enel ha inoltre grandi responsabilità, nell’ambito di un sostanziale accentramento della geotermia per usi elettrici, ostacolando iniziative per l’uso diversificato delle forze endogene come testimoniato dal negativo e perdurante atteggiamento protrattosi per tanti anni verso gli Enti Locali ai quali solo da pochi mesi sono stati ceduti alcuni pozzi non utilizzabili per la produzione di energia elettrica (e difficilmente utilizzabili per altri usi!), ma in modo tale che la manovra sembra fatta apposta per liberarsi di alcuni problemi di inquinamento.
         Il recente accordo tra l’Enel e il Demanio Forestale per la concessione dei terreni di proprietà dell’Ente è un nuovo atto negativo, una tipica manovra di sottogoverno, che testimonia la mancanza di chiarezza dell’Enel ad instaurare un rapporto serio e corretto con le Regioni e le Comunità interessate per uno sviluppo agricolo e, come nelle nostre zone, per una integrale utilizzazione della risorsa geotermica.
         A questo proposito deve essere ribadito che, anche per quanto riguarda l’Enel, occorre realizzare una unificazione degli apparati che al suo interno si occupano di geotermia a partire dai due grandi Gruppi operanti a Larderello e ipotizzare la costituzione di una Direzione Nazionale sempre che ciò sia coerente alla esigenza di quel mutamento radicale che oggi è necessario attuare nella gestione delle grandi aziende pubbliche e private italiane.

14) Convegno di Chianciano: “Geotermia e Regioni”

         Queste brevi note erano pronte in forma di bozza, immediatamente prima del Convegno di Chianciano “Geotermia e Regioni” organizzato dal 14 al 16 aprile 1977, da Toscana, Lazio e Campania, al quale, oltre che agli scienziati di chiara fama, giuristi, dirigenti dell’Enel e dell’Eni, tecnici, sindacalisti e uomini politici, ha partecipato il Ministro dell’Industria on. Carlo Donat Cattin accompagnato da alti funzionari del dipartimento dell’energia e delle fonti rinnovabili del suo ministero.
         E’ qui impossibile tenere conto delle nuove stimolanti aperture, tecniche, programmatiche, giuridiche che in questo Convegno sono emerse a proposito della geotermia e, in particolare, delle risorse a “bassa entalpia” (acque calde, salamoie calde e vapori non economicamente sfruttabili per produzione di energia elettrica). E’ stato definitivamente riconosciuto il “ruolo tipicamente regionale” dell’energia geotermica, poiché intimamnte legata al territorio, non trasportabile e di molteplici usi, e si è evidenziata la necessità di una programmazione regionale che tenga conto della disponibilità di queste risorse ed indichi chiaramente i progetti di utilizzazione e di investimento economico.
         Mentre il ruolo operativo rimane ai grandi Enti pubblici, le Regioni dovranno offrire appoggio alla fase di ricerca che dovrà essere condotta, tenendo conto degli usi plurimi, da Enel, Eni, Cnr, Università attraverso uno stretto coordinamento ed un controllo da parte del “piano” e del Parlamento. E’ comunque il momento di dire con precisione cosa si può e si vuole fare delle risorse già disponibili ed a tale proposito la creazione di un “Comitato Geotermico Nazionale” promosso dalle tre Regioni fa bene sperare.
         Si dovrà procedere inoltre ad una veloce definizione della nuova legge per lo sfruttamento  della geotermia con l’intendimento di dare non solo precisi compiti alle autonomie regionali (specialmente per i fluidi a bassa entalpia),  ma da poter indicare nello spirito della Costituzione e del ruolo democratico della Regioni, che pone questo organismo come una saldatura tra il potere centrale e gli interessi locali, modalità e tempi di investimenti e quindi anche modalità dei nuovi rapporti tra gli Enti e gli Organismi preposti alla ricerca, oggi operanti con strutture e stanziamenti ridicoli.
         L’intervento del Ministro segue grandi lotte soprattutto in Toscana e nelle nostre zone, sui temi dell’energia e della geotermia. Esso è anche la testimonianza del cambiamento politico in atto nel Paese, cambiamento che se attuato a tempi brevi potrà finalmente avviare una politica nuova, non di lottizzazione, negli Enti Pubblici e quindi potrà dare concretezza a scelte che oggi, nonostante alcune cose positive, si proiettano ancora nel mondo delle speranze, mentre vasti territori e comunità hanno estremo bisogno di certezze.
         Sgombrato il campo dalle illusioni e dalle strumentalizzazioni che si erano in parte create intorno alla geotermia, (fonte alternativa alla scelta nucleare, salvezza ecologica, energia socialista), è emerso con chiarezza  il grande ruolo scientifico, economico, sociale di questa proposta, quindi la necessità di arrivare quanto prima ad un nuovo programma nazionale che consenta di creare Aziende Regionali per lo sfruttamento dei fluidi a bassa entalpia.
         Il confronto di Chianciano, tra gli Enti, i tecnici ed i politici, l’intreccio reale tra scienza e politica, che ne è scaturito, è dunque insieme punto di arrivo e di partenza. Punto di arrivo di un periodo storico di sottovalutazione della geotermia, di impegni settoriali, di mortificazione dei tecnici e dei ricercatori di questo settore, di mortificazione in nome di interessi e scelte di altra natura, in genere effettuato sulla loro pelle e le loro teste.
         Punto di partenza di una superata conflittualità tra Enel ed Eni, da un riconosciuto ruolo delle Regioni e da una volontà di coivolgimento esteso per l’Università, il Cnr, e quanti altri operano in campi affini, compresa una nuova legiferazione ed un più attento impegno di coordinamento da parte degli Organi di Governo.
         In ciò il Convegno ha avuto grande valore positivo. E’ indubbio tuttavia che solo se si arriverà alla diretta democraticizzazione del Paese, quindi delle Aziende, se si arriverà, come ha detto Felice Ippolito nella sua relazione introduttiva, a un cambiamento di fondo del modello sociale, della vita degli uomini, si potranno veramente realizzare quelle istanze di fine degli sprechi, di totale sfruttamento delle risorse geotermiche, legate allo sviluppo civile, economico, culturale delle aree geografiche decentrate che dovrebbero essere, in ultima analisi, la base stessa della società partecipata in tutti i suoi aspetti[18].





























