Alla “Buca del Tommi”.
Son trascorsi dieci anni da
quando accompagnai, in due memorabili giornate, l’amico professor Didier, alla
ricerca delle allumiere medievali tra Castelnuovo e Sasso Pisano. La fama della
“allumiera del Sasso”, all’origine del “sacco di Volterra” nel 1472, e troppo
nota perché mi ci dilunghi. Naturalmente oggi non ne resta quasi traccia, se
non il nome ad un podere, nelle vicinanze dei resti del cosidetto “Bagnone”, le
terme sacre degli etruschi, ancora in uso sotto i romani e travolte da un
movimento franoso nel IV secolo, il cui scavo e riscoperta si devono alle
indagini della dottoressa Anna Maria Esposito, funzionaria della Soprintendenza
Archeologica di Firenze nell’anno 1985. La ricerca della allumiera di
Castelnuovo si rivelò molto complessa e solo dopo pazienti ricerche “sul campo”
riuscimmo a d identificarne il sito. Era una vera e propria miniera, non
superficiale, attiva tra il XV ed il XVI secolo, travolta da una frana, forse
per l’abbandono a causa dell’esaurirsi della vena, fu ricoperta dal terreno,
oggi prato-seminativo, che tuttavia non ne nasconde del tutto le tracce,
specialmente dopo l’aratura. In un tardo pomeriggio gli feci vedere anche due
luoghi conosciuti da tutti i borghigiani, la “Buca della Concia” e la “Buca del
Tommi”. La prima uno scavo artificiale, la seconda una cavità naturale. In
entrambe erano evidenti le mineralizzazioni di zolfo e di allume. Ricordo che
il professore vedeva per la prima volta, e con entusiasmo, le pareti e la volta
brillare alla luce delle torce elettriche. Fu contento di raccogliere alcuni
bei campioni. Oggi sono ritornato alla “Buca del Tommi”, c’è ancora, ma di non
facile individuazione e soprattutto di pericoloso accesso. Non sono più,
infatti, il ragazzo di 10 o 12 anni che giocava a fare l’esploratore, agile,
ardimentoso, diciamo che “si pericolava” riuscendo sempre a non farsi male,
entrando carponi nella grotta per asportare “la mica” e qualche frammento di
zolfo…M’ha sempre affascinato il fosso sottostante, il “Riputido”, nel quale
oltre ai liquami dei borghigiani si sversavano i reflui della centrale
geotermoelettrica, e da sempre le acque
dei “lagoni”, correndo verso il torrente Pavone e…non arrivandoci mai! Seppi
più tardi che questo fosso scorreva in un letto sempre più basso, dato che era
costituito da un terreno molto antico, il “retico”, ossia le anidriti ed il
calcare del Trias, che l’acqua riusciva a sciogliere ed orodere, fino a che esso
non si trasformava in un vero e proprio “depuratore naturale” inghiottendola.
Per questo solo raramente arrivava al
torrente, dove le acque si mantenevano pulite e ricche di pesci, bisce, rane e
bottericchi.
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