martedì 5 agosto 2014

Dal: “Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.

(VI)

I primi a recarsi sul luogo dell’eccidio furono alcuni castelnuovini unitamente al Commissario Prefettizio del comune, p.m. Nello Fusi, ex cittadino di Massa Marittima, capo del Servizio Perforazioni della “Larderello SA”. Il giorno 15 si rese urgente provvedere alla sepoltura delle povere vittime cadute l’una sull’altra in una bolgia dantesca: dal terreno melmoso uscivano le manifestazioni di vapore endogeno che addirittura cuocevano i corpi già straziati rendendo ancor più raccapricciante la scena. Il Commissario Prefettizio si adoperò perché si approntasse immediatamente una fossa dietro l’abside della cappella del cimitero comunale per deporvi le salme, tenendo conto anche dei minimi particolari che, all’indomani dell’esumazione, sarebbero serviti ai familiari per il loro riconoscimento per ricondurle nei luoghi d’origine. A questo pietoso lavoro partecipò la popolazione di Castelnuovo che, in questa circostanza, sotto la sapiente guida della cittadina Bianca Gambacciani Cheli, si prodigò in una grandiosa opera di solidarietà umana. Nel tempo si saprà che la strage degli 83 minatori della Niccioleta consumata dai nazifascisti è stata forse la più feroce rappresaglia effettuata in Italia contro i lavoratori. Nella storiografia della Resistenza Italiana è un episodio appena accennato. Certo, quanto accadde in un villaggio minerario come Niccioleta non destò l’interesse che suscitarono fatti verificatisi nei grandi centri industriali di Genova, Milano, Torino, Trieste ecc.ecc. Il sacrificio degli eroici minatori di Niccioleta è rimasto oscuro come quello del “Milite Ignoto”. Le parole più belle l’ha scritte padre Ernesto Balducci, compaesano di molti di quei minatori e finalmente uno storico di valore, Paolo Pezzino, con la collaborazione di Michele Battini e di Katia Taddei, ha pubblicato recentemente due volumi sull’eccidio di Niccioleta, frutto di una rilettura degli atti processuali e di minuziose indagini in Italia e all’estero. I minatori di Niccioleta sono stati riconosciuti “partigiani combattenti”. Nel capitolo “Stragi, eccidi, rappresaglie”, in Dizionario della Resistenza, II, Niccioleta, pp. 393-394, voce firmata s.f. (Sessi Frediano), si afferma che “…la responsabilità morale viene oggi attribuita ai capi dei partigiani e agli operai…all’arrivo dei tedeschi i responsabili della presa di Niccioleta non si preoccupano nemmeno di portar via gli elenchi dei turni di guardia…ed è anche per questi atti di leggerezza o di vigliaccheria che il massacro di Niccioleta assume simili proporzioni”. Tali lapidarie affermazioni meritano una riflessione: oggi, grazie anche alla penetrante ricostruzione di Paolo Pezzino, Storie di guerra civile. L’eccidio di Niccioleta, cit., opera di grande interesse e di forte impatto emotivo, molti elementi di questo tremendo atto della sanguinaria follia nazifascista che colpì la Toscana nell’estate 1944, sono finalmente chiariti con la rimozione delle innumerevoli stratificazioni depositate sulla vicenda dalla più o meno interessata cronaca agiografica. Tuttavia, pur svelata nei suoi fondamenti, la tragedia dell’uccisione degli 83 minatori e della deportazione di altri 25 giovani, resta in larga parte avvolta nel mistero che nessuna postuma ricostruzione potrà chiarire in mancanza di documenti nuovi e probatori. Ci riferiamo, in particolare, al ruolo del comando delle SS stanziato all’albergo La Perla (che aveva il compito di assicurare la produzione di energia elettrica per il funzionamento delle ferrovie e la produzione delle sostanze chimiche per le industrie belliche tedesche e della RSI), comando in contatto permanente coi proprietari della “Larderello SA”, principi Ginori Conti, e dotato di mezzi di trasporto, di radiotrasmittente, telegrafo e telefono. Anche il fabbricato “La Villa” a Castelnuovo di Val di Cecina, sede del comando tedesco del paese, era proprietà dei Ginori Conti e in comunicazione con La Perla e con la Direzione della “Larderello SA”, il cui personale godeva in larga misura dell’esonero dal servizio di guerra. E’ noto che l’intervento di rappresaglia doveva essere effettuato contro “presunti” ribelli che avevano “occupato” Castelnuovo infliggendo “pesanti” perdite ai nazifascisti. Le vicende del 10 giugno a Monterotondo Marittimo, Suvereto, Massa Marittima e Niccioleta, permisero la fuga di quasi tutti gli uomini tenuti in ostaggio a Castelnuovo. La richiesta di aiuto dei fascisti di Niccioleta (che terrorizzati e carichi di odio avevano abbandonato il villaggio minerario), alla Gendarmeria tedesca di Pian di Mucini, e, probabilmente, la venuta a Castelnuovo di uno di loro a chiedere aiuto alle SS, forse i contatti telefonici tra il comandante del III Battaglione, la gendarmeria di Pian di Mucini e la stessa direzione della miniera, avranno indotto a compiere l’azione punitiva e dissuasiva contro i minatori di Niccioleta anziché contro gli uomini di Castelnuovo, ma il luogo dell’eccidio doveva rimanere Castelnuovo di Val di Cecina, come era stato pianificato e ordinato. Non avrebbe senso, altrimenti, l’uccisione in questa località di 81 uomini il 14 giugno; di altri 4 il 26 giugno e il tentativo, fallito per il cannoneggiamento americano ed altre fortuite circostanze, di uccidere altre decine di ostaggi catturati nel territorio delle Colline Metallifere e tenuti prigionieri nei locali del Dopolavoro fascista ed inoltre alcuni prigionieri prelevati dal Mastio di Volterra. L’odio fratricida dei repubblichini contro i “comunisti” di Niccioleta, i torbidi rapporti di alcune donne coi soldati tedeschi, meschini calcoli di una relazione extraconiugale, nonché la paura di dover render conto al giudizio popolare degli abitanti di Niccioleta per anni ed anni di soprusi, vessazioni, connivenze, sui quali si basava il “potere” e il “prestigio” di cui godevano i fascisti, portò all’accentuazione degli avvenimenti e alla denuncia dei propri compagni di lavoro, dipinti a tinte fosche come “partigiani”. Il ruolo ambiguo, se non di colpevolezza, della direzione della miniera fece il resto. Gli errori degli organizzatori dei “turni di guardia”, la precipitazione e il panico di quei momenti impedirono, come si sa, di distruggere i famosi “elenchi” coi nominativi (ottantatre) preposti ai turni medesimi, anche se c’è chi afferma che non tutti gli elenchi furono trovati (testimonianza di Mario Fatarella). Ma, crediamo, nulla avrebbe fermato la mano degli assassini. Perché essere nell’elenco poteva voler dire “obbligato” a fare il turno dai partigiani e non di essere un componente dell’organizzazione della Resistenza. Un pretesto, e il più delle volte non c’è stato nemmeno bisogno del pretesto per compiere stragi. Pare pertanto ingiusta l’accusa che Frediano Sessi rivolge, cioè che “è anche per questi atti di leggerezza o di vigliaccheria che il massacro di Niccioleta assume simili proporzioni”.


                                                                                                          (continua)

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