lunedì 17 febbraio 2014



Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.

Parte (V).

3.Rastrellamento fascista a Frassine


...Al mattino del 16 febbraio, verso le ore 5, rientravo nella formazione da una missione effettuata nelle località di Vignale Riotorto e San Lorenzo, per un abboccamento con elementi dei CLN. In questa occasione furono ritirate armi, munizioni e vestiario. Al colloquio di Vignale partecipò una persona che dal comportamento, mi sembrò fosse un militare: più tardi avrò modo di chiarire questo dubbio (nel mese di maggio, nella zona del Caglio, rividi la detta persona, era il tenente colonnello Adalberto Croci). Sul percorso di ritorno ci fermammo a San Lorenzo per prelevare scarpe e viveri. I partecipanti alla missione capeggiata dal Chirici furono: Balilla, Aldo Campana, Giuseppe Fidanzi, Enrico Filippi, Bruno Giannioni, Eros Gronchi, Fosco Montemaggi, lo slavo Mirko e Mauro Tanzini. Al rientro, prima di prendere il viottolo che conduceva all'accampamento, i partigiani Balilla, Campana, Fidanzi, Guarguaglini e Montemaggi proseguirono per il podere Campo al Bizzi con il cavallo e i muli. Nel capanno comando trovammo il nostro carissimo collaboratore Livio Milani di Monterotondo Marittimo; ci aveva portato alcune pale, una piccozza e due pennati. Dopo poco, forse era passata una mezz'ora dal nostro arrivo, tant'è vero che Chirici conversava ancora con Milani, si cominciarono a sentire raffiche di mitragliatrice e scoppi di bombe. Il Chirici chiese subito al Milani se nel venire alla formazione avesse notato qualche movimento sospetto, il Milani rispose che era venuto direttamente da Monterotondo senza incontrare anima viva. Fu dato immediatamente l'allarme. Due squadre furono inviate fuori dall'accampamento; quella del tenente Vittorio Ceccherini in direzione di Poggio Rocchino e quella del tenente Alfredo Gallistru verso Campo al Bizzi. Tutti gli altri rimasero nell'accampamento ad occultare quel poco di materiale che avevamo. Al momento dell'allarme fu fissata la località in cui ci si sarebbe dovuti trovare la sera, dopo il tramonto. Il punto di riferimento era una radura nel bosco, vicino al podere "Ghirlandino". Io rimasi sempre con Chirici, Stoppa, Vecchioni e Modesti. Nel pomeriggio, alle ore 14, fui comandato di effettuare un sopraluogo nelle località ove si trovavano i distaccamenti. Mi recai subito al podere Poggio Rocchino, anche perché non furono uditi spari da quella direzione; appena mi videro fui oggetto di una forte reazione da parte delle due famiglie contadine che vi abitavano. Le donne e i ragazzi mi minacciarono e mi imposero di fuggire immediatamente; certo avevano ragione anche perché avevano paura che nei paraggi vi fossero nascosti dei fascisti. Seppi che i fascisti repubblichini avevano preso i due coloni, Galgani e Mancini, unitamente al Giovannetti con tutta la sua squadra. Verso l'imbrunire mi recai al podere Campo al Bizzi; ad una cinquantina di metri dal casolare incontrai una donna in lacrime, che con molta dignità e coraggio mi raccontò quant'era accaduto. La mattina del rastrellamento erano alloggiati nel podere sei partigiani; cinque partigiani, rientrati nelle prime ore del giorno, mentre erano intenti a scaricare il cavallo e i quattro muli (avuti in prestito da un vetturino del Frassine) di armi e munizioni, vestiario e vettovaglie, vennero colti di sorpresa e fatti prigionieri. I sei partigiani che si trovavano all'interno del fabbricato, all'intimazione della resa accettarono il combattimento che si protrasse per alcune ore, fino a che non esaurirono le munizioni. Prima di arrendersi, uno di loro lanciò l'ultima bomba a mano contro i fascisti, che purtroppo rimase inesplosa. Cinque partigiani, nonostante l'atto di resa, caduti feriti in mano ai nazifascisti (tra i quali sembrano presenti alcuni militi di Castelnuovo), furono trucidati a pugnalate e i loro corpi orribilmente mutilati. Essi erano: Silvano Benedici di Volterra; Pio Fidanzi e Otello Gattoli di Massa Marittima; Salvatore Mancuso di Catania e Remo Meoni di Montale (Pistoia). Il sesto partigiano, Canzio Leoncini, di Massa Marittima, si salvò gettandosi da una finestra e benché colpito da una pallottola riuscì a dileguarsi nel bosco. I muli furono requisiti, mentre il cavallo “Sauro” fu rinchiuso nella stalla alla quale venne appiccato il fuoco; il cane "Mondiale" rimase illeso. Mario Guarguaglini venne ferito al ginocchio da una pallottola; Granelli e Martellucci furono pestati sulla faccia con gli elmetti. Tutti gli altri prigionieri ebbero insulti, spintoni e pedate. La zona in cui risiedeva il Comando fu sottoposta ad un violento volume di fuoco e circondata; quando fu possibile sganciarsi, putroppo era tardi e non vi era più alcuna possibilità di portare aiuto ai nostri sfortunati compagni che si trovavano fuori dall'accampamento. Il triste bilancio della giornata fu di cinque partigiani trucidati e diciotto prigionieri (compresi i due coloni)3.

