venerdì 31 agosto 2018


 La "sonda" al Dolmi 5.
 Le "aste di perforazione".
 Un antico "pozzo"geotermico perforato nel 1949.
 Elettrodotti.
 I "refrigeranti" della Centrale Larderello 3, un tempo la più potente del mondo.
 La Centrale geotermica Valle Secolo potenza 120 MW.

Un "vapordotto".

GEOTERMIA A LARDERELLO (TOSCANA)

Confesso il mio “peccato”: sono ancora  innamorato della “geotermia”. L’ho lasciata, dopo 40 anni di amore fedele, per l’agognata “pensione”, dalla quale avrei voluto divorziare dopo appena sei mesi , ma ciò non era ormai più possibile! Tuttavia continuo ad amare la “geotermia”. Essa non invecchia mai, anzi, muta continuamente il suo stato diventando più giovane e bella. Ed io ritorno e ritorno  ai bordi della “Fabbrica Amica”, percorro i tracciati dei vapordotti, osservo le armoniose strutture metalliche che sfidano il cielo, le alte torri dei refrigeranti (ormai monumenti) e le nuove armoniose forme impiantistiche che ben si inseriscono nella nostra natura selvaggia, come le nuove piazzole per gli impianti di perforazione del sottosuolo. Adesso c’è una “sonda” sul versante occidentale del monte Vado la Lepre, proprio nelle vicinanze del podere Carbonciolo, dove ho abitato bambino.  Molte volte, al calar della notte, salgo su quel monte, mettendomi in ascolto del rumore dello scalpello che penetra negli strati profondi della terra alla ricerca del prezioso “fluido geotermico”, immaginando il sapiente lavoro umano alla ricerca di una fonte energetica “rinnovabile”, ed allo stesso tempo, sperimentando sempre nuove tecnologie. La grande piattaforma è tutta illuminata e la sua straordinaria bellezza si espande nella nera notte, tra i monti e le valli, fino al mare.

Certo, non vedo le onde invisibili che collegano i moderni computer, i telecomandi delle centrali, delle valvole dei pozzi geotermici, e nemmeno i sistemi  di telecomunicazione fra le persone…Soffro tuttavia perchè la nostra “ricchezza”  se ne va’ attraverso i fili scavalcando valli e monti, portando luce, benessere, lavoro e bellezza in città lontane. Perché da noi, nel  più antico Centro Geotermico del Mondo, molte cose restano da fare: strade decenti, ponti non pericolanti, disinquinamento di fiumi e torrenti,  sistemazioni urbanistiche e cura dei territori di tutte le antiche “fabbriche”, eliminazione di gas nocivi dall’atmosfera, ed in più, fin dove  sarà possibile,offrire un adeguato ricambio generazionale, per aumentare o almeno mantenere  sostenibili livelli di occupazione dando speranze al  futuro delle nuove generazioni.  Vergogna ai “politicanti” che sostengono interessi ristretti ed egoistici di poche persone ed impauriscono i cittadini con strumentali  “paure per la geotermia”, magari per riguadagnarsi un ambito “seggio” in qualche consesso politico e amministrativo, anteponendo ii proprio tornaconto personale agli interessi più generali dei territorio e delle loro popolazioni, proponendo MORATORIE che altro non farebbero, se sciaguratamente diventassero maggioritarie, che impoverire definitivamente i nostri territori, la nostra Toscana e l’Italia intera!

venerdì 24 agosto 2018


Primavera di Praga [i]

La primavera apre i seni
al timido sole che sbianca
le assorte statue e lancia
banderuole di galli nel cielo
                        turchese;
dolci musiche scendono dai vicoli,
i fiori colmano i cortili
dove gemono amanti segreti.

Magia del tempo che serra
ambiguo la vita degli uomini
speranze accende,
risveglia desideri
sboccia l’amore negli occhi
sognanti,
alza le brume sulle stelle
di Praga.

La mano nella mano – il passato
ritorna come l’acqua fluente
uguale e diversa
sotto gli archi di pietra –

“Blazena dalle morbide carni,
dalla lingua di miele,
le cosce calde dove freme
la voglia d’ amare
e il profumo s’espande”;

vanno insieme le coppie,
silenziose,  nella notte
di Praga.

