lunedì 30 gennaio 2017



A conferma della santità di Giacinta, Iddio operò molti miracoli.


Clarice Marescotti, ossia SANTA GIACINTA MARESCOTTI
(Vignanello, Viterbo 1585 – Viterbo, 30 gennaio 1640).

         Dalla lettura di epigrafi tombali, lapidi commemorative  e scartoffie di archivi pubblici, di conventi e di notai, son partito alla scoperta di una donna eccezionale, Clarice Marescotti, viterbese, imparentata strettamente con i Marescotti di Montalbano il cui castello, che guardava Castelnuovo, dominava ricche campagne tra Anqua, Solaio e Tegoni.

         Clarice era stata fatta suora di clausura in un convento francescano di Viterbo ed aveva vissuto dissolutamente, sia nella ribelle adolescenza, che nei primi anni della permanenza in convento, per dedicare successivamente la sua vita all’amore per Cristo, per la Vergine Maria e per i poveri. Proprio negli anni della sua irrequieta giovinezza i genitori avevano mandata Clarice in Toscana, nel feudo dei lori avi, nelle terre di Montalbano, e Clarice visse tra Solaio, Tegoni e Cugnanello e qui si trovano appunto le sue esili tracce, ma pur sempre importanti perché testimonianza di una tappa formativa di colei che diventerà una SANTA, una Santa della Tuscia, ma anche un po’ della Diocesi di Volterra: SANTA GIACINTA.

         Come scrive un suo biografo: "...la santa lasciò un piccolo diario autografo conservato nell'archivio del convento dei SS. Apostoli a Roma e intitolato Liber scriptus a B. Virgine  Hyacintha de Marescottis. E' contenuto nei primi undici fogli di un quaderno di centoquarantacine pagine. Ella vi appose questo titolo: "Diversi detti spirituali per accendere le anime devote al puro amore di Jesù et Maria". L'opera è in due parti: nella prima sono riportate sentenze spirituali o norme di vita; nella seconda si ha il diario di meditazioni e risoluzioni pratiche. Lo scrisse al trentatreesimo anno di età". Nonostante l'avallo tardivo di un vescovo a testimoniarne la veridicità (anno 1735), molti dubbi sussistono oggi sull'originalità dello scritto e il testo appare come totalmente o in parte opera posteriore.

         Quando suor  Giacinta morì, la fama che si era diffusa in Viterbo e nelle zone vicine fece affluire intorno alla salma una moltitudine di persone eccitate che nessuno riuscì a tenere a bada: per ben tre volte, nonostante l'intervento di soldati armati, si riuscìad impedire che gli abiti di Giacinta fossero strappati e tagliuzzati per ricavarne reliquie, fino a spogliare completamente il corpo senza vita; anche le unghie e i capelli furono tagliati e cosìfu minutamente spezzettata la corona di rose che le era stata posta intorno alla testa...ma l'entusiasmo della folla giunse al parossismo quando uno storpio, che lentamente era riuscito ad arrivare a toccare la morta, alzando al cielo le stampelle, dimostrò di essere stato miracolosamente sanato. Finalmente, due giorni dopo il decesso furono celebrati i funerali e il corpo mortale di Giacinta, avvolto in un semplice lenzuolo, fu tumulato nella sepoltura davanti all'altar maggiore della chiesa di San Bernardino, in piazza della Morte, a Viterbo, ove si trova ancor oggi, in un sacello più volte rimaneggiato e abbellito e definitivamente rifatto dopo le distruzioni provocate all'edificio dalla seconda guerra mondiale, edificio  che porta il nome di S. Giacinta. Una reliquia della santa si conserva nella chiesa di Vignanello e cimeli sono tutt'ora nel palazzo Marescotti-Ruspoli della medesima località dell'alto Lazio.

         Dopo la morte la fama di "santità" di Giacinta si propagò non solo nelle terre vicine a Viterbo ma anche in regioni lontanissime. I miracoli a lei attribuiti iniziarono prestissimo a compiersi e sono mirabili in quantità ed effetti. Storpi che riacquistano l'uso delle gambe; ciechi che recuperano la vista; salvataggi da annegamenti e da cadute mortali; guarigioni da malattie contagiose e altri ancora. Per questi moltissimi miracoli, rigorosamente esaminati dalla Sacra Congregazione dei Riti, il pontefice Benedetto XIII, con decreto del 14 luglio 1726, promulgò la beatificazione e la cerimonia solenne fu celebrata nella basilica di San Pietro il 1 settembre dello stesso anno


         Il culto per la Beata Giacinta si fece ancora più intenso e i miracoli seguirono meravigliosi. Tre furono rigorosamente esaminati dalla Congregazione dei Riti e posero il suggello alla causa di canonizzazione. Il 15 agosto 1790 il papa Pio VI promulgò il decreto che sanciva in eterno la santità di suor Giacinta Marescotti o della Vergine Maria. Per l'esilio e la morte in prigionia del pontefice la solenne cerimonia di canonizzazione fu rinviata e toccò al suo successore, Pio VII, il 24 maggio 1807, festa della SS. Trinità, a proclamarla Santa con una solenne cerimonia nella basilica vaticana. Ancora  oggi il 30 gennaio si ricorda Santa Giacinta, insieme a Santa Martina, sul calendario.

giovedì 26 gennaio 2017





GIORNATA DELLA MEMORIA della SHOA.


Il “fato” mi portò molto presto a contatto con la tragedia  degli ebrei europei e della follia di nazisti e fascisti, i primi “gli specialisti della morte”, e i secondi, pavidi lacché, ma egualmente colpevoli di fronte alla storia. Il contatto lo devo all’incontro con tre libri della Casa Editrice Einaudi, negli anni 1953-1955, Lettere dei  condannati a morte della Resistenza Europea, Lettere dei condannati a morte della Resistenza Italiana e il “Diario” di Anna Frank.  Un giorno scoprii un bigliettino nascosto in un pacco di fogli di carta assorbente, che usavamo in ufficio per “sfumare” i colori delle matite con le quali coloravamo le “carte geologiche”. Era una bambina, abitava in una città della Cecoslovacchia, aveva un nonno che era stato combattente in Italia nella Prima Guerra Mondiale contro i tedeschi, sapeva alcune parole della nostra lingua, ma voleva impararne delle altre! Iniziò la nostra “corrispondenza”, che si estese al nonno e, alla sua morte, a suo genero, Rudolf. Cominciai far collezione dei bellissimi francobolli di quel Paese, come si usava allora tra i giovani in Europa, effettuando sistematici scambi.  Era una famiglia di ebrei, scampata  (ma solo in minima parte), miracolosamente alle camere a gas perché due fratelli  riuscirono a fuggire dal paese con l’ultimo treno in partenza per l’Olanda per poi arrivare a Londra. Era l’inizio dell’inverno 1938 ed io ero nato da pochi mesi! Lo stesso anno che in Italia furono promulgate le  tristemente note “Leggi Razziali”. I due fratelli si arruolarono nell’Armata Cecoslovacchia che fu costituita in Inghilterra, fecero lo sbarco in Normandia, uno fu ferito, ebbe due medaglie al valore e fu tra il primo plotone che gli americani della V Armata  mandarono in avanscoperta a liberare la sua città natale! Cercò la sua casa, la sua famiglia di nonni, padre e madre, zie, zii, nipoti, cugini: non c’era più nessuno. Tutti deportati a Terezin e da Terezin ad Auschwitz.  Il fratello non resse all’impatto emotivo e preferì partire subito per gli Stati Uniti, dai quali non rientrò più, cercando di dimenticare. Tanto più che con l’avvento del comunismo la situazione era  rapidamente diventata opprimente, anche nei riguardi degli ebrei sopravvissuti alla Shoah. Oggi, nel settore ebraico del cimitero cittadino, ci sono lapidi “in memoria”, perché i loro corpi finirono nelle camere a gas e le ceneri nel vento. Negli anni ’70 cominciarono i miei viaggi  in Cecoslovacchia,  ospite di quella famiglia. A quel  tempo la grande Sinagoga era ancora semidistrutta e inagibile e  delle migliaia di ebrei che vi vivevano ne rimanevano  meno di duecento unità.  Cominciammo a far delle conoscenze, visitare  i cimiteri ebraici, andare a Terezin, e ad occuparci della ricostruzione di molte storie della deportazione degli ebrei dalla Boemia Occidentale.  Abbiamo lavorato per  quasi  30 anni, e alla sua morte, insieme ad un suo cugino, Edmund, un uomo eccezionale, funzionario nelle Nazioni Unite, padrone della lingua italiana che aveva imparato frequentando il Politecnico di Torino. Naturalmente anche i miei amici sono venuti a casa mia! Abbiamo condiviso storie che non è possibile raccontare. E così cominciarono le visite ai Lager, Mauthausen, Dachau, Bergen-Belsen, la Casa di Anna Frank, Terezin, Lublino,  Budapest, e i Ghetti di Praha, Plzen, Varsavia, Cracovia,  il Centro di documentazione di Parigi, ecc. ecc. fino ad approdare, in anni recenti, a Gerusalemme e al  Yad Vaschem  il grande sacrario e museo della Shoa.  In Italia ho documentato, forse per la prima volta, l’esistenza del Campo di Concentramento per gli ebrei di Roccatederighi, in comune di Roccastrada, Provincia di Grosseto, nel libro “La piccola banda di Ariano”, al quale fece seguito la pubblicazione di un opuscolo “Da Roccatederighi ad Auschwitz”. Da allora sono usciti altri lavori, meglio documentati, come un film di Vera Paggi, le ricerche di Ariel Paggi, il romanzo “Leggero come una piuma” di Laura Paggini, ed anche Atlanti  tematici, e, soprattutto,  il volume di Liliana Picciotto-Fargion sulla deportazione  e la sorte di tutti gli ebrei italiani avviati ai Campi di sterminio nazisti.  Infine ho incontrato Elide, una ebrea che dagli Stati Uniti, era venuta a vivere a Firenze. Adesso è morta, ma mi ha lasciato il suo “Diario” e moltissime storie raccolte di ebrei sopravvissuti alla caccia dei fascisti e alla deportazione nei Campi della Morte. Perciò non posso dimenticare ed anche per me il 27 gennaio è un giorno speciale, per rinnovare l’impegno alla mia coscienza, che tende ad assopirsi, a praticare la tolleranza, la solidarietà, l’onestà e il ricordo.

