Campo ai Bizzi, 16 febbraio 2014.
NOTE
1 - Tutti i paragrafi di questo capitolo
son tratti da Diario partigiano di M.
Tanzini, mns., inedito, redatto nel periodo 1943-1944, andato successivamente
perduto e riscritto, con alcuni allegati, nel 1960, Larderello.
2 – Il profilo biografico di Mario
Chirici è collocato nel capitolo “I comandanti partigiani” del volume "La piccola banda di Ariano" ed. II. 2003.
3 – In seguito si saprà che l’animatore
della sfortunata resistenza al podere Campo al Bizzi era stato il partigiano
Remo Meoni. Remo Meoni e Otello Gattoli saranno decorati con medaglia d’argento
al valor militare (alla memoria). Otello Gattoli darà il suo nome ad un
distaccamento della XXIII bis Brigata Garibaldi, poi inglobato nella III
Brigata Garibaldi. Il cavallo “Sauro” morì bruciato vivo nella stalla. Per
testimoniare l’amore che i partigiani nutrivano verso i loro amici, “Sauro” e
“Mondiale”, Nella Franceschi ha scritto (La Torre Massetana,
a. XXXIX, n. 4, aprile 1995): “…dopo tanti decenni le madri si scambiano le
loro lacrime nei cimiteri, i figli riposano in pace…ci sarà un Paradiso per
Sauro e Mondiale e sulla lapide della memoria incideremo le parole di Kipling:
Sei partito con gli altri, sei ritornato solo con te”. Luigi Tartagli,
partigiano della banda “Camicia Rossa”, rievoca l’episodio nel libro di memorie
Alla macchia!, op. cit., offrendoci
una versione particolareggiata dell’eccidio di Campo al Bizzi: “...erano le 5 del
mattino del 16 febbraio 1944 quando uno dei partigiani dette l’allarme,
rendendosi conto che da ogni parte brulicavano militi repubblichini. Era un
numeroso gruppo proveniente da quasi tutta la Toscana: Siena, Livorno,
Grosseto, Pisa e Massa Marittima. Occuparono la frazione del Frassine,
bloccarono ogni strada, circondarono i poderi Le Stallette, Fonte Larda, Poggio
Rocchino, Campo al Bizzi. In due di questi poderi, quella notte, avevano
dormito una ventina di partigiani. La loro formazione era dislocata a circa 4 chilometri
all’interno del bosco. Erano gli addetti a costruire nuovi capanni…, ci fu un
informatore che poi confessò il proprio misfatto… il gruppo che si trovava nel
cascinale Campo al Bizzi fu subito attaccato dal fuoco nemico, i partigiani
risposero finché non finirono le munizioni, i fascisti appiccarono il fuoco
alla casa e i partigiani si arresero uscendo con le mani alzate… solo Canzio
Leoncini, malgrado una ferita, riuscì a gettarsi da una finestra e
fuggire… sull’aia del podere furono assassinati, dopo essere stati ripetutamente
seviziati e deturpati onde impedirne il riconoscimento: Silvano Benedici di
Volterra di anni 23; Pio Fidanzi, di Prata (Massa Marittima) di anni 19; Otello
Gattoli di Massa Marittima di anni 35; Salvatore Mancuso di Catania di anni 23;
Remo Meoni, abitante all’Accesa di Massa Marittima, ma nato a Montale (PT), di
anni 27. Nell’altro podere, Poggio Rocchino, furono arrestati i mezzadri:
Angelo Galgani e Armido Mancini e arrestati i partigiani: Guido Mario
Giovannetti, Fosco Montemaggi e Mario Guarguaglini (rimasti feriti), Aldo
Campana, Libero Corrivi, Primo Lorenzi, Giuseppe Fidanzi, Dino Gentili,
Fortunato Granelli, Eros Granchi, Nimo Gualerci, Fulvio Guarguaglini, Fosco
Sorresina, Eligio Martellacci, Gino Superchi di Boccheggiano, Eros Gronchi di
Riparbella, Gino Gualerci di Livorno e infine due giovani dei quali nella zona
si ricorda solo il nome di battaglia “Compagna” di Firenze e “Balilla” di
Riparbella. I feriti ricevettero le prime cure da un medico e da un prete
antifascisti proprio nella casa di Ugolini, tra Prata e Niccioleta.Tutti i
prigionieri vennero legati e trasportati al Frassine, di li a Massa Marittima
dove furono fatti sfilare nelle strade e sottoposti a sputi, insulti e cazzotti
da parte della folla fascista appositamente radunata… la visione di quella scena
tragica provocò una reazione tra la massa dei cittadini. Alcune decine di donne
richiesero il rilascio dei prigionieri. Furono condotti alle carceri di
Grosseto e dopo alcuni giorni cinque di loro furono portati alle "Murate" di Firenze” e denunciati
al tribunale militare”.