I panzer dagli occhi d’oriente
sul viso bambino
rossi segni e bandiere e sgomento
rotolano all’improvviso
sul cuore degli uomini: un’attesa
possente e muta suona
il gong del futuro spezzato;
nulla sarà più uguale
né vita, né amore, né morte,
dolore, ideali; né pianto, né riso.

Il vento, instancabile e mite,
porta semi d’oblio nei nidi
vuoti, una, cento, mille
sorgeranno stagioni,
l’indifferenza colmerà
                        i pensieri;

lontana balugina ai vetri,
come un merletto di gelo,
                        l’alba di Praga;

tristi ci diamo l’addio,
confusi, senza parole,
malandrini con le mani nel sacco
sorpresi a rubare la speranza.



[i] La poesia si ispira ai giorni della “primavera di Praga” del 1968 e all’occupazione militare della Cecoslovacchia da parte dei paesi del Patto di Varsavia nell’agosto di quell’anno.


lunedì 20 agosto 2018



CLAUDIO BRUNI , Pittore.
Una bella Mostra a Montegemoli.

Ieri 19 agosto 2018, ore 17,30, è stata inaugurata una bella Mostra del pittore castelnuovino Claudio Bruni a  Montegemoli, piccolo borgo nel Comune di Pomarance, nel quale, tuttavia, una Associazione Pro Loco, attivissima da molti anni, organizza in occasione della Festa patronale di San Bartolomeo (24 agosto) interessanti eventi, anche se,  forse, l’impegno maggiore viene posto nell’organizzazione della Mostra Diffusa nel Borgo e nelle Campagne vicine di presepi artigianali. Montegemoli, è noto non solo per la sua splendida chiesa eretta nel 1133, contenente la tavola del pittore volterrano Francesco di Neri Giuntarini, databile al 1360, per le osterie e ristoranti e per le splendide ville con giardino di nobili proprietari terrieri, ma anche perché, secondo documentazione storica,  e  gli scritti di Franco Porretti e di don Mario Bocci (per anni, fino alla sua morte, Archivista della Diocesi di Volterra),  da Montegemoli  proviene Bella degli Abati, sposa di Alighiero degli Alighieri, volterrano e ghibellino, il quale, per sottrarsi alle ritorsioni dei guelfi, visse a Montegemoli. Da Bella ed Alighiero nacque a Montegemoli, nel 1265, Dante Alighieri. Bella morì quando il figlioletto Dante aveva appena cinque anni di età e dopo poco Alighiero riprese in moglie Lapa del Cialuffi di Montecoloreto, trasferendosi a Firenze. Don Bocci ha scritto che Dante fu battezzato proprio nella chiesa di San Bartolomeo.
E’ dunque in questo piccolo Borgo appartato, ma testimone di storie illustri e di tradizioni, ricco di opere d’arte, che CLAUDIO BRUNI ha inaugurato la sua mostra, un pittore “moderno” dalla esplosiva tavolozza policroma, a stupire, ancora una volta con la magia delle sue visioni i numerosi visitatori.

