mercoledì 26 febbraio 2020






Al cimitero di Prata di Maremma.

“Torna ai felici di
dolente il mio pensier,
ridevan nel maggio i fiori,
fioria per me l’amor…”

Mi aggiro nei cimiteri sulle colline,
dove raccontano storie mute
e misteriose le antiche epigrafi,
 che ormai nessuno potrà decifrare.
Il tempo corrode tutte le cose
e la grande falciatrice
fa sbocciare solo qualche fiore,
sul fertile humus non soffocato
da inutili orpelli

I morti partigiani
sembra ci sorridano, consapevoli
che l’età degli eroi non ritornerà
a bagnar di sangue ardente    
la nostra terra,
che la vita  altro non è
che un gran mercato di banalità.

Gli occhi di una ragazza mi feriscono,
non so’ né chi sia, né perché,
forse con quel penetrante stupore
al nostro inatteso incontro
vorrebbe dirmi:  non dolerti
caro amico che sei venuto a trovarmi,
l’amore è un sogno, è un’illusione.

Eppure torna ai dì felici
dolente il mio pensier, e il muto
bisbigliar dei morti l’anima
consola.

sabato 22 febbraio 2020

Andar per cimiteri!
Mi ero prefisso di visitare “tutti” i Cimiteri delle Colline Metallifere Toscane, che sono circa 60. Tra il 2018-2019 ne ho visitati quasi 50. Ripeto qui quello che dissi ad una gentile signora che nel cimitero di Monterotondo Marittimo, vedendomi aggirare tra tombe e loculi, ed anche scattare foto, mi chiese un po’ incuriosita, se stessi per fare un altro libro! No, risposi, niente libri! E allora? Cerco solo delle emozioni! Fu molto contenta di questa...
Altro...

venerdì 21 febbraio 2020




Si inizia la lettura di questa raccolta di Poesie, destinata a 300 fortunati. Grazie Carlo Groppi!

mercoledì 19 febbraio 2020





BAGNO A MORBA (o BAGNO A MORBO)
tra la Centrale  3 e la Centrale 2 di Larderello.

  Sabato 15 febbraio 2020 è stato presentato al CHIASSINO il romanzo giallo di Giorgio Simoni, “Il Diavolo non abita più qui”, libro intrigante che si svolge nel territorio dell’area Geotermica di Larderello, con una soluzione imprevedibile e visionaria, tanto da renderla plausibile con la realtà dei fatti storici  che si svolsero circa un secolo fa! Presentatore d’eccezione il nostro sindaco Alberto Ferrini, il quale,  brillante storico,  ha teso a valorizzare i luoghi ove il “giallo” si svolge, e, soprattutto  uno dei punti centrali della vicenda, cioè Bagno a Morba (o), un tempo popoloso villaggio operaio, ed oggi semi abbandonato. Ne ha sintetizzato gli eventi salienti degli ultimi 2000 anni: dal fasti dell’età di Roma, messi in evidenza sulla Tabula Peutingeriana, sotto la vignetta che ne testimonia l’importanza (Aquae Volaterranae):  la  presenza di una delle più antiche Pievi Cristiane,  su una diramazione della “via maremmana” tra l’entroterra delle Colline Metallifere e  la lucumonia etrusca di Populonia, seguendo  le sponde del fiune Linceus (Cornia) dal quale risalirono verso Volterra gli “evangelizzatori” Giusto, Clemente, Cerbone, Regolo, Ottaviano…Pieve eretta  nel X secolo e assegnata dal Papa Alessandro III al   Vescovo Ugo, e che ebbe Pievano Rainuccio Allegretti, poi insigne Vescovo di Volterra e  protagonista del famoso Sinodo del 1300. Anche se è controversa l’ipotesi che Dante Alighieri sia nato e battezzato a Montegemoli e poi la famiglia sia rientrata a Firenze quando esso aveva l’età di sei anni, è indubbio che  doveva conoscere, aver sentito dire, della presenza di grandi fenomeni vulcanici tra Pomarance e Castelnuovo, così come scrive  nel suo Libro VI delle Rime:

“Versan le vene le fummifere acque
Per li vapori che la terra ha nel ventre,
che d’abisso li tira suso in alto.