4 - Una dettagliata ricostruzione
storica, con lo schema cartografico del rastrellamento fascista al Frassine del
16 febbraio 1944, e la biografia del comandante Mario Chirici, si trovano in
P.N. Martelli, La Resistenza nell'alta Maremma, Drammi, contrasti,
passioni politiche e generosità, presentazione di Mario Tobino, Giardini,
Pisa, 1978, pp. 21-27. Tutti i prigionieri del rastrellamento del 16 febbraio
1944 al podere Campo al Bizzi furono portati al Frassine e disposti con le
spalle al muro di una casa nelle vicinanze del santuario della Madonna.
Giovannetti, attendendo la fucilazione, disse all'orecchio di un'altro
partigiano (Sorresina): "Prima di morire gridiamo Viva Stalin! Viva
l'Italia Libera! passa parola". Ma fu soltanto un atto di terrorismo
psicologico e i prigionieri furono portati a Massa e fatti sfilare in fila per
due nel corso, laceri, sporchi e sanguinanti, tra due fitte ali di donne che
urlavano e piangevano mentre i fascisti cantavano la truce canzone presaga di
morte: Battaglioni del Duce battaglioni...condotti alla Casa del Fascio furono
di nuovo picchiati e il repubblicano Ovi prese a calci il Giovannetti malgrado
fosse ferito e sputasse sangue...Il giorno seguente i prigionieri furono
trasferiti al carcere di Grosseto e dopo qualche giorno di permanenza, cinque
di loro, tra i quali Fosco Sorresina, tradotti al carcere le “Murate” di
Firenze. Alle “Murate” Fulvio Guarguaglini intonò la canzone Pino solitario, per esprimere la
malinconia e l'angoscia dei prigionieri: erano venti partigiani a cui si
aggiunsero altri tre catturati a Radicondoli e tra loro ricordiamo il
castelnuovino Martellacci Eligio. Con la caotica situazione determinatasi
intorno a Firenze nell'estate del 1944 furono tutti rimessi in libertà provvisoria
il 23 luglio e molti entrarono immediatamente nelle formazioni dei GAP
fiorentini riprendendo la lotta contro i tedeschi e i fascisti. V. Guidoni, in Cronache grossetane, cit., p. 87, così
commenta il rastrellamento e l'uccisione dei cinque partigiani al Frassine:
"...il 16 febbraio a Campo Alberi (Frassine) in comune di Massa Marittima la GNR con la polizia federale,
sorprende una formazione di ribelli abbastanza consistente che subisce la
perdita di cinque uomini. Feriti diversi ribelli e diversi son fatti
prigionieri: qualche ferito leggero anche nella GNR e nella polizia federale.
