giovedì 29 aprile 2021

Carlo sulle "Biancane".

 Molti componenti la famiglia di Carlo. tra i quali due sorelle, due fratelli e una zia! 

Di me, della poesia. Nous sommes ici.

 

Nell’Antologia popolare di poeti del Novecento, di Masselli-Cibotto, edita da Vallecchi, vol. II, 1964, Firenze, si legge, a pag. 141, l’autopresentazione di Attilio Bertolucci per le sue cinque poesie pubblicate in quel volume. Confesso che tra le centinaia di libri di poeti e di poesie che mi sono passati tra le mani, questa Antologia popolare è stata tra le più amate. In particolare mi colpì, nell’età giovanile, la premessa di Bertolucci che oggi, vecchio, faccio mia, presentando con parole ineguagliabili come le sue, sette poesie tradotte in lingua francese da una amica, tra le più care, Lea Fayard, professoressa di letteratura francese all’Università di Aix en Provence.

 “…ho cominciato a scrivere poesie prestissimo, avrò avuto sette anni. Se dicessi che oggi ne so meno di allora la ragione, mi potreste darmi del bugiardo. Tutti i libri che ho letto sul perché si scrivono poesie, da quelli dei filosofi che esaminano la questione da un punto di vista generale a quelle dei poeti stessi che hanno cercato di rispondere in base alle loro esperienze, non mi hanno insegnato nulla. Così ho continuato e continuo a scrivere poesie senza sapere bene perché, ed è certo che difficilmente la smetterò. Qui si può trovare almeno un’utile indicazione sull’argomento: che ho conservato senza vergognarmene troppo un’abitudine (mi verrebbe voglia di scrivere un vizio) che risale all’infanzia. Chiaro dunque che il poeta è uno che non riesce a diventare interamente maturo. Impossibilità che gli deriva dalla tendenza, viva nei fanciulli morta nei grandi, a meravigliarsi. Forse ci siamo, il poeta scrive perché si meraviglia delle cose che vede…Ad ogni modo, se è vera questa storia del meravigliarsi, è pure vero che la poesia nasce dalla felicità, che sempre s’accompagna alla meraviglia. Felicità della quale il poeta sente in modo acutissimo la fragile precaria natura: ed è per questo che egli s’affretta a fermarla, a tentare di fermarla, descrivendola…il fatto è che le cose non sono mai le stesse, perché il tempo se le porta via come un fiume, il tempo, cioè la morte. Della quale pure non è possibile non meravigliarsi a tutte le ore, i minuti del giorno e della notte. Dunque il poeta si meraviglia della bellezza delle cose, e si meraviglia del tempo che passa e le trasforma, della morte che le distrugge, e vorrebbe salvarle tutte.”

 Ho scritto la mia prima poesia quando avevo dodici anni. Veramente erano due poesie, piuttosto tristi per quell’età: una parlava delle macerie di una casa del Borgo distrutta dalle cannonate degli americani, l’altra della morte del mio nonno Dario. Scrivevo poesie perché ero molto timido e non parlavo volentieri del mio “segreto dolore”. Non imitavo altri poeti dato che in casa non avevamo allora nemmeno un libro, ma usavo vocaboli difficili perché nella malaugurata scoperta del mio quaderno, nessuno potesse risalire alla realtà. Oggi mi piacerebbe scrivere poesie infantili, cantilene e filastrocche. D’altra parte lo afferma anche un proverbio: “i vecchi sono due volte bambini”. 

 Chiudo questa “confessione” con un irriverente riepilogo, che vuol rendere omaggio all’intuizione di Bertolucci, nel senso che, pur con limitati mezzi espressivi, ho tentato di salvare la bellezza dei miei maravigliamenti e paure, scrivendoli, nell’impossibile tentativo di salvarli tutti, almeno su memorie elettroniche, ed in parte cartacee:

 900 poesie circa; 17 racconti; 29 saggi storici; 1 romanzo incompiuto; 13.000 proverbi licenziosi; 97 sogni finti e 4 sogni veri; e un imprecisato numero di aforismi, epitaffi, stornelli e citazioni; in più centinaia, molte centinaia, di lettere e cartoline.

 Nella mia vita ci sono stati periodi di aridità, ma uno fu particolarmente sofferto: dall’estate 1985 al 1997. Tutto iniziò a seguito della provocatoria proposta di Franco Fortini sull’Unità del 14 giugno 1985, cioè di mettere in atto  un black-aut poetico per almeno 5 anni! Una moratoria o, meglio un Decreto Legge per impedire la pubblicazione di nuovi testi di poesia non anonimi. Secondo Fortini se ne sarebbero ricavati innegabili vantaggi, tra i quali: riduzione drastica degli imperversanti scrittori di versi di almeno l’80%, in modo da lasciar respirare gli editori seri in grado di affrontare con maggior calma e discernimento la lettura (e la valutazione) della montagna di manoscritti ricevuti. Si sarebbe ridotto così, fin quasi a sparire, il “commercio” degli editori a pagamento che prosperavano sull’ingenuità dei poeti decisi ad ogni costo a stampare le proprie opere. Fortini consigliava ai poeti di non pubblicare alcune poesia  che non sia “stagionata” di almeno 4 anni (ma sarebbe stato meglio arrivare a 10 anni e più). I versi vanno lasciati invecchiare, non in un cassetto, ma in una botte di rovere, come un buon cognac! Si intendeva  vietare di leggere i propri versi a meno di un conveniente compenso, in tal caso però sarebbe stato pagato il lettore e non il poeta. Fortini concludeva: fuggite come la peste chiunque vi proponga di fare della scrittura letteraria la méta suprema della vostra vita. I grandi editori pubblicano raramente libri di poesia. Suppliscono uno stuolo di editori minori, sempre a pagamento, che anche in Toscana, ma maggiormente al Sud, hanno impiantato vere e proprie industrie per lo sfruttamento sistematico di poeti in cerca di una gloria assai improbabile, sfornando volumetti, anche graficamente assai sgradevoli, intascando un milione o due per qualche centinaio di copie di un testo che è difficilissimo perfino regalare!

 Non ci dimentichiamo che in quelle settimane il poeta Eugenio Montale si apprestava a ricevere il