Dal:
“Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La
piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti
nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.
(X)
I preti nella
Resistenza delle Colline Metallifere Toscane.
"...la sottovalutazione
della strage di Niccioleta si può misurare nelle esigue cinque o sei parole
(nelle note!) che lo studioso Giovanni Verni gli dedica nell'ampio studio La Resistenza Toscana ,
in Ricerche Storiche, a. XVII, n. 1, gennaio-aprile 1987, ESI, Napoli, pp.
61-204, citando come bibliografia il solo volume di Bianciardi-Cassola, I
Minatori della Maremma, e non più spazio si trova nell'ultima aggiornatissima
opera nazionale, Dizionario della Resistenza, cit., pp. 462-463, dove, passando
in rassegna nominativa le località ove avvennero le stragi della Toscana, tra
le quali quella di Niccioleta-Castelnuovo di Val di Cecina, si scrive soltanto
che esse "assistettero a stragi nazifasciste con almeno cinquanta vittime
ciascuna". Quasi nulla, infine, è stato scritto sui drammi individuali e
collettivi delle famiglie degli uccisi di Niccioleta. Essi si possono
intravedere seguendo la vicenda umana e pastorale di don Gino Bracci, il
parroco del villaggio, che dopo aver invano "tentato l'impossibile per
salvarli", e dopo essersi successivamente adoperato ad attenuare i
rancori, i desideri di vendetta dei superstiti, il dolore di madri e spose, ne
rimase così sconvolto da entrare in crisi sacerdotale spretandosi. Tale crisi "non
fu che la conseguenza delle minacce subite e dei suoi sforzi inimmaginabili
nello stare vicino alle famiglie dei trucidati, perché non si allargassero gli
odi e non si arrivasse a nuovi lutti ed inutili vendette". Su don Gino
Bracci, l'archivista della Curia Vescovile di Massa Marittima, don Antonio
Pini, parla serenamente non di "crisi religiosa", ma di "crisi
umana" dettata da motivi di "solitudine affettiva" e dal
turbamento generato dalla immensa tragedia. Infatti, Gino Bracci, spretatosi, laico
e sposato con la vedova di un minatore ucciso, rimase un uomo di grande fede
svolgendo ruoli importanti nell'Azione Cattolica diocesana. Merito soprattutto
di don Bracci fu l'intervento pronto e largamente determinante del Papa Pio
XII, che mandò direttamente una sua nipote con monsignor Ferdinando Baldelli
(presidente nazionale dell'Opera Nazionale Assistenza Religiosa e Morale degli
Operai, ONARMO), a vedere e a provvedere. La situazione sociale, lo smarrimento
mentale, le problematiche del lavoro, resero ancor più difficili i rapporti fra
la "Montecatini" ed i sindacalisti che operavano in modo lucidamente
politico e criticabile sotto molti aspetti. Il clima di tensione che si
percepiva a Niccioleta aveva reso ancor più invivibile il villaggio e tutta la
zona mineraria. Molti orfani, a causa di questi eventi, trovarono accoglienza
al Rifugio S. Anna, in Massa Marittima", in C.E.T., Chiese toscane, cit.,
pp. 360-362. Un aspetto ancora poco noto è l'azione del clero della diocesi di
Massa Marittima a favore dei minatori e l'impegno del vescovo Faustino Baldini,
in contatto continuo con monsignor Ferdinando Baldelli e, suo tramite, con Pio
XII. Nel Comitato di Niccioleta oltre ad un membro delle famiglie dei fucilati
ed uno della Direzione della miniera entrò a farne parte un membro designato
dalla Curia vescovile. I compiti di tale Commissione, composta dall'ing. Gnech
Martino, da Gino Bracci e dal signor Bianchi, riguardavano anche l'erogazione
di un assegno mensile, erogato dall'ONARMO, alle famiglie delle vittime. Infine,
per il ruolo avuto dalla chiesa massetana, soprattutto nel portare aiuto alle
famiglie delle vittime di Niccioleta, vedi la documentazione esistente
nell'Archivio della Curia Vescovile di Massa Marittima, consistente in alcune
