Carlina.
Carlina, è il diminuitivo del
nome Carla, ma è anche il nome di un monte, “La Carlina ”, di quasi 900 metri di
altezza, posto proprio sul fronte est
del Borgo di Castelnuovo di Val di Cecina. Per la verità questo monte mostra a
noi l’aspetto più tipico, riconoscibile da grandi e piccini, cioè le natiche
perfettamente modellate, si pensa di una donna, naturalmente! Ma il suo nome
non è derivato da una mitica dea “Carla”, bensì da una pianta selvatica, che nel medioevo veniva legata sulle porte
delle case, insieme ad altri arboscelli spinosi, come l’agrifoglio, e il
pungitopo, per non permettere l’ingresso
al maligno, in tutte le forme nelle quali esso amava allora presentarsi. Questa
pianta spinosa cresceva in abbondanza sui pianori e nei sodi della montagna. Era
dunque considerata come un antidoto a streghe e stregoni e altre presenze
diaboliche i cui nomi si riscontravano e si riscontrano ancora a indicare monti,
fossi e luoghi vari del nostro territorio: Aia dei Diavoli, La Stregaia , Le Calaferne,
l’Infernaccio, Valle del Diavolo, ecc. ecc. Nelle
campagne, nel basso medioevo, in quello che veniva chiamato il feudo del
castello Poggio ai Corvi, in quel di Vecchienne ( Volterra), oltre al pungitopo,
venivano inchiodate sulle porte le civette, accusate di essere portatrici di
sventure. Tali rituali non erano soltanto un antidoto contro streghe e
stregoni, ma proprio contro il maligno detto anche Ghiavolo che si aggirava per
le campagne sotto mentite spoglie. Un’altra storia ci dice che la Carlina è una specie di
cardo selvatico di media montagna, senza
fusto, che cresce con un capolino radente al suolo, da cui si irradiano a
stella le foglie spinose. Delle circa
venti qualità che si conoscono, ce ne sono alcune di cui si mangia la base del
capolino, come si fa con i carciofi. Il termine deriva da “cardo”, ma è
alterato in “carlina” per accostamento al nome di Carlo, e sembra derivare
proprio da Carlo Magno. In effetti, un’antica leggenda narra che questo
imperatore, in viaggio verso Roma, si trovasse a passare con il suo esercito,
decimato dalla peste, vicino al massiccio del monte Amiata, o, secondo altri,
al massiccio delle Cornate di Gerfalco. L’animo di Carlo Magno era in preda
all’ansia per la sorte dei suoi soldati, ed anche per la propria. Ma, durante
la notte sognò un angelo che gli disse di salire sul monte, e una volta in
cima, di scagliare la sua lancia il più lontano possibile: l’erba la cui radice
sarebbe stata trafitta dalla lancia, doveva essere raccolta, tostata, e ridotta
in polvere; quindi mescolata al vino, doveva essere somministrata ai soldati,
che sarebbero guariti e resi immuni dalla peste. Carlo Magno destatosi, fece
come gli era stato suggerito in sogno e il suo esercito fu liberato dal
terribile contagio. La leggenda dice che ancora oggi questo vegetale mostri
nella radice il segno del colpo di lancia dell’imperatore Carlo Magno.
Ho annotato queste notiziole da
una mostra sulla stregoneria, qualche anno fa, in Francia, come si può dedurre
dalla foto, da una nota di Renzo Brucalassi e un elzeviro di Frate Indovino
2014.
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