Sesto Bisogni (1885 - 1940), Deputato  socialista nel 1919 e 1921.

 Garibaldo Bisogni, cugino di Sesto, Sindaco socialista di Castelnuovo nel 1919 e Vicesindaco nel 1944.

I miei antenati: Natale Groppi e Rosa Donati con Ottavina e Maria, 1890. Ottavina sposerà Quinto Bisogni, fratello di Sesto.


Da sinistra a dx.: i quattro fratelli Bisogni: Terzo, Quarto, Quinto e Sesto.

SESTO BISOGNI, ovvero: la coerenza di un'ideale.

         A conclusione di una paziente ricerca avviata all’inizio degli anni ’90, per ricostruire alcuni dati biografici di Sesto Bisogni trovai Dino Bisogni, nato nel 1912 a Castelnuovo, figlio di Quinto e nipote di Sesto, il deputato socialista eletto per due volte alla Camera, nel 1919 e nel 1921. Dino non solo era il custode della storia della famiglia Bisogni, ma era un mio parente!  Quale inaspettata sorpresa! Infatti una sorella di mio nonno Dario, Ottavina Groppi, aveva sposato Quinto Bisogni, fratello di Sesto, ed era perciò la madre di Dino. Quindi Dino Bisogni e mio padre erano cugini buoni e anch'io potevo considerarmi un parente. E così, finalmente, il 28 dicembre 1994, un mercoledì sera freddo e sereno, mi recai  ad incontrare Dino e sua moglie Vanda Palchi nella loro casa in San Prospero a Siena, per parlare di Sesto e per conoscere uno spezzone delle vicende della mia famiglia. Dalla lunga registrazione (escludendo le parti relative al rapporto con i Groppi), ho estratto alcuni brani, per l’incontro di stasera:

Dino Bisogni racconta…

"…Sesto, mio zio, era una persona onesta, non come  altri  dei nostri tempi si sono dimostrati,  era una gran brava persona, un socialista tutto d'un pezzo, buono, faceva piaceri a tutti tant'è vero che è stato rispettato anche dagli avversari. Proprio lui mi ha raccontato che una volta che gli si avvicinò uno sconosciuto dicendogli "onorevole, io sono fascista, però sono un ammiratore della sua personalità e lo vorrei avvisare che gli stanno tendendo un tranello, siccome hanno osservato quali strade percorre al mattino uscendo di casa, l'attendono per dargli una barcocchiata". Così Sesto cambiò percorso e questa volta gli andò bene.

         Pompilio, guarda, eccolo lì - mi mostra una bella fotografia incorniciata -, quello è Pompilio, mio nonno, in un ritratto che avevamo in casa noi. Era un calzolaio e abitava a Castelnuovo. Ha avuto otto figlioli, in verità la mia nonna ha avuto quindici parti, però sette o sono stati aborti o i neonati sono morti subito dopo il parto. Degli otto figli, anche l'ultimo, Ottavo, è morto in giovane età, così in realtà siamo sette, cinque maschi e due femmine: Primo, che io non ho conosciuto, Seconda, Terzo, Quarto, mio padre Quinto, Sesto, Settima...

                   Sesto ebbe due maschi e una femmina: Giordano, Walter e Pace. Nel primo parto nacquero due gemelli, Giordano e Bruno, ma Bruno morì. Anche Giordano è morto circa all'età di settanta anni. Walter invece è morto giovane, non aveva nemmeno cinquanta anni. La figlia, Pace o "Pacina", è nata nel 1916 a Sampierdarena, in piena guerra mondiale - e da ciò deriva il suo nome .
        
         Sesto, nato nel 1885 è morto nel 1940, nel mese di agosto, all'età di 55 anni. Aveva fatto una festicciola  casalinga e stava contento in mezzo agli amici quando cominciò a urlare: "muoio, muoio!". E così morì. Non ci fu niente da fare. Forse fu un infarto, forse un ictus. L'ultima volta che lo vidi, agli inizi degli anni '30, mi si sfogò dicendomi tutta la sua amarezza per come si era ritrovato economicamente e per l'isolamento nel quale viveva, ringraziava solo di avere "una pensioncina" delle ferrovie dello Stato - che in un primo tempo i fascisti non gli volevano dare, ma Sesto dimostrò di avere un telegramma con il quale si dimetteva al momento di entrare in parlamento e, quindi, aveva un diritto legale - che gli consentiva di non morire di fame. Trovò impiego da un commerciante di laterizi. Poi aiutò il figliolo a gestire un garage, ma questa iniziativa fallì.

         Sesto era una persona perbene, aveva tanti amici che erano diventati pezzi grossi del regime fascista, a Roma, a Siena, Arzzo, Firenze,  a Grosseto, ma è morto povero in canna perché non ha mai chiesto aiuti a nessuno. Eppure bastava così poco! Era rimasto socialista massimalista, che era l'estrema del partito.

         I membri della famiglia di Pompilio Bisogni avevano lasciato tutti il paesello, erano persone estremamente intelligenti, non sopportavano di vivere nell'abbrutimento della miseria, ma anche sparpagliati in Toscana e Liguria erano rimasti  molto uniti, pur avendo idee politiche assai diverse.

         Infatti mio padre era un monarchico e così Terzo e così Primo, erano fedeli alla casa Sabauda. Mio padre, nel tempo che è stato Segretario Comunale a Pomarance era corrispondente di due giornali monarchici: il Corazziere di Volterra  e il Nuovo Giornale di Firenze. Poi abbandonò la politica, non faceva per lui. Tutti e sette i fratelli e sorelle sono state persone di una onestà eccezionale e Sesto, che pure avrebbe avuto molte possibilità di arricchirsi, è morto povero. Anche Mussolini, prima di diventare capo dei fascisti, era un suo amico: più di una volta gli ha battuto la mano sulla spalla salutando "il compagno ferroviere!" ed invitandolo, nel Parlamento, a passare dalla sua parte!
        
         Altri suoi amici, che come lui venivano dall'esperienza del sindacalismo, come Alceste Lanzoni, si buttarono coi fascisti, e fecero una notevole carriera. Lanzoni incitava il suo compagno a fare altrettanto, ma senza riuscirvi.  Sesto aveva cultura, sapeva parlare, era integerrimo, nutriva un fortissimo ideale socialista. Ora è sepolto al Verano, dimenticato da tutti. Non ha avuto una lira di pensione parlamentare. Mi fa piacere che qualcuno oggi lo rivaluti e ne parli. Come era? Era un omone, con un cappellone a larga tesa, si vedeva bene anche da lontano in fondo alla piazza, alto e bello con la sua lobbia. Aveva un carattere ottimista, faceto...nonostante le difficoltà della vita...

Memorie politiche.

                Sesto Bisogni, nato a Castelnuovo V.C. il 4 dicembre 1885, divenne negli anni 1917-1924 sindacalista socialista e deputato al Parlamento. Si iscrisse al PSI nel 1909 e aderì all'ala massimalista.  Corrispondente dell'Avanti!, collaborò al periodico socialista della Val d'Elsa   "La Martinella" ed a "Bandiera Rossa" di Siena, che ne fu l'erede.  Fu sempre a fianco delle lotte operaie della Boracifera nel "biennio rosso" e strenuo difensore degli ideali socialisti di fronte alla prepotenza del principe Piero Ginori Conti. Per tali motivi e con l'accusa di "incitamento all'odio di classe", scontò tre mesi di carcere nel Mastio di Volterra. Tenne numerosi comizi a Castelnuovo, ricordando i tempi di quando manovale "...portavo le corbelline di calcina per la costruzione del palazzo Pierattini, conoscendo e soffrendo direttamente le dure condizioni di vita dei proletari...". Rimase costantemente in contatto con i socialisti del paese natio, di cui i Bisogni, clan numerosissimo formato da oltre 50 persone, in prevalenza da calzolai, costituivano una parte non secondaria. Per la sua coerenza all'ideale sociale di matrice marxista Sesto fu accanitamente perseguitato, ed infine costretto a vivere poveramente e nell'isolamento. Tuttavia i fascisti non riuscirono mai a togliergli la fede nel socialismo né la dignità di uomo libero. La morte lo coglierà improvvisamente a Roma il 21 dicembre 1940.

