martedì 21 febbraio 2012


Con le mani ricolme di fragili sogni…[i]

In un giorno gravido di pioggia e di sottile malinconia, la prima per disposizione del cielo, la seconda per le personali considerazioni sulle vicende degli uomini, la voce dell’amico Piero, che non udivo più da molte stagioni, ma che non avevo dimenticato, mi ha riportato indietro in un tempo più luminoso e pieno di passioni. Un tempo di lotte e di ideali, di slanci solidaristici e di laboriosa creatività. La politica si viveva ancora dentro le “sezioni”, negli incontri tra uomini e donne, le idee maturavano e prendevano corpo nelle nostre menti e nei nostri cuori senza il plagio totale dei mass media. Sono passati quasi trent’anni! Anche la poesia illuminava quei giorni dorati, si faceva arma e scudo contro la banalità e la trivialità, contro la violenza. Talvolta, facendosi essa stessa violenza, era la violenza dell’amore e non dell’odio. Già allora scrivevo poesie. Son tutte più o meno inedite e per un tempo lunghissimo esse si sono accumulate nel mio cuore con lieve peso, come di polvere impalpabile e antica. Non so cosa ne farò, alla fine. Chi scrive di poesia e non è narcisista, e chi persevera così a lungo, fino a trasformare questo esercizio in una “ragione di vita”, è senz’altro meritevole di attenzione: un’attenzione come accade di provare imbattendoci in un albero grande che innumerevoli “tagli del bosco” hanno risparmiato nella selva lussureggiante, ma, ahimè, novella! E questo è anche il limite, la reticenza, dello svelarmi. Tutto o niente? Ma non è anche paura, paura degli altri? Così, vincendo la “timidezza dei vinti”, ho promesso a Piero di preparare una breve raccolta di liriche scritte sulla fine degli anni ’80, con al centro il rapporto con la fabbrica, il luogo di lavoro. Ma rimuginandoci sopra mi sono fatto tentare da qualcosa di diverso, forse più banale, anche se più intimo e visionario: una specie di sinfonia per suoni sostitutivi di immagini, le immagini di una infanzia e dell’incontro di un fanciullo con la Poesia stessa. Dunque, benevoli lettori, accogliete con delicata premura questo frutto tardivo e amatelo, prima che l’inverno geli la vigna e gli alberi. E il suo zucchero, se ancora ne avrà, ci renda meno amari i tempi grigi in cui viviamo e nei quali pare che tutto si trasformi in calcoli meschini di potere e di effimera gloria.

La vita è un grande mistero.
Forse è un sogno di alieni lontani
forse siam fatti dal nostro Dio
come balocchi fragili e vani;
forse siam pezzi sulla scacchiera
nella partita tra Bene e Male, pedoni
da sacrificare alla lotta infinita.

La morte è un grande mistero.
Forse è il ritorno definitivo alla terra
onde nascemmo impuri, noi che non abbiam
volato oltre il tempo e lo spazio
che ci serra; forse morire è come
aprire una porta invisibile sul paradiso:
l’amore, la gioia, la bontà, il sorriso
dei quali il cuore umano fu
troppo presto sazio, là ancora
                               son dono.

La vita, la morte, sono un grande mistero.
Ed io mi chiedo:
                               chi sono?

Qui ci dovrebbero essere due visi,
malasorte presto li ha divisi,
il babbo, la mamma, il rancore,
gli errori e il rimpianto, oggi
come primi memorabili amori        
                li avrei voluti accanto.

Qui c’è il tepore di un seno
che m’ha nutrito soffrendo:
latte e angoscia mi sono entrati
nel cuore da una giovinezza
acerba e senza desiderio.

Item, nessuno mi ha detto
com’era il giorno nel vicolo,
le solite storie: l’andare, il
tornare, l’aspettare per nuovi
dardi velenosi in carni
indifese scagliare. In un angolo
buio due occhi di cucciolo
hanno pianto.

Item, l’albero gramo ha dato il
nuovo frutto. Frutto di una pace
ingannevole?
frutto di una speranza durevole?
frutto d’amore o d’errore?
Io avrò baciato a lungo
il tenero viso. Ma non ricordo
un sorriso.

Item, l’oblio. Non suoni, non voci,
non immagini, né lettere ingiallite
di segreti diari…

Non conosco né il bene, né il male.

Non conosco né il male, né il bene,
non ricordo né gioie, né pene.

Flash back:
la fonte nel fosso cupo,
le capanne di pietre bianche
                               e taglienti,
nella magra pastura,
l’agnello smarrito e il mito
del serpente e del lupo,
del filtro e dell’anello,
dell’eternità e della morte,
del coraggio e della paura:
e la mamma giovane e forte,
coi neri capelli al vento marino
odoroso di sale
e di biancospino fiorito.

In questo tempo breve e mite,
il tempo dell’innocenza perduta,
ho consumato i miei sogni
con la speranza di una nuova vita.

