Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.
Parte (VI).
4.Con Stoppa al capanno dei partigiani
...Verso le ore 22, era una splendida serata
con la luna piena, ci mettemmo in cammino percorrendo la vecchia strada della
miniera di Montebamboli e un tratto costeggiante il torrente Ritorto e ci
portammo nella zona del Poggiarello. Giunti al mattino del giorno 17 febbraio,
stanchi e affamati, facemmo sosta nel bosco rimanendo nascosti per tutta la
giornata. Io, che ero il più giovane, fui inviato al podere Poggione per
chiedere notizie su eventuali movimenti di persone sospette. La famiglia dei
contadini mi assicurò che non avevano notato nulla di anormale. Riferito al
comandante quanto appreso, fu deciso di ritornare al podere per chiedere,
dietro pagamento, qualcosa da mangiare. Ci dettero alcuni pani, delle salsicce
e del buristo; con l'occasione fissammo anche una polenta per la sera. Quando
si fece buio ci portammo tutti alla casa colonica dove era apparecchiata una
enorme polenta di farina gialla. Al podere Poggione, alla presenza di tutti i
superstiti del Frassine, fu deciso di includere nell'elenco ufficiale della
formazione i nomi dei due coloni catturati prigionieri coi nostri compagni e
quello di Livio Milani che si trovava con noi al momento del rastrellamento.
Io, oltre al ruolino della III Brigata Garibaldi banda «Camicia
Rossa», custodisco gelosamente detto elenco. Dopo cena fu convenuto che:
il capitano Chirici con il tenente Gallistru e i partigiani Dino Cocolli,
Libero Fedeli, Bruno Giannioni e Rodolfo Tamburini rimarranno nella zona per
reclutare i partigiani sbandati a seguito del rastrellamento. Enrico Filippi e
Giuseppe Martellini preoccupati della loro situazione familiare decisero che
non intendevano, almeno per un po' di tempo, di affrontare altri rischi. Verso
la mezzanotte, con il dottor Stoppa e tutti gli altri, ci mettemmo in cammino
in direzione del podere Malfatto. Vi giungemmo al mattino del giorno seguente.
Il contadino ci fece alloggiare nel fienile a patto che durante il giorno non
ci si muovesse. In questo podere riconobbi una famiglia di massetani, i
Costagli. Credo che si trovassero in questa località perché lavoravano come
boscaioli. Alla sera, dopo aver mangiato una polenta di farina gialla con
salsicce di maiale, il dottor Stoppa ci rivelò gli accordi stabiliti con il
comandante Chirici: Giorgio Vecchioni, Vinicio Modesti, Mauro Tanzini e Franco
Venturi si dovranno spostare
provvisoriamente nella zona delle Cornate di Gerfalco; Stoppa con gli altri si
sarebbero diretti in Valle Calda. La mattina del 19 febbraio arrivammo ai piedi
del Poggio Mutti; facemmo sosta dentro un seccatoio di castagne di proprietà
Ido Pierini, abitante al podere Romano. Appena giunti, nonostante la
stanchezza, Vecchioni e Venturi andarono in cerca di cibo. Io e Modesti
rimanemmo nel seccatoio. Dopo alcune ore arrivò Franco Venturi: aveva procurato
un panetto di pane e del formaggio, erano favolosi per la mia fame di
diciannovenne! Nel pomeriggio rientrò Giorgio Vecchioni, ci disse che era
andato al podere Romano a trovare la famiglia Pierini, suoi vecchi conoscenti.
Gli raccontò della delicata situazione nella quale si trovava e che aveva con
sé altri tre compagni. I Pierini offrirono al Vecchioni il loro aiuto. La sera
stessa fummo invitati a cena da questa simpatica famiglia. Con nostra
meraviglia, dopo molto tempo, ci potemmo sedere comodamente a un tavolo e fare
un'ottima cena. Ci sembrò un banchetto nuziale tanto non c'eravamo più abituati.
Pernottammo al podere. Si dormì in un soffice letto di paglia, nella stalla. I
buoi, in quest'occasione costituirono il nostro impianto di riscaldamento. La
mattina del 20 il Vecchioni si allontanò per la ricerca di contatti con i CLN
della zona. Nei giorni di permanenza nella zona delle Cornate nevicò
abbondantemente ed io, Modesti e Venturi, fummo ospitati presso i mezzadri dei
poderi Campo alle Rose (Pierini), Capanne (Banchi e Grassi), Romano (Pierini).