         Sesto Bisogni era arrivato a Siena il 29 settembre 1917, proveniente da La Spezia. Dopo lo scioglimento delle Camere, avvenuto il 29 settembre 1919, i socialisti senesi, pur riluttanti ed indecisi se presentarsi alla competizione elettorale, decisero infine di prendervi parte con il loro simbolo costituito da una corona di spighe di grano illuminata dal un sole nascente, e presentando come capolista Ezio Bartalini. Nella lista erano presenti Sesto Bisogni, il suo compagno e grande amico Giulio Cavina ed altri. Pur avendo partecipato alle elezioni di malavoglia i socialisti riportarono uno strepitoso successo aprendo la porta della Camera  dei Deputati a cinque candidati: Merloni, Grilli, Bosi, Mascagni e Sesto Bisogni.

                  L'attività  precedente di Sesto Bisogni  è ricostruibile mediante alcuni rapporti inviati dai prefetti al ministro dell'Interno, oggi conservati nella scheda ad nomen in ACS, Casellario Politico Centrale, fascicolo n.667, nonché sulla base del foglio matricolare, reperibile presso l'Archivio Centrale delle Ferrovie dello Stato: Assunto nelle Ferrovie dello Stato il 22 dicembre 1906, per la sua attività  sovversiva gli furono  tolte, negli anni seguenti, le funzioni di conduttore,  e per due anni scontò una punizione con  il blocco totale del salario.

         In più egli era costantemente sotto il controllo della polizia che in una rapporto così lo descrive:   “…il controscritto individuo essendosi, in questi ultimi tempi a Spezia manifestato molto attivo nel campo sovversivo, tanto da rendere necessaria una assidua vigilanza sul suo conto da parte di quell'ufficio di pubblica sicurezza, venne segnalato al Comando in capo di questa piazza, anche in vista della sua posizione militare di esonerato.  Su richiesta dell'Ammiragliato è stato trasferito al deposito di Siena". Ed a Siena prese servizio il 30 settembre 1917.

         A Siena emerse subito come uno dei più brillanti dirigenti socialisti e rapida fu la sue elezione a Segretario della Camera del Lavoro. Il compito per Sesto Bisogni e per gli altri esponenti designati al Comitato esecutivo divenne assai arduo; si trattava di riordinare la Camera del Lavoro che usciva dal periodo di guerra in pessime condizioni finanziarie e organizzative. Bisogni iniziò un'assidua opera di riorganizzazione, che in meno di tre mesi portò considerevoli risultati: a gennaio 1918 erano state costituite in provincia di Siena 82 Leghe contadine e se ne stavano formando altre 11. Inoltre erano state distribuite 6.671 tessere. Le Leghe erano coordinate da un Comitato Centrale di cui faceva parte Sesto Bisogni, che lavorò accanitamente per tutto l’anno.

         Nei primi mesi del 1919, a Siena, mentre il partito socialista si stava rapidamente rafforzando, si manifestò, non solo nelle ferrovie, ma anche in numerosi altri settori, una forte ripresa delle rivendicazioni operaie, causate sia dalla diminuzione dei salari reali che si era verificata nel quinquennio 1914-1918, sia dalla volontà di ottenere miglioramenti delle condizioni di lavoro In questo clima di lotta i i ferrovieri assunsero una fondamentale funzione direttiva...Il 2 giugno 1919, dopo una serie di riunioni e trattative, fu convocato il consiglio generale. Venne deliberato all'unanimità di aderire alla Confederazione Generale del Lavoro, e SESTO BISOGNI, segretario della Federazione Provinciale delle Cooperative della provincia di Siena e ferroviere, in servizio come conduttore principale al locale deposito personale viaggiante, fu eletto provvisoriamente alla Segreteria.

         Come riferisce il giornale "Bandiera Rossa" il 14 giugno 1919 n.17, Bisogni, insieme ad altri compagni, tra i quali Luigi Polano, Fiammetta Giani, Gina Rossi, aveva parlato in molti paesi della provincia riscuotendo calorosi consensi.

         E’ la Direzione della Polizia che in un rapporto riservato descrive la situazione: “…il 21 giugno si tenne a Siena un comizio sul problema dell'elevato costo della vita e per richiedere provvedimenti adeguati a calmierare i prezzi, durante il quale, tutti gli oratori prospettarono secondo il proprio punto di vista il disagio in cui si dibatte il popolo per l'enorme costo dei generi necessari alla vita, disagio che colpisce più aspramente la classe operaia...Vi fu anche un oratore, il Bisogni, che propose l'espropriazione della proprietà ed una conversione dei prestiti di guerra per alleggerire i debiti ingenti dello Stato...Aggiunsero tutti (gli oratori) che la borghesia era inabile alla bisogna e che il proletariato doveva assumere il governo della cosa pubblica, perchè certo sarebbe riuscito più adatto e più proficuo a se stesso e alla società. Nonostante la retorica rivoluzionaria, al termine dell'adunanza ci si limitò ad agire attraverso i canali istituzionali: venne infatti nominata una commissione per presentare alle autorità cittadine un ordine del giorno, che prevedeva tra l'altro la municipalizzazione degli spacci, il ribasso del 50% del prezzo delle derrate alimentari e manufatti d'ogni specie e la parziale espropriazione delle ricchezze ingiustamente accumulate durante la guerra. Della commissione facevano parte Sesto Bisogni ed altri cinque compagni”.

         Ma pochi giorni dopo si verificarono due fatti importanti: il 5 luglio il saccheggio dei negozi causato dall'aumento dei prezzi dei viveri, e il 20-21 luglio lo sciopero politico che paralizza la città.

         Sesto era tenuto sotto costante controllo dal prefetto Nunzio Vitelli che informava periodicamente il ministro dell'Interno sulla sua attività; in una prima lettera del 19 luglio 1919, egli veniva definito "un impiegato sovversivo e pericolosissimo agitatore", aggiungendo che "intervenne e parlò in comizi pubblici apparentemente sul caro viveri, ma invitando i radunati ad una prossima e violenta azione per conseguire la sostituzione del proletariato alla borghesia...insomma un vero incitamento alla rivolta, incitamento nei termini più violenti e pericolosi, fatto in diversi paesi di questa provincia e certo anche in quella di Arezzo ov'egli si è spesso portato".

         Nell'agosto 1919, Bisogni fu sostituito nella carica poiché venne nominato Ispettore della Federazione Nazionale Lavoratori della Terra, che in provincia di Siena assunse ben presto una rilevante importanza, diventando tra le più forti a livello nazionale e la più numerosa in Toscana...

                            Nel partito socialista Sesto Bisogni si era affermato come uno dei massimi esponenti  a Siena e provincia insieme al compagno scalpellino Giulio Cavina, che lo sostituìalla direzione della Camera del Lavoro. Sia Bisogni che Cavina erano del tutto estranei all'ambiente senese: arrivati da poco in città portavano con sè esperienze organizzative e politiche di altre zone italiane...furono questi due uomini a dirigere le lotte del "biennio rosso", che in provincia di Siena ed in Toscana assunsero spesso toni drammatici...

         Il 16 novembre 1919 si tennero in Italia le prime elezioni del dopoguerra a suffragio universale maschile e con il sistema dello scrutinio di lista a rappresentanza proporzionale. I vecchi collegi furono sostituiti da circoscrizioni elettorali molto pi- ampie. I dirigenti socialisti delle tre federazioni di Siena, Arezzo e Grosseto presentarono una lista bloccata composta da: Ezio Bartalini, Ferruccio Bernardini, SESTO BISOGNI, Luigi Bosi, Giulio Cavina, Umberto Grilli, Luigi Mascagni, Giovanni Merloni, Giuseppe Sbaraglini, Foscolo Scipioni. Alle elezioni il PSI riporta una vittoria schiacciante: vengono conquistati cinque dei dieci seggi disponibili nella circoscrizione ed eletti Merloni, Grilli, Bosi, Mascagni e Bisogni. Quest'ultimo ottiene ben 71000 consensi e deve una parte importante della vittoria al sostegno rurale che gli veniva dalla sua carica nella Federazione Nazionale Lavoratori della Terra: a questo punto la maggioranza  dell'elettorato socialista era infatti concentrata nelle campagne, dove sia i braccianti che i mezzadri erano stati organizzati in forti Leghe rosse, che avevano definitivamente sconfitto la tradizionale soggezione del contadino verso il padrone e il fattore, portando una notevole mobilitazione sociale e politica...Da tempo Sesto Bisogni  si recava a lavoro sui treni soltanto saltuariamente.   Il prefetto di Siena Nunzio Vitelli, già dal 19 luglio 1919, aveva fatto notare al ministro dell'Interno che " egli trasandando i suoi doveri dell'impiego, con tolleranza certo dei suoi superiori, si dedica, correndo qua e là, a quelle funzioni ed azioni che sono in antitesi dell'assiduità e regolarità dei suoi incarichi ferroviari". Il 3 settembre 1919, il nuovo prefetto Emilio D'Eufemia aggiungeva che Bisogni si trovava arbitrariamente assente dal servizio ferroviario fin dal primo agosto e chiedeva che l'amministrazione delle Ferrovie dello Stato prendesse provvedimenti punitivi contro di lui. In data 29 settembre il ministro dell'Interno rispondeva al prefetto, comunicando che i provvedimenti richiesti erano imminenti e che Bisogni sarebbe stato denunciato per avere abbandonato il servizio. Sesto Bisogni diede le dimissioni dalle Ferrovie dello Stato in data 15 ottobre 1919, con il grado di conduttore principale: non attese quindi l'esito delle elezioni, in base alle quali avrebbe comunque dovuto dimettersi essendo incompatibile la carica di deputato con quella di impiegato ferroviario.