  I Bagni di Morba, ubicati sul Torrente Possera, furono affittati dal Comune di Volterra e successivamente  nel XIV secolo, annessi al dominio fiorentino. In questo periodo furono praticamente riservati alla famiglia di Lorenzo De Medici e della sua corte che vi soggiornarono a lungo apprezzandone le virtù delle acque. Nel giardinetto con piscina si faceva musica e si  declamavamo poesie, tra cui il poema di Lorenzo “Ambra” nel quale si narra la leggenda della ninfa “Amorba” insediata dal Diavolo!  Alla morte di Lorenzo, sia i Bagni, sia la Pieve di Morba, furpno più volte distrutti dagli eserciti invasori e le acque si dispersero  riversandosi nel torrente Possera.  Fu alla fine nel XVIII secolo, in pieno periodo del famoso viaggio in Toscana di  Giovanni Targioni Tozzetti, che i naturalisti granducali iniziarono ad interessarsi delle risorse minerarie e  dei “lagoni” esistenti, fino alle scoperte di Hoefer e Mascagni del “sal sedativo” ossia dell’acido borico nelle acque di detti “lagoni”, sia di Montecerboli che di Castelnuovo e di Monterotondo. Con l’inizio dell’800 e l’ingresso sulla scena economica di Francesco de Larderel e dei suoi soci, La Motte ed altri, anche  i Bagni di Morba furono riportati alla luce e valorizzati dando così nuovo impulso ad una attività economica, alla quale contribuirono  alcuni signorotti di Castelnuovo: Bruscolini e Birelli, fin dal 1806. Non può passare sotto silenzio il ruolo che le terme di Morba ebbero nelle vicende risorgimentali, ospitando  Giuseppe Garibaldi  e permettendo la sua fuga a Calamartina e poi nel Regno di Sardegna. Nel Novecento furono edificati nuovi fabbricati operai e il piccolo villaggio si ripopolò, anche se l’attività del termalismo cessò. Infine, dopo la nazionalizzazione della Larderello SpA nell’Enel, inizierà un irreversibile spopolamento e declino di questo agglomerato urbano, fino alla drammatica situazione di degrado e pericolosità strutturale degli edifici nel presente. C’è anche una curiosità: proprio nel mezzo del borghetto passava il confine amministrativo dei comuni di Castelnuovo e Pomarance. Anzi, c’era un alloggio che vedeva il salotto e la cucina  in un Comune e la camera da letto nell’altro! Anche la Cappella, dedicata a San Giovanni Battista, eretta nel 1806 e poi risistemata dal principe Piero Ginori Conti nel  1936 è  oggi in una situazione di incipiente degrado, all’interno della quale c’è una delle tre lapidi commemorative, le altre due sono quella del La Motte e quella, recentissima, del soggiorno di Giuseppe Garibaldi. Ma stando così le cose tra qualche decennio tutto sarà rudere ricoperto da arbusti ed erbe infestanti. A meno che…

lunedì 17 febbraio 2020


In  a Disused Graveyard

The living come with grassy tread
To read the gravestones on the hill;
The Graveyard draws the living still,
But never any more the dead.

The verses in it say and say:
The ones  who living come today
To read the stones and go away
Tomorrow dead will come to stay.’

So sure of death the marbles rhyme,
Yet can’t help marking all the time
How no one dead will seem to come.
What i sit men are shrinkingn from?

It would be easy to be clever
And tell the stones: Men hate to die
And have stopped dyving now forever.
I think they would believe the lie.

