lunedì 17 febbraio 2014




Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.

NOTE 

1 - Tutti i paragrafi di questo capitolo son tratti da Diario partigiano di M. Tanzini, mns., inedito, redatto nel periodo 1943-1944, andato successivamente perduto e riscritto, con alcuni allegati, nel 1960, Larderello.

2 – Il profilo biografico di Mario Chirici è collocato nel capitolo “I comandanti partigiani” del volume "La piccola banda di Ariano" ed. II. 2003.

3 – In seguito si saprà che l’animatore della sfortunata resistenza al podere Campo al Bizzi era stato il partigiano Remo Meoni. Remo Meoni e Otello Gattoli saranno decorati con medaglia d’argento al valor militare (alla memoria). Otello Gattoli darà il suo nome ad un distaccamento della XXIII bis Brigata Garibaldi, poi inglobato nella III Brigata Garibaldi. Il cavallo “Sauro” morì bruciato vivo nella stalla. Per testimoniare l’amore che i partigiani nutrivano verso i loro amici, “Sauro” e “Mondiale”, Nella Franceschi ha scritto (La Torre Massetana, a. XXXIX, n. 4, aprile 1995): “…dopo tanti decenni le madri si scambiano le loro lacrime nei cimiteri, i figli riposano in pace…ci sarà un Paradiso per Sauro e Mondiale e sulla lapide della memoria incideremo le parole di Kipling: Sei partito con gli altri, sei ritornato solo con te”. Luigi Tartagli, partigiano della banda “Camicia Rossa”, rievoca l’episodio nel libro di memorie Alla macchia!, op. cit., offrendoci una versione particolareggiata dell’eccidio di Campo al Bizzi: “...erano le 5 del mattino del 16 febbraio 1944 quando uno dei partigiani dette l’allarme, rendendosi conto che da ogni parte brulicavano militi repubblichini. Era un numeroso gruppo proveniente da quasi tutta la Toscana: Siena, Livorno, Grosseto, Pisa e Massa Marittima. Occuparono la frazione del Frassine, bloccarono ogni strada, circondarono i poderi Le Stallette, Fonte Larda, Poggio Rocchino, Campo al Bizzi. In due di questi poderi, quella notte, avevano dormito una ventina di partigiani. La loro formazione era dislocata a circa 4 chilometri all’interno del bosco. Erano gli addetti a costruire nuovi capanni…, ci fu un informatore che poi confessò il proprio misfatto… il gruppo che si trovava nel cascinale Campo al Bizzi fu subito attaccato dal fuoco nemico, i partigiani risposero finché non finirono le munizioni, i fascisti appiccarono il fuoco alla casa e i partigiani si arresero uscendo con le mani alzate… solo Canzio Leoncini, malgrado una ferita, riuscì a gettarsi da una finestra e fuggire… sull’aia del podere furono assassinati, dopo essere stati ripetutamente seviziati e deturpati onde impedirne il riconoscimento: Silvano Benedici di Volterra di anni 23; Pio Fidanzi, di Prata (Massa Marittima) di anni 19; Otello Gattoli di Massa Marittima di anni 35; Salvatore Mancuso di Catania di anni 23; Remo Meoni, abitante all’Accesa di Massa Marittima, ma nato a Montale (PT), di anni 27. Nell’altro podere, Poggio Rocchino, furono arrestati i mezzadri: Angelo Galgani e Armido Mancini e arrestati i partigiani: Guido Mario Giovannetti, Fosco Montemaggi e Mario Guarguaglini (rimasti feriti), Aldo Campana, Libero Corrivi, Primo Lorenzi, Giuseppe Fidanzi, Dino Gentili, Fortunato Granelli, Eros Granchi, Nimo Gualerci, Fulvio Guarguaglini, Fosco Sorresina, Eligio Martellacci, Gino Superchi di Boccheggiano, Eros Gronchi di Riparbella, Gino Gualerci di Livorno e infine due giovani dei quali nella zona si ricorda solo il nome di battaglia “Compagna” di Firenze e “Balilla” di Riparbella. I feriti ricevettero le prime cure da un medico e da un prete antifascisti proprio nella casa di Ugolini, tra Prata e Niccioleta.Tutti i prigionieri vennero legati e trasportati al Frassine, di li a Massa Marittima dove furono fatti sfilare nelle strade e sottoposti a sputi, insulti e cazzotti da parte della folla fascista appositamente radunata… la visione di quella scena tragica provocò una reazione tra la massa dei cittadini. Alcune decine di donne richiesero il rilascio dei prigionieri. Furono condotti alle carceri di Grosseto e dopo alcuni giorni cinque di loro furono portati alle  "Murate" di Firenze” e denunciati al tribunale militare”.