Item, la fuga senza ritorno.
Oh! Vicoli ventosi, ripide scalinate,
comignoli, odori, sapori diversi di
frutti e castagne. Oh! nonni amorevoli,
burberi e buoni, romantici
                e misteriosi!

Sotto archi di pietra,
nelle pigre correnti di
luci e smeraldo, laggiù
nell’incenso bruciato
di malinconiche stelle,
ho cercato il tuo volto
                 a lungo sognato.

Item, la strada gelata e un bambino
che vola alla tiepida casa,
                               alla fiaba,
al suono della fisarmonica antica
                               e lucente
di madreperla screziata,
che colma il crepuscolo di
romantiche attese.
                              
Item, il magico tempo, l’età dove tutto
si scopre e si avvera. Ieri mi
accarezzavi la testa arruffata
e già non ci sei più.
                               Breve
il dolore: la vita è più forte.
L’amore vince la morte.
Il clarinetto suona nella sera
                               viola.

Ma parole, carezze, baci, amplessi
furtivi, sogni, speranze, sguardi
languidi e vivi, penetrano
nei muri antichi: l’anima
sboccia e matura senza timore.

Item, monello tra i monelli,
nella lotta e nella corsa
invincibile, nel gioco, nella guerra,
nei sogni e nella dolcezza,
nel pianto e nella tristezza,
quel piccolo bacio rubato
e i denti e il nome
e l’oro dei lunghi capelli
ho chiuso nella bara di vetro
dell’intricato roseto
e la chiave l’ho gettata
                               al vento

Uno era amore di bambini,
uno era amore
possente e segreto. Entrambi
troppo veri per affrontare le
insidie del tempo hanno suonato
veloci il corno dell’addio.

Forse mio padre ha ritrovato
i suoi occhi,
ora che sono insieme
al cospetto di Dio.

Le fanciulle già vecchie
e dimesse, le donne
con volto di strega,
chiuse in scialli
                               neri e radi,
chiedevano furtive,
con lampi di malizia
dentro gli occhi cattivi:
chi sei?

Chi sei?

Allora son fuggito senza parole
e una barriera di indifferenza
                               e odio
ho alzato intorno all’anima
                               smarrita
fragile e indifesa per cavalcare
sull’aspro sentiero
                               della vita.

Forse è stato il gelo che avevo dentro
invisibile e immenso
a far sbocciare il canto:
io lo sentivo questo dono
sempre inatteso e dolce
accarezzarmi con mani ancestrali.

Una presenza buona era in me
nuova, e alla tremenda prova
umile ho lanciato esili appigli,
senza far resistenza.

Carezza del vento acceso
di porpora, carezza di pianto,
 carezza e certezza
di esistere solitario,
come il pruno, come il pero
triste e nano nell’orto
serrato, che sboccia foglie
d’un tenero verde,
da un unico ramo.

Là dunque sono le radici
se proprio vuoi saperlo!
Ma quando le avrai trovate
ancora non conoscerai il frutto.

Sognerai di godere il sapore
della gioia e del dolore,
un sapore che uguale
                al mondo non c’è
perché il mondo, questo
piccolo che è il nostro
non lo può contenere.

All’aura erano i bei capelli
                               sparsi,
e la bocca le baciai
tutta tremante!
E quel bacio limpido e lieve

noi
    soli
        nel vicolo
                  a sfidare il fato
                                          immortali
                                                               ci rese,
 e non lo sapevamo!

La vita, la morte, lo spazio
e il tempo infinito che a spire
e spire siderali avvolge la notte
stellata, dove i ricordi
rivivono in una luce smagata,
dove ogni sesso
si dona come un fiore
e s’apre tremulo di speranza
non tradita,
dove il sorriso chiaro,
sempre si rinnova
                               negli occhi
tuoi ridenti e fuggitivi,
e casto e forte è l’amplesso
                               degli amanti
stretti al dolce nido
senza paura che il sangue
si scolori in odio:

amore,

l’amor che nella mente mi ragiona,
l’amor che tutto
                               illumina e perdona.

Là dunque ti attenderò,
là dunque ci incontreremo,
viandanti smarriti
sui sentieri del kaos,
con le mani
ricolme di fragili sogni.



[i] Flos Solis Maior, 1993-2003, in “Il Sillabario” – "La Comunità di Pomarance", pp. XV-XVII, 1994.