Ho trovato questa poesia di Robert Frost  (S.Francisco, 1874-Boston, 1963), nel volume “Conoscenza della notte e altre poesie” nella traduzione di Giovanni Giudici per Einaudi, 1^ ed. italiana, 1965. Frost è un poeta che amo.  Ho scritto anch’io molto sui “cimiteri”, sulle tombe” e sui “morti” visitando quasi tutti i camposanti delle Colline Metallifere Toscane, non per una mera quanto inutile “documentazione” , data la transitorietà delle sepolture, ma per cercare “emozioni”. Ed emozioni ne ho trovate nella visita al cimitero del piccolo borgo di Serrazzano che ho cercato di riassumere in poesia:

Tombe, ricordi e un dubbio [i]
Il corbezzolo rosseggia tra il verde smeraldo                      
eppure l’autunno tarda i suoi ritmi freddi e nebbiosi,                             
il castagno stanco della lunga attesa apre finalmente
i ricci spinosi, come una sposa il suo grembo,
mostrando il frutto saporito, un frutto dolcissimo,
mentre  nel cielo che s’incurva
al degradar della collina al mare,
stridono le avanguardie degli uccelli in partenza
verso una terra solatia e lontana…

Indeciso se salire alla camera dell’amica in attesa,
che s’è fatta bella nel buio della vita che d’assedio la serra,
- oh! potessi mandare un tenue raggio
oltre l’insondabile tenebra! –
m’inoltro nel bosco stillante brume
al piccolo camposanto dove riposano antichi
amici aggirandomi tra pietre consunte,
evanescente memoria.

Rodolfo veniva
a scuola con me e Lino mi vendeva i primi giornali
dove incontrai la storia, un grande amore a prima vista,
- il Partito Comunista - e talvolta, fingendo,
quando il denaro mancava, si ritirava nel piccolo
ripostiglio per farmeli rubare! Maria mi portava
nelle magre pasture con in mano la vetta del salcio,
stupito imparavo che forze sconosciute legano l’uomo
al mistero dell’Universo, e intanto invocava con ardore
Gesù e la Vergine benedetta; insieme a lei
un’anima eletta mi commuove in un distico:
amai la poesia, amai la vita, così rivedo quegli
occhi penetranti che leggevano le ansie del
                                                               nostro cammino…[ii]

Tutto è silenzio tra il lieve mormorio
delle foglie e lo squittire dei topi campagnoli
nelle scope, tutti i morti a me che m’avvicino
ora si stringono salutando con sbiaditi biglietti
da visita: anima mite e buona, spargi gemme
e fiori su questa pietra che mi grava
dopo lunga e penosa malattia;
ed io che lasciai la terra per donare la vita,
fulmineamente rapita alla ridente giovinezza,
di rivolgere un pensiero al sorriso che non vidi
soltanto ti chiedo, e una preghiera
a quell’ignoto Dio;
qui giace, ormai polvere e vermi, un giovane pio
e laborioso,  che trovò inattesa morte sul lavoro
nello stabilimento boracifero a ventinove anni;
m’è compagno silente un povero fante
che si coprì di gloria sui campi di battaglia
e nella pace cadde vittima
delle bollenti acque dei lagoni,
infine un’orazione ti rammento
per me che non potei invocare l’Altissimo
nel tragico incidente che mi tolse la vita…

Oh! come grondano dolore due lastre
neglette e scure dimenticate da tutti addossate
al vecchio muro! Folle gelosia  ed un rimpianto
spezzarono i nostri cuori innocenti, noi non abbiamo
croci per piangere in questo luogo santo,
ma dolcissimi baci ci scambiamo
in paradiso, tra lacrime pure. 

Il cancello cigola, geme la stanghetta arrugginita;
il tempo inghiottirà polvere e memoria
di noi tutti, non resterà niente se non qualche
pallida lettera e immagini fredde
su dischi indecifrabili, come lamine
etrusche o alieni enigmi sui campi di grano.
E allora?

Forse è un bene la dimenticanza, un bene il nulla?
un male l’eterno ritorno, un male la passiva beatitudine?

E’ solo un dubbio che improvviso m’è
entrato in quella che viene chiamata “anima”.




