Dal:
“Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La
piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti
nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.
(III)
Nota (a
cura di Carlo Groppi):
Per una sintetica ricostruzione
delle vicende che accaddero nella città di Massa Marittima sono di particolare
importanza i Ricordi di vita partigiana in Massa Marittima del professor Enrico
Cheli, valente medico presso l’ospedale cittadini, pubblicati sulla rivista
mensile La Torre
Massetana , gennaio 1985: «…Ritornato a Massa, fui sempre più
sorvegliato e segnalato, al punto che un maresciallo delle SS tedesche ebbe ad
aggirarsi per Massa con i suoi sgherri dicendo che, se mi avessero messo le
mani addosso, mi avrebbero fatto “kaputt”. Ne posseggo la documentazione.
Fortunatamente i nostri servizi di informazione funzionavano bene: quando
tedeschi e fascisti venivano a cercarci eravamo irreperibili! Quante volte
abbiamo attraversato il fosso della Sata e abbiamo dormito tra il fieno! Meno
male che non sono di costituzione allergica, altrimenti mi avrebbero scovato
per il rumore degli starnuti…Le mie prestazioni mediche si intensificarono: un
giorno mi chiamarono a soccorrere un partigiano ferito, Mario Calvani da
Monterotondo Marittimo, cui un colpo di fucile aveva maciullato un dito della
mano. Dovetti amputarglielo. La sala operatoria fu, in un pomeriggio di
primavera, la cucina del podere Scheggiolaia, a Poggio Romitorio, operai in
anestesia locale, su un tavolino. Mario fu bravo a sopportare il dolore. Gli
avevano fatto bere parecchio vino, in mancanza di superalcoolici. Né la ferita
si infettò, pur non esistendo allora gli antibiotici. Gran razza, quella
maremmana! La V Armata
Americana del generale M. Clark avanzava: il 4 giugno aveva liberato Roma. Le
milizie fasciste abbandonarono allora Massa Marittima dirette al Nord. Il
Commissario Prefettizio al comune di Massa, Tappari (ne faccio il nome perché
operò sempre bene, pur fascista) compì un atto di limpido spirito democratico: non
volle abbandonare la civica amministrazione, ma non volle neppure governarla da
solo. Indisse pertanto una pubblica e libera riunione di cittadini, nel Teatro
Mazzini, onde venissero eletti liberamente e direttamente, cinque cittadini che
collaborassero con lui negli incombenti della civica amministrazione. Volle
cioè, il Tappari, la nomina diretta, per acclamazione, di una specie di
“Giunta” comunale. Fui eletto anch’io e con me Ivo Carboncini. Non ricordo i
nomi degli altri. Ricevetti il foglio di nomina, da parte di Tappari e, quando
la “Giunta” decadde, con l’arrivo delle truppe statunitensi, mi giunse il
ringraziamento dello stesso Tappari. Conservo gli originali di
quell’epistolario. Debbo però confessare di non aver mai partecipato ai lavori
di quella “Giunta”. Fui presente alla riunione popolare, ma il clima politico
non mi permetteva ormai più di fare apparizioni in città. Le scorribande
tedesche erano continue (l’eccidio di Niccioleta è di quel periodo). Il
soccorso ai compagni del bosco era sempre più impellente. Ero ferocemente
ricercato dalle SS. Mi ritirai quindi definitivamente al bosco, nella
formazione “Camicia Rossa” con Mario Chirici, Viazzo Zazzeri e tanti altri con
i quali mi sono ritrovato l’11 giugno scorso. Svolgevo le funzioni di medico
itinerante di battaglione, con recapito a Scheggiolaia, anche con funzioni di
accoglimento dei dispersi e di chi volesse sfuggire ai tedeschi. Un giorno
avvistammo due soldati germanici che a cavallo, lungo un viottolo della
boscaglia si dirigevano verso la cima del Poggio Romitorio. Noi eravamo tre o
quattro, con pistole e moschetti. Ci appostammo per l’imboscata: quando i due
tedeschi ci passarono davanti a pochi metri, mi mancò e ci mancò il coraggio di
far fuoco…Erano giovani come noi e certamente in qualche paese germanico c’era
qualcuno ad attenderli. Era un luminoso mattino di primavera. I rifugiati al
bosco aumentavano e costituivano un impaccio per la tattica partigiana. Chirici
mi incaricò della loro organizzazione e dell’assistenza ai feriti ed ai malati.