         Alle elezioni del 1919 Bisogni era anche candidato nella lista socialista, insieme a Giuseppe Emanuele Modigliani, per il collegio di Pisa - a conferma del ruolo politico esercitato nella provincia pisana e soprattutto alla direzione dello sciopero di cinque mesi dei lavoratori delle fabbriche dell'acido borico - dove riportò oltre 33000 preferenze, risultando il terzo dei non eletti. Significativa l'affermazione nei tre seggi del comune di Castelnuovo con 472 preferenze contro le 543 di Modigliani. Nel parlamento entrano 156 socialisti e 100 popolari su 508 deputati. In Italia il PSI aveva ottenuto la maggioranza relativa di lista con il 32,3% dei suffragi, ma rimase all'opposizione.

         A Siena l'anno 1919 si chiuse il 19 dicembre, nella piazza di Sarteano, con uno scontro tra i carabinieri e la folla che attendeva l'arrivo del deputato socialista Sesto Bisogni, invitato a celebrare la vittoria elettorale di due mesi prima. I carabinieri avevano arrestato il presentatore dell'oratore, appena questi aveva incominciato a parlare e un gruppo di socialisti aveva protestato, reclamandone l'immediato rilascio. Era scoppiato un tumulto e i carabinieri avevano sparato "all'impazzata" cinquanta colpi di fucile, uccidendo due persone e ferendone molte altre. "Gli eccidi si susseguono agli eccidi...I briganti in divisa - scrive Bandiera Rossa - hanno macchiato di sangue puro e generoso le vie della piccola città". Il fatto aveva fortemente turbato il clima politico senese, anche perchè nella città e nella provincia si susseguivano analoghi episodi suscitando paura e rabbia. Riguardo ai fatti di Sarteano il giornale "Il popolo di Siena" accusava il deputato Bisogni di essere intervenuto non per calmare gli animi, ma per eccitarli. "I fatti di Sarteano - affermava il giornale cattolico - non sono che un episodio di questo stato d'animo delle nostre popolazioni che per maestri hanno quei deputati che danno al mondo spettacolo così grottesco di ineducazione al Parlamento italiano". Parole gravi, che del resto si collocano nel solco dei gruppi cattolici senesi, sempre orientati in direzione reazionaria, fino alla totale collusione con il fascismo più tardi dilagante e vittorioso.

         Dopo la tragica sera di dicembre a Sarteano, nella quale i carabinieri oltre ad aver ucciso due cittadini, rischiarono di compiere una deliberata strage, ritroviamo Sesto Bisogni durante le polemiche seguite alla aggressione squadristica alla Casa del Popolo di via Pianigiani a Siena, il 7 marzo 1920.

         Durante l'inaugurazione della bandiera dell'associazione combattenti era previsto che un corteo sfilasse per le vie della città. Sesto Bisogni, essendo circolate voci sulle intenzioni provocatorie dei combattenti stessi si era recato dal questore a chiedere che i manifestanti non passassero per via Pianigiani, dove era situata la Casa del Popolo. Ma ciò fu vano. Tuttavia i socialisti riuscirono a fronteggiare l'assalto ed a respingerlo. Furono sparati colpi di arma da fuoco e un giovane socialista, Enrico Lachi,  rimase gravemente ferito morendo tre giorni dopo.

         Siena sembrava trasformata in una caserma...grosse pattuglie di carabinieri e di guardie con fare provocante perlustravano le vie della città. Autoblinde erano già pronte e non mancavano delle mitragliatrici. In piazza era proibito dalle autorità di tenere comizi, ma, durante lo sciopero generale di protesta del giorno 8 marzo, di fronte a una folla strabocchevole, parlarono egualmente alcuni esponenti del socialismo senese: Bisogni, Cavina, Meoni e Boldrini in nome degli anarchici.

         Per tutta l'estate del 1920 e nei primi mesi di autunno si svolsero altre grandi lotte proletarie nel senese che costarono la vita a numerosi lavoratori: Sesto Bisogni, socialista, deputato e instancabile organizzatore, di idee democratiche ed equilibrate - per le quali si scontrò anche con il compagno di Partito, Cavina, più estremista intransigente -, fu sempre alla testa del movimento.

         Nel novembre, alle elezioni amministrative provinciali, egli fu eletto, divenendo Presidente della Provincia. Vice presidente fu nominato  Carlo Meini di Colle Val d'Elsa, il noto e combattivo editore del giornale socialista "Bandiera Rossa Martinella". Durante la seduta iniziale tenuta il 19 novembre 1920, prima ancora dell'elezione delle cariche, i consiglieri della maggioranza si misero a gridare ripetutamente "Viva il Socialismo !", insieme al numeroso pubblico operaio intervenuto a festeggiare quello che riteneva un evento storico. Dopo essersi insediato al banco della presidenza, Sesto Bisogni vi depose un vessillo rosso tra le proteste della minoranza.

                   Sesto Bisogni, intervenendo alla Camera dei Deputati all'indomani del vittorioso secondo assalto fascista alla Casa del popolo di  Siena, avvenuto il 4 marzo 1921, ne denunciava la gravità affermando che i fascisti erano per lo più ragazzi del liceo e delle scuole tecniche di 15-16 anni, capeggiati da facinorosi ex combattenti ed ex sindacalisti che avevano abbandonato il partito socialista e aiutati dai Reali Carabinieri. Sesto Bisogni fece una completa e minuziosa relazione, mettendo in luce la complicità dei tutori dell'ordine e rilevando la barbarie degli assalitori fascisti che picchiarono gli arrestati. Terminò invitando il governo a restituire al più presto la Casa del popolo, posta sotto sequestro, ai suoi legittimi proprietari e a mettere in libertà gli arrestati innocenti. Parteciparono al dibattito anche altri oratori, fra i quali Claudio Treves, che sottolineò la responsabilità del governo Giolitti di fronte agli abusi dei fascisti.

         La cronaca dell'assalto fascista alla Casa del Popolo di Siena, incendiata e distrutta il 4 marzo 1921, anche a colpi di cannone, si legge nell'omonimo opuscolo edito dal PSI con la presentazione di Filippo Turati, e da essa risulta inequivocabilmente la collusione tra le forze di polizia, carabinieri, con la teppa e gli assassini fascisti. Infatti ben 62 socialisti furono arrestati, mentre tutti i fascisti rimasero liberi !

         Le azioni di violenza fascista toccarono il culmine nella primavera del 1921, sia a Firenze che nelle altre province toscane. Ormai tutta la forza dello Stato si era schierata a favore del Fascio di Mussolini.

         In questo clima di terrore si erano svolte il 15 maggio 1921 le elezioni politiche, con le quali entrarono in parlamento 36 deputati fascisti. Gli altri gruppi politici rimasero quasi inalterati e la governabilità del paese si fece più difficile. Sesto Bisogni fu rieletto deputato nella Circoscrizione di Siena-Arezzo-Grosseto, insieme a tre compagni socialisti che perdevano un seggio rispetto alle precedenti elezioni. Ma considerata la realtà in cui si svolsero le elezioni e la scissione comunista, fu comunque una notevole affermazione che portò a Roma i due massimi dirigenti del socialismo senese: Bisogni e Cavina, dimostrando il forte radicamento tra le masse proletarie della città e delle campagne. Nel comune di Siena il PSI raggiunse addirittura il 47,8% dei voti contro il 41,3% delle elezioni del 1919. In città ottennero ben 4323 voti contro i 3601 del Blocco, gli 830 dei popolari e i deludenti 109 voti dei comunisti. A Grosseto i socialisti (11110 voti) ed i comunisti (3770 voti) insieme raggiungono  ancora il 49%, cioè solo un 2% in meno rispetto al 1919 nonostante le violenze e le intimidazioni.

         Anche in campo nazionale il PSI aveva dimostrato una notevole capacità di tenuta, ottenendo 1.632.000 voti, ossia soltanto duecentomila in meno rispetto alle elezioni politiche del 1919, prima della scissione dei comunisti

         Il 23 agosto 1921, con la mediazione del presidente della Camera Enrico De Nicola, viene firmato a Roma il cosiddetto "patto di pacificazione" dai delegati del PSI, del Consiglio Nazionale dei Fasci e della CGdL, nonché dai parlamentari socialisti e fascisti. Ne rimasero fuori i comunisti, i popolari e i repubblicani. Il 9 settembre 1921 usciva l'ultimo numero del giornale socialista "Bandiera Rossa Martinella" che riportava  la cronaca di una lunga serie di  misfatti squadristici affermando: " sono forse queste le condizioni di pace applicate dai fascisti ?".

         Il 7 novembre 1921 viene fondato il Partito Nazionale Fascista. Lo stesso Sesto Bisogni, la cui abitazione a Siena era costantemente sorvegliata dalle Guardie regie per evitare aggressioni fasciste (infatti il prefetto Bertone informava il Ministro in data 15 marzo 1922, che il giorno 5 precedente alcuni fascisti si erano presentati a casa del Bisogni dove era in corso una riunione di socialisti: uno di loro entrato eludendo la sorveglianza delle guardie regie intimò al Bisogni di smettere di utilizzare la sua casa come succursale della Camera del lavoro se voleva continuare a godere di un trattamento diverso da Cavina, il quale era stato selvaggiamente bastonato),  scriveva al prefetto un accorato appello affermando che: "...i regi carabinieri e i comandanti stessi grandi e piccoli hanno dimostrato di avere perduta completamente la testa e di veramente sentire solo l'ordine del mandante privato e non gli ordini dell'autorità del governo e del suo primo rappresentante il Sig. prefetto".

