L’età
dell’innocenza! (anni ’50).
Delle tre antiche fiere
del paese la più attesa era quella del lunedì dopo la seconda domenica di
giugno, quella che un tempo era la fiera grande del bestiame, ora svilita a
cianfrusaglie cinesi e marocchine, ma, per noi ragazzi maschi, era la data di apertura
dei della stagione balneare al Pozzo
delle Pecore del torrente Pavone, allora ricco di acque fluenti nonostante che
dal Pozzo della Ripresa, più a monte, l’acqua fosse incanalata per alimentare
la “colta” del Mulino più a valle. Il Pozzo delle Pecore era il “mito” delle
storie dei più grandi, ed anche l’iniziazione a condividere nudità senza
vergogna. Era un pozzo profondo, scavato dalle grandi piene di primavera a
ridosso di una roccia dove la corrente faceva mulinello, per poi placarsi sul
letto grande del torrente. Da questa roccia ci tuffavamo nell’acqua trasparente
senza paura perché la “buca” era fonda. Ma i più temerari potevano tuffarsi da
ben più in alto, dall’argine della gora, e questo tuffo io non l’ho mai fatto.
Noi ragazzi del Borgo arrivavamo trafelati laggiù, da strade campestri e
viottoli, attraverso i grani segati, non senza aver saccheggiato peschi e
ciliegi e poi, uno spogliarsi frenetico e giù tra gli evviva e il riso. Si faceva tardi la sera, e il
rientro era faticoso, a casa le mamme stavano in pensiero, io che la mamma non
avevo,facevo prendere spavento alla nonna ormai oltre i sessanta, povera
vecchia adesso mi commuovo, dopo avermi chiamato dall’alta finestra a ridosso
del campanile della antica chiesa, scendeva all’abbeveratoio e infine al
lavatoio sottostante frugando le acque torbide con un bastone, nel caso vi
fossi affogato! E dopo, per la bianca via di Sant’Antonio, al lavatoio dei
lagoni, stesso rito, ma Carlo non c’era. Avvicinandomi al paese trovavo persone
su quelle strade polverose che mi dicevano “Carlo, sono ore che la tua nonna ti
cerca e ti chiama!” Allora m’impensierivo ma, insomma, tutto sommato, ero
ancora vivo. Infatti entrando in casa, alla mia vista, abbronzato e felice,
anche le sue antiche rughe si spianavano ad un sincero sorriso. Mi è rimasta di
quei giorni e di qugli anni solo qualche fotografia, senza saper chi ne sia
l’autore, nessuno di noi monelli possedeva una macchiana fotografica, e
qualcuno la prendeva a noleggio o da Gino o da Sorge per poche decine di lire,
più rotolino e stampa delle immagini. Ne ho due o tre: in una c’è solo la mia
testa fuori dall’acqua, segno che essa era abbastanza profonda, nell’altra
siamo in tre: Benito (con lo slip), io e Luciano di Masino, che lo slip non
avevamo, coperti con due foglie di farfalo. Mi guardo con tenerezza e mi commuovo
alla mia bellezza. A dir la verità ne ho anche altre due di quel tempo, che vi
mostro. Ieri sono sceso al torrente,
appena sopra il Mulino di Pavone, è quasi secco, brutto e inaccessibile. In
compenso ho fotografato due orchidee e un serpente schiacciato sulla via. Nei
giardini del paese tanti ragazzi, bambine e bambini, chiassosi e maleducati, si
divertivano con le loro solitudini. Non posso immaginare quali saranno i loro
ricordi, alla fine del secolo!
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