sabato 18 agosto 2018





DAVID LAZZARETTI, IL “PROFETA DELL’AMIATA”. 140° ANNIVERSARIO DELLA SUA MORTE 

         David Lazzaretti (1834-18 agosto 1878) ha dato vita ad una forma religiosa, dentro il Cristianesimo, denominata “Giurisdavidica”, ossia del diritto di Davide. Dopo la sua morte (18 agosto 1878), per mano dei gendarmi regi, il suo culto si diffuse dal Monte Amiata ai territori circonvicini, con l’erezione di chiese e oratori e, addirittura, conobbe notorietà in Italia ed in Francia. Questo culto fu aspramente combattuto, sia dallo Stato Regio che dalla Chiesa Cattolica ed oggi è praticamente scomparso. Vive invece nella tradizione popolare e, a poco a poco, nella “sua leggenda”. Sono salito anch’io, due o tre volte,  sul Monte Labbro, all’Eremo ed alla grotta dove si compivano i riti.
         La sua comunità, sembrò assumere i caratteri di un socialismo mistico e utopistico: egli prese le difese della Comune di Parigi e raccolse consensi anche da figure che, nella Chiesa, avevano posizioni sociali favorevoli ai ceti più deboli e diseredati, come San Giovanni Bosco, che lo ospitò e lo sostenne.
         I resti dell'eremo, della torre e della grotta di David Lazzaretti sorgono sulla sommità del Monte Labbro (1193 slm), nel versante sud-occidentale del monte Amiata. Questi rudimentali edifici furono costruiti tra il 1869 ed il 1875 e costituirono il centro della comunità giurisdavidica.
         David Lazzaretti, conosciuto anche come “il Profeta dell'Amiata”, era nato ad Arcidosso il 6 novembre 1834 da una famiglia di contadini. Uomo di grande carisma, predicava temi religiosi e sociali, facendo numerosi seguaci, soprattutto tra i contadini della zona del Monte Amiata.
         La vita di David Lazzaretti si concluse tragicamente il 18 agosto 1878, quando venne colpito a morte da un gruppo di militari all'ingresso del borgo di Arcidosso, mentre era alla testa di un'imponente e pacifica processione di oltre tremila persone.
            L'interesse verso questa figura affascinante e misteriosa non si è tuttavia spento, ed il Centro Studi David Lazzaretti, ad Arcidosso, raccoglie molto materiale per chi intenda approfondire l'argomento. La bibliografia di riferimento è imponente, sia cartacea che sul web. Ma, soprattutto, resta l’aria di misticismo salendo sul Monte Labbro, al calar della notte.

venerdì 17 agosto 2018









MENSANO, I SUOI PANORAMI, LA PIEVE E UN LIBRO DI NOSTALGIA

Tra gli anni 1995-1997, come “guida ad una giovane laureanda che si accingeva a scrivere una Tesi di Laurea, alla Facoltà di Lettere e Filosofia  di Pisa, dal titolo: “Le Pievi della Diocesi Medievale di Volterra comprese nella zona delle Colline Metallifere, dalla foce del fiume Cecina alle alte valli dell’Elsa, dell’Era e della Merse”, percorremmo quasi tutto il vasto territorio che racchiudeva 26 Pievi matrici, nel periodo tardo duecentesco (1179), delle circa 53 di tutta la Diocesi di quel tempo.
Non tutte queste Pievi sono sopravvissute fino ad oggi, e in alcuni casi  non è rimasto di loro nemmeno un riferimento toponomastico. Di alcune di queste Pievi, o dei loro resti sepolti nella boscaglia, o trasformate in edifici con destinazioni non sacri, ho serbato la memoria, sia per la bellezza dei luoghi, sia per gli avventurosi sopralluoghi.
Di fronte alla finestra della terrazza della mia casa, mentre scrivo questo post sul blog GRAZIEALLAVITA, si staglia il profilo del colle di Mensano, in territorio della Valdelsa senese, sul quale sono visibili l’abside ed il campanile della Pieve di San Giovanni Battista Decollato.

La Pieve, fondata forse nel 972, passò sotto Colle di Val d’Elsa, il 5 giugno 1592 a seguito di un Diploma del Papa Clemente VIII, che provocò il primo smembramento dalla vasta Diocesi di Volterrra.

Nella Pieve, divisa in tre navate, si ergono otto colonne sormontate da altrettanti capitelli scolpiti in pietra serena. Tali capitelli sono stati attribuiti al “Maestro Buonamico”, scultore pisano del XII secolo. La lastra di marmo giallo che testimonia tale attribuzione, reca incisa in caratteri gotici “AGLA, Opus quod videtis Bonus Amicus Magister fecit. Pro eo oretis”. Cioè:”A lode e gloria dell’Altissimo. L’opera che vedete il Maestro Buonamico fece. Per lui pregate”.

I quattordici capitelli della Pieve, otto delle colonne e sei dei pilastri, sono stati approfonditamente studiati, negli anni ’20 del Novecento, dal parroco di Mensano, don Senesi, che ne dette una completa descrizione simbolica, seguendo passi biblici.

