Dal:
“Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La
piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti
nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.
(VI)
I primi a recarsi sul luogo
dell’eccidio furono alcuni castelnuovini unitamente al Commissario Prefettizio
del comune, p.m. Nello Fusi, ex cittadino di Massa Marittima, capo del Servizio
Perforazioni della “Larderello SA”. Il giorno 15 si rese urgente provvedere
alla sepoltura delle povere vittime cadute l’una sull’altra in una bolgia
dantesca: dal terreno melmoso uscivano le manifestazioni di vapore endogeno che
addirittura cuocevano i corpi già straziati rendendo ancor più raccapricciante
la scena. Il Commissario Prefettizio si adoperò perché si approntasse
immediatamente una fossa dietro l’abside della cappella del cimitero comunale
per deporvi le salme, tenendo conto anche dei minimi particolari che,
all’indomani dell’esumazione, sarebbero serviti ai familiari per il loro
riconoscimento per ricondurle nei luoghi d’origine. A questo pietoso lavoro
partecipò la popolazione di Castelnuovo che, in questa circostanza, sotto la
sapiente guida della cittadina Bianca Gambacciani Cheli, si prodigò in una
grandiosa opera di solidarietà umana. Nel tempo si saprà che la strage degli 83
minatori della Niccioleta consumata dai nazifascisti è stata forse la più
feroce rappresaglia effettuata in Italia contro i lavoratori. Nella
storiografia della Resistenza Italiana è un episodio appena accennato. Certo,
quanto accadde in un villaggio minerario come Niccioleta non destò l’interesse
che suscitarono fatti verificatisi nei grandi centri industriali di Genova,
Milano, Torino, Trieste ecc.ecc. Il sacrificio degli eroici minatori di
Niccioleta è rimasto oscuro come quello del “Milite Ignoto”. Le parole più
belle l’ha scritte padre Ernesto Balducci, compaesano di molti di quei minatori
e finalmente uno storico di valore, Paolo Pezzino, con la collaborazione di
Michele Battini e di Katia Taddei, ha pubblicato recentemente due volumi
sull’eccidio di Niccioleta, frutto di una rilettura degli atti processuali e di
minuziose indagini in Italia e all’estero. I minatori di Niccioleta sono stati
riconosciuti “partigiani combattenti”. Nel capitolo “Stragi, eccidi,
rappresaglie”, in Dizionario della Resistenza, II, Niccioleta, pp. 393-394,
voce firmata s.f. (Sessi Frediano), si afferma che “…la responsabilità morale
viene oggi attribuita ai capi dei partigiani e agli operai…all’arrivo dei
tedeschi i responsabili della presa di Niccioleta non si preoccupano nemmeno di
portar via gli elenchi dei turni di guardia…ed è anche per questi atti di
leggerezza o di vigliaccheria che il massacro di Niccioleta assume simili
proporzioni”. Tali lapidarie affermazioni meritano una riflessione: oggi,
grazie anche alla penetrante ricostruzione di Paolo Pezzino, Storie di guerra
civile. L’eccidio di Niccioleta, cit., opera di grande interesse e di forte
impatto emotivo, molti elementi di questo tremendo atto della sanguinaria
follia nazifascista che colpì la
Toscana nell’estate 1944, sono finalmente chiariti con la
rimozione delle innumerevoli stratificazioni depositate sulla vicenda dalla più
o meno interessata cronaca agiografica. Tuttavia, pur svelata nei suoi
fondamenti, la tragedia dell’uccisione degli 83 minatori e della deportazione
di altri 25 giovani, resta in larga parte avvolta nel mistero che nessuna
postuma ricostruzione potrà chiarire in mancanza di documenti nuovi e
probatori. Ci riferiamo, in particolare, al ruolo del comando delle SS
stanziato all’albergo La Perla
(che aveva il compito di assicurare la produzione di energia elettrica per il
funzionamento delle ferrovie e la produzione delle sostanze chimiche per le
industrie belliche tedesche e della RSI), comando in contatto permanente coi
proprietari della “Larderello SA”, principi Ginori Conti, e dotato di mezzi di
trasporto, di radiotrasmittente, telegrafo e telefono. Anche il fabbricato “La Villa ” a Castelnuovo di Val
di Cecina, sede del comando tedesco del paese, era proprietà dei Ginori Conti e
in comunicazione con La Perla
e con la Direzione
della “Larderello SA”, il cui personale godeva in larga misura dell’esonero dal
servizio di guerra. E’ noto che l’intervento di rappresaglia doveva essere
effettuato contro “presunti” ribelli che avevano “occupato” Castelnuovo
infliggendo “pesanti” perdite ai nazifascisti. Le vicende del 10 giugno a
Monterotondo Marittimo, Suvereto, Massa Marittima e Niccioleta, permisero la
fuga di quasi tutti gli uomini tenuti in ostaggio a Castelnuovo. La richiesta
di aiuto dei fascisti di Niccioleta (che terrorizzati e carichi di odio avevano
abbandonato il villaggio minerario), alla Gendarmeria tedesca di Pian di
Mucini, e, probabilmente, la venuta a Castelnuovo di uno di loro a chiedere
aiuto alle SS, forse i contatti telefonici tra il comandante del III
Battaglione, la gendarmeria di Pian di Mucini e la stessa direzione della
miniera, avranno indotto a compiere l’azione punitiva e dissuasiva contro i
minatori di Niccioleta anziché contro gli uomini di Castelnuovo, ma il luogo
dell’eccidio doveva rimanere Castelnuovo di Val di Cecina, come era stato
pianificato e ordinato. Non avrebbe senso, altrimenti, l’uccisione in questa
località di 81 uomini il 14 giugno; di altri 4 il 26 giugno e il tentativo,
fallito per il cannoneggiamento americano ed altre fortuite circostanze, di
uccidere altre decine di ostaggi catturati nel territorio delle Colline
Metallifere e tenuti prigionieri nei locali del Dopolavoro fascista ed inoltre
alcuni prigionieri prelevati dal Mastio di Volterra. L’odio fratricida dei
repubblichini contro i “comunisti” di Niccioleta, i torbidi rapporti di alcune
donne coi soldati tedeschi, meschini calcoli di una relazione extraconiugale,
nonché la paura di dover render conto al giudizio popolare degli abitanti di
Niccioleta per anni ed anni di soprusi, vessazioni, connivenze, sui quali si
basava il “potere” e il “prestigio” di cui godevano i fascisti, portò
all’accentuazione degli avvenimenti e alla denuncia dei propri compagni di
lavoro, dipinti a tinte fosche come “partigiani”. Il ruolo ambiguo, se non di
colpevolezza, della direzione della miniera fece il resto. Gli errori degli
organizzatori dei “turni di guardia”, la precipitazione e il panico di quei
momenti impedirono, come si sa, di distruggere i famosi “elenchi” coi
nominativi (ottantatre) preposti ai turni medesimi, anche se c’è chi afferma
che non tutti gli elenchi furono trovati (testimonianza di Mario Fatarella).
Ma, crediamo, nulla avrebbe fermato la mano degli assassini. Perché essere
nell’elenco poteva voler dire “obbligato” a fare il turno dai partigiani e non
di essere un componente dell’organizzazione della Resistenza. Un pretesto, e il
più delle volte non c’è stato nemmeno bisogno del pretesto per compiere stragi.
Pare pertanto ingiusta l’accusa che Frediano Sessi rivolge, cioè che “è anche
per questi atti di leggerezza o di vigliaccheria che il massacro di Niccioleta
assume simili proporzioni”.
(continua)
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