Gli ultimi giorni di febbraio ritornò il Vecchioni insieme ad un certo
"Balilla", colono del podere Brezza. Insieme al Modesti ripartì il
giorno stesso. Io, con Franco Venturi, accompagnati da "Balilla", ci
trasferimmo in un capanno nella Carlina, sul versante di Travale. Questo
capanno era stato approntato su direttiva del CLN di Travale. Infatti ci venne
a trovare Arduino Marconi che era stato incaricato dal CLN di Travale di
rifornirci di indumenti e viveri. Dopo qualche giorno il Marconi ci portò la
notizia che per delega dei CLN il dottor Stoppa assumeva il comando di tutti i
partigiani della Carlina e anche io e il Venturi venimmo accompagnati dal
Marconi in un ex ovile sito nei pressi di un podere semidiroccato, di nome
Belcaro. In seguito, in detto podere, si insedierà il comando della XXIII^ bis
Brigata Garibaldi "Guido Boscaglia", brigata che prenderà il nome dal
suo primo caduto. Il secondo giorno che eravamo rimasti soli, io e Venturi,
avvenne il ricongiungimento con Stoppa e con un gruppo di partigiani superstiti
del Frassine. Da questi miei vecchi compagni seppi che avevano ritrovato il
cane. Il cane "Mondiale" era rimasto con Chirici e Tamburini nella
zona del Poggiarello. Poiché ero il più pratico della zona fui inviato da
Stoppa dal capitano Chirici per comunicargli quanto era avvenuto e che sarebbe
stata costituita la base della nuova formazione in località Belcaro. Riferii tutto al Chirici e dalla sua
espressione capii che era ampiamente soddisfatto, tanto che mi fece latore di
un biglietto per Stoppa nel quale gli comunicava il rientro del tenente
Gallistru e che avrebbe atteso il ritorno dello stesso con altri partigiani da
una missione per ritirare delle armi, dopo di che ci avrebbe raggiunto nella
località stabilita. Al mio rientro, prima di giungere al capannone dove avevo
lasciato i miei compagni e il dottor Stoppa, fui fermato dall'alt! di due
individui armati che vestivano la divisa militare fascista. Non feci in tempo
ad estrarre la pistola che già avevo due mitra puntati contro di me. Con modi
bestiali venni perquisito e tradotto nel capannone, ma dentro non vi trovai nè
Stoppa nè nessuno dei miei compagni, erano un gruppo di una quindicina di
persone molto malmesse. A questo punto
ebbi la sensazione di non essere vittima dei fascisti. Pensai subito che il
motivo del violento interrogatorio fosse stato motivato dall'arma che possedevo
e da una carta topografica della zona consegnatami dal capitano Chirici assieme
al messaggio da consegnare a Stoppa. L'arma e la carta mi furono tolte, mentre
al biglietto per Stoppa non dettero nessuna importanza e mi venne lasciato. Più
tardi mi feci coraggio, nel senso che cominciavo sempre più a sperare di non
essere caduto in un tranello, e cominciai a fare i nomi dei componenti i CLN
locali: Arduino Marconi, Bruno Cioni, Bruno Banchi ("Garibaldi"),
Primo Radi ("Balilla"). Alla rivelazione di questi nomi, uno del
gruppo (che mi parve il più anziano di tutti) mi disse: "Domattina faremo
venire una delle persone da te citate e se non sarai riconosciuto saranno
guai". Era chiaro che questa diffidenza nei miei confronti era motivata
per il momento, poiché per loro ero una volgare spia. Dopo mi venne chiesto se
avevo fame, al mio si mi dettero due fette di polenta dolce. La sera venni
fatto stendere sopra un mucchio di strame, avevo freddo, ed ero guardato a
vista da due armati. A notte inoltrata, da uno dei due che mi facevano la
guardia ebbi la conferma che avevo a che fare con dei partigiani. Mi disse che
erano un gruppo proveniente da Montalcinello, venuto in Carlina per unirsi con la Banda di Stoppa. Da questo
partigiano seppi anche che i massetani si erano dissociati da Stoppa, pertanto
non riconoscendogli l'autorità di capo avevano deciso di ricongiungersi al
Chirici. Questo fu il vero motivo del loro disarmo accompagnato dall'invito di
lasciare immediatamente la
Carlina. Io , che ero stato un componente la sezione comando,
accolsi la notizia come una mazzata in testa. La notte non passava mai, la mia
mente si era offuscata, ogni tanto si affacciavano tristi presentimenti: non
chiusi mai occhio. Alle prime luci dell'alba entrò nel capanno il carissimo
compagno Arduino Marconi. Appena mi vide mi si buttò al collo e mi baciò,
rivolto agli altri che erano rimasti sbigottiti disse: "Disgraziati, non
sapete che avete davanti a voi un valoroso partigiano?". A queste parole
mi parve di toccare il cielo con un dito. Non ci fu bisogno d'altro. Ma,
nonostante le scuse e le manifestazioni di simpatia di cui fui oggetto, non
ebbi la forza di contraccambiare. Mi furono anche riconsegnate la carta topografica
e la pistola. All'invito di restare con loro esternai il desiderio di rivedere
Stoppa per conoscere da lui il motivo dell'abbandono dei massetani. Verso
mezzogiorno arrivò Stoppa, mi salutò ed io gli consegnai il messaggio del
Chirici. Notai subito che non si degnò nemmeno di dare un'occhiata al contenuto
tanto fu sollecito nel farlo a pezzi e nel gettarlo nel fuoco. E così
amareggiato, io che avevo manifestato di condividere l'impostazione che Stoppa
avrebbe voluto dare alla nuova formazione, decisi di lasciarlo per
ricongiungermi ai miei vecchi compagni di lotta. Le lusinghe di Stoppa non
furono capaci di dissuadermi. Stoppa, prima che partissi, dette l'ordine di
togliermi la pistola e la carta topografica. In cambio mi consegnarono una
bomba a mano del tipo "balilla".
(continua)
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