4 - Una dettagliata ricostruzione storica, con lo schema cartografico del rastrellamento fascista al Frassine del 16 febbraio 1944, e la biografia del comandante Mario Chirici, si trovano in P.N. Martelli, La Resistenza nell'alta Maremma, Drammi, contrasti, passioni politiche e generosità, presentazione di Mario Tobino, Giardini, Pisa, 1978, pp. 21-27. Tutti i prigionieri del rastrellamento del 16 febbraio 1944 al podere Campo al Bizzi furono portati al Frassine e disposti con le spalle al muro di una casa nelle vicinanze del santuario della Madonna. Giovannetti, attendendo la fucilazione, disse all'orecchio di un'altro partigiano (Sorresina): "Prima di morire gridiamo Viva Stalin! Viva l'Italia Libera! passa parola". Ma fu soltanto un atto di terrorismo psicologico e i prigionieri furono portati a Massa e fatti sfilare in fila per due nel corso, laceri, sporchi e sanguinanti, tra due fitte ali di donne che urlavano e piangevano mentre i fascisti cantavano la truce canzone presaga di morte: Battaglioni del Duce battaglioni...condotti alla Casa del Fascio furono di nuovo picchiati e il repubblicano Ovi prese a calci il Giovannetti malgrado fosse ferito e sputasse sangue...Il giorno seguente i prigionieri furono trasferiti al carcere di Grosseto e dopo qualche giorno di permanenza, cinque di loro, tra i quali Fosco Sorresina, tradotti al carcere le “Murate” di Firenze. Alle “Murate” Fulvio Guarguaglini intonò la canzone Pino solitario, per esprimere la malinconia e l'angoscia dei prigionieri: erano venti partigiani a cui si aggiunsero altri tre catturati a Radicondoli e tra loro ricordiamo il castelnuovino Martellacci Eligio. Con la caotica situazione determinatasi intorno a Firenze nell'estate del 1944 furono tutti rimessi in libertà provvisoria il 23 luglio e molti entrarono immediatamente nelle formazioni dei GAP fiorentini riprendendo la lotta contro i tedeschi e i fascisti. V. Guidoni, in Cronache grossetane, cit., p. 87, così commenta il rastrellamento e l'uccisione dei cinque partigiani al Frassine: "...il 16 febbraio a Campo Alberi (Frassine) in comune di Massa Marittima la GNR con la polizia federale, sorprende una formazione di ribelli abbastanza consistente che subisce la perdita di cinque uomini. Feriti diversi ribelli e diversi son fatti prigionieri: qualche ferito leggero anche nella GNR e nella polizia federale. Nella stessa operazione, in località Poggio Rocchino (poco lontano dal Frassine) un reparto della GNR sorprende nel sonno una quarantina di renitenti alla leva disarmati. Catturati ed avviati al Tribunale di Firenze, verranno condannati a tre mesi di reclusione ed avviati ai reparti operanti...intanto il Pretore di Massa Marittima che intende indagare sui fatti del Frassine, è minacciato di arresto dal Capo della Provincia". Ercolani Alceo, capo della provincia di Grosseto; Barberini Ennio e Maestrini Angelo, comandante e vice-comandante della 98^ Legione GNR; Pucci Generoso, ufficiale e triumviro della federazione della GNR di Grosseto, risultarono aver organizzato in provincia di Grosseto, dopo l’8 settembre 1943, numerosi rastrellamenti di partigiani e di inadempienti alla chiamata alle armi, in occasione dei quali furono catturati e barbaramente trucidati decine di giovani, furono trattenuti ostaggi e messi in atto soprusi e violenze di ogni sorta in tutto il territorio della provincia con la complicità presunta di altri 55 camerati, tutti sottoposti a processo presso la Corte di Assise di Grosseto il 18.12.1946. Al Frassine c’erano sicuramente anche Scotti Liberale, vice questore di Grosseto, con De Anna Michele, Pucini Inigo, Ciabatti Vittorio, Gori Armando, Zullo Carmine, Santini Mario, tutti accusati della cattura e uccisione di 5 partigiani il 16.2.1944. Fu il secondo rastrellamento effettuato su larga scala in Maremma e come ebbe a scrivere il Presidente della Corte d’Assise di Grosseto “...nel periodo febbraio primi di aprile si verificano gli episodi più crudeli e sanguinosi e la Corte non può non mettere in relazione tale fatto con la più attiva campagna, che è di quell’epoca, per l’arruolamento dei richiamati e degli sbandati dell’esercito italiano e per la repressione dei partigiani che si andavano organizzando militarmente e che si facevano sempre più arditi e pericolosi per fascisti e tedeschi; e di tale campagna più attiva ne sono prova i numerosi documenti esistenti in atti e specie al volume sesto, nei quali il capo della provincia sollecita le autorità periferiche ad una più intensa e più energica azione…così gli episodi appariscono come esecuzione di un unico disegno per indurre il popolo della