[i]  La lirica è suggerita da una passeggiata tra le tombe del piccolo cimitero del borgo di Serrazzano.

[ii] Asia Olinda Castellini, la delicata poetessa di Serrazzano, che mi fu amica (1912 – 2004).



DA ROCCATEDERIGHI  AD AUSCHWITZ
(1943 – 1945)


Il “nonno” racconta.

Sono nato a Castelnuovo di Val di Cecina (PI) il 3 settembre 1938, due giorni prima che il Re d’Italia, Vittorio Emanuele III, firmasse a Pisa, nella Tenuta Reale di San Rossore,  le tristemente note “Leggi Razziali”, volute dal regime fascista di Mussolini, leggi che erano principalmente dirette a colpire gli ebrei italiani  e, di tutti gli ebrei, quelli residenti nel Regno d’Italia. Ho visto con i miei occhi di bambino gli orrori della guerra mondiale, nella quale l’Italia fascista era alleata con la Germania nazista di Hitler, le partenze di tanti giovani per il fronte di guerra, i funerali,  i non ritorni (tra cui uno zio, Gualfredo, disperso in Russia), e le stragi compiute nel nostro territorio dai nazifascisti, prima tra tutte quella dei 77 minatori di Niccioleta (Massa Marittima), più altri 8 partigiani, avvenuta a poche centinaia di metri da dove abitavo. Ho visto anche i cadaveri di alcuni soldati tedeschi stesi sotto una piccola palma nel giardino pubblico, poi seppelliti nel nostro Camposanto. Ed infine la grande festa per l’arrivo dei soldati americani il 28 giugno 1944, mentre le campane suonavano a festa. Questi avvenimenti mi portarono precocemente ad interessarmi della storia locale e del periodo della Resistenza, molto attiva tra i nostri monti con ben tre Brigate Partigiane. A Castelnuovo, non ci sono mai stati italiani di fede ebraica, se non per pochi giorni, nascosti in alcune insospettabili famiglie, due o tre medici e dentisti, che si salvarono dalla deportazione. Più tardi seppi  cosa fosse avvenuto nel mondo causa la guerra: oltre 50 milioni di morti, e lo sterminio di oltre 6 milioni di ebrei, ad Auschwizt e negli altri lager nazisti. Ma, in quest’ultimo caso, a Castelnuovo non c’erano state vittime, e pensavamo nemmeno in Toscana, o forse in Italia. Nessuno ne parlava, diciamo pure che la tragedia si era compiuta molto lontano da noi. Ma, come vedremo, ciò non corrispondeva al vero…

Le “Leggi Razziali”.

Le Leggi Razziali volevano, su modello della visione nazista applicata in Germania, “difendere” la “razza ariana”, cioè la razza bianca italiana, dalla contaminazione di altre “razze” e soprattutto da quella ebraica. Ma chi era l’ebreo? Per i fascisti era ebreo chi era nato da genitori entrambi ebrei; da un ebreo e da una straniera; da una madre ebrea e da un padre ignoto; oppure da chi, pur  non essendo ebreo, ne professasse  tale religione.
Queste leggi contenevano una serie molto lunga di divieti: era vietato il matrimonio tra italiani ed ebrei;  era vietato agli ebrei di avere alle dipendenze domestici i lavoranti di “di razza ariana”; era  vietato agli ebrei di lavorare in tutte le pubbliche amministrazioni del Regno; era vietato agli ebrei stranieri di trasferirsi in Italia di svolgere le professioni di notaio e di giornalista; il divieto di iscrizione dei ragazzi ebrei nelle scuole pubbliche, il divieto di assumere, come libri di testo, alla cui redazione avessero partecipato in qualche modo degli ebrei. Ed ancora altre aberranti disposizioni, tra le quali di registrarsi presso gli Uffici di Anagrafe e Stato Civile dei Comuni, dichiarando di appartenere alla “razza ebraica”! In tal modo le Autorità di Polizia erano messe a conoscenza di chi  fosse ebreo e dove avesse la residenza. Oltre 300 professori universitari furono allontanati dall’insegnamento, senza contare i professori di Liceo, gli accademici, gli autori di libri di testo messi all’indice, e i tanti giovani laureati e ricercatori, la cui carriera fu stroncata sul nascere. Alcun degli scienziati e intellettuali ebrei colpiti dalle Leggi Razziali emigrarono all’estero.  Con loro lasciarono l’Italia anche Enrico Fermi (futuro premio Nobel) e Luigi Bogliolo, le cui mogli erano ebree.   