Nella stessa operazione, in località Poggio Rocchino (poco lontano dal
Frassine) un reparto della GNR sorprende nel sonno una quarantina di renitenti
alla leva disarmati. Catturati ed avviati al Tribunale di Firenze, verranno
condannati a tre mesi di reclusione ed avviati ai reparti operanti...intanto il
Pretore di Massa Marittima che intende indagare sui fatti del Frassine, è
minacciato di arresto dal Capo della Provincia". Ercolani Alceo, capo
della provincia di Grosseto; Barberini Ennio e Maestrini Angelo, comandante e
vice-comandante della 98^ Legione GNR; Pucci Generoso, ufficiale e triumviro
della federazione della GNR di Grosseto, risultarono aver organizzato in
provincia di Grosseto, dopo l’8 settembre 1943, numerosi rastrellamenti di
partigiani e di inadempienti alla chiamata alle armi, in occasione dei quali
furono catturati e barbaramente trucidati decine di giovani, furono trattenuti
ostaggi e messi in atto soprusi e violenze di ogni sorta in tutto il territorio
della provincia con la complicità presunta di altri 55 camerati, tutti
sottoposti a processo presso la
Corte di Assise di Grosseto il 18.12.1946. Al Frassine
c’erano sicuramente anche Scotti Liberale, vice questore di Grosseto, con De
Anna Michele, Pucini Inigo, Ciabatti Vittorio, Gori Armando, Zullo Carmine,
Santini Mario, tutti accusati della cattura e uccisione di 5 partigiani il
16.2.1944. Fu il secondo rastrellamento effettuato su larga scala in Maremma e
come ebbe a scrivere il Presidente della Corte d’Assise di Grosseto “...nel
periodo febbraio primi di aprile si verificano gli episodi più crudeli e
sanguinosi e la Corte
non può non mettere in relazione tale fatto con la più attiva campagna, che è di
quell’epoca, per l’arruolamento dei richiamati e degli sbandati dell’esercito
italiano e per la repressione dei partigiani che si andavano organizzando
militarmente e che si facevano sempre più arditi e pericolosi per fascisti e
tedeschi; e di tale campagna più attiva ne sono prova i numerosi documenti
esistenti in atti e specie al volume sesto, nei quali il capo della provincia
sollecita le autorità periferiche ad una più intensa e più energica azione…così
gli episodi appariscono come esecuzione di un unico disegno per indurre il
popolo della provincia di Grosseto ad uniformarsi ai voleri dei dirigenti di
quel governo fascista repubblicano che i tedeschi avevano voluto per
l’attuazione del loro piano politico militare. E tale convinzione viene
rafforzata dalla considerazione che i tre episodi più gravi e sanguinosi,
quelli del Frassine, di Monte Quoio-Scalvaia e di Monte Bottigli, che si
verificano in breve lasso di tempo, hanno tutti un identico svolgimento. Tutti
si svolgono in due tempi: nel primo si hanno le vere e proprie azioni di
rastrellamento, condotto anche con azioni di fuoco che nel corso di quello di
Frassine e di Monte Quoio-Scalvaia producono anche dei morti e feriti tra i
partigiani e i renitenti, in un secondo momento, immediatamente successivo e
senza processo, si procede alla fucilazione di quelli che erano caduti
prigionieri nelle mani del governo fascista. Necessita notare che nell’azione
di Frassine due colonne agivano contemporaneamente, una indipendente dall’altra
contro due distinti capisaldi tenuti dai partigiani e posti a notevole distanza
l’uno dall’altro: Campo al Bizzi e Poggio Rocchino. I reparti dell’uno e
dell’altro si arresero e furono fatti prigionieri, ma metre quelli di Poggio
Rocchino, sebbene maltrattati e minacciati, ebbero salva la vita, gli altri,
subito dopo, vennero fucilati sul posto. Il reparto che attaccò a Poggio
Rocchino era comandato dal tenente Ciabatti, l’altro era comandato dal capitano
Nardulli. E’ indubbio che tutti quelli che parteciparono al rastrellamento
devono rispondere del delitto di collaborazione secondo l’ipotesi preveduta