         Ormai nella città di Siena regnava la paura. Ma la situazione era ancora peggiore nelle campagne come lamenta Sesto Bisogni in un intervento alla Camera dei Deputati il 10 maggio 1922: "...E’ ormai cosa di tutti i giorni la cronaca delle violenze che avvengono in provincia di Siena...Da quindici o sedici mesi, in quella provincia, siamo messi a ferro e fuoco da paese a paese, e di morti ce ne sono tre a Chiusi, due a San Gimignano, uno a Montepulciano, altri a Poggibonsi ecc. Da tutte le parti morti appartenenti alle classi operaie...e gli arrestati pure sono tutti di parte operaia. Dalla parte dei signori, o dei servi degli agrari...nemmeno un arresto...Certo è che quella provincia, che all'estero e dovunque rappresenta quasi l'anima gentile e il linguaggio d'Italia, le più eccelse tradizioni gelosamente custodite, oggi vive la vita della Vandea...".

         Con le sue parole Bisogni si guadagnò dure minacce da parte dei fascisti che scrissero sul loro giornale La Scure del 13 maggio 1922 un articolo dal titolo " La protesta dei fascisti contro i due avventurieri Cavina e Bisogni": "...lo scalpellino Cavina e il frenatore Bisogni han promesso in Parlamento di voler dirigere la rivolta nella nostra città ed hanno osato calunniare la tradizionale gentilezza delle nostre popolazioni, con frasi da gente di suburra, quali essi si son dimostrati. Fascisti! Noi dobbiamo raccogliere la sfida e in questo maggio il raglio dei due onorevoli asini, deve essere accompagnato dalla musica suadente dei nostri manganelli. Invitiamo perciò i due avventurieri piovuti tra noi in cerca di fortuna, a ripetere nella nostra città quanto hanno potuto affermare alla Camera". Il forte risentimento era confermato in un rapporto del prefetto Bertone al Ministro dell'Interno, datato 15 maggio 1922: "In seguito alla recente interrogazione alla Camera dei deputati fatta dall'on. Bisogni sulla situazione di Siena ed in seguito alla sistematica sua denigrazione di questa città, si è qui manifestato, specie nell'ambiente fascista, un vivo malcontento ed un grave fermento che potrebbe degenerare in azione violenta contro di lui, qualora rientrasse in questa provincia".

         I consiglieri della minoranza socialista, tra cui militava Sesto Bisogni,  si erano già ritirati gradualmente nel corso dell'anno. Nelle lettere di dimissioni si affermava: "...per ragioni mie personali e per la tranquillità della mia famiglia ho dovuto dimettermi dal partito socialista...". Gli stessi fatti si verificarono al consiglio provinciale, dal quale nel settembre 1922 la maggioranza dei socialisti diede le dimissioni: fra loro Sesto Bisogni. La Casa del Popolo di via Pianigiani, divenne proprietà dei fascisti dall'aprile 1923 e poi venne adibita a Consorzio Agrario. L'abitazione di Sesto Bisogni - chiamato dalla stampa fascista Barba Blu - era stata perquisita dalla polizia, che però non era riuscita a trovarvi nulla di compromettente. Altre perquisizioni erano state fatte nelle case dei più noti sovversivi. Alcuni furono arrestati. Il 31 dicembre 1922 il comune di Siena viene commissariato.  

         Sesto Bisogni aveva aderito nell'ottobre 1922, con Turati, Treves e Matteotti al Partito Socialista Unitario e alle elezioni politiche del 6 aprile 1924 - che si tennero con un sistema maggioritario approvato con RD 13 dicembre 1923 n.2694, in base al quale alla lista di maggioranza relativa venivano assegnati i 2/3 dei seggi purchè avesse riportato almeno il 25% dei voti validi - si presentò nella nuova circoscrizione toscana come candidato per la lista socialista unitaria, ottenendo 2691 voti e risultando il primo degli esclusi, dopo Giuseppe Emanuele Modigliani e Gino Baldesi. Si può affermare che le elezioni politiche del 1924 rappresentarono un travolgente successo per le due liste fasciste, e furono, per ironia della sorte, le prime almeno in cui formalmente, era garantita la segretezza del voto, con l'uso della scheda di Stato, sulla quale, come oggi, erano stampati i simboli delle liste concorrenti, mentre nelle precedenti consultazioni ogni partito si faceva stampare le schede e l'elettore, prima di entrare in cabina chiedeva quella per cui avrebbe desiderato votare. Ma ormai, in Italia, il Partito Nazionale Fascista era riuscito, anche per la frammentazione degli altri partiti politici ed in particolare della sinistra, a conquistare la fiducia della maggioranza degli elettori!


         Secondo un rapporto del prefetto al ministro dell'Interno del 9 settembre 1925, Bisogni tornò a risiedere stabilmente a Siena dopo aver perso il seggio di parlamentare ed essere stato anche esonerato dalle Ferrovie dello stato in data 1 novembre 1923. Smise di esplicare attività politica e trovò occupazione come direttore della Cassa di Credito, ma i fascisti lo fecero ben presto licenziare. Secondo l'anagrafe comunale di Siena, risulta emigrato a Roma il 29 aprile 1926. Nella capitale trovò impiego presso un commerciante di laterizi e lavorò poi per proprio conto aprendo una bottega. Dal 1927 al 1940, data della sua morte, non svolse alcuna attività politica, ma mantenendosi costantemente fedele ai propri ideali, fu oggetto di periodiche indagini da parte dell'autorità di pubblica sicurezza". Qui si conclude la nostra sommaria ricostruzione sull'attività di Sesto Bisogni, castelnuovino e socialista, il quale avrebbe meritato dalla Comunità che l’aveva visto nascere, un piccolo segno di ricordo, magari la titolazione di una via, al posto delle anonime Abetone o Amiata o Cimone.

sabato 14 gennaio 2017



 Il libro con il ritratto di don Giovanni Verità


Itinerario di Garibaldi in Romagna.


Il capitano "Leggero".


Don Giovanni Verità, nel 1849.

Garibaldi.

Castelnuovo di Val di Cecina, il mio paese, ha un rapporto speciale con Giuseppe Garibaldi. Quando le scuole elementari erano situate all’interno del Municipio, tutti noi bambini leggevamo le tre lapidi marmoree a ricordo del Risorgimento, murate nell’ingresso, proprio dove si aprivano due delle classi. Io vi feci la III ubicata alla sinistra e la V ubicata di fronte sul lato destro. Una nel 1947 e l’altra nel 1949. La lapide che parlava di Garibaldi era abbastanza misteriosa:  attraversò il nostro borgo di notte, proveniente da San Dalmazio, e presso il cimitero vecchio di San Rocco, cambiò il barroccio tirato da un cavallo, per sfuggire alla polizia granducale, cioè ai soldati austriaci, chiamati in soccorso dai Lorena. Garibaldi proseguì per il Bivio di Monterotondo e poi fece sosta alle Malenotti,  presso Massa Marittima, nella casa del patriota  Guelfi, per arrivare l’indomani a Calamartina, a sud di Follonica, dove trovò la barca che lo avrebbe portato in Liguria. Ma benché non fosse scritto da nessuna parte, a noi bambini i vecchi ci avevano raccontato che Garibaldi attraversò Castelnuovo, presidiato dai soldati austriaci, nascosto dentro una botte da vino, per destar meno sospetto! Questo particolare eccitava molto le nostre fantasie.
Era l’estate del 1849 e la storia ci narra che la difesa della Repubblica Romana proclamata da Mazzini e sostenuta da Garibaldi s’era fatta impossibile per la soverchia forza dei soldati francesi accorsi il 3 luglio a sostenere il Papa e lo Stato della Chiesa. Sperando di poter continuare la lotta nelle campagne Garibaldi uscìda Roma con 3000 uomini. Aveva con sé Anita, che era corsa a raggiungerlo in Roma. Quattro eserciti insidiavano la colonna, ma Garibaldi riuscì ad evitarli. I volontari poco abituati a questo tipo di guerriglia si stancarono e cominciarono a disertare. La méta di Garibaldi era Venezia che ancora resisteva. Attraverso il Lazio, la Toscana e la Romagna giunse a S.Marino. Ma ormai i volontari erano stremati e ridotti di numero. Perciò egli li lasciò liberi di allontanarsi alla spicciolata. Con pochi seguaci e con Anita ammalata, passando attraverso le scolte austriache, arrivò fino a Cesenatico, si imbarcò, ma inseguito dovette tornare a terra. Alcuni patrioti del luogo lo condussero a una fattoria nei pressi di Ravenna, dove Anita morì. Nonostante il grande dolore e abbattimento, con l’aiuto di una catena di suoi sostenitori, molti umili popolani, Garibaldi riuscirà a raggiungere la Toscana e dalla Toscana gli Stati Sardi. 
Di questa avventurosa fuga conosciamo la seconda parte, quella che inizia dal Mulino delle Cerbaie, nella Valle del Bisenzio e terminerà a Calamartina, sul mar Tirreno. Una marcia pericolosa che ripercorreremo cronologicamente: il 27 agosto, ore 23, Garibaldi, inseguito dalle truppe di quattro eserciti, dopo aver attraversato la Romagna e gran parte della Toscana, arriva alla Locanda della Burraia di Pomarance e qui trova ad attenderlo il vetturino Vittore Landi detto "zizzo", che lo conduce al Bagno a Morbo, con una lettera di presentazione di Antonio Martini di Prato. E' ricercato per condanna a morte dopo la dolorosa vicenda delle lotte scatenate a Roma in difesa della Repubblica Romana. Girolamo Martini, Ministro del Bagno, e sua moglie Ester Pallini, accolgono con simpatia Garibaldi e il capitano Leggero e riconoscendoli il Martini gli dice la frase rimasta famosa: "Coraggio Generale, tutto si rimedia !" Mentre i due fuggiaschi prendevano un pò di riposo, il Martini si consigliò con Michele Bicocchi di S.Ippolito e specialmente col dottor Camillo Serafini di S.Dalmazio, il quale si dichiarò subito pronto ad accoglierli nella sua casa, mettendo a repentaglio la propria vita. Il 28 agosto alle ore 9 della sera i due ricercati escono dal Bagno a Morbo e accompagnati dal Serafini si recano a S.Dalmazio, dove rimarranno per quattro giorni suoi ospiti. Ecco la descrizione che ne fa il dr. Angelo Guelfi, patriota, già capitano della guardia nazionale di Scarlino e vigilato dal governo granducale, che si trovava al Bagno a Morbo ospite della famiglia Bruscolini di Castelnuovo : "28 agosto, ore 9 pomeridiane. Uscirono i profughi inosservati dal Bagno a Morbo e accompagnati dal Martini raggiunsero il barroccino che era a breve distanza dalla casa sulla via pubblica, nel luogo ove da questa si stacca il piccolo braccio stradale del Morbo. Armati dal Serafini, sempre previdente, di fucili da caccia, salirono i due nel barroccino insieme a lui, che colla sua abituale velocità fece in breve tempo i pochi chilometri di strada provinciale e si fermò nel luogo detto Croce del Bulera. Quivi cessava la strada rotabile e lasciato il legno presso alcuni suoi parenti continuarono a piedi fino al paese. La strada principale del paesello era deserta e così poterono arrivare prima della mezzanotte inosservati alla casa del Serafini".  Nella casa di S.Dalmazio si studiò nei particolari il programma per farli giungere alla costa maremmana e farli salpare da Cala Martina per Porto Venere, nello Stato Sardo. Quando tutto fu disposto, anche nei minimi particolari, alle ore 21 del primo settembre Garibaldi, Leggero e Serafini si recano a piedi e silenziosi alla Croce della Pieve, presso l'Apparita, ove sono i cavalli già pronti. A trotto serrato prendono la strada di Castelnuovo ove arrivano nella notte. Qui, presso il vecchio camposanto, era ad attenderli Girolamo Martini il quale era partito in calesse dal Bagno al Morbo armato di due fucili a due canne e dicendo che andava in Maremma alla caccia delle quaglie. Garibaldi e Leggero salirono sul legno del Martini proseguendo nella fuga. Presa la strada Massetana il viaggio proseguì fino al podere Le Malenotti presso Massa Marittima, ove giunsero poco dopo la mezzanotte. Da qui, dopo essersi rifocillati e armati con l'aiuto di cittadini massetani, scarlinesi e follonichesi, tra i quali il patriota Guelfi di Scarlino, ripresero la strada  e alle ore  10 del 2 settembre 1849 salirono sulla barca all'uopo predisposta nei pressi di Cala Martina dal follonichese Giccamo e salparono diretti verso l'Isola d'Elba ove avevano un punto d'appoggio e poi verso la Liguria a Porto Venere nello Stato Sardo.