I Campi di concentramento in Italia per gli ebrei.

Fino al 1940, gli ebrei italiani, perseguitati in mille maniere, potevano emigrare all’estero, e molti di essi lo fecero, ma, con lo scoppio della guerra e l’alleanza dell’Italia con la Germania, la situazione andò ancora di più peggiorando per loro. E in Italia, il 15 giugno 1940, fu predisposto l’internamento in campi di prigionia, dal sud al nord.  Il più importante dei quali fu quello di Ferramonti di Tarsia, in  Calabria, provincia di Cosenza. Tuttavia il regime fascista  non aderì da subito alla strategia di sterminio attuata dai nazisti. Fu solo dopo l’8 settembre 1943, con l’Armistizio e la divisione in due parti dell’Italia, che la Repubblica Sociale Italiana (RSI) di Mussolini, avviò, coadiuvando la politica dello stermino attuata dai nazisti, una piena collaborazione con i tedeschi, dando perciò avvio alla deportazione degli ebrei nei lager nazisti, attraverso due località: il Campo di Concentramento di Fossoli, frazione del Comune di Carpi in Emilia e quello di smistamento ferroviario da Bolzano, verso Auschwitz, il lager di sterminio, in territorio della Polonia occupata dalla Germania. Un secondo Campo di internamento, passato sotto il comando tedesco, fu quello della  ex risiera di San Sabba, in provincia di Trieste, dove funzionava l’unica rudimentale camera a gas, non solo per gli ebrei, ma per i detenuti politici e gli antifascisti. Doveva essere solo un campo di smistamento, come quello di Fossoli, ma, al contrario vi furono uccisi dai 1000 ai 2000 prigionieri in maggioranza non ebrei. Dall ex risiera partirono ben 9 convogli per Auschwitz. In totale sono 6219 gli ebrei italiani uccisi durante la Shoah. Si deve alla diffusa solidarietà del popolo italiano, che in molti casi  nascose gli ebrei, o permise loro di emigrare, se il numero delle vittime risulta assai basso. Tra i campi di concentramento allestiti in Italia, il cui numero assomma a 112 (più 23 allestiti in Jugoslavia e Albania e altri nei territori occupati, come la Grecia), figura quello di Roccatederighi, nel comune di Roccastrada, provincia di Grosseto, in Toscana, regione che annovera ben 10 campi di internamento.



Il luogo.

Il Campo di internamento per gli ebrei, sia residenti in Toscana che rastrellati nel suo territorio, quello più vicino al nostro Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina, distando in linea d’aria solo meno di 12 chilometri è quello allestito in una grande villa con parco castagnato presso  il piccolo borgo di Roccatederighi, alta maremma grossetana, che fungeva da residenza estiva del Seminario vescovile della Diocesi di Grosseto. Un luogo strategico per i rastrellamenti di ebrei dall’area di Pitigliano-Sorano e dal Monte Amiata. 


La “banalità dl male”.

Erano tedeschi gli ufficiali delle SS, ma i guardiani del Campo, circondato da un’alta protezione di filo spinato, erano militi italiani della RSI, mentre donne di Roccatederighi provvedevano alle cucine. C’erano anche delle suore all’interno, in un ambiente riservato alla Curia Vescovile, e qualche seminarista. Durante i bombardamenti a tappeto degli inglesi sulla città di Grosseto, anche l’allora Vescovo della Diocesi, Monsignor Galeazzi, vi trovò riparo, condividendo la quotidianità coi prigionieri. Era stato  proprio il Vescovo a dover cedere alle SS la sua Villa, dietro un compenso di 5000 lire annue.