Così, domenica 15 agosto, alle ore 18 sono andato con mia moglie, in visita a Mensano: ma la Pieve era serrata. Ci ritornerò, tuttavia la gita è stata molto interessante per la visita accurata del Borgo, delle sue viuzze, le strutture ogivali, la via etrusca, nonché gli immensi panorami osservati dalla sommità del suo poggio, che spaziano in un  semicerchio, da sud a nord, fino ad uno spicchio di mare.

Infine, nell’unico Circolo Bar, ho potuto sfogliare e fotografare un libro di immagini dedicato ad un Primo Maggio a Mensano, quando nel Borgo non c’erano turisti e villeggianti, ma “mensanesi” o “mensanini” e la maggior parte di loro erano “comunisti”. Sfogliando il libro ecco alcune facce note, e tra loro quella di Bruno Bellini e di sua moglie, lui castelnuovino, e adesso colligaino, che avevo incontrato, dopo moltissimi anni che non lo vedevo, pochi giorni fa al funerale del comune amico Franco Vivarelli!

venerdì 10 agosto 2018



MACHADO.

Oggi tre avvenimenti: i funerali di un caro amico d’infanzia, la notizia della morte di un grande artista volterrano (che non ho mai conosciuto di persona) e l’invito di Antonella a segnalare un libro cult: parto dall’immagine del libro e da una pagina dello stesso nella quale Juan De Mairena parla ai suoi allievi: “…della morte, signori, discuteremo poco. Siete troppo giovani… Tuttavia, non sarà superfluo che cominciate a prestarvi attenzione come fenomeno ricorrente e, a quanto pare, naturale, e che recitiate a memoria l’immortale esametro di Omero, che, detto in volgare recita: “Come è la stirpe delle foglie, così quella degli uomini”. Qui Omero parla della morte come un grande epico la vede stando fuori dal grande bosco umano. Pensate che un giorno ognuno di voi la vedrà dall’interno, e in qualità di foglia. E per ora basta così.
Alcuni discepoli di Mairena impararono a memoria il verso omerico; altri anche la traduzione; non mancò chi ne fece l’analisi grammaticale e ne propose una versione più precisa o più elegante di quella del maestro, né chi, prendendo l’esametro per le foglie, cantò l’albero verde, poi spoglio, infine di nuovo verde. Nessuno sembrava ricordare il commento di Mairena al verso omerico; ancora meno, il monito finale. Mairena non volle insistere. La morte – pensava lui – non è tema adatto ai giovani, i quali vivono proiettati verso il futuro e si immaginano indefinitamente vivi al di là del momento in cui vivono, saltando a piè pari il grande precipizio a cui pensiamo noi vecchi.

mercoledì 8 agosto 2018







MOSTRA MALACOLOGICA (CONCHIGLIE MARINE) DI ASSUERO GUIDI
PIAZZA MATTEOTTI (EX CINEMA TIRRENO, PIANO 1°)
A CASTELNUOVO DI VAL DI CECINA

Il Comune di Castelnuovo di Val di Cecina (PI) è lo sponsor della MERAVIGLIOSA e inconsueta Mostra di ASSUERO GUIDI (livornese doc e castelnuovino di adozione). Assuero è nato a Livorno, città di mare, nel 1937 e ha iniziato ad interessarsi alle conchiglie mediterranee fin dal primo dopoguerra, quando si recava a “far arselle”, trovando così le prime conchiglie che portava a casa colpito dalla loro bellezza. Lavorando fin da ragazzo sul porto ebbe l’opportunità di raccogliere molte conchiglie che venivano gettate nella spazzatura della pulizia della stiva delle navi.  Assuero racconta che una volta vide in camera di una zia due conchiglie esotiche portate da un loro parente navigatore e da allora si appassionò a collezionare le conchiglie in modo razionale iniziando la ricerca lungo le coste del mar Tirreno a nord di Livorno, fino in Liguria e mettendo  a poco a poco in piedi una collezione specializzata, che attualmente supera gli 8000  esemplari di conchiglie provenienti dai mari di tutto il mondo. Gli esemplari in mostra sono perfetti. Parte della collezione è esposta  in 10 teche di cristallo infrangibile, ed ogni esemplare ha il suo “cartellino d’identità” che rivela esistenza e famiglia. Si possono ammirare esemplari stupendi delle famiglie delle Cypraee, Conus, Strombus, Mures, Venus e gli Sponduis. Naturalmente la raccolta e’ ancora in “divenire” grazie alla passione ed alla scienza di Assuero Guidi che sarà lieto di ricevere e parlare con i visitatori.
La Mostra e’ aperta dal giorno 8 agosto al giorno 20 agosto 2018 dalle ore 10-12 e dalle ore 16-19.   

martedì 7 agosto 2018


Appendice a “Passioni, speranze, illusioni…”

 Comunicazione importante.