Di questa impresa nulla sapevamo, se non qualche rigo appreso dai testi scolastici, delle avventure e del tragitto di Garibaldi da Roma a Comacchio e successivamente dell’attraversamento degli Appennini fino a Mugello ed al Mulino delle Cerbaie.  Finalmente ho trovato da una libreria antiquaria di Libri e Stampe di Lucca, la  DARIS srl,  un interessantissimo volume stampato a Firenze nel 1942 da Marzocco, dedicato alla biografia di un eroico prete, Don Giovanni Verità, garibaldino. Il libro scritto da Piero Zama,  di 352 pagine con 16 illustrazioni ft.  era per oltre metà intonso ed in buone condizioni di conservazione, per la modica spesa di 20 € per l’acquisto. Don Giovanni Verità (Modigliana 1807-1885) aiutò moltissimi cospiratori combattenti per l’Unità d’Italia, recuperandoli grazie a finte battute di caccia nelle foreste intorno a Modigliana, divenuta punto di riferimento per i patrioti inseguiti dalle guardie del Papa, in quanto in zona di confine tra lo Stato Pontificio ed il Granducato di Toscana. Il sacerdote aiutò la fuga di Garibaldi e del suo luogotenente capitano Giovanni Battista Culiolo (soprannominato “Leggero”), inseguiti dagli austriaci. La notte del 21 agosto li incontrò sul Monte Trebbio e poi li nascose in casa propria a Modigliana fino a condurli oltre confine e consegnarli ad altri coraggiosi seguaci di Garibaldi in Toscana, che infine lo avrebbero  portato all’imbarco sul mar Tirreno. Dunque questo libro, si collega idealmente e cronologicamente all’altro del Guelfi che si intitola “Dal Mulino delle Cerbaie a Calamartina”, raccontando dal “vivo” una pagina di storia poco conosciuta che riesce ancora ad avvincere il nostro cuore e la nostra fantasia.

venerdì 13 gennaio 2017



Confraternita di Misericordia di Pomarance, 18 gennaio 2017.