Tra le boscaglie di Poggio Romitorio, il 14 giugno, ci pervenne la notizia dei
terribili fatti di Niccioleta. E sempre là assistemmo al mitragliamento, da
parte dei caccia “Spitfire” inglesi, di una lunga colonna germanica,
autotrasportata e corazzata, che percorreva in ritirata la strada Nuova, verso
Pian di Mucini. Fu un combattimento feroce: i tedeschi avevano postato le
mitragliatrici dietro alle casematte che ancor oggi fiancheggiano la strada:
gli aerei sbucavano dietro il Poggio e si avventavano sulla colonna che
continuava a sfilare; gli automezzi colpiti si fermavano o scoppiavano; anche
un aereo si allontanò lasciando una densa scia di fumo nero…Le carcasse degli
automezzi rimasero a lungo ai margini della strada, a testimonianza di quel
terribile duello svoltosi per un’ora almeno sotto il sole, nel primo
pomeriggio. Ci fu poi il “confronto” tra carri armati americani che sparavano
da Massa ormai conquistata ed un cannone tedesco che rispondeva da Poggio
Romitorio e che danneggiò parecchi edifici della città. Ne ha scritto di
recente, su “La Torre
Massetana ”, Monsignor E. Lombardi. Un proiettile penetrò
diritto, sul lato nord-est dell’ospedale di S. Andrea, in quella che era stata
la mia cameretta da letto e la distrusse. Se non avessi fatto la scelta
partigiana, la mia vita sarebbe probabilmente finita allora. Era il 24 giugno
1944. Il cannone tedesco – annota bene monsignor Lombardi – era uno solo: ma lo
si seppe dopo. Si spostava nella boscaglia simulando che ce ne fosse più d’uno.
E sparò per oltre 24 ore. Tanto che il comando americano, ormai ben attestato
in Massa Marittima, pensò di attuare un rastrellamento a tappeto, mediante
cannoneggiamento, di tutta la superficie di Poggio Romitorio. Le bombe
cominciarono a cadere sulle falde del Poggio, lato sud, verso le ore 14 del 25
giugno, a strisce lunghe qualche chilometro e spaziate, le sottostanti dalla
soprastanti, non più di 5-10
metri . Il maggiore Chirici spostò la formazione e mi
lasciò tra i poderi Scheggiolaia e Serra di Fiori, affidandomi donne, bambini e
malati. Quando mi accorsi che le bombe cadevano via via più in su, verso la
cima del Poggio, ordinai lo sparpagliamento dei presenti in cerca di riparo. Io
lo trovai in una trincea naturale del terreno, sotto le radici scoperte di un
enorme leccio secolare. Ci riparammo sotto di esse, accovacciati, stretti uno
contro l’altro, eravamo cinque: Wanda Chirici e la sua figlioletta Doretta,
Zeno Fedi con un ginocchio rigido per ingessatura e Danilo Rosi. Furono momenti
terribili: il fischio dei proiettili, fino allo scoppio, si ravvicinava sempre
più…almeno due deflagrazioni al minuto. Ad un certo momento, uno schianto
lacerante e fummo ricoperti da un cumulo di terra. Il proiettile era caduto sul
bordo inferiore della trincea gettando contro di noi la terra e sopra di noi le
schegge. Rimasi lucido: il fischio e la deflagrazione successiva furono al di
sopra della nostra trincea. Quando il cannoneggiamento si fu allontanato, ci
contammo. Nessuno mancava e nessuno fu ferito. Verso le ore 17 di quel 25
giugno il cannoneggiamento cessò e sul Poggio Romitorio calò il silenzio. La
guerra, per Massa Marittima era finita. Il generale Mark Clark alle ore 17 si
recò in Duomo, ma proprio allora cominciò la discesa, lungo le falde di Poggio
Romitorio, dei feriti: e furono molti ed a parecchi di loro prestai le cure che
potevo. Era calata la notte: lampadine a mano, fiaccole, voci nel buio,
indicavano il rientro a Massa di tanti fuggiaschi. Molte donne di Massa
venivano incontro ai loro cari. La 3 Brigata Garibaldi “, banda «Camicia
Rossa»,” fece il suo ingresso in Massa Marittima nelle prime ore del pomeriggio
del 26 giugno. Entrammo dalla porta di S. Rocco e sfilammo fin davanti al
Municipio. In testa erano il maggiore Mario Chirici e Viazzo Zazzeri. Dai
davanzali delle case pendevano bandiere tricolori e l’entusiasmo fu grande. In