provincia di Grosseto ad uniformarsi ai voleri dei dirigenti di quel governo fascista repubblicano che i tedeschi avevano voluto per l’attuazione del loro piano politico militare. E tale convinzione viene rafforzata dalla considerazione che i tre episodi più gravi e sanguinosi, quelli del Frassine, di Monte Quoio-Scalvaia e di Monte Bottigli, che si verificano in breve lasso di tempo, hanno tutti un identico svolgimento. Tutti si svolgono in due tempi: nel primo si hanno le vere e proprie azioni di rastrellamento, condotto anche con azioni di fuoco che nel corso di quello di Frassine e di Monte Quoio-Scalvaia producono anche dei morti e feriti tra i partigiani e i renitenti, in un secondo momento, immediatamente successivo e senza processo, si procede alla fucilazione di quelli che erano caduti prigionieri nelle mani del governo fascista. Necessita notare che nell’azione di Frassine due colonne agivano contemporaneamente, una indipendente dall’altra contro due distinti capisaldi tenuti dai partigiani e posti a notevole distanza l’uno dall’altro: Campo al Bizzi e Poggio Rocchino. I reparti dell’uno e dell’altro si arresero e furono fatti prigionieri, ma metre quelli di Poggio Rocchino, sebbene maltrattati e minacciati, ebbero salva la vita, gli altri, subito dopo, vennero fucilati sul posto. Il reparto che attaccò a Poggio Rocchino era comandato dal tenente Ciabatti, l’altro era comandato dal capitano Nardulli. E’ indubbio che tutti quelli che parteciparono al rastrellamento devono rispondere del delitto di collaborazione secondo l’ipotesi preveduta dall’art. 51 del CPMG in quanto partecipanti ad un’azione che mirava ad indebolire l’azione bellica delle forze armate del governo legittimo italiano contro il tedesco invasore e, comunque, a nuocere alle operazioni delle forze armate italiane ed a favorire lo sforzo bellico del tedesco invasore. Nel caso del rastrellamento del Frassine, come per tutti gli altri nei quali si verificarono delle uccisioni tra i partigiani ed i renitenti od altri, la difesa si fa a sostenere la sussistenza di un solo reato: quello di collaborazionismo. La Corte non può accogliere tale tesi perché il fatto della uccisione non costituisce elemento costitutivo o aggravante del reato di collaborazionismo il quale è perfetto con il fatto del rastrellamento. Gli imputati nel compiere le uccisioni, che erano per se stessi delitti, venendo a violare nello stesso tempo la norma di cui all’art. 51 del CPMG e perciò, ai sensi dell’art. 81 C.P. nei suddetti casi vi è concorso formale di reato. Ma la Corte non può ritenere colpevoli di omicidio tutti quelli che parteciparono alla complessa azione del Frassine in quanto per poter affermare ciò necessiterebbe avere la prova che essi sapevano che quelli che sarebbero stati arrestati sarebbero stati passati per le armi. Necessiterebbe, cioè, la prova che essi fossero stati a conoscenza degli ordini impartiti dalle gerarchie fasciste per la fucilazione dei partigiani fatti prigionieri in alcune determinate condizioni. Ora se per i gregari del reparto Nardulli si può affermare la responsabilità in quanto misero in atto le istruzioni impartite dall’alto in ordine alla sorte dei prigionieri, lo stesso non può dirsi per il reparto del Ciabatti per il quale non vi sono prove sufficienti della sua partecipazione all’esecuzione. Il tenente Ciabatti, individuo crudo e freddo, incapace di commuoversi, al Frassine, a Monte Quoio-Scalvaia, a Monte Bottigli, a Monte Cucco…dove ci sono dei morti e dei feriti, lo troviamo sempre. Al Frassine comandava una delle due colonne, quella che investì il capisaldo dove non ci furono fucilazioni, e non risulta se e quale parte il Ciabatti ebbe nella decisione della fucilazione dei giovani fatti prigionieri all’altro caposaldo. Ammette il Ciabatti che alla invocazione di soccorso dell’altro reparto, terminate le operazioni a lui assegnate, si avviò in soccorso del Nardulli, ma data la forte distanza giunse quando il combattimento era finito e le fucilazioni erano state eseguite e la Corte, non avendo elementi per contestare le affermazioni del Ciabatti, deve assolverlo con la formula del dubbio dall’omicidio di quelli fucilati al Frassine… Lucio Raciti è la figura più abbietta del processo. E’ colui che per una manciata di soldi (poche migliaia di lire) non si è peritato di provocare l’uccisione di 11 giovani in combutta col capo della provincia e dell’ufficio politico della questura di Grosseto... E’ lo stesso maresciallo dei CC operante a Volterra, soprannominato “Capobianco” per il colore dei  capelli, tristemente noto perché disonorò l’Arma dei carabinieri?