Con oggi termino l’inserimento degli scritti di “Passioni, speranze, illusioni…”, cioè delle vicende relative alla storia della grande “fabbrica” di Larderello (Pisa, Toscana, Italia) negli anni 1972-1985, il periodo che mi vide tra i protagonisti sindacali, da quando cioè fui eletto nella Segreteria della Fidae/Cgil (1972) a quando, eletto nel Consiglio Comunale di Castelnuovo di Val di Cecina (1985), rassegnai le dimissioni dagli incarichi sindacali per incompatibilità con cariche elettive amministrative. A chiusura posto sul blog alcune delle poesie relative alla Fabbrica Amica, nel ricordo dei meravigliosi compagni, maestri ed amici che mi guidarono in questi anni pieni di entusiasmo e di passione, ringraziando gli sconosciuti lettori che qualche volta si sono soffermati sul mio blog personale.

Lettera dei compagni della Segreteria Fnle-Cgil di Larderello (12 giugno 1985)

         Caro Carlo, come già sai, il nostro Comitato Direttivo di Larderello ha preso atto, seppure a malincuore, della tua precisa  volontà di dimetterti, a conseguenza del gravoso impegno assunto di recente nell’ambito della Amministrazione Comunale di Castelnuovo V.C. dopo le recenti elezioni del 12 maggio 1985.

         Non ti nascondiamo il nostro forte dispiacere, certamente condiviso dagli altri compagni, di dover rinunciare al tuo insostituibile contributo alle nostre discussioni del Comitato Direttivo, o alla Segreteria, o alla creazione del “giornalino”, o così via, che ha rappresentato, per noi dell’attuale generazione, una ferma garanzia di guida politica e di tranquillità operativa, anche dopo che hai lasciato la carica di Segretario Responsabile.

         Ora più che mai possiamo apprezzare la traccia indelebile che lasci con anni di impegno disinteressato (contributo non secondario alla crescita, in tutti i sensi, della nostra organizzazione), grazie anche alla tua fantasia, alla tua forte carica ideale e umana e ai rapporti di sincera amicizia (ai quali tieni molto e teniamo molto) che hai contribuito enormemente a creare fra i compagni e, spesso, fra le stesse nostre famiglie. Rapporti che, ovviamente, non mutano con il mutare delle circostanze.

         Questa nostra lettera non vuole essere un commiato, poiché non dubitiamo che muovendosi il tuo nuovo impegno nella stessa direzione ideale, ci ritroveremo spesso a fianco nelle lotte e sui problemi comuni. Essa va invece interpretata come un tentativo, modesto e certamente inadeguato, di fugare ogni eventuale, probabile, sensazione di indifferenza verso certi avvenimenti, la cui importanza è spesso sopraffatta dal rapido evolversi dei fatti che non lascia spazio alla riflessione.

         Siamo certi che quanto non siamo stati capaci di scrivere, saprai leggerlo ugualmente nell’animo di ognuno di noi: perciò non ci dilunghiamo oltre, anche per non sembrare patetici. Concludiamo quindi con un ringraziamento sincero per il ricco patrimonio che hai lasciato a noi ed alla nostra Organizzazione (ed a tutti i lavoratori di Larderello e della Zona), pregandoti di voler gradire il nostro fraterno saluto.
                                                                                                                                     Pacini Graziano.

Risposta ai compagni della Segreteria e del Comitato direttivo della Fnle-Cgil di Larderello (29 giugno 1985)


         Caro Graziano,cari compagni, volevo uscire dal Comitato Direttivo alla chetichella, senza commiati, elogi e auguri, ma voi mi avete scritto una lettera bellissima – che conserverò tra le cose più care – alla quale mi sento obbligato di rispondere. 