Piazza Garibaldi, davanti alla Cattedrale ed agli austeri palazzi che
testimoniano la storia secolare di Massa Marittima, culla di civiltà e di
libertà democratiche, finì la nostra guerra partigiana. A me toccò però, nello
stesso pomeriggio, un’altra avventura, segnata ancora una volta dalla buona
sorte. C’erano dei feriti sotto Massa, nel piano. Salii su una jeep americana,
percorrendo velocemente la discesa dell’Ulivino. Giunti al piano di
Schiantapetto, dovevamo prendere a destra, lungo un viottolo. Vi stavamo
entrando, quando due colpi di fucile sparati in aria ci fermarono: “Tut min”,
ci dissero nel loro italiano gutturale, due soldatoni americani. Qualche ora
dopo furono portati in Ospedale, a Massa marittima, un morto e due feriti
gravissimi. Una mina tedesca era scoppiata sotto un carro agricolo! Si chiuse
così la parentesi partigiana della mia vita. In tutti noi è rimasto un ricordo
personale. Ma due generazioni sono ormai passate ed è opportuno che il ricordo
rimanga nella storia di Massa Marittima. Della V Armata sono rimaste, sui muri
antichi della strada Massetana, le scritte con le quali gli americani hanno
segnalato Massa Marittima: Tuscany’s Mediaeval Gem”. Mark Clark è morto il 17
aprile 1984 all’età di 87 anni. Il 24 giugno 1944 quando i soldati americani di
Clark entrarono in Massa Marittima era una giornata di sole». Anche Mario
Calvani, il popolare “Crimmogeno” di Monterotondo Marittimo, rievoca la sua militanza
nella banda “Camicia Rossa”: «…Ce l’hai di quando noi partigiani si rischiò di
fare le fucilate con gli americani? Io c’ero. Quando s’entrò a Massa, prima di
arrivare a Massa c’è un podere chiamato La Colombaia della fattoria del Cicalino, c’era un uomo
che si disperava, diceva che avevano ucciso Norma Parenti. Avevo conosciuto la
nostra compagna Norma, attiva patriota, durante un incontro tra lei e il
comandante Chirici, in una notte, in una casa periferica di Massa Marittima.
C’erano alcuni rappresentanti il CLN con i quali Norma teneva i collegamenti.
Gli uomini del famigerato fascista Nardulli, comandante della piazza di Massa,
avevano compiuto insieme ai tedeschi l’ultima infamia. Il podere dove avvenne
il massacro era “Coste Botrelli”: assieme a lei morì Giovanni Moschini, rimase
ferito il carabiniere Ascenzio Carlucci, che morì dopo pochi giorni in
ospedale. Entrammo in città il 24 giugno. Chirici voleva subito incontrare i
rappresentanti del CLN per prendere accordi. Eravamo nel cinema del paese.
Fummo di fatto trattenuti prigionieri dai soldati americani che presidiavano
l’uscita. Ci furono momenti di grande tensione perché tutti i partigiani
imbracciarono le loro armi. Finalmente uscimmo, ma le armi ci toccò
riconsegnarle. S’andò a vedere e si trovarono cinque morti tra cui Norma
Parenti, i fratelli Molendi, e Astutillo Fratti, Norma la uccisero in città e
per me la portarono laggiù, seviziandola, era una donna che girava tra i
tedeschi, tra i fascisti, tra i contadini, bisognava fargli il monumento anche
da viva, allora la parte più ignorante la criticava, ma amava la libertà e la
giustizia. I fascisti erano furiosi contro di lei! Ma il Chirici è proprio un
imbecille che mandava la gente allo sbaraglio che non era capace di adattarsi
alla guerra partigiana, fanno bene a screditarlo oggi? Allora te lo dico io e
come te lo dico io non te lo dice nessuno: Stoppa è un assassino dichiarato,
Chirici no. Chirici era un capitano dell’esercito ed è normale che fuori della
legge non voleva andare. Per quale ragione si rischiò con gli americani di fare
le fucilate quando volevano giustiziare diversi militari tedeschi? All’articolo
tal di tale, dell’anno tal di tale, la Legge Internazionale
stabilisce che la vita di un prigioniero di guerra è sacra e inviolabile! Non poteva far ammazzare
quei 32 tedeschi che avevamo prigionieri! Sulla rivista PATRIA Indipendente, n.
