L’Unità è viva,
così titolava “l’ultimo” numero
del giornale quotidiano fondato da Antonio Gramsci nel 1924. Ho acquistato
l’unica copia ancora disponibile nell’ edicola del paese. Mi sono commosso,
anche se non avrei dovuto, dato che da più di venti anni non lo leggevo. Del
resto non leggevo più alcun giornale quotidiano. Ma l’Unità è stato una parte
importantissima della mia vita e nel bene e nel male l’ho avuto come padre e
madre e fratello e maestro e anche amante. Non ripudio quasi niente del passato
anche se, come quasi sempre accade per le classi subalterne a quelle dirigenti,
ho scoperto d’essere stato lungamente e scientemente tradito. Amavo il Partito
Comunista Italiano e tutti i suoi alleati e “fratelli”, credevo che, offrendo il
mio tempo, sudore, denaro, sapere, di contribuire alla realizzazione di quella
“rivoluzione” sociale, culturale, umanistica che si sarebbe dovuta affermare
nel Mondo per quelle magiche parole di libertà, uguaglianza, fraternità…che mi
s’erano impresse a fuoco vivo nell’anima. Invece era soltanto un’offerta
simbolica, una maschera, un paravento. Il denaro arrivava da lontano, la stampa
godeva di contributi dello Stato, i bilanci erano falsi, il grande “patrimonio”
un colossale debito. Nella diaspora del Pci tutto s’è dissolto. E i nuovi
Demiurghi hanno cancellato perfino i ricordi. Mi sono aggrappato ad ogni
“rinascita”, fino ad oggi, seguendo il braccio del fiume più importante nel
paludoso delta della storia contemporanea, ma ormai vecchio “rottame”, cerco di
cancellare o almeno obliare il passato, dimenticando manipolazione e inganno,
cercando altrove il combustibile della vita. D’altra parte, come ebbe a
scrivere Leopardi, l’amato, …al gener nostro il fato/ non donò che il
morire./Ormai disprezza/te, la natura, il brutto/poter che, ascoso, a comun
danno impera,/e l’infinita vanità del tutto.
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