 Nel processo di Grosseto (18.12.1946) vengono comminate le seguenti condanne:
a morte mediante fucilazione – Maestrini e De Anna; Pucini; Ciabatti; Gori. A 30 anni di reclusione- Ercolani, Scotti. A 6 anni di reclusione – Barberini. Vengono assolti: Pucci e Zullo mentre per Santini si ritiene di non dover procedere per estinzione del reato di collaborazionismo. La Corte Suprema di Cassazione con sentenza 23.3.1948 annulla le condanne con rinvio alla Corte d’Assise di Perugia. Il 20.10.1949 la Corte di Appello di Firenze converte e riduce la pena: Maestrini, De Anna, Pucini, Ciabatti, Gori: all’ergastolo Ercolani e Scotti: 20 anni di reclusione. Barberini: 1 anno di reclusione. La Corte Suprema di Cassazione Sez. 2 penale con ordinanza 5.5.1954 rinvia De Anna a nuovo giudizio alla Corte di Perugia…e poi, come sarà andata? Pighini Leonelida, nata nel 1928, racconta: “…abitavo a Monterotondo Marittimo e mio padre faceva di professione il vetturino,  nel 1944 non aveva muli in proprietà, lavorava per un certo Bernardini di Venturina a Frassine. Si abitava nella Fattoria dentro il Frassine. Erano quattro vetturini, il mio babbo, Adalindo Moretti, Morello Moretti e Agostino Moretti, cioè il suocero e i cognati del Bernardini. C’era tantissimo lavoro perché l’esercito richiedeva tanto carbone, anche per i treni. I carbonai cuocevano e i vetturini lo trasportavano. Un imposto era vicino alla Cava dell’allume, dove c’era un uomo, il segnasome, che annotava tutti i viaggi. Mario Chirici chiese a mio padre che era pratico dei luoghi di costruirgli alcuni capanni a Poggio Rocchino con l’aiuto di alcuni partigiani. Questi partigiani erano troppo imprudenti, e la sera quando dalla macchia scendevano al Frassine cantavano. Venivano a farsi accomodare le selle e i finimenti dei cavalli, credo che ne avessero due o tre. C’era anche un calzolaio, Mancuso, siciliano, e un barbiere che si chiamava Biagio. Mancuso stava a Campo al Bizzi con quella donna, c’era una vedova in quel podere con un figliolo piccolo di dieci o undici anni e un altro era in guerra, questa donna teneva Mancuso come un figliolo e lui l’aiutava a lavorare il podere, solo che la domenica scendeva giù a fare il calzolaio in uno stanzone messo a disposizione dal fattore. Così guadagnavano qualche soldo. Era uno sbandato dell’8 settembre. Il fattore gli disse a questa donna tenetelo nascosto, vi aiuta a lavorare. La mattina presto del 16 febbraio 1944, quando ci si alzò si notò un gran movimento di soldati repubblichini. Erano tante camice nere venute da tutta la Maremma, anche da Castelnuovo, da Larderello, da tutte le parti. Il mio babbo era sopra il podere chiamato “La Capannina” e andava a lavoro. Era a cavallo e aveva affunati i muli. Dietro aveva un canino nero che portava sempre con se. Ad un tratto sentì raffiche di mitra indirizzate contro di lui. Il Bernardini cominciò ad urlare a squarciagola cercando di fermare i fascisti “E’ un operaio mio! Và a caricare il carbone!” e andò incontro al mio babbo. I fascisti cessarono il fuoco e lui ritornò a casa. Allora si sentì sparare e crepitare la mitraglia, su in alto, verso Campo al Bizzi. Ci dissero di stare riparati nei fondi della fattoria, dietro spessi muri. Io avevo sedici anni, mio fratello diciotto e mia sorella aveva sei anni. Fecero una strage: Canzio Leoncini e Mancuso si gettarono da una finestra di cucina tentando la fuga. Leoncini, benché ferito, ci riuscì, Mancuso si ruppe una gamba e fu ucciso sull’aia e poi, non solo, dopo averli ammazzati gliele fecero nere. C’era uno, un certo M, che stava alla fattoria di Vecchienne, gli mise un pugnale in bocca e gli disse “Noi si mangia