dall’art. 51 del CPMG in quanto partecipanti ad un’azione che mirava ad
indebolire l’azione bellica delle forze armate del governo legittimo italiano
contro il tedesco invasore e, comunque, a nuocere alle operazioni delle forze
armate italiane ed a favorire lo sforzo bellico del tedesco invasore. Nel caso
del rastrellamento del Frassine, come per tutti gli altri nei quali si
verificarono delle uccisioni tra i partigiani ed i renitenti od altri, la
difesa si fa a sostenere la sussistenza di un solo reato: quello di
collaborazionismo. La Corte
non può accogliere tale tesi perché il fatto della uccisione non costituisce
elemento costitutivo o aggravante del reato di collaborazionismo il quale è
perfetto con il fatto del rastrellamento. Gli imputati nel compiere le
uccisioni, che erano per se stessi delitti, venendo a violare nello stesso
tempo la norma di cui all’art. 51 del CPMG e perciò, ai sensi dell’art. 81 C.P. nei suddetti casi vi è
concorso formale di reato. Ma la
Corte non può ritenere colpevoli di omicidio tutti quelli che
parteciparono alla complessa azione del Frassine in quanto per poter affermare
ciò necessiterebbe avere la prova che essi sapevano che quelli che sarebbero
stati arrestati sarebbero stati passati per le armi. Necessiterebbe, cioè, la
prova che essi fossero stati a conoscenza degli ordini impartiti dalle
gerarchie fasciste per la fucilazione dei partigiani fatti prigionieri in
alcune determinate condizioni. Ora se per i gregari del reparto Nardulli si può
affermare la responsabilità in quanto misero in atto le istruzioni impartite
dall’alto in ordine alla sorte dei prigionieri, lo stesso non può dirsi per il
reparto del Ciabatti per il quale non vi sono prove sufficienti della sua
partecipazione all’esecuzione. Il tenente Ciabatti, individuo crudo e freddo,
incapace di commuoversi, al Frassine, a Monte Quoio-Scalvaia, a Monte Bottigli,
a Monte Cucco…dove ci sono dei morti e dei feriti, lo troviamo sempre. Al Frassine
comandava una delle due colonne, quella che investì il capisaldo dove non ci
furono fucilazioni, e non risulta se e quale parte il Ciabatti ebbe nella
decisione della fucilazione dei giovani fatti prigionieri all’altro caposaldo.
Ammette il Ciabatti che alla invocazione di soccorso dell’altro reparto,
terminate le operazioni a lui assegnate, si avviò in soccorso del Nardulli, ma
data la forte distanza giunse quando il combattimento era finito e le
fucilazioni erano state eseguite e la
Corte, non avendo elementi per contestare le affermazioni del
Ciabatti, deve assolverlo con la formula del dubbio dall’omicidio di quelli
fucilati al Frassine… Lucio Raciti è la figura più abbietta del processo. E’
colui che per una manciata di soldi (poche migliaia di lire) non si è peritato
di provocare l’uccisione di 11 giovani in combutta col capo della provincia e
dell’ufficio politico della questura di Grosseto... E’ lo stesso maresciallo dei
CC operante a Volterra, soprannominato “Capobianco” per il colore dei capelli, tristemente noto perché disonorò
l’Arma dei carabinieri?
Nel processo di Grosseto (18.12.1946)
vengono comminate le seguenti condanne:
a morte mediante fucilazione – Maestrini
e De Anna; Pucini; Ciabatti; Gori. A 30 anni di reclusione- Ercolani, Scotti. A
6 anni di reclusione – Barberini. Vengono assolti: Pucci e Zullo mentre per
Santini si ritiene di non dover procedere per estinzione del reato di
collaborazionismo. La Corte
Suprema di Cassazione con sentenza 23.3.1948 annulla le
condanne con rinvio alla Corte d’Assise di Perugia. Il 20.10.1949 la Corte di Appello di Firenze
converte e riduce la pena: Maestrini, De Anna, Pucini, Ciabatti, Gori:
all’ergastolo Ercolani e Scotti: 20 anni di reclusione. Barberini: 1 anno di
reclusione. La Corte
Suprema di Cassazione Sez. 2 penale con ordinanza 5.5.1954
rinvia De Anna a nuovo giudizio alla Corte di Perugia…e poi, come sarà andata?
