sabato 16 settembre 2017

PASSIONI, SPERANZE, ILLUSIONI. CAP. 40.

 57. Inverno a Praga

          A Praga, si legge sui depliants pubblicitari della Cedok (l’Ente Turistico di Stato Cecoslovacco), è bello andare in tutte le stagioni tanti sono i motivi d’arte, di storia, di costume, che questa mirabile città contiene, ma è soprattutto in primavera, quando gli alberi da frutta della collina di Petrin sono in fiore, risplendono al sole le guglie d’oro dei campanili e la musica sinfonica di prestigiosi complessi invade giardini, vicoli e palazzi austeri, che si coglie tutto il fascino e l’essenza più profonda di questa città e di questo popolo.
         La “primavera di Praga”, una stagione magica che ci entusiasmò nove anni fa, che poi vedemmo violentemente soffocare e intristire in quel periodo oscuro chiamato “normalizzazione” che, come per tutte le “normalizzazioni” altro non significò se non l’arresto di un processo profondo di rinnovamento che non solo prefigurava il risarcimento di innumerevoli, tragici eventi storici, ma riaffermava quei valori umani di partecipazione, libertà, democrazia, sui quali si fondano le speranze di chi, anche nel nostro Paese, vuol costruire quella società a misura di uomo, che è la società socialista.
         Avevamo ed abbiamo ancora amici, compagni, in quella città e in quel Paese. Uomini laboriosi, onesti, patrioti. Alcuni, dopo aver militato nella Resistenza contro i nazisti, subirono discriminazioni e nonostante ciò rimasero fortemente convinti della giustezza dei loro ideali e del fatto che il nuovo “regime popolare” fosse, nonostante tutto, superiore a quelli precedenti. In quei sei-otto mesi del 1968 le loro lettere divennero travolgenti: l’entusiasmo per il nuovo superava l’amarezza delle tante piccole e grandi angherie subite o delle quali erano stati testimoni, c’era una grande volontà di lotta per affermare nuovi modi di vivere e di governare senza rinunciare a quelle importanti conquiste sociali che pure avevano ottenuto.
         Poi le lettere si son fatte più rade, reticenti, allusive. E’ riapparso il sospetto, la paura che una frase, un pensiero potessero scatenare le ire dei guardiani dei “padroni del Palazzo” e quindi subire un danno, o fisico o morale, per loro stessi e per le loro famiglie. Abbiamo rispettato questo silenzio, anche nello stilare questa breve nota.
         Altri e di ben altra levatura stanno discutendo sulle cose fondamentali che hanno caUsato tali degenerazioni, sul rapporto tra democrazia e socialismo, su come deve essere una società pluralista, basata sul consenso e la partecipazione e che veda la fine dello sfruttamento dell’uomo sull’uomo. Noi, per le cose che sappiamo di quelle esperienze, cerchiamo sempre di superare, a livello individuale, il dogmatismo, l’intolleranza, la violenza per costruire rapporti nuovi con chi ci è vicino. Tutti i giorni. Nascono dalle piccole le grandi cose e la nostra testimonianza non sarà inutile. E pensando a quegli amici, a quei compagni ancora immersi “nell’inverno di Praga”, ci vengono a mente i versi di una canzone popolare spagnola (e può andar bene anche per la Cecoslovacchia), che dice:

In Spagna i fiori
che nascono d’aprile
non nascono per gioia
nascono per dolore
di tre anni di spari
di tre anni e mille
in cui il popolo ha resistito
solo contro il fucile.

In Spagna i fiori
non vogliono più vivere
perché il popolo spagnolo
morì d’aprile.

Ma i fiori ritornano
e chi li ha fatti morire
non sa che i fiori
sbocciano ad ogni aprile.

La Spagna non è morta
e mai potrà morire.
Il popolo e i fiori
non li ammazza il fucile.









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