Ungaretti - La poesia è poesia quando porta in sé un segreto

sabato 18 febbraio 2012

Rilke Ich lebe mein Leben


Ich lebe mein Leben in wachsenden Ringen

Vivo la mia vita in cerchi che si allargano,
che scorrono sopra le cose.
L’ultimo, forse, non potrò portarlo a compimento,
ma voglio protendermi, tentare.
Giro intorno a Dio, all’antica  torre dell’inizio,
da migliaia di anni:
e ancora non so chi sono: un falco, o una tempesta,
o, forse, una grande canzone.

da Il libro d’ore, Rainer Maria Rilke

venerdì 17 febbraio 2012


Il Comitato tecnico scientifico per la Geotermia sull’Amiata è tornato a incontrarsi

Il Comitato tecnico scientifico per la Geotermia sull’Amiata è tornato a incontrarsi
L'assessore regionale all’ambiente e all’energia Annarita Bramerini

GeotermiaNews

17/02/2012

Il Comitato tecnico scientifico per la geotermia dell’Amiata (Ctga), è tornato a incontrarsi martedì nella sede della Regione.
L’organismo voluto dalla Regione e previsto dall'Accordo volontario territoriale sottoscritto da Regione Toscana, Comuni, Comunità montane e Province di Pisa, Siena e Grosseto ha fatto il punto sulle attività svolte e sugli impegni futuri cui è stato chiamato.
In particolare la Regione ha chiesto ai sette componenti, esperti in varie materie dalla geologia alla vulcanologia, dalla geofisica all'idrogeologia, alle problematiche ambientali connesse alla produzione di energia, di portare il proprio contributo all’ufficio tecnico regionale nella fase di Valutazione di Impatto Ambientale riguardo all’impianto Bagnore 4.
Bagnore 4 è il nuovo impianto da 40 MW proposto da Enel nell’area vicina alla centrale Bagnore 3, che ha una potenza di 20 MW ed è stata la prima su cui è stato installato il sistema Amis per abbattere le emissioni di mercurio e Idrogeno solforato.
La nuova centrale dovrebbe produrre circa 310 milioni di KWh di energia elettrica per il fabbisogno di circa 112.000 famiglie ed evitare l’immissione in atmosfera di oltre 200.000 tonnellate annue di CO2.
In merito a questo nuovo impianto su cui è in corso la Valutazione d’Impatto Ambientale, l’Assessore Bramerini in un recente incontro avuto con i sindaci di Arcidosso, Castel del Piano, Santa Fiora, il presidente dell'Unione dei Comuni dell'Amiata grossetano e Arpat, aveva dichiarato che vi sarebbe stato un pronunciamento sul progetto presentato da Enel solo a seguito di un’istruttoria approfondita. In quell’'incontro l’Assessore aveva fatto il punto sul tema della qualità dell'aria e sulle emissioni in ambiente nei comuni dell'Amiata e sulle ulteriori attività in corso tra le quali il completamento del bilancio idrico dell'Amiata, l'approfondimento dello studio a carico dell'assessorato regionale della salute e di Ars e aveva espresso la decisione della Regione di dare incarico all'Istituto nazionale di geofisica e vulcanologia di fare gli aggiornamenti sullo studio realizzato alcuni anni fa sulla sismica in Amiata.
L’assessore Bramerini aveva, inoltre informato i rappresentanti delle istituzioni di aver consegnato una nota al ministro Clini in cui veniva sottolineata la necessità che il Governo stabilisse per legge i valori limite riguardo alle sostanze prodotte dall’attività geotermica ma non sottoposte a norme quali il boro e l’ammoniaca.

«La Regione –ha dichiarato l’assessore regionale all’ambiente e all’energia Annarita Bramerini, a seguito dell’incontro con Il Comitato tecnico di martedì- sta mantenendo fede agli impegni sottoscritti dagli enti locali con Enel nell’accordo del 2007 in merito agli approfondimenti sull’attività geotermoelettrica, agli studi e alle richieste di tutela dell’ambiente e dei cittadini sull’Amiata».
«Perciò –ha continuato l’Assessore- le richieste di garanzie avanzate in questi giorni da alcuni rappresentanti istituzionali sono le stesse che vuole soddisfatte la Regione Toscana».
L’assessore Bramerini riguardo al tema della VIA sulla centrale Bagnore 4, ha poi spiegato agli esperti del Comitato che gli uffici regionali stanno lavorando all’istruttoria sui contributi arrivati in questi giorni a seguito della documentazione integrativa presentata da Enel. Saranno poi aperte le Conferenze dei Servizi nelle quali tutti i soggetti coinvolti –Comuni, Province, Arpat, Ars– dovranno esprimersi e l’esito finale non sarà che la sintesi di tutti i pareri istruttori presentati.
In parallelo sarà svolto il contraddittorio, un ulteriore strumento di partecipazione e d’informazione ai cittadini, così come previsto dalla Legge Regionale 79/98. In tale occasione saranno chiamati a partecipare tutti i soggetti che abbiano presentato pareri od osservazioni oltre ad Enel che ha proposto il progetto.
A conclusione del contraddittorio sarà stilato un verbale successivamente acquisito agli atti del procedimento e di cui verrà tenuto conto ai fini della pronuncia di compatibilità ambientale.
«Per quanto riguarda la risorsa idrica -ha continuato l’Assessore– Enel sta avviando l’installazione di nuovi piezometri (i due previsti dalla VIA di Piancastagnaio più un terzo espressamente richiesto dalla Regione) per monitorare l’andamento della falda in modo tale che la VIA potrà avvalersi anche di nuovi dati in aggiunta a quelli di Poggio Trauzzolo, installato dalla Regione stessa».
Saranno, infine, acquisiti per la valutazione d’impatto ambientale, anche i dati che emergeranno dallo studio di approfondimento sanitario sulla popolazione dell’Amiata che sta portando avanti l'ARS, l’Agenzia Regionale di Sanità, a seguito delle criticità emerse nel primo studio epidemiologico.
La regione chiederà inoltre ad Enel di ripetere -dopo una prima sperimentazione durata un mese– le prove sul sistema di abbattimento di ammoniaca sulla centrale Bagnore 3 per validare i risultati positivi della sperimentazione fatta lo scorso anno.