Il borgo di Roccatederighi dista circa poco più di un chilometro di distanza dal “Campo di internamento” e pochi in paese sapevano, o facevano finta di non sapere, a cosa esso servisse. Qualche volta anche alcuni internati, scortati dai militi armati, si recavano in paese a procurarsi qualche provvista, ma veniva detto in giro che si trattava di internati militari sotto la protezione dei militi fascisti!

E questo silenzio è durato anche ben oltre la fine della guerra. Si deve dire che per decenni si è fatto a gara nel nascondere la imbarazzante verità. Inoltre, italiani erano i carcerieri, italiani gli automezzi e gli autisti che in due occasioni trasportarono una cinquantina di prigionieri a Fossoli, da dove partivano i convogli per  i campi di sterminio tedeschi, dei quali solo 4 sopravvissero. E, infine, i guardiani erano abbastanza corruttibili ed alcuni ebrei furono aiutati a fuggire…in cambio di diamanti e denaro. Anche una intera famiglia di Pitigliano riuscì a mettersi in salvo, avendo fornito gli automezzi per il trasporto…


La neonata Gigliola Finzi e  gli altri bambini.

Gli americani arrivarono alla fine di giugno 1944 quando SS e militi italiani si erano già dati alla fuga. Alcune decine di ebrei si trovavano ancora nel Campo, altri, delle località più vicine, stavano rientrando nei loro luoghi di origine. Non si sa con certezza quanti prigionieri vi avessero soggiornato, né quanti siano stati i deportati ad Auschwitz. Esistono soltanto elenchi manoscritti parziali e trattandosi anche di molti ebrei stranieri, solo in pochi casi siamo riusciti a conoscere le generalità di intere famiglie, come quella austriaca dei Turteltaub. Si calcolano i prigionieri in una cifra intorno alle cento unità e i deportati ad Auschwitz in una cinquantina. Il Vescovo Galeazzi, messo sotto accusa “morale” di connivenza con i nazifascisti, si difese dicendo che  nulla poteva fare per impedire la violenza delle SS italo tedesche, ma che  si era adoperato a proteggere dalla deportazione verso Auschwitz i prigionieri  residenti nella provincia di Grosseto. Infatti le selezioni per la scelta dei deportati videro: primi gli ebrei provenienti dall’estero; dopo di loro quelli provenienti da regioni al di fuori della Toscana; infine, per ultimi, i toscani, ma non residenti nella provincia di Grosseto! Il Vescovo affermava che, grazie al suo intervento, nemmeno un grossetano era stato inviato ad Auschwitz.

Tuttavia anche quest’ultimo banale scudo protettivo crollò! Infatti nel secondo trasporto figurava una famigliola di tre ebrei livornesi, Finzi e la Della Riccia, marito, moglie e una neonata, venuta alla luce nel Campo stesso il 17 febbraio 1944, Gigliola Finzi. Tuttavia la bambina fu regolarmente registrata all’Anagrafe del Comune di Roccastrada, in provincia di Grosseto, e pertanto essa deve essere considerata una “grossetana”! Risulta uno dei rari casi di una bambina nata in un campo di sterminio e uccisa all’età di tre mesi ad Auschwitz, con un colpo di arma da fuoco, immediatamente dopo l’apertura del vagone piombato che l’aveva trasportata da Bolzano alla Polonia. Dopo poco anche i suoi genitori passarono dalle camere a gas ed ai forni crematori…


L’occultazione e la dimenticanza.