lettere del presidente dell'ONARMO, Ferdinando Baldelli, al vescovo Faustino
Baldini e tre testi di allocuzioni del vescovo stesso pronunciate negli anni
1944 e 1945 in
occasioni di importanti ricorrenze (Arch. Vescovile, Allocuzioni del Vescovo,
1944, b. 21, b. 23; 1945 b. 15). Sul vescovo Faustino Baldini gravano le
ambiguità della collusione con il regime fascista, che si erano fatte ancor più
evidenti in concomitanza dell'aggressione all'Etiopia, e le sue frequenti
apparizioni tra i gerarchi del partito nelle manifestazioni ufficiali: tali
ambiguità permangono e si avvertono anche dopo l'eccidio dei minatori, nella
più assoluta asetticità di giudizio del vescovo, tra vittime e carnefici, e
nella mancanza di condanna morale per il fascismo ed il nazismo, mai nominati
nelle sue allocuzioni. Al contrario risulta forte l’impegno del vescovo Baldini
nell’opera di mediazione con i comandi tedeschi per evitare “decimazioni tra la
popolazione”. Ai funerali solenni che si svolgono nell'estate 1944 a Massa Marittima, si
limita a dire che i settantasette minatori "trucidati barbaramente, senza
un'anima gentile d'attorno che ne avesse pietà e ne raccogliesse gli ultimi
rantoli e le agonie estreme; senza un sacerdote che li confortasse cogli ultimi
Sacramenti e colle ultime preghiere della Chiesa, questi cari fratelli nostri
ebbero un seppellimento sommario e in comune e in terra non loro". E nel
concludere non può fare a meno di accennare che "...la voce di questi
cari, vittime di un odio feroce che ha straziato più che mai la nostra Italia,
chiede non rappresaglie di altri morti che getterebbero la Patria in un caos di
perdizione completa, ma chiedono l'unione delle menti e dei cuori...serietà di
vita e concordia fraterne, ecco il giuramento che io v'invito a deporre su
queste salme benedette, se vogliamo incontrare il gradimento dei morti, e
giurare alla causa comune della rinascita nazionale". Il 13 febbraio 1945, in occasione della
inaugurazione della targa commemorativa per i sei minatori fucilati il 13
giugno 1944 a
Niccioleta afferma: "Resti nei secoli questa targa benedetta a ricordare
la enormità di un delitto che ha spezzato sei giovani vite e cuori di madri, di
spose, di figli. Ma ricordando l'enormità del delitto non ispiri mai questa
targa sentimenti di ribellione a Dio che nei suoi imperscrutabili giudizi non
sventò i disegni dei traditori, né trattenne la mano dei carnefici...non dunque
sentimenti di ribellione verso Dio e nemmeno sentimenti d'odio verso i
traditori e i carnefici...ma nell'osservanza del Vangelo, deposte le bombe e le
mitraglie di cui foste vittime, ci stringiamo la mano da veri figli di Dio e
seguaci di Cristo nella festa della fratellanza mondiale". Del resto è
noto, leggendo la stampa cattolica, come l'Araldo di Volterra, che alla
iniziale euforia con la quale il mondo cattolico aveva plaudito alla guerra ed
alle imprese nazifasciste, vissute principalmente nel disprezzo del valore
della vita umana e nell'esaltazione della lotta del cristianesimo contro il
bolscevismo ateo e contro l'Inghilterra e gli Stati Uniti, nazioni a
predominanza protestante in un non ancora sopito spirito di controriforma,
subentra un silenzio gravido di paura. Nelle chiese si implora ora una pace
giusta e universale, ma, nella vittoria delle nostre armi, della romanità,
della cristianità, perché il Duce l'ha detto Vinceremo! La presa di coscienza
collettiva, almeno entro la diocesi di Volterra, della condanna del fascismo e
dell'apertura a idee democratiche più tolleranti, non avverrà né il 25 luglio
né con la proclamazione della Repubblica e dell'applicazione della Carta
Costituzionale. Ben pochi ed isolati saranno i casi di partecipazione di
religiosi alla Resistenza nel volterrano e nelle Colline Metallifere:
(continua)
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