Tuttavia la risposta più significativa si può trovare nella poesia dedicata a tutti i compagni – “Per un amore inaspettato e forte” – e pubblicata sul nostro “giornalino”, la quale, benché riferita ad una donna, esprime bene anche i miei sentimenti verso il sindacato e verso tutti voi.

Rimettendo a posto le mie carte, articoli, relazioni, lettere...di questi dodici-quindici anni di attività sindacale ho ripercorso mentalmente i fatti più significativi della mia militanza cercando di cogliervi il senso più vero e caratterizzante: stare nel sindacato ha significato per me, essenzialmente, rendere un servizio ai lavoratori, ricevere una gratificazione culturale, fare gli interessi più generali della nostra Zona e della sua gente.

Ho cercato le intese con gli altri, ho rinunciato talvolta allo spirito di bandiera, ho immaginato possibile una convergenza di interessi di fondo tra l’Azienda e il sindacato, mi sono sforzato di guardare lontano, oltre il contingente e la routine giornaliera, per capire e governare i processi di trasformazione e il nuovo che avanzava tumultuosamente.

E l’altro aspetto, non meno importante, è stato il desiderio di elevazione culturale che si è tramutato nel dare alla nostra “informativa” e ai contatti personali non solo il tratto – talvolta necessariamente arido e in codice – delle tematiche sindacali, ma quello più ampio e ricco dei sentimenti e dei sogni degli uomini.

Da oltre trent’anni in questa “fabbrica amica” serbo ben viva la memoria del processo di crescita fatto dalla Cgil, delle lotte, dei successi che sempre nuove e capaci generazioni gli hanno assicurato. E che ancora gli assicureranno perché i giovani sono ansiosi di perfezione e sotto una scorza apparentemente cinica o distratta, pulsano forti ideali che tendono al bene, al nuovo, al progresso e all’unità dei lavoratori. Col nostro lavoro intelligente bisogna scoprirli e valorizzarli.

Adesso sono passato anch’io al “governo” di una piccola Comunità, per me la più amata perché vi affondo le mie radici, e ciò un po’ mi spaventa ed un po’ mi esalta. Io spero, in compiti istituzionali nuovi e diversi, di non deludere mai chi in me ripose fiducia, né chi, e siete tutti voi, mi ha insegnato ad essere un uomo che crede e lotta per una società più giusta, solidale, partecipata. Dunque non devo ricevere grazie, ma devo ringraziare, perché quello che ho ricevuto dal sindacato (e non da una sigla, ma dagli uomini in carne ed ossa di Larderello, della Zona, di Pisa e di Firenze, che ci sono dentro), è stato immensamente più grande e importante di quanto dato. E, per usare una frase ad effetto, ciò rappresenta uno dei significati più profondi della mia vita.

Lettera a Cesare, Amerigo, Enzo…, 12 maggio 1988[1]

Cari compagni,
poiché avete dimostrato un benevolo apprezzamento di ciò che sono andato scrivendo sul nostro “giornalino” sindacale, penso di farvi cosa gradita - mantenendo fede ad una promessa! – nel caso che un numero vi fosse sfuggito, inviandovi alcuni testi delle poesie che compongono il fascicoletto inedito “Fabbrica amica”.
        
         Le poesie hanno al centro me stesso e ciò è ricorrente fin dal “dolce stil novo”; il problema rimane sempre il come far diventare – e, quindi, vivere – la banalità, la quotidianità, l’intimo, su una scala più ampia e comprensibile (partecipata), nei sentimenti di altri uomini.

         Io sono consapevole che la mia poesia è come un filo di palero in una prateria immensa, dove crescono e sbocciano incessantemente erbe e fiori meravigliosi; non sogno né gloria e nemmeno quella modesta presenza editoriale pagata generalmente di tasca  propria dalla moltitudine poeticante di oggi (epoca che vede un boom della poesia, che rivela il bisogno, tanto più che cresce la presenza tecnologica, di riappropriamento dei sentimenti), la mia poesia nasce da una forza interna e guarda essenzialmente alla mia anima, io sono “padrone e donno”, mentre la parola, nel tempo che inesorabile scorre, resta specchio e sogno, paura e speranza.
        