In seguito si saprà che l'animatore della sfortunata resistenza al podere Campo al Bizzi era stato il partigiano Remo Meoni; per questo fatto gli verrà concessa la medaglia d'argento al valor militare, alla memoria.

      In successive ricostruzione del gravissimo episodio, il Chirici ritenne che la sorpresa dell'attacco fascista si doveva imputare

...alla assoluta mancanza di senso del dovere, di ordine, di disciplina degli elementi che si fanno affluire nelle formazioni...nell'opera dei commissari politici che...intralciano l'opera disciplinare delle formazioni diffondendo diffidenza verso il caposquadra A perché non comunista, o verso il caposquadra B perché apertamente monarchico ecc...creando una atmosfera di diffidenza reciproca a tutto scapito della coesione necessaria.

Espressioni altrettanto risentite il Chirici adoperò a proposto dei CLN il cui

...contegno poco corretto dei variopinti comitati che, dopo mesi di discussione, non hanno inviato materiali, ma solo uomini disarmati e scalzi, spesso inservibili perché ammalati...della presenza in formazione di stranieri che non intendono battersi e alle prime scaramucce abbandonano le armi e, vestiti con gli abiti dell'esercito di provenienza, preferiscono andare soli asserendo che se presi senza armi non vengono fucilati...e della mancata selezione degli uomini avviati alle formazioni: non basta che uno sia ricercato per la leva militare per dargli diritto ad avere accesso nelle formazioni. Sono necessari uomini convinti della giusta causa per cui lottare, altrimenti non si avranno che elementi per far numero nei bivacchi...primi sempre alla gavetta, ma pieni di acciacchi quando si tratta di servizi, di guardia di pattuglie e spesso eclissandosi al momento dell'azione...

Infatti a Poggio Rocchino e Campo al Bizzi non solo non è stata montata la guardia ma

...si sono fatti sorprendere a letto e le munizioni, ad eccezione di un caricatore per ogni moschetto, erano in un capanno distante circa un'ora di cammino!