Per decenni si è fatto a gara nel nascondere questa imbarazzante verità storica. Ampliamenti e trasformazioni hanno riadattato la Residenza dell’ex Seminario Vescovile a “Campo Scuola” estivo di parrocchie ed associazioni cattoliche delle Diocesi di Massa Marittima e di Volterra e centinaia o migliaia di giovani vi hanno trascorso ore serene, ignari che in quelle stanze, in qui lettini di ferro, tra quei castagni in fiore, altri coetanei fossero stati rinchiusi nell’attesa del trasporto verso le camere a gas.  Franca, Enzo, Gigliola, Regina, Mary, Edita, Hans, Walther, Mosè ed altri di cui c’è ignoto il nome.
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Per non dimenticare.

Il 27 gennaio 2008 dopo che da alcuni anni, metà degli anni ’90, si erano accesi i riflettori sul Campo di Roccatederighi a cura di studiosi grossetani e toscani, con la raccolta di documenti e testimonianze e di materiale di archivio, fu  inaugurata la lapide eretta all’ingresso dell’ex Seminario firmata dall’Istituto  Storico grossetano della Resistenza e dell’Età contemporanea, dalla Diocesi di Grosseto, Comunità ebraica di Livorno, Comune di Roccastrada, Provincia di Grosseto, Comune di Grosseto, che dice:

“In questo luogo, parzialmente trasformato in Campo di Concentramento, tra il 28 novembre 1943 ed il  9 giugno 1944 furono rinchiusi numerosi ebrei, vittime della persecuzione razziale voluta dal fascismo 46 di loro, uomini, donne, bambini, 37 stranieri e 9 italiani, furono deportati nei Campi di sterminio del III Reich, dal quale quasi nessuno tornò La memoria di quel dolore non può risarcire ma rimane come dovere  e espressione di ferma volontà perché ciò che è accaduto non debba mai più ripetersi”.

Considerazioni.

Le violenze causate dai regimi Nazista e Fascista hanno portato alla morte circa sei milioni di persone innocenti, l’unica loro colpa fu di essere nati ebrei. La Germania e l’Italia si macchiarono di questa tragedia, seguendo le idee di pazzi che ritenevano che esistesse una razza superiore alle altre e che le altre dovessero essere distrutte. I regimi totalitari sono una piaga che non deve mai più affliggere l’umanità. Durante il periodo Nazista fu calpestato il primo diritto naturale, il diritto alla vita, insito nelle persone fin dal momento della nascita.


Testo di Bereket Ricci e Diego Guzzarri, con la consulenza memorialistica e d'archivio di Carlo Groppi (il nonno).

lunedì 10 febbraio 2020

PIL.
Ieri, 9 febbraio, Primo PIL (Piccoli Incontri Letterari) del 2020 a Radicondoli (SI). L’attendevo da tempo, per ritrovare e salutare antichi e nuovi amici e amiche. Nell’andata sono salito a Belforte per portare uno dei libriccini, POESIE, ad una coetanea poetessa, Marta, impossibilitata da tempo a partecipare ai PIL, dei quali era stata tra i fondatori e gli animatori. L’incontro con sua figlia e suo marito, la loro gentilezza e lo scambio dei ricordi, mi ha dato molta gioia. Ed infine, nell’accogliente sede della Biblioteca Comunale di Radicondoli, ci siamo ritrovati in dieci partecipanti, dei quali tre venuti per la prima volta! E’ quasi incredibile che questi “incontri”, iniziati nel 2006, siano ancora in vita! E di ciò si deve dare il merito, soprattutto, a Rosella e Daniela, alla loro creatività e amore per la Comunità di Radicondoli-Belforte. Io mi ci sento come a casa mia! In più, nell’ascolto e partecipazione, traggo sempre qualche spunto per alimentare la mia assopita creatività. Ad esempio, ieri, da un tema apparentemente “assurdo”, “Sconcerto in Re Minore”, ne è sortita una multiforme interpretazione, con discussione, ed anche molte risate! E, alla fine, l’atteso “dolcetto” e un dito di spumante! Infine, il ritorno a casa, nella prima notte, in 30 chilometri deserti tra luoghi sempre amati.