         La parola, questo magico incantesimo, io penso resti comunque il segno – pur in uno spazio e in un tempo definiti – di una presenza comune che ha teso all’immortalità. Accogliete dunque, in questo spirito, la fragile essenza dei miei ricordi e pensieri, sperando che essa non deluda ciò che vi aspettate da me.


Undici poesie, 1987

La memoria, madre della poesia, si volge nei miei più recenti scritti a un tema fondamentale della vita moderna: il rapporto con la Fabbrica, con il mondo del lavoro e con i personaggi, le situazioni, gli ambienti di quel microcosmo così diverso da quello infantile e del “villaggio materno”, eppure altrettanto determinante nella crescita umana, sociale e creativa. Non più le lacerazioni struggenti e l’abbandono delle persone amate, il vagheggiamento delle amicizie impossibili, gli amori-non amori nell’irreale spazio del Borgo natio, ma il consapevole farsi uomini, le lotte, le speranze, i ricordi dei compagni, degli incontri che hanno dato un senso più profondo all’esistenza. Mentre intorno par che tutti cambi e si trasformi rapidamente, solo apparentemente distolto da futili e quotidiane incombenze, ed anche da contatti sempre più superficiali e apatici, ho avvertito l’esigenza di fissare immagini a rischio soggette a cancellazione per quel “segno”, quella testimonianza di vita vissuta, quella forza che rifiutando il nulla guarda ancora con tenerezza e benevolenza alle vicende degli uomini mentre par che le rifiuti.                                                                                                     
                                                                 

Fabbrica amica

Fabbrica amica! Quanta fatica
mi sei costata in questi quasi quarant’anni
d’odio e d’amore.
Quanti sogni spezzati, vane illusioni,
muto dolore!
E quanta gioia inattesa
per incontri, pensieri, parole
dolcissime e vere;
per compagni forti e pazienti
che mi hanno guidato fuori
da tremende bufere.
A tutti voglio aprire il mio cuore,
ai vivi e ai morti,
con parole leggere come aquiloni
perché libere si cullino nel vento.

Al sismografo

Sulla carta affumicata
la penna registrava
della terra il pulsare
lontano e profondo:
montagne, abissi, vulcani
dell’ignoto mondo
aspettavo nell’onda sinuosa.
Fuori il sole giocava
su rose purpuree,
più tardi sorgeva la luna
e il vento del Nord
avvolgeva l’orto
in una trama di gelo.
Così m’é rimasta
quell’ansia antica
di scrutare oltre il visibile
e noto
dentro le cose,
per comprendere il nuovo
che multiforme sboccia.          

Alba di lotta

Venivano presto i crumiri
perché avevano vergogna e paura
                                        di noi.
Le sigarette ai vetri
- nel timido buio
che si scioglieva nell’alba –
brillavano come ferite.

La strada del Poggione

Strada di casa, strada rossa,
strada di polvere e sudore
tra lagoni e vasche fumanti,
officine dai lampi azzurri e tonanti,
e uomini come Dei
venire incontro alla sera.
Strada delle ombre invitanti
nel breve tempo d’estate,
strada proletaria che salivi
ai sogni perduti.

Scornello
                         A Lando Cellai

Era un mite autunno e noi s’andava
sulle crete di Scornello
discutendo di antichi mari e lagune,
foreste immense, potenti vulcani
e di quella dolce stagione
e di noi, dei nostri amori
romantici e vani. Ora la fila
dei cipressi e la strada bianca
che sale dalle vecchie moje
alla collina, mi stringe, nel vederla
il cuore. Di noi non rimarrà
nemmeno l’esile guscio della conchiglia
che la pioggia ha spezzato
e al sole brilla
nell’ultimo bagliore.

Scuola Aziendale

Volevo imparare i segreti del mondo
e i sogni dei poeti.
Prima dell’alba mi alzavo
e i merli volavano nell’orto
tra meli e ciliegi. Poi il sole
accarezzava di Raspino i legni antichi
e già s’udivano le donne
nelle piccole stanze
                 ridere felici.
Giornate immense, uomini grandi,
parole come leggi scritte col sangue
e Saba e Neruda mi tenevan per
                                               mano.
Sembravano gli astri essere immoti,
ferma la ruota del tempo,
senza male e tormento la vita,
puro l’amore, infinito il desiderio
negli occhi bambini.
Ora son morti tutti i professori
della Scuola Aziendale,
ce ne andiamo in pensione anche noi
uno ad uno e sembra incredibile
abbandonare per sempre la terra
come semi bruciati dal vento.