E' una amara riflessione sulle difficoltà organizzative delle formazioni partigiane che umanizzandole ce le rendono più vicine; più comprensibili gli sbandamenti, gli errori, i morti. Giorgio Stoppa, al contempo, accusa il Chirici di essere stato superficiale e militarmente impreparato e gli addebita, se pur velatamente, l'insuccesso di Campo al Bizzi. Altri partigiani, tra cui Eligio Martellacci, Eros Zazzeri, Viazzo Zazzeri, Mauro Tanzini  presentano il Chirici come

...un uomo onesto, corretto, prudente, cosciente nel preparare e dirigere le azioni della formazione,

cui non può essere di certo imputato l'episodio del Frassine. Stoppa e Chirici si separeranno tra reciproche e ambigue accuse. Al fondo delle accuse c'è la costante che caratterizza gli aspetti della Resistenza nel massetano, cioè l'azione degli uomini del PCI volta a politicizzare la lotta partigiana e la reazione, di personalità come Croci, Chirici, Cassola, Piccioli ed altri che intendevano, nella guerra contro i nazifascisti, restare fedeli ad una concezione, sia di impronta militare e di fedeltà al Re che di impronta libertaria e risorgimentale.  Ancora una volta, per questa brillante analisi, rimandiamo alla lettura del saggio di Pier Nello Martelli, che abbiamo largamente sunteggiato. Per la sua brutalità e la sua follia, merita riprodurre "l'elogio di Pavolini ai fascisti maremmani":

... E' giunta  al Segretario del Fascio di Grosseto la lettera che pubblichiamo inviata dal segretario del Partito subito dopo lo scontro di Frassine avvenuto il 16.2.1944 e che rientra nel quadro delle operazioni di rastrellamento della Provincia dalle bande antinazionali assoldate dal nemico. Posta da Campo 704, 3.3.44 XXII. Al Triunvirato Federale di Grosseto - Paganico. e p.c. alla Federazione Fascista Repubblicana Grosseto: Con riferimento alla comunicazione relativa allo scontro avvenuto tra elementi sovversivi, legionari della Guardia Nazionale Repubblicana e i Fascisti di codesta provincia, apprendo con vivo compiacimento il risultato ottenuto. Mentre formulo i migliori voti augurali per i camerati feriti, assicuro che il Partito segue con fiducia ed ammirazione i legionari e i fascisti che, in nome  della Patria e dell'Idea, si battono per conseguire l'epurazione degli elementi avversari alla gloriosa marcia per la grandezza dell'Italia Fascista Repubblicana. Attendo la dettagliata relazione - tramite la Federazione Provinciale - sullo svolgimento dell'azione. Il Segretario del Partito, Alessandro Pavolini.

Mauro Tanzini scrive nel suo Diario:

...bisogna riconoscere, obiettivamente, che l'imprudenza di non aver provveduto a montare dei turni di guardia, fu un grave errore. Qualche cosa non funzionò, nonostante il CLN di Massa Marittima avesse inviato un messaggio con la raccomandazione di stare all'erta in quanto avevano saputo da indiscrezioni che i fascisti si apprestavano a compiere un rastrellamento. Forse ci tradì l'illusione di ritenere di trovarci in una località sicura; questo, io penso, è stato il vero motivo dell'assenza di precauzioni. Arrivai sul luogo dell'appuntamento che era già buio. Chirici ed i superstiti del Frassine non vedendomi arrivare erano molto preoccupati. Più tardi seppi dal carissimo compagno Bruno Giannioni che qualcuno, di cui non volle mai rivelarmi il nome, aveva ipotizzato la mia fuga, ma che il Chirici e lo Stoppa non avevano dato spazio a questa ipotesi, tanto è vero che ritardarono di oltre un'ora la partenza da questo luogo. Quando mi videro arrivare tirarono un sospiro di sollievo. Immediatamente vollero fare il punto sulla situazione venutasi a creare dopo il rastrellamento. Risultò che mancavano all'appello 51 elementi, infatti dei 65 eravamo solo in 14: Chirici, Gallistru, Stoppa, "Gino", Vinicio Modesti, Giorgio Vecchioni, Dino Cocolli, Franco Venturi, Enrico Filippi, Bruno Giannioni, Giuseppe Martellini, Libero Fedeli, Mauro Tanzini, Rodolfo Tamburini. Il tenente Ceccherini non lo vidi più4.


                                                           (continua)

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