           
DOMUS MAZZINIANA
presenta

Piero Nissim (voce) e Franco Meoli (piano)
in Concerto
Con la partecipazione del mezzosoprano
Carla Rita Vero

 ALTE NEUE LIEDER
Antologia di Lieder del Romanticismo Tedesco Musiche di Piero Nissim - Elab. di Franco Meoli


Mercoldì  22 Febbraio 2012, ore 21,15
nella Sala della Biblioteca della Domus Mazziniana
Via Mazzini 71 – Pisa

Ingresso a offerta libera

 PROGRAMMA

1.  Wanderers Nachtlied (Goethe) *
2.  Heidenröslein (Goethe)
3.  Singet leise (Brentano) *
4.  Guten Abend gut Nacht (Brentano) **
5a. Dove sei Lorelei (Nissim, recitato)
5b. Die Lorelei (Heine)*
6.  Der kurze Früling (dal testo spagnolo di Luis de
    Gongora y Argote)
7.  Lied der Mignon (Goethe) **
8.  Leise zieht durch mein Gemüht (Heine)
9.  Spinn spinn meine liebe Tochter (Brentano) *
10. Du bist wie eine Blume (Heine) **
11. Wenn ich ein Vöglein wär (popolare)
12. Ich lebe mein leben (Rilke)
13. Zwei Brüder (Heine)
14. Kling leise mein lied (Nordmann) *

*  Con Carla Rita Vero (duetto)
** Carla Rita Vero  (solista)
Le liriche saranno introdotte da Piero Nissim

Il programma può subire variazioni
Piero Nissim Dal 1967 al 1970 fa parte del Nuovo Canzoniere Italiano e tiene  concerti in tutta la Toscana con Rosa Balistreri e Caterina Bueno. Per “ I Dischi del Sole “ incide due LP con brani suoi e di altri autori, il primo LP con la direzione artistica di Giovanna Marini, il secondo di Gualtiero Bertelli. Dopo un lungo periodo dedicato al teatro, nel 2005 torna a cantare in pubblico, con un Concerto di canti Yiddish e canti ebraici  - “Mayn Lidele” – in cui ripropone le musiche che,ascoltate fin dall’infanzia, hanno fatto da substrato alla sua formazione artistica e musicale. Nel 2008 esce il suo CD – “Giorgio e Gino. Canti di memoria e di speranza” – dedicato al padre Giorgio e a Gino Bartali, prodotto con il sostegno del Consiglio Regionale della Toscana. “Bialik e gli altri. La poesia ebraica come testimone” è il suo lavoro più recente (CD e concerto) su testi poetici tradotti da Jack Arbib, da lui musicati con armonizzazioni di Arduino Gottardo.


Franco Meoli Ha compiuto gli studi musicali presso il Conservatorio “L. Cherubini” di Firenze tra il 1985 e il 1987 studiando Pianoforte sotto la guida di Giancarlo Cardini, Armonia e Contrappunto con Arrigo Benvenuti, Composizione con Franco Cioci, e Strumentazione per Banda con Giorgio Martellini; in seguito, con Luciano Damarati e con Francesco Facchinelli, Musica Corale e Direzione di Coro. Ha frequentato i corsi tenuti da Cardini presso il G.A.M.O. di Firenze, sul pianoforte nella musica contemporanea. Ha tenuto concerti solistici, in duo pianistico e con formazioni cameristiche anche all’estero. E’ autore di musica per pianoforte da camera, vocale e sinfonica; particolare successo hanno ottenuto le opere pianistiche presentate alla triennale Rassegna Internazionale di Composizione “Alfeo Gigli” organizzata dall’Associazione Filarmonica di Bologna, pubblicate in CD e DVD. Ha frequentato seminari sulla musica ebraica tenuti da Enrico Fink. Collabora con P. Nissim dal 2011 ed è in progetto la pubblicazione di un CD di Lieder.