Estratto dal DIARIO del Maestro Angelo Lessi, 1875-1889 (Prima parte).
Buonasera a tutti, due anni fa, in occasione della chiacchierata sulla storia dell’amore tra i bambini Guido e Filli, a Firenze, proprio nei giorni della fine del Granducato di Toscana, 27 aprile 1859, promisi di presentarvi un sunto di un documento singolare, un diario, che parla di Pomarance negli anni dal 1875 al 1900: il  Diario del maestro elementare Angelo Lessi. Ho utilizzato questo diario per una cronologia storica di Castelnuovo di Val di Cecina, dal 1859-1900, che ultimai nell’anno 2004 ed è ancora inedita. Diciamo pure che sono stato io, per primo, in tempi recenti, a conoscere il manoscritto del maestro Lessi, attraverso l’amicizia di un appassionato collezionista e storico della Val d’Era che me lo mostrò un giorno nel suo salotto a Capannoli, poco dopo averlo acquistato dall’antiquario Vallerini a Pisa. Compresi immediatamente l’importanza di questo diario di 474 pagine manoscritte del quale, probabilmente, il maestro Lessi redasse due copie. Infatti molti stralci apparvero sulla vecchia rivista La Comunità di Pomarance, a cura del dottor Edmondo Mazzinghi,  storico di grande valore, segno che esso ne era a conoscenza e aveva l’accesso ad una copia del diario. Ma tale copia, a quanto ne sappia io, non è stata mai trovata a Pomarance. Fu così che feci l’offerta di acquistare questo diario offrendo 500 €, anche perché non solo avrei potuto consultarlo a mio piacimento, ma lo avrei ceduto, per la stessa cifra, al Comune di Pomarance, trattandosi di un documento davvero eccezionale che non poteva mancare all’Archivio storico della vostra Comunità. Ma non ci fu niente da fare! E così, dopo averlo consultato in prestito per qualche settimana, esso ritornò al suo proprietario. Allora non avevo i mezzi informatici e nemmeno pensai a scannerizzare le 474 pagine, e nemmeno fotocopiarle data la fragilità della carta e della rilegatura, ma solo a ricopiare le notizie che riguardavano essenzialmente Castelnuovo, i De Larderel e quelle che mi parvero le più interessanti di Pomarance. Circa cento pagine.  Qualche anno fa, il compianto Elio Bozzi, mi chiese se avevo notizia di un suo lontano parente di San Dalmazio, una specie di genio matematico, il quale era stato scolaro del maestro Angelo Lessi! Gli detti l’indirizzo del proprietario, al quale egli si rivolse ottenendo in visione il manoscritto. Non ho mai più saputo cosa ci abbia trovato Elio, salvo un riferimento di un rigo, e nemmeno se il progetto di una pubblicazione sul “genio matematico” sia stata pubblicata, né se Elio l’abbia riprodotto, ma ho il sentore di si, non essendone però certo. 
Mi incontravo quattro o cinque volte all’anno con il possessore, al quale, ripetutamente riproposi l’offerta e un bel giorno egli mi disse che l’aveva venduto ad una persona (di cui non mi fornì il nominativo) per la bella cifra di 1000 €. D’altra parte io non avrei potuto concorrere, anche perché nessun interesse mi fu palesato dall’Amministrazione Comunale di Pomarance.
Il maestro Angelo Lessi arrivò a Pomarance il 16 marzo 1875, iniziando a scrivere quotidianamente il suo diario o, come lo chiamava, lo “scartafaccio”, terminandolo, dopo ben venticinque anni, il 10 febbraio 1900, quando lo trascrisse e lo rilegò per farne dono ai suoi benefattori: “Alla santa e venerata memoria della nobile e buona signora Teresa, consorte amatissima del nobile signore Cavalier Augusto Del Frate-Ferrini e figlia diletta del Cavalier Ghilli, socia benemerita della “Società del Buon Cuore”, in segno di rispetto e reverenza”. Il Lessi si dichiara come un semplice, fedele e veritiero cronista che narra i fatti come furono e come avvennero, senza aggiungere né commenti né giudizii, rifacendosi al suo illustre compaesano Marco Tabarrini, vantandosi di gettare un po’ di luce sul presente e sul passato di Pomarance, infatti, afferma, “che se nei tempi andati avessero fatto come ho fatto io, si potrebbero sapere tante e tante  cose di Pomarance antica che ci farebbero piacere”.
Leggerò adesso qualche annotazione dal famoso Diario, poche in verità, perché il tempo che occorrerebbe per scorrere le 474 pagine, ossia il condensato delle mie 100 pagine di trascrizione, e magari commentarle, sarebbe non di un’ora ma di parecchi giorni! Ritengo di dover suddividere la lettura in due serate, questa e un’altra che si potrà fare a tempo debito, magari nel corso dell’anno, fermandomi per la prima serata al periodo 1875-1889 e per la seconda al periodo 1890-1900, più le conclusioni.
Dunque il 16 marzo 1875 il maestro Lessi arriva a Pomarance e riceve una buona impressione del paese. L’indomani inizia a far lezione ai 19 alunni di 3^ e 4^ classe tra cui eravi Miro Caporali, futuro farmacista; Giovan Battista Busdraghi, futuro medico a Madrid; Dialma Mangini, futuro Impiegato postale. Scrive il Lessi: “…nei primi giorni non sentivo parlare altro che di una signorina morta nel più bel fiore degli anni e trasportata al cimitero in una giornata freddissima e la via era coperta di neve. Questo fiore di grazia e bellezza era la signorina Mariannina Ghilli, figlia del signor Giuseppe e della signora Guglielmina”. Così il Lessi inizia la scrittura manoscritta del suo diario che concluderà il 10 febbraio 1900 e del quale trascriveremo alcuni appunti:  “…nel mese di settembre 1874 fu aperto il concorso al posto di Maestro comunale Superiore, col lauto stipendio di lire 588 , in Pomarance. Io era allora in Collemezzano dal mio carissimo amico sig. Niccola Giusteschi, e tenevo aperta una scuola privata a Cecina. Nello stesso tempo andavo a far lezione al nipote di F.D. Guerrazzi, alle signore Barabino, alle signore Giusteschi, Lambardi ecc. Pensai di concorrere al posto vacante suddetto e il 22 dicembre 1874 il Consiglio Comunale di Pomarance mi approvò”. Da qui si diparte il diario giornaliero, che tanta parte dedica alla meteorologia (neve, freddo, acqua, grandine e tegole che volano; terremoti, fulmini, eclissi di sole e di luna, congiunzione dei pianeti), che ci fa capire in parte di come il clima della terra sia ad oggi , a 130 anni di distanza, cambiato con un aumento, se pur lieve, della temperatura media alle calotte polari e sull’intero pianeta. Si notano nel diario le descrizioni molto dettagliate delle opere teatrali date al Teatro inaugurato nel 1862 in Via Vittorio Emanuele  al n. 11 ; con i titoli, il numero degli spettatori e gli incassi; le processioni, i balli, sia al chiuso che sull’aia della Boldrona, gli alberi di natale nelle case signorili; le visite di illustri personalità ed anche i tanti suicidi, le disgrazie sul lavoro, i delitti, nonché le pose delle prime pietre ai grandi edifici di Pomarance, come il Campanile della Parrocchiale dell’architetto Bellincioni. Poi ci sono i nomi degli eletti nel Consiglio Comunale e tutti i risultati della varie elezioni politiche per la Camera dei Deputati. Molta attenzione viene dedicata alla famiglia De Larderel, della quale una delle residenze principali era quella di Pomarance, a quella di Michele Bicocchi, a quella del Re ed alle vicende delle guerre in Africa. Si può seguire anche il progresso tecnologico: il 1° gennaio 1877 fu inaugurato l’Ufficio Telegrafico con titolare Alberto Biondi e nel corso dell’anno furono spediti 788 telegrammi e 987 furono ricevuti ed il 1° maggio fu messo il parafulmini al Campanile dell’Orologio. Tra le disgrazie che fecero eco nel paese si rammentano: quella di Cherubino Mazzinghi che trovò la morte sotto la grande quercia di  San Ripoli, colpito dal fulmine.  Mentre nell’agosto 1878 il signor Emilio Bicocchi, insieme a Paolo Funaioli, andò a visitare l’EXPO Universale a Parigi e ritornò  il 22 settembre . Tra le tante morti (con i soprannomi) si ricorda quella del 27 gennaio 1879, morì quel Rossi detto Sandra, che era stato soldato al tempo di Napoleone ! Non mancano i litigi e le ribellioni, con intervento dei Carabinieri, come nel caso di Tommaso Funaioli, armaiolo, che nel febbraio 1879 si rivoltò ai carabinieri. Tra i tanti matrimoni delle persone più importanti ce nè uno anche “civile” quello di Giusto Mori, maniscalco. Anche se manca il nome della sposa! Grande partecipazione di popolo si verifica nelle processioni triennali di Gesù  con grandiosa illuminazione con lanterne e lumi, come a quella del venerdì santo l’11 aprile 1879, con 672 lanterne e 2860 lumini. Seguono le descrizioni delle serenate fatte dai musicanti sotto le finestre e i balconi delle famiglie nobili del paese, famosa rimane quella  di domenica 5 ottobre 1879 quando la Banda suonò per le vie del paese in onore di Emilio Bicocchi, promesso sposo della signorina Paolina Ghilli, dopo la quale fu suonata una serenata al senatore Tabarrini. Il 1 luglio 1879 viene trovato morto nel letto il povero Giovanni Sorbi e il Lessi così lo commenta: “E dire che ieri sera ci ragionai!...” Il 30 novembre 1879 Clemente Bernardeschi di Libbiano, che il 6 maggio tentò di avvelenare la famiglia Vigilanti, viene condannato ad 8 anni di galera.  Il nostro maestro gode di buona fama, tanto che dal 2 dicembre 1879 si reca in casa Tabarrini a insegnare l’ocarina alla signora Contessa Larderel, alle signorine Ghilli e alla signora Bicocchi. Il 1880 si apre con il matrimonio religioso, in casa della sposa, fra il signor Camillo Fabbrini di Volterra e la signorina Sofia Tabarrini, ed è seguito da un altro matrimonio importante, quello tra Emilio Bicocchi e Paolina Ghilli, per il quale il padre della sposa donò a tutti un panetto di pane! Gli sposi andarono a Follonica in viaggio di nozze alla Fattoria n. 1 e alle Saline presero il treno per conto loro. Tra le disgrazie sul lavoro si ricorda quella avvenuta alle 14,30 a Giovanni Danzini, muratore, che era su una scala a pioli che lavorava alla facciata dei RR Carabinieri in Piazza Cavour. Cadde e  morì sul colpo. Che strepito! commenta il Lessi. Nel settembre 1880 c’è un grande allarme in paese: presso il podere La Colombaia passa un cane arrabbiato che sarà ucciso il giorno seguente. Nel pomeriggio del 5 ottobre viene ritrovata la povera moglie di un tale, detto l’Orso, smarrita già da 16 giorni. La trovarono Beppe Righi, esattore, Nando Biondi ed altri. Fu subito arrestato il marito. Era semisepolta nel campo di Piuvico. L’anno 1880  si chiuderà con un’altra morte improvvisa. Così la racconta il Lessi: “la vigilia di Natale, alle ore 9 pomeridiane ero al caffè di Cecco Righi col quale feci due chiacchiere, e sua moglie tornata dalla messa di notte lo trovò a letto morto! Avanti e dopo la Messa pareva l’Inferno aperto, fra acqua e vento”. Il 25 gennaio 1881 nevica tutto il giorno e muore quel vecchio detto Ricotta.  