Dal:
“Diario partigiano di Mauro Tanzini”,
“La
piccola banda di Ariano”, altri appunti sparsi e “I
preti
nella Resistenza delle Colline Metallifere Toscane”, di Carlo Groppi.
(V)
Nota (a cura di Carlo Groppi).
La descrizione del fatto (di
Niccioleta) secondo le testimonianze raccolte, fa parte di un originario manoscritto di Mauro
Tanzini, poi sintetizzato nella versione finale del “Diario”:
«…alle miniere di Boccheggiano e Niccioleta, già prima del
25 luglio 1943, esisteva un Comitato Antifascista che tanta parte ebbe nel
reclutare nuovi proseliti alla lotta di Liberazione. Dopo l’8 settembre ’43
l’opera di reclutamento partigiano condotta senza tregua dai minatori, risultò
decisiva ai fini della costituzione dei primi nuclei partigiani nel Massetano;
bisogna obiettivamente affermare che tale opera trovò terreno particolarmente
fertile fra i giovani. E’ anche doveroso ricordare che, prima che subentrassero
i CLN a dirigere la lotta di Resistenza, il Comitato Antifascista dei minatori
fu quello che diresse e sostenne con viveri e mezzi il movimento partigiano
operante nel territorio delle Colline Metallifere. Nel corso dei dieci mesi, di
durissima lotta partigiana, il contributo dato dai minatori fu d’estrema
importanza. La III Brigata
Garibaldi banda «Camicia Rossa», e la
XXIII bis Brigata Garibaldi «Guido Boscaglia» furono sempre
assistite quando si trattava di procurare ed usare gli esplosivi. I primi di
giugno ’44, in previsione del passaggio delle truppe tedesche in ritirata, i
minatori antifascisti della Niccioleta, stabilirono di organizzare un servizio
di guardia agli impianti della miniera. Vennero compilati degli elenchi con i
nominativi, sui quali erano indicati i turni. In seguito a delazione dei
fascisti della Niccioleta, all’alba del 13 giugno, il villaggio fu preso
d’assalto e accerchiato da reparti delle SS tedesche e da militi repubblichini.
I militari tagliarono i fili del telefono e, armi alla mano, perquisirono tutte
le abitazioni. Durante le perquisizioni, dietro indicazione precisa dei
fascisti locali, furono trovati gli elenchi dei minatori che montavano la
guardia; pertanto tutti gli uomini furono fatti uscire dalle case, con le
braccia alzate, furono spinti di fronte allo spaccio aziendale. Dinanzi al
gruppo furono piazzate due mitragliatrici. Chiamati per nome e cognome furono
fatti uscire dal gruppo sei uomini, ritenuti dagli stessi fascisti locali i
promotori del servizio di guardia e collaboratori dei partigiani operanti nella
zona. Tutto il gruppo degli ostaggi (erano stati prelevati 150 uomini, tra cui
alcuni ragazzi), furono rinchiusi nel rifugio antiaereo, sorvegliato
all’ingresso da militi armati con fucili mitragliatori. Il gruppo dei sei fu
condotto dietro lo spaccio aziendale e quindi trucidato. Tra loro un’intera
famiglia: il padre coi due figli. Alla sera dello stesso giorno gli ostaggi
furono fatti uscire dal rifugio e, sotto scorta armata, portati a piedi sulla
strada provinciale e poi fatti salire su alcuni camion verso Castelnuovo di Val
di Cecina. Nessuno degli sventurati tentò la fuga. Emilio Banchi, uno dei 150
ostaggi e padre di Eros (assassinato con i 77) mi rese testimonianza: «…dopo la
fucilazione dei sei minatori il comandante ci assicurò che nessuno degli
ostaggi sarebbe stato passato per le armi, ma saremmo stati adibiti come
lavoratori, in parte inviati in Germania ed altri al Nord Italia. Con questa
assicurazione ci facemmo la guardia l'un con l'altro, anche perché ci avevano
avvertito che se uno tentava la fuga saremmo stati fucilati. Pertanto ritenemmo
giusto che per nostra sicurezza non fossero stati avvertiti i partigiani. Ma
purtroppo non fu così. Il giorno 14 giugno, alle ore 18, un tenente delle SS
con il suo interprete entrò nel teatro di Castelnuovo dove eravamo stati
rinchiusi. Furono chiamati i nominativi di coloro che erano inclusi nell’elenco
dei turni di guardia, cioè 77 uomini. Il gruppo dei 77, sotto scorta armata, fu
fatto uscire dal teatro e trasferito nei pressi della centrale
geotermoelettrica di Castelnuovo. Il gruppo fu fatto scendere dentro un
“vallino” a forma semicircolare e, con fuoco di mitragliatrici, furono tutti
barbaramente uccisi. I giovani delle classi dal 1914 al 1927 che non erano
inclusi negli elenchi in loro possesso, furono deportati nei Lager tedeschi, in
Germania. Compiuta l’orrenda strage, il capo degli assassini e l’interprete,
tornarono nel teatro e agli ostaggi rimasti fu detto: “Noi siamo stati avvisati
da persone della Niccioleta che nel villaggio vi era un vasto movimento di
partigiani che tra l’altro rappresentavano un serio pericolo per gli abitanti.
Noi siamo intervenuti prontamente, voi tornate alla Niccioleta, ma ricordatevi
che se venissimo a conoscenza di qualche altro movimento partigiano nel
villaggio, noi interverremo di nuovo, sia tra una settimana sia tra sei mesi e
vi faremo fare a tutti la fine che hanno fatto i vostri compagni».
(continua)
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