Carla Rita Vero Diplomata al Conservatorio di Firenze (Canto e Musica da Camera), insegnante di Canto e tecnica vocale, Carla Rita Vero  ha partecipato ai corsi di perfezionamento di Ettore Campogalliani, Claudio Desderi, Magda Olivero, Christiane Eda-Pierre, Richard Miller. Si è perfezionata nel  repertorio rossiniano all’Accademia Rossiniana di Pesaro. Nel 1989 comincia a lavorare col Teatro di Pisa e si produce in diverse  scene liriche italiane nei ruoli di una serva nell’Elektra a Firenze, di Marcellina delle Nozze di Figaro in tournée, di Berta nel Barbiere di Siviglia a Milano, di Mrs Quickly del Falstaff à Pisa e Mantova, inoltre canta nel Paese del Sorriso, Proserpina, Suor Angelica. Finalista al Concorso Internazionale  “Toti del Monte” nel 1990, l’anno seguente è fra i vincitori del Concorso “Mattia Battistini” di Rieti e debutta nella stessa città nel ruolo di Eboli nel Don Carlos. Nel 1992 riceve il Premio della Rivelazione Lirica del Concorso “Giacomo Lauri-Volpi” di Roma. Vive e lavora a Parigi dal 1994. E’ Contralto titolare all’Opera National de Paris dove ha partecipato come solista a diversi spettacoli, interpretando il ruolo di Fekloucha  della Kàtia Kabanovà, la madre di Cio-Cio San di Madame Butterfly, un’orfanella del Cavaliere della Rosa, Zulma dell’Italiana in Algeri.

martedì 14 febbraio 2012


Una foto un po' greca!

Stelios e Marinela, i sei viaggi e soggiorni in Grecia, il legame culturale e vivo con il popolo greco e la sua travagliata storia moderna, questo immenso peso del passato, mi hanno reso malinconico, adesso che la Grecia perde identità e dignità sull'altare del fallimento mondiale del Capitalsmo, mentre non lo spettro del Comunismo, si agira per il mondo, ma lo spettro della guerra finanziaria e dei killer elettromagnetici globali e virtuali, mostrando i muscoli e preparandosi alla Terza guerra mondiale che vedrà non vincitori e vinti, ma una catastrofe inimmaginabile. E' la malinconia che mi fa postare questa immagine.






Grecia nel cuore

Muri bianchi di calce, ragnatele di pietra
sui monti selvaggi, monasteri appesi all’azzurro
tra cielo e terra dove l’uom s’eterna
nelle forme del marmo rosato;

il passato negli occhi
di una donna bellissima a Epidauro,
isole e fiori, aranci di Tirinto, mare,
strano dei Mani il paese
e rosse ciliegie che adornarono
dei Dori i volti biondi e forti;

le tombe dei morti re e le maschere
d’oro tra storia e memoria
rivivono e si disfanno nell’incontro
d’amore sognato,
sole, falce, martello, speranza, ricordo,
dolore
                Grecia nel cuore
desiderio placato nella tiepida sera
che porta stelle nuove nel cielo turchese
e s’apre al futuro.


Καζαντζίδης - Εγώ πονώ για σένα


Qualcosa bolle in pentola
  
Qualcosa bolle in pentola!
Più che della “pentola” ho un ricordo lontano del “paiolo” di rame sempre attaccato alla catena del camino, perennemente in bollore, estate ed inverno, perché nel ciclo delle stagioni c’era sempre qualcosa da cuocere, ad esempio il latte, le barbabietole, le castagne, le patate, la polenta…o la carne di pecora e di maiale… In questo ricordo lontano mi vedo, insieme ad un gruppetto di mocciosi coetanei, quattro o cinque, tra i quali mia sorella e mia zia, quest’ultima più grande di me di solo un anno, una volta che dal paiolo tutta la ricotta era stata estratta e non ci restava che un siero torbido, armati di mestoli pescare fino all’ultimo residuo solido di cosa restava della bollitura del latte in un liquido detto “scotta”. Anche la “scotta” si serbava, sia per mescolarla con un po’ di semola per i maiali, sia per sorseggiarla noi,  moderatamente, dato che  “scioglieva il corpo”.
Ma, credo, che questi ricordi lontani non interessino a nessuno, troppi anni sono passati da allora! Se la pentola o il paiolo si equiparano alla “vita”, che c’è di nuovo, oggi, che a fuoco morto o vivo, si agiti, gorgogli, mandi nell’aria segnali di vapore ecc. ecc.? Cosa bolle e cuoce in pentola? E’ una domanda solo apparentemente banale, alla quale confesso di non saper rispondere. Sono “vivo” (cogito, ergo sum!), quindi il fuoco è acceso e la pentola, con l’acqua che ci rimane, sta bollendo. Ma cosa ci sia nell’acqua, prodotti vegetali, o incantesimi e sogni, oppure sostanze commestibili…non lo so’. Non ho parlato di attese e speranze, che ribollono nella giovinezza. E nemmeno di tristezze, malattie, solitudini, dell’estrema vecchiezza. Il filo invisibile che lega al mio numerosi sparsi destini, benché non strappato, non è in tensione, ma potrebbe tendersi all’improvviso per un volontario o involontario moto. Ed allora ecco che la pentola delle Parche riprenderebbe vivacità.