Il 23 marzo 1881, siamo a mezza quaresima: “a Pomarance in questo giorno  c’è un uso poco bello e si chiama “Sega la vecchia”. Ecco in che cosa consiste. La servitù dei signori tirano dalla finestra mele, pere, fichi secchi, noci ecc. ecc.e i ragazzi a branchi a raccattarle, con grandi risse e confusione”. Per San Vittore, il 9 ottobre, si corse il Palio con tre cavalli e dopo con 3 ciuchi. In dicembre il nostro maestro và giurato alla Corte d’Assise di Pisa e ci rimarrà un mese e questo ci dimostra il suo valore. Il 1882 si apre con il corso mascherato di giorno: Carro con sbarco di Garibaldi a Marsala; Mulino a vento; Napoletani e una gran festa al teatro. Il 24 gennaio viene ucciso il cinghiale  proprio sotto l’antico Convento di San Michele. Il 16 maggio Onorato Pineschi arrivato colla posta delle Saline si suicidò tirandosi una revolverata all’orecchio. Nell’agosto impazzisce la moglie del maestro Checcucci e la portano al manicomio a Siena. Si inaugurano le vie: Vittorio Emanuele, Garibaldi e Piazza Cavour. Il 27 gennaio 1883 viene inaugurato l’Ufficio postale davanti la Chiesa nella casa di Edoardo Pellini. Il 22 febbraio si legge sul giornale La Gazzetta di Volterra che si è costituita a Pomarance una società con il titolo di BUON CUORE. Ha per scopo di soccorrere e visitare i soci ammalati, ed è riguardata da tutti gli onesti con occhio di simpatia, imperocchè il compito che si assume è veramente umanitario. L’anno nascente ha principiato per essa sotto buoni auspici, avendo il signor Enrico Genua elargito spontaneamente alla medesima la somma non indifferente di lire 100. Il 28 giugno viene messo il filo telegrafico tra Pomarance e Castelnuovo. Il 2 luglio viene aperta la Scuola Asilo Comunale, diretta da Zelinda Bocci. Il 27 luglio muore il signor Emilio Pracchi maestro di casa del conte de Larderel. Al funerale partecipa anche il Conte Florestano. Il 31 luglio vien fatta una serenata  con Banda al signor Mario Bardini perché ha messo mano all’edificio che dovrà servire per un Istituto Femminile a Pomarance. il 1° novembre viene inaugurata la Chiesa della Misericordia, restaurata e il giorno dopo desinare con vecchi poveri, dato dalla Società Buon Cuore. Il 20 novembre il maestro Lessi pubblica un articolo  sulla Gazzetta di Volterra, riportato nel Diario: “Il 16 novembre anche nella nostra terra, che dette i natali a Santucci, Cercignani, Roncalli, e Mascagni, si è costituita una Società col titolo “CLUB ALPINO di POMARANCE”. Si compone già di circa 60 soci, e il loro scopo principale è quello di ottenere lo sviluppo fisico dell’uomo e di acquisire cognizioni scientifiche, come rilevasi dai primi articoli del loro statuto. Quasi tutte le domeniche, preceduti dalla loro fanfara, vanno in campagna e là, all’aria aperta, eseguiscono gli esercizi militari e ginnastici, sotto la direzione del sergente Porri, loro capo squadra. Nella sartoria di di G. Busdraghi si lavora attivamente nell’ultimare le divise dei soci  per il 2 dicembre prossimo, giorno della inaugurazione della Bandiera sociale. In detto giorno i nostri bravi giovani anderanno a fare una passeggiata fino a Libbiano, frazione del nostro comune, distante da Pomarance 8627 metri. Per chi piacesse avere maggiori notizie dirò Libbiano resta a 43°16’57” di latitudine nord, e 1°38’89” di longitudine ovest (meridiano di Roma), e 469 metri sopra il livello del mare Tirreno, secondo le ultime operazioni dell’ingegnere geodetico Pompeo Amedei”. Nell’aprile del 1884 si manifesta una notevole epidemia di morbillo, mentre a Lustignano si chiudono le scuole causa il vaiolo. Il 9 novembre viene organizzata una grande maccheronata all’Asilo per aver ultimato la copertura del tetto. L’anno 1885 comincia  con la morte di Assunta Mugnaini, caffettiera, ma la buona notizia è che il fattorino postale consegnerà la posta anche in campagna. Con il caldo di giugno si va’ a fare il bagno nel fiume Cecina e il 25 vi affogherà il giovane Rocco, di 12 anni di età. In agosto si diffonde nel sud della Francia una grande epidemia di colera, che arriva anche in Italia, ma Pomarance rimane indenne. Il nostro maestro deve essere anche un buon camminatore perché il 15 agosto si reca a piedi a Belforte ed il giorno seguente ritorna a Pomarance! L’anno si chiude con la registrazione dell’aumento del prezzo dei sigari: da 8 a 10 centesimi l’uno! L’anno 1886 non fa registrare nulla di particolarmente interessante e per trovare una nota dobbiamo andare  al 29 marzo 1887! L’accademia di Beneficienza, attraverso i suoi dirigenti Augusto Fontanelli, Luigi Cercignani e Miro Caporali, rende noto che la manifestazione pro delle famiglie dei caduti gloriosamente in Africa e dei danneggiati dal terremoto nella Liguria, grazie alla signora Daria Busdraghi, e ai signori Riggio prof. Antonio, Baldisseri Alfonso e Fontanelli Ezio, i quali con squisita gentilezza si prestarono per l’opera filantropica, la serata riuscì brillante ed animatissima. Il pubblico entusiasmato all’intonar della Marcia Reale si alzò in piedi gridando: Evviva l’Esercito! Evviva i nostri Prodi! Bene declamò la signorina Busdraghi una poesia “Agli eroi di Dogali e Saati” scritta appositamente dal maestro Angelo Lessi. Il pofessor Riggio, essendo di passaggio fra noi, con destrezza e notevole abilità eseguì svariati giochi di prestigio. Merita elogi anche il signor Baldisseri, che con buona interpretazione declamò: Le ultime ore di Torquato Tasso del Prati. Il duetto del Pipelé cantato dalla signorina Busdraghi e dal signor Fontanelli fu bissato in mezzo agli applausi di tutti. I complimenti e la riconoscenza vanno anche al signor Raffaello Mugnaini che seppe con maestria, non comune in un dilettante, dirigere l’orchestra, molto bene intonata. L’incasso netto della serata fu di £. 189,59 inviate al Comitato Nazionale. Pochi giorni dopo, l’11 aprile, avviene UN MIRACOLO! La Baldeschi Marianna è andata in chiesa a braccetto con il dottor Ardeti. Suonava tutte le campane a distesa! Era vario tempo che era nel letto senza mangiare, e dice che le apparve la Madonna e la consigliò portarsi in Chiesa a scampanare. Invece non andò meglio al Visibelli che il 16 luglio si portò via il naso con una sega a vapore! A dicembre, infine, si registra un avvenimento insolito: a Pomarance si raccolgono le firme…per rendere Roma al Papa! Il 1888, il 3 febbraio, il dottor Arieti esegue una operazione cesarea ad una certa Baldeschi; tutto sembra andar bene, ma il martedì 8, la Baldeschi morirà. Il 19 febbraio il caffè di Paolo Pineschi in Piazza Larderel viene rilevato da Amabilio Baldini. Nel marzo, domenica 25, il maestro Lessi tiene un discorso alla Società del Buon Cuore per commemorare il socio Niccolucci soldato, morto in mare nel tornare da Massaua. Il 1° aprile è Pasqua: la posta va da oggi, per la prima volta, alla Stazione di Saline due volte al giorno. Il sei giugno nuova grande disgrazia: il muratore Buselli cade dalla volta del Teatro alle ore 11 e alle 17 era morto! Anche il sale rincara: e dal 20 luglio passa da 46 centesimo a 60 centesimi al chilo. Gli aumenti si susseguono e in agosto anche i ponci ed i caffè sono andati da 10 centesimi a 15! I pomarancini si rifanno col gioco del tamburello battendo  i bibbonesi che il 19 agosto vennero a giocare a Pomarance. A novembre, sabato 24, riapre il Teatro restaurato, con la “Fedora”. Il Lessi annota diligentemente la Storia del Teatro: “L’Accademia dei Coraggiosi vendè al Comune lo stabile in cui trovavasi il vecchio Teatro e ne fabbricò uno nuovo, su disegno del livornese Ferdinando Magagnini. Esso resta al principio del paese in via Vittorio Emanuele al n. 11  e fu inaugurato l’anno 1862. Mesi or sono la suddetta Accademia lo fece restaurare, ampliando la platea e facendo altre utilissime modificazioni, con disegno  del nostro compaesano signor Emilio Bicocchi, il quale ne curò eziandio l’esecuzione. La sala è assai più bella di prima per la sua elegante semplicità e per il buon gusto degli ornamenti. Sono belle le decorazioni con doratura e colorito e la verniciatura bianca ad imitazione di maiolica, lavoro del nostro artista Giovan Battista Sposimo; bellissimo il soffitto, dipinto dal livornese Giovanni Valli, ed eleganti i 44 palchetti distribuiti in tre ordini. La lumiera è stata tolta ed adottato un nuovo sistema di illuminazione, mediante 16 lumi Excelsior, sistema belga Luigi Sepulchre – della forza ciascuno di 63 candele – disposti all’ingiro delle file dei palchi. Il Teatro può contenere adesso da 550 a 600 spettatori, cioè 140 nelle panche della platea (compreso l’orchestra e i posti distinti), 160 in piedi nello spazio vuoto e 264 nei palchi.  La sera del 24 novembre ebbe luogo la inaugurazione del restauro con la Fedora, eseguita dalla Drammatica Compagnia diretta dal signor G. Angeloni. Appena apparve al suo palco il signor Emilio Bicocchi venne accolto con vivissimi applausi, mentre dagli altri palchetti cadevano in platea centinaia di cartellini di vario colore, su cui eravi scritto: “W l’Accademia dei Coraggiosi che a decoro e lustro di Pomarance votava unanime il restauro del Teatro” e “W il signor Emilio Bicocchi che il nostro Teatro modificò ed abbellì con intelligenza e gusto”.
  
Nel 1989 l’11 febbraio arrivano le prime suore all’Istituto Bardini che apre l’attività il 18 luglio. Il 29 marzo muore improvvisamente un bimbo (certo Boldrini) il quale dicesi avesse mangiato troppa frutta nel far “Sega la vecchia”! Mentre il mercoledì 23 ottobre è di nuovo sulla scena a recitare nello spettacolo”Fedora”, a beneficio della Società del Buon Cuore, la donna che aveva partorito domenica notte del 13 ottobre, dopo la rappresentazione alle stanze del Teatro della Compagnia Mazzanti, della quale ella faceva parte! L’anno si chiude con la posa in opera della Meridiana a Tempo Medio alla locanda Tosi dai padri Scolopi di Volterra. La giornata è però nuvolosa e piove. Il Lessi fa infine un riepilogo di quest’annata: Annata pessima, grasce pochissime; vino quasi nulla; e ne è venuto dalle Puglie e costa da £. 1,20 a  £.1,40 il fiasco; solamente quello napoletano costa £. 1. Olio £. 2,40 il fiasco; grano £. 15 e 16 il sacco, perché viene d’America. Si è avuto l’89!”

Fine della prima parte.