il pane te mangia questo!” gli squarciò dalla bocca tutta la faccia. Si può essere più cattivi? I partigiani erano andati a fare il pane e furono presi alla sprovvista, erano indisciplinati, ragazzi avventurosi. Poi a Poggio Rocchinoi ne arrestarono tanti. Li misero tutti in fila al muro della fattoria del Frassine, dietro al chiesa, tra loro c’era anche Primo Lorenzi, di Massa Marittima. Li picchiarono a sangue, gli sputavano in faccia e poi gli fecero fare da mangiare e li costrinsero a mangiare per forza dicendogli “Vedete come si trattano i prigionieri! Cercate di farlo anche voi se vi riuscirà a farci prigionieri!” questi delinquenti! Li fecero mangiare per forza, te lo immagini che voglia ne avevano con le botte che gli avevano dato! Prima li portarono a Massa Marittima e dopo a Grosseto e poi alle “Murate” a Firenze da dove riuscirono tutti a fuggire. Ne avevano buscate tante perché erano tutti conci, ridotti in uno stato pietoso. Alla cantoniera ci stava Celide, aveva un figliolo in guerra, al cimitero c’era un carraio il fattore gli dette delle tavole per fare le casse le portarono al cimitero del Frassine, venne il Prefetto, le bare allineate e c'erano i genitori di quelli di Massa che piangevano. Questa Celide riconobbe un cugino che era tra i fascisti ed era venuto ad ammazzarli! Era lì e faceva finta di piangere insieme agli zii. Questa donna cominciò ad urlare “Assassino! Assassino!” Fu fatto allontanare dai militi repubblichini. Dopo perseguitarono anche il mio babbo accusato di essere collaboratore dei partigiani. In realtà lo era perché andava coi muli a macinargli il grano perfino al Mulino di Adarbia e noi dietro a spazzare le orme dalla polvere; gli ha fatto i capanni e riparato i finimenti…rischiava sempre. Ai ragazzi diceva di non cantare, di non tenere i lumi accesi…Dopo questo fatto mio padre chiese al Bernardini di essere mandato all’imposto del Rio Secco, c’era una casina con una camera, la cucina e una stalla grande. Cominciarono a passare i soldati tedeschi e si corsero moltissimi pericoli. Catturarono mio padre e lo fecero salire su un camion, lo picchiarono, lo sfilarono e per il resto della vita fu costretto a portare un busto, e per fortuna lo fece liberare il fattore di Vecchienne, Ristori, che lo riconobbe. Lo riportò lui col “mezzolegno” al Rio Secco. Al Frassine ti può dire qualcosa un certo Fidanzi. Della battaglia di Monterotondo non so’ niente perché quel giorno mi fermarono al Ponte della Lumiera mentre in bicicletta venivo in paese a fare le spese. Al cimitero del Frassine non c’è rimasto niente, nemmeno una lapide. In fin dei conti la cerimonia si svolse qui. Vedi il filmato di Faccini, Canto per il sangue dimenticato, parlano due sorelle di un fucilato… si vede Campo al Bizzi, la finestra, dove è caduto Mancuso e ce l’hanno ammazzato…lo vidi con grande emozione. Mio padre era repubblicano, come mio nonno, poi quando ci fu La Malfa col centrosinistra, si allontanò: “Partiti punti, il voto lo do’ al Partito Comunista!” Ma nel cuore era rimasta l’antica e fiera fede repubblicana”.

5 - Una versione analoga sulla sorte del cane "Mondiale" è stata fornita da Mauro Tanzini a Fosco Sorresina e pubblicata in, Camicie rosse dal Frassine alle Murate, ANPI, Grosseto, 1991. Vedi inoltre F. Sorresina, Memorie, Tip. Grossetana, Grosseto, 1996, pp. 63-66, nelle quali è riportato l’epitaffio a “Sauro” e “Mondiale”:

Oh….Intelligenti e fedeli amici,
fra monti nevosi e verdi vallate
ci seguiste fino alla morte!
Questa memoria,
dedicata ai vostri bellissimi nomi,
annoverati fra i caduti per la libertà,
sia segno di dovuta reverenza.


Nessun commento:

Posta un commento