Potrei dirvi, abusando della vostra pazienza, la novella della bella Rosina (che nel pentolone ci trovò l’amore):

“…C’era una volta, nei tempi passati, un pover’ uomo che rimase vedovo. La moglie gli lasciò una bella bambina, di nome Rosina. Per campare la vita fu costretto a riprender moglie dalla quale ebbe una seconda figlia, che fu chiamata, impropriamente, Assunta. Dopo qualche anno anche il padre di Rosina morì per il troppo lavoro e per le cattiverie della nuova moglie. Le bambine crescevano insieme, ma mentre Rosina era bella, solare e garbata, Assunta era brutta, nera come un tizzo di carbone e maleducata. Assunta si struggeva d’invidia vedendo la grazia e la bellezza di Rosina e non voleva più andare al villaggio insieme a lei. La matrigna, che vedeva la figlia deperire per l’invidia, pensò di mandare Rosina a pascolare le vacche sulle remote pasture della montagna. Mentre le parava doveva filare cento rocche di canapa, e se la sera fosse tornata senza canapa filata e con le vacche affamate l’avrebbe picchiata tanto da farla diventare, picchia oggi e picchia domani, più brutta di Assunta. Lassù alla malga Rosina disse alle vacche: “Vaccherelle mie, come farò a segarvi l’erba e a governarvi se ho da filare cento rocche di canapa?” Allora la più vecchia delle vacche così le parlò: “Non sgomentarti Rosina, tu falcia il fieno per noi e noi ti fileremo la canapa. Basta che tu ce l’ordini con queste parole”:

Vacchicina, vacchicina,
con la bocca fila fila,
con le corna annaspa, annaspa,
fammi presto la matassa.

E quella sera le vacche ritornarono alla stalla contente e satolle e la canapa era tutta filata. La matrigna digrignava i denti dalla rabbia e l’avrebbe mangiata viva. Ma dovette rassegnarsi. Il giorno dopo e per altri giorni ancora si ripeté la stessa storia. Allora Assunta disse alla madre: “madre ho voglia di mangiare raperonzoli. Stasera mandate Rosina a coglierli nel campo dell’Orco, lui la scoprirà e la mangerà!” Detto fatto. Così la Rosina si mise ad andare di notte, scavalcò la siepe ed entrò nel campo dell’Orco. Non aveva fatto a tempo a sbarbare i raperonzoli quand’ecco l’Orco che arriva,annusando qua e là:

Ucci ucci
sento odor di cristianucci
o ce n’è o ce n’è stati
se li trovo rimpiattati
me li mangio tutti!

E cercava, tirando su con il naso, cercava, fino a quando, dietro una grossa rapa vide la bambina. Svelto la chiappò e la mise nel suo sacco. Intanto cominciò a gridare con la sua voce tonante:

Catera, metti al foco la caldera
che la Rosina ho chiappo!

Meglio per noi, perché, come sappiamo, la storia avrà un lieto fine e l’Orco e Catera, resteranno a bocca asciutta. Rosina, protetta dalla Fata che già l’aveva aiutata trasformandosi nella vecchia vacca,  teneva con se una bacchettina fatata, ben nascosta nella tasca del suo vestitino e che le dava coraggio. Intanto nella casa dell’Orco c’era acceso un gran fuoco e sopra il fuoco bolliva un enorme pentolone, che Catera rumava continuamente aggiungendo all’acqua erbe aromatiche per insaporirla. Alla vista di Rosina le venne l’acquolina in bocca, ma prima c’era da fare il pane, e il forno era acceso da tempo e i ceppi erano ormai diventati ardenti carboni. “Rosina metti il pane in forno!” gli comandò. Detto questo la prese sgarbatamente per un braccio e ce l’avvicinò, fin quasi a farla lambire dalle braci che avvampavano. “Infilati dentro e guarda se è ben caldo perché dobbiamo infornare il pane!” (Così, mentre Rosina saliva dentro il forno lei l’avrebbe chiuso facendocela arrostire viva!) Come si sa alle Orchesse piace molto di più l’arrosto che non il lesso! Ma con la sua bacchettina fatata Rosina non ebbe paura e gli rispose: “Non so come fare ad entrarci!” “Brutta sciocca, guarda com’è grande l’apertura, potrei entrarci anch’io!” E detto questo si avvicino alla bocca del forno: Rosina non fece complimenti, la prese per il culo e ce le ficcò dentro. Poi chiuse il forno e tirò il catenaccio. Uh! Che urla orribili emetteva Catera! Ed ecco arrivare l’Orco richiamato da quelle grida spaventose. Fece per agguantare Rosina che con in mano la sua bacchettina disse:

Orco cattivo Orco birbone
ficcati dentro il pentolone!