Pighini Leonelida, nata nel 1928, racconta: “…abitavo a Monterotondo Marittimo
e mio padre faceva di professione il vetturino,
nel 1944 non aveva muli in proprietà, lavorava per un certo Bernardini
di Venturina a Frassine. Si abitava nella Fattoria dentro il Frassine. Erano
quattro vetturini, il mio babbo, Adalindo Moretti, Morello Moretti e Agostino
Moretti, cioè il suocero e i cognati del Bernardini. C’era tantissimo lavoro
perché l’esercito richiedeva tanto carbone, anche per i treni. I carbonai
cuocevano e i vetturini lo trasportavano. Un imposto era vicino alla Cava
dell’allume, dove c’era un uomo, il segnasome, che annotava tutti i viaggi.
Mario Chirici chiese a mio padre che era pratico dei luoghi di costruirgli
alcuni capanni a Poggio Rocchino con l’aiuto di alcuni partigiani. Questi
partigiani erano troppo imprudenti, e la sera quando dalla macchia scendevano
al Frassine cantavano. Venivano a farsi accomodare le selle e i finimenti dei
cavalli, credo che ne avessero due o tre. C’era anche un calzolaio, Mancuso,
siciliano, e un barbiere che si chiamava Biagio. Mancuso stava a Campo al Bizzi
con quella donna, c’era una vedova in quel podere con un figliolo piccolo di
dieci o undici anni e un altro era in guerra, questa donna teneva Mancuso come
un figliolo e lui l’aiutava a lavorare il podere, solo che la domenica scendeva
giù a fare il calzolaio in uno stanzone messo a disposizione dal fattore. Così
guadagnavano qualche soldo. Era uno sbandato dell’8 settembre. Il fattore gli
disse a questa donna tenetelo nascosto, vi aiuta a lavorare. La mattina presto
del 16 febbraio 1944, quando ci si alzò si notò un gran movimento di soldati
repubblichini. Erano tante camice nere venute da tutta la Maremma, anche da
Castelnuovo, da Larderello, da tutte le parti. Il mio babbo era sopra il podere
chiamato “La Capannina”
e andava a lavoro. Era a cavallo e aveva affunati i muli. Dietro aveva un
canino nero che portava sempre con se. Ad un tratto sentì raffiche di mitra
indirizzate contro di lui. Il Bernardini cominciò ad urlare a squarciagola
cercando di fermare i fascisti “E’ un operaio mio! Và a caricare il carbone!” e
andò incontro al mio babbo. I fascisti cessarono il fuoco e lui ritornò a casa.
Allora si sentì sparare e crepitare la mitraglia, su in alto, verso Campo al
Bizzi. Ci dissero di stare riparati nei fondi della fattoria, dietro spessi
muri. Io avevo sedici anni, mio fratello diciotto e mia sorella aveva sei anni.
Fecero una strage: Canzio Leoncini e Mancuso si gettarono da una finestra di
cucina tentando la fuga. Leoncini, benché ferito, ci riuscì, Mancuso si ruppe
una gamba e fu ucciso sull’aia e poi, non solo, dopo averli ammazzati gliele
fecero nere. C’era uno, un certo M, che stava alla fattoria di Vecchienne, gli
mise un pugnale in bocca e gli disse “Noi si mangia il pane te mangia questo!”