La “ringhiera”

Era una casa ottocentesca
come se ne vedono ancora
nei sobborghi operai di città inglesi,
il privato inesistente
con le pareti sottili,
i nidi sui ballatoi,
gli arnesi riposti con cura
e le ragazze sempre qualcuna
ti sorrideva con gli occhi
e la veste fiorita:
proprio come fa in principio
all’uomo la vita!
Ma più amavo
la piccola bottega
odorante di zucchero e inchiostro
aperta su Piazza Leopolda
che offriva all’insaputa
di capi e guardiani
le dolci speranze
del nostro domani!
Dove sorgeva c’è ora un parcheggio
per autovetture
e nessuno pensa
che potevamo benissimo farne a meno:
ma il peggio non è ancora venuto.

C’era la neve

In gennaio fiorì il ciliegio
                              stento,
poi venne il vento freddo
e una gran neve
coprì la terra.
Si scavaron sentieri
fino ai gabbioni dei conigli,
nella casa di legno
si stava tutti insieme
intorno al fuoco
mangiando castagne,
genitori e figli.
Fu l’ultimo dolce assedio
della vita felice,
prima della guerra
d’ogni giorno
nella fabbrica amica,
quando il tormento del tempo
perduto
ci colmò in segreto
l’anima smarrita.

L’anno dell’Ungheria

Ora è meno avara
la mano dei padroni
più accattivante il sorriso
degli aguzzini.
Ma quella lotta dura,
quand’eravamo braccati
noi l’abbiamo fatta
compagni
perché vincesse l’amore
perché nella fabbrica muta
s’udisse di nuovo la voce
della speranza!

La tabella

C’è stata fino agli anni sessanta
alla porta della Direzione
la tabella di legno marrone
dove ogni giorno venivano
segnati i cattivi operai,
quelli che non rispettavano
il padrone.
Bastava una parola più ardita,
un lieve ritardo al mattino,
una fiducia tradita
per vedere il tuo nome
tra i compagni puniti, talvolta
senza saper perché e come.
Ora so’ che era un onore
- allora avevo paura -
venir messi in tabella,
aver dura la vita
pagar gabella al sistema
per non chinar la testa
di fronte a guardie e ruffiani,
spie e democristiani.
Sempre le vittime
costruiscono il futuro.

Omnia munda mundis

Fu per una mostra di acqueforti
e guazzi di Tavernari
uno scandalo grande,
il prete tuonò rimproveri aspri
per membra e torsi
senza veli e mutande.
Laura mi scrisse una lettera
amica, questa la realtà, questa
la fatica;
tutto è puro per i puri di cuore
e noi abbiamo purezza,
intelligenza, amore.
Si, lo sapevo e tuttavia
un poco mi dolevo d’aver turbato
                                   i pensieri,
scatenato desideri repressi
di gente innocente.
Era di maggio e nella chiesa antica
il canto dolce e forte
saliva alla Madonna
oltre il corrotto mondo
e la morte.
Così fu scoperto il passaggio
segreto tra l’ufficio-museo
e il Tempio austero
dove fanciulle in fiore
- a Dio piacendo –
vendevano l’onore al padrone
                                 gaudente.
Nella sera viola
il nostro riso
si mischiava al canto,
sul sagrato di Piazza Leopolda,
di Ser Cepparello, impavido impudente!



[1] Di queste diciannove poesie della raccolta “Fabbrica amica” ne stampo di seguito undici. Di alcune ne parlai con Cesare Salvagnini in un meraviglioso e casuale incontro a Firenze, poco prima della sua immatura morte, come accenno nell’articolo “Caro Cesare…le rose di Spagna, l’anno dell’Ungheria”, che esposi al Centro Studi della FIDAE/CGIL dell’Iimpruneta, nel Convegno-commemorazione a Lui dedicato.