6-7 giugno-luglio 2000, Ilio Muraca firma un interessante articolo intitolato
“Giustizia partigiana” nel quale, a fianco di un ritratto di Mario Chirici,
scrive: “Si è molto parlato di giustizia partigiana, quasi sempre per dimostrarne
l’efferatezza e la voglia di vendette verso fascisti e nazisti, colpevoli di
gravi delitti a danno della Resistenza. Ma c’è un episodio decisamente in
contrasto con questa vulgata. Ed è quello tratto dal volume di Ivan Tognarini
Là dove impera il ribellismo, sulla guerra partigiana nella zona di Piombino,
in cui il comandante della III Brigatata “, banda «Camicia Rossa», Chirici,
dimostra un animo nobile ed un elevato senso di giustizia e di pietà, verso
alcuni prigionieri tedeschi che gli americani stavano per fucilare.”La
battaglia di Monterotondo: il giudizio che do io è che era una persona in gamba, e me non mi ha mai
comprato nessuno. Quando si venne a Monterotondo, io ero portaordini, a
Monterotondo portai un foglio al CLN, al Tafi, il mugnaio, si comunicava che il
tal giorno la tal sera noi si sarebbe arrivati in paese, s’apriva il consorzio
e tutto quello che c’era si sarebbe consegnato al popolo. Altrimenti tutto
andava in mano ai tedeschi. Si arriva a Monterotondo il 9 giugno 1944, e si
trova il popolo in sollevazione, mentre secondo i piani doveva rimanere in
casa, Chirici voleva andarsene e
s’infuriò con gli uomini del CLN che a suo parere rischiavano di scatenare una
rappresaglia nazifascista contro la popolazione. Poteva succedere di tutto. 32
fascisti a discorsi erano in galera, ma ce ne erano solo 2. Chi l’aveva
imprigionati? Il popolo! Quando però i tedeschi li interrogarono loro dissero
che l’avevano catturati i partigiani, così il paese fu salvo. Chirici ha
salvato Monterotondo col la battaglia e con i morti. Lui preferiva meglio un
galeotto fuori che un innocente in galera, io ho una idea positiva al massimo
del Chirici. Stoppa era una persona ambigua. Noi, una squadra, si partì dal
Caglio a Montebamboli e s’andò su verso le Carline, alle Cetinelle, s’era 12:
una mattina apparì il tenente Vittorio, che aveva avuto l’ordine di prenderci
le armi. Infatti disarmarono tutti meno che me che non volli cedere il
moschetto a nessun costo. Alla fine ci rimandarono indietro senza armi. Stoppa
aveva dato il comando. Anche i Filoni furono uccisi da Stoppa. Un ragazzo di 14
anni non s’ammazza Stoppa dette l’ordine ma “Boccia” fu l’assassino. Però
l’ordine lo dava Stoppa. Poi sembra ucciso nei fatti della “Banda Giuliano” in
Sicilia. Si doveva ammazzare il babbo separatamente. Il figlio cercò solo di
difendere il babbo. Bisognava aspettare, e se era una spia gli si faceva il
processo. Stoppa era un ambizioso e un isterico. Chi era la spia? Era un
polacco e fu ucciso. Il discorso del Chirici al Frassine lo tenne una donna,
amica dei partigiani, Delia, ha rischiato la pelle centinaia di volte, era la
moglie di una guardia. Licurgo Bardelloni è morto a Imperia a Pizzo di Drego.
Questi sono tutti i partigiani di Monterotondo: Barzanti Masco, il comandante;
Comparini Bongelio, Martini Deo, Giovanni Stampigli, Marconi Marcello,
Cavallotti Salusti, Alfredo Traditi,…l’ho fatta fare io, chiesi la fotografia a
tutti. Esiste solo questa. Te la presto. Tu lo sapevi di militare in una
formazione badogliana? No! Dopo la Liberazione ci si trovò iscritti nel
Raggruppamento Monte Amiata, ma noi si sapeva di far parte della 3 Brigata
Garibaldi e ci si chiamava “Camicia Rossa”. Un certificato rilasciatomi dal
Ministero della Difesa – Esercito, dove si afferma che ho partecipato dal 12
febbraio 1944 al 10 agosto 1944 alle operazioni di guerra in Italia, attesta
che militavo nella “Formazione Partigiana “Camicia Rossa” ed è firmata dal Colonnello
Comandante Renato Sandrelli. Sono questioni politiche della lotta tra i
comunisti e tutti quell’altri! A guerra finita cominciarono a pasticciare
tutto. Noi s’era conosciuto Adalberto Croci, era badogliano, antifascista,
monarchico. Anche il poro Gallistru era monarchico. C’è un fatto che i
comunisti non hanno capito ed io che sono stato comunista gli dico
ignoranti! Noi s’è fatto la Resistenza e in questa
resistenza ci si son trovate tutte le tendenze, che volevano difendere
l’Italia, buttar fuori i tedeschi e i fascisti, poi tutti fratelli, mi
sembra una cosa normale, tanto bella,
che non è da criticarsi, nel posto di Chirici ci doveva essere uno come
Bargagna, l’avrei ammazzato con le mie mani, l’odio suo contro i fascisti non
poteva compromettere i suoi uomini. Renato Piccioli è bravo, siamo amici.
Montemaggio mi ha fatto tanto male: ci son morti a bischeri. Ecco le foto con
le bare!”
(continua).
Nessun commento:
Posta un commento