gli squarciò dalla bocca tutta la faccia. Si può essere più cattivi? I
partigiani erano andati a fare il pane e furono presi alla sprovvista, erano
indisciplinati, ragazzi avventurosi. Poi a Poggio Rocchinoi ne arrestarono
tanti. Li misero tutti in fila al muro della fattoria del Frassine, dietro al
chiesa, tra loro c’era anche Primo Lorenzi, di Massa Marittima. Li picchiarono
a sangue, gli sputavano in faccia e poi gli fecero fare da mangiare e li
costrinsero a mangiare per forza dicendogli “Vedete come si trattano i
prigionieri! Cercate di farlo anche voi se vi riuscirà a farci prigionieri!”
questi delinquenti! Li fecero mangiare per forza, te lo immagini che voglia ne
avevano con le botte che gli avevano dato! Prima li portarono a Massa Marittima
e dopo a Grosseto e poi alle “Murate” a Firenze da dove riuscirono tutti a
fuggire. Ne avevano buscate tante perché erano tutti conci, ridotti in uno
stato pietoso. Alla cantoniera ci stava Celide, aveva un figliolo in guerra, al
cimitero c’era un carraio il fattore gli dette delle tavole per fare le casse
le portarono al cimitero del Frassine, venne il Prefetto, le bare allineate e
c'erano i genitori di quelli di Massa che piangevano. Questa Celide riconobbe
un cugino che era tra i fascisti ed era venuto ad ammazzarli! Era lì e faceva
finta di piangere insieme agli zii. Questa donna cominciò ad urlare “Assassino!
Assassino!” Fu fatto allontanare dai militi repubblichini. Dopo perseguitarono
anche il mio babbo accusato di essere collaboratore dei partigiani. In realtà
lo era perché andava coi muli a macinargli il grano perfino al Mulino di
Adarbia e noi dietro a spazzare le orme dalla polvere; gli ha fatto i capanni e
riparato i finimenti…rischiava sempre. Ai ragazzi diceva di non cantare, di non
tenere i lumi accesi…Dopo questo fatto mio padre chiese al Bernardini di essere
mandato all’imposto del Rio Secco, c’era una casina con una camera, la cucina e
una stalla grande. Cominciarono a passare i soldati tedeschi e si corsero
moltissimi pericoli. Catturarono mio padre e lo fecero salire su un camion, lo
picchiarono, lo sfilarono e per il resto della vita fu costretto a portare un
busto, e per fortuna lo fece liberare il fattore di Vecchienne, Ristori, che lo
riconobbe. Lo riportò lui col “mezzolegno” al Rio Secco. Al Frassine ti può
dire qualcosa un certo Fidanzi. Della battaglia di Monterotondo non so’ niente
perché quel giorno mi fermarono al Ponte della Lumiera mentre in bicicletta
venivo in paese a fare le spese. Al cimitero del Frassine non c’è rimasto
niente, nemmeno una lapide. In fin dei conti la cerimonia si svolse qui. Vedi
il filmato di Faccini, Canto per il sangue dimenticato, parlano due sorelle di
un fucilato… si vede Campo al Bizzi, la finestra, dove è caduto Mancuso e ce
l’hanno ammazzato…lo vidi con grande emozione. Mio padre era repubblicano, come
mio nonno, poi quando ci fu La
Malfa col centrosinistra, si allontanò: “Partiti punti, il
voto lo do’ al Partito Comunista!” Ma nel cuore era rimasta l’antica e fiera
fede repubblicana”.
5 - Una versione analoga sulla sorte del
cane "Mondiale" è stata fornita da Mauro Tanzini a Fosco Sorresina e
pubblicata in, Camicie rosse dal Frassine
alle Murate, ANPI, Grosseto, 1991. Vedi inoltre F. Sorresina, Memorie, Tip. Grossetana, Grosseto,
1996, pp. 63-66, nelle quali è riportato l’epitaffio a “Sauro” e “Mondiale”:
Oh….Intelligenti e
fedeli amici,
fra monti nevosi e
verdi vallate
ci seguiste fino
alla morte!
Questa memoria,
dedicata ai vostri
bellissimi nomi,
annoverati fra i
caduti per la libertà,
sia segno di dovuta
reverenza.