A questo comando l’Orco si tuffò nell’acqua bollente dalla quale tornò immediatamente a galla trasformato in un bellissimo Principe biondo, tutto vestito d’oro e di broccato. L’incantesimo che l’aveva trasformato in Orco era svanito con la morte della malvagia strega. Si può aggiungere, che il giovane Principe s’innamorò a prima vista di Rosina e che questo amore venne ricambiato. E quando fu il tempo e i due giovani cresciuti, fu fatto una magnifico sposalizio e un banchetto che durò sette giorni e sette notti! Pive, fagotti e cornamuse suonarono armoniosamente, e furon servite le vivande: i quattro quarti del montone che portò Elle e Frisso per lo stretto della Propontide; i due caprioli della celebre capra Amaltea, nutrice di Giove; i piccoli di quella cerbiatta Egeria, consigliera di Numa Pompilio; sei paperi covati da quella degna oca Ilmatica la quale col suo canto salvò la Rocca Tarpea di Roma; i maialini di Troia; il vitello della vacca Ino, così mal guardata da Argo; il polmone di quella volpe che Nettuno e Vulcano avevano così mal fatata, a quanto dice Giulio Polluce, “in Canibus”; il cigno nel quale si convertì Giove per amore di Leda; il bue Api, di Menfi in Egitto che rifiutò di prender cibo nella mano di Cesare Germanico, e sei di quei buoi rubati da Caco e recuperati da Ercole; i due capretti che Coridone salvò per amore di Alexis; il cinghiale erimantico, olimpico e colidonio; i cremasteri del toro tanto amato da Pasifae; il cervo nel quale fu trasformato Atteone; il fegato dell’orsa Calisto. E poi: trentasei primi tra i quali i deliziosi “stronzi fini alla sberlottina”, la “promerdis, vivanda sovrana”,  e delle “cornamcuse, rivestite di brezza”. Come secondo servizio furon portati cinquanta piatti, tra i quali, particolarmente apprezzati: il “cacciucco di pecora all’erbe fini”, “la “testina di cinghiale in salmì”, le “budellina d’agnello alla Marsicana”, le “coglie di vitello  trefolate alla maniera antica”, il “lardo d’asino”, i “lippe-lappe”, e la “marmittaglia in pisciaforte”; per ultimo furon portati  ventinove stuzzichini per alimentar l’appetito, tra i quali: “la neve dell’an passato”, la “pica candita”, “l’uccabarucca” e dei “soffiaminculo”. Come dessert giunse, graziosamente sorretto da due splendide fanciulle, un gran vassoio di merda coperto di stronzi fioriti: che era un gran piatto pieno di miel bianco, rivestito d’uno strato di aranci canditi, e come contorno, teglioni di “Pionono“, giunto per l’occasione dal paesello di Santa Fe nell’Andalusia e immense zuppiere di “latte alla portoghese”. La bevanda fu servita in tirlarigotti, bel vasellame antico, e fu un beveraggio assai gradevole e inebriante. Finito il pranzo furon levate tutte le tavole e allora suonando più melodiosamente di prima i menestrelli, fu comandato dal maestro delle Feste un “passo doppio” e dopo, al suono divino delle pive, tutti i commensali danzarono in vario modo le duecento e più ballate, tutte originali di quel ricco Paese, tra le quali destarono ammirazione “Si, sono assai procace…”, “qui venite a toccarmi  o buon curato…”, ”all’ombra di un boschetto, sull’erbetta…”, “Guglielmino vien quà, morbido è il saccone…” e soprattutto “Pellegrin che vien da Roma…”, la “Ciaccona”, “l’ortolano e le dolci monacelle…” e infine, per conclusione,  “la mia voglia è sol d’amare!” Si seppe poi che per magia delle danze e degli abbracciamenti più di trecento giovani e fanciulle convolarono di li a poco al talamo nuziale.

Così finirono tutti i guai per la dolce Rosina ed i due principi vissero insieme per tutta la vita felici e contenti in un reame lontano lontano, mentre di Assunta e della matrigna si persero le tracce fino a quando non giunse la notizia che erano state trasformate in un sasso tondo ed in un osso di morto, per l’eternità, ossia fino a che il mondo dei sogni esisterà.

La pentola bolle,
alla fiamma fiammante,
in attesa noi siamo
quassù all’Aquilante!

La mia fiaba v’ho detto
laggiù corre un sorcetto
prendigli il pelliccione
e fatti un berrettone!
  
Stretta è la foglia
largo il bocciolo
con la pelle del culo
faremo un bel lenzuolo!

Stretta è la foglia
larga la via
dite la vostra
che ho detto la mia!

Scritta a otto mani da Karl, Bruder Grimm e dal divino maestro Rabelais, per il PIL di Belforte, all’Aquilante, nel territorio senese.

sabato 11 febbraio 2012


venerdì 10 febbraio 2012

La dignità

(particolare) Conservato presso 
Carmignano (Prato)

Da un po' di tempo mi ritrovo spesso a pensare alla mia nonna paterna. Donna fortissima, ostinatamente paziente. Proveniva da una famiglia piuttosto benestante, ricchi proprietari terrieri, ma ebbe la sventura  di sposare un uomo dedito al gioco d'azzardo. La sua dote e l'eredità cospicua di cui avrebbe potuto godere furono devastate dallo stile di vita di mio nonno. Era un uomo molto bello, due occhi grigi quasi trasparenti, senza colore, gelidi nella vecchia foto del cimitero. La lasciò giovane e sola ad allevare sei maschi e governare una terra difficile. Negli anni che precedettero il secondo conflitto mia nonna saliva ogni giorno a piedi lungo una mulattiera ampia e molto trafficata, tra il via vai di animali, di  uomini e donne, e camminando con passo costante arrivava fino ai gradini della porta della mia bisnonna materna. Si sedeva poco distante da quella soglia, su un poggetto ricoperto d'erba, senza dire una parola ed aspettava. La mia bisnonna materna, donna sensibilissima e molto generosa, usciva poco dopo sulla porta e la salutava con calore, come si fosse trattato di una visita del tutto inattesa e anche per questo molto gradita. Usciva di casa sempre con un cestino in mano o un telo in cui, a suo dire per pura combinazione, c'era sempre qualcosa di cui non avrebbe avuto il tempo di occuparsi: uova che le galline avevano scodellato con troppa generosità, patate troppo piccole da sbucciare in una giornata indaffarata.... Metteva quel piccolo tesoro nella sporta di mia nonna, pregandola di accettare, ringraziandola per la possibilità che le veniva concessa di disfarsi di quel ben di Dio senza incorrere nel grave peccato di sprecarlo per incuria. Mia madre, bambina, assisteva a quella scena ogni giorno e me l'ha raccontata mille volte. Ho cercato spesso di immaginarla. Conosco bene quel poggetto, gli scalini, la casa, mi sono seduta lassù molte volte ad osservare l'erba tremante per il vento che non smette mai di soffiare e che certo  scompigliava i capelli nerissimi di mia nonna, il suo grembiule nero e la gonna scura. Conosco i volti della nonna e della bisnonna e certe volte ho creduto davvero di vederle, di incrociarne lo sguardo complice e solidale che suggellava ogni giorno quell'incontro fintamente casuale. Mia madre mi ha raccontato questa scena senza altro commento che una inevitabile sottolineatura della profonda umiltà di mia nonna paterna e del suo senso di protezione nei confronti dei suoi figli. Ancora me la racconta, dicendomi di pensare a cosa potesse significare svegliarsi senza cibo con cui nutrire i propri bambini, senza altra risorsa che le proprie gambe e il buon cuore di qualcuno. Crescendo però ho aggiunto a mia volta un significato a questa immagine, che emerge ogni tanto liberamente dal mio subconscio, come una consolazione. Me la tengo davanti agli occhi, chiara e leggibile, ogni volta che ho bisogno di ricordare con precisione cosa sia la dignità.

venerdì 10 febbraio 2012





Ritratto

                                A Antonio Machado

Ho succhiato il latte materno con la Cenerentola di Rossini,
e appena svezzato ho masticato il fiele della solitudine;
tra i paleri e le ginepraie son cresciuto mirando nel cielo
il volo del falco sulle pasture, ascoltando il belar degli agnelli
e il frinir delle cicale; vicende che non voglio evocare.
Poco più che bambino son fuggito verso nuovi lidi,
misteriosi approdi  con il tepore di nidi, in cerca d’amore.
Son cresciuto troppo presto, nel male e nel bene, un segreto
ho celato nel cuore d’Arlecchino. Brevi studi non m’hanno
dissetato, da solo ho scoperto d’esser poeta e delle parole
innamorato, del pruno e ginestra, biscia e sorgente, mago
e cerbiatto, dimesso cantore. Una fabbrica m’ha inghiottito
mentre ancora vestivo i pantaloni corti, le scarpe chiodate,
il cappotto del nonno morto rivoltato con cura
e là s’è acquietata la mia pena, tra gli uomini azzurri
e le rosse bandiere: con loro ho sfidato l’ansia primigenia
e la paura di restar solo. Ho amato instancabilmente, e riamato
ho goduto d'inimmaginata fortuna, sempre la bellezza
ho avuto a lato  e la dolcezza dei baci riassaporo,
ora che vecchio, delle voci ne ascolto solo una , quella
profonda che m’appartiene. E’ la voce del canto che
non m’ha tradito; disgiunta da me stesso  e dai miei
errori vorrei affidarla pura ai miei bambini. Loro ancora
mi vedono bello come un dio, e sapiente, ardimentoso,
spada excalibur  e scudo, buffone e invincibile
cavalcare il tempo, immortale e antidoto d’ogni male.
Verrà presto il dì dell’ultimo viaggio – nemmeno io conosco
il come e il quando -, ma non tarderà, e me ne andrò 
come tutti, senza valige e fagotti, lasciando
un’invisibile scia di sogni.