[1] Bacino geotermico: serbatoio sotterraneo di limitata estensione dove sono presenti in varia misura fluidi ad alta temperatura; questi sono estraibili, a mezzo di perforazioni della roccia impermeabile che costituisce la copertura, e utilizzabili per la produzione di energia elettrica  ed altri usi civili ed industriali.
[2] Lagoni: piccolo bacino dal quale fuoriesce vapore saturo che mette in ebollizione l’acqua piovana, il fango e la stessa acqua di condensa che lì si raccoglie. Erano frequenti prima dello sfruttamento intensivo a mezzo di perforazioni nell’area in esame.
[3] Vetriolo turchino o di “Cipri”: una delle tante definizioni fantasiose per indicare i derivati dell’acido borico o delle altre sostanze presenti nelle acque dei lagoni e sfruttate fin dall’antichità per l’industria tessile e della ceramica.
[4] Serbatoio carbonatico: strati sepolti in profondità di calcari fratturati e quindi permeabili, in cui circolano i fluidi geotermici.
[5] Impianto a scarico libero: impianto di produzione energetica in cui il vapore entra direttamente nella turbina e si scarica all’atmosfera.
[6] Tettonica: è la parte della scienza della terra che studia le deformazioni subite dalle rocce, ricostruisce l’assetto spaziale e l’insieme delle fratture causate dai movimenti del mantello terrestre.
[7] Analisi isotopica: misurazione delle quantità di elementi di varie sostanze con il metodo del decadimento radioattivo.
[8] Acqua che scorre attraverso le rocce permeabili, al di sopra della superficie della falda freatica.
[9] Prospezione geoelettrica: metodo di prospezione geofisica basato sulla resistività (inverso della conducibilità) delle rocce. Dall’interpretazione delle curve di resistività, ottenute sperimentalmente in campagna, si può risalire alla giacitura delle rocce in profondità. Serve soprattutto a valutare preventivamente la profondità della roccia serbatoio (calcari mesozoici).
[10] Rapporto gas/vapore: indica la quantità di gas (soprattutto CO2) presente percentualmente nel fluido geotermico.
[11] Laminare: operazione tecnica con la quale si sfrutta parzialmente il vapore adattandolo alle caratteristiche dell’impianto utilizzatore.
[12] Centrale a condensazione: impianto di produzione energetica nel quale vengono aspirati i gas in condensabili purificando il vapore. E’ così possibile sfruttare le sostanza contenute nel vapore e provvedere al raffreddamento di tutti i macchinari con l’acqua della condensa.
[13] Horst: zolla, generalmente allungata, di terreni sopraelevati rispetto ai circostanti da faglie parallele disposte a gradinata. Le faglie sono rotture di una massa rocciosa accompagnate da uno spostamento relativo dei blocchi separati.
[14] Basamento filladico-quarzitico: unità sottostante alle rocce appartenenti alla “serie toscana” ed alla “serie ligure”, costituito da rocce metamorfiche quali le filladi e da noduli o lenti di quarzo.
[15] Sistema modulare: progetto costruttivo che consente l’adattamento dell’impianto (centrale) alle disponibilità del fluido.
[16] Concessioni perpetue: aree di coltivazione dei fluidi geotermici, concesse in uso perpetuo, in base alla Legge mineraria del 1927, prima alla “Larderello SpA” e poi all’Enel. Hanno tutte una piccola estensione e si trovano intorno alle prime aree industriali ottocentesche.
[17] Microfratturazione: tecnologia che mira, attraverso la microrottura delle rocce, a creare bacini geotermici artificiali nelle zone ove, pur con un gradiente geotermico elevato, è assente la circolazione delle acque, per la compattezza della roccia.
[18]  Questo articolo, di ampie dimensioni, fu più volte rielaborato negli anni 1976-1978 ed apparve, distintamente, in tre o quattro pubblicazioni, di cui una per uso interno alla Fnle-Cgil di Larderello, una per gli organi locali e regionali del Pci, ed infine sulle due pubblicazioni già richiamate in nota 49.

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