martedì 13 giugno 2017




L’età dell’innocenza! (anni ’50).

Delle tre antiche fiere del paese la più attesa era quella del lunedì dopo la seconda domenica di giugno, quella che un tempo era la fiera grande del bestiame, ora svilita a cianfrusaglie cinesi e marocchine, ma, per noi ragazzi maschi, era la data di apertura dei  della stagione balneare al Pozzo delle Pecore del torrente Pavone, allora ricco di acque fluenti nonostante che dal Pozzo della Ripresa, più a monte, l’acqua fosse incanalata per alimentare la “colta” del Mulino più a valle. Il Pozzo delle Pecore era il “mito” delle storie dei più grandi, ed anche l’iniziazione a condividere nudità senza vergogna. Era un pozzo profondo, scavato dalle grandi piene di primavera a ridosso di una roccia dove la corrente faceva mulinello, per poi placarsi sul letto grande del torrente. Da questa roccia ci tuffavamo nell’acqua trasparente senza paura perché la “buca” era fonda. Ma i più temerari potevano tuffarsi da ben più in alto, dall’argine della gora, e questo tuffo io non l’ho mai fatto. Noi ragazzi del Borgo arrivavamo trafelati laggiù, da strade campestri e viottoli, attraverso i grani segati, non senza aver saccheggiato peschi e ciliegi e poi, uno spogliarsi frenetico e giù tra gli evviva  e il riso. Si faceva tardi la sera, e il rientro era faticoso, a casa le mamme stavano in pensiero, io che la mamma non avevo,facevo prendere spavento alla nonna ormai oltre i sessanta, povera vecchia adesso mi commuovo, dopo avermi chiamato dall’alta finestra a ridosso del campanile della antica chiesa, scendeva all’abbeveratoio e infine al lavatoio sottostante frugando le acque torbide con un bastone, nel caso vi fossi affogato! E dopo, per la bianca via di Sant’Antonio, al lavatoio dei lagoni, stesso rito, ma Carlo non c’era. Avvicinandomi al paese trovavo persone su quelle strade polverose che mi dicevano “Carlo, sono ore che la tua nonna ti cerca e ti chiama!” Allora m’impensierivo ma, insomma, tutto sommato, ero ancora vivo. Infatti entrando in casa, alla mia vista, abbronzato e felice, anche le sue antiche rughe si spianavano ad un sincero sorriso. Mi è rimasta di quei giorni e di qugli anni solo qualche fotografia, senza saper chi ne sia l’autore, nessuno di noi monelli possedeva una macchiana fotografica, e qualcuno la prendeva a noleggio o da Gino o da Sorge per poche decine di lire, più rotolino e stampa delle immagini. Ne ho due o tre: in una c’è solo la mia testa fuori dall’acqua, segno che essa era abbastanza profonda, nell’altra siamo in tre: Benito (con lo slip), io e Luciano di Masino, che lo slip non avevamo, coperti con due foglie di farfalo. Mi guardo con tenerezza e mi commuovo alla mia bellezza. A dir la verità ne ho anche altre due di quel tempo, che vi mostro.  Ieri sono sceso al torrente, appena sopra il Mulino di Pavone, è quasi secco, brutto e inaccessibile. In compenso ho fotografato due orchidee e un serpente schiacciato sulla via. Nei giardini del paese tanti ragazzi, bambine e bambini, chiassosi e maleducati, si divertivano con le loro solitudini. Non posso immaginare quali saranno i loro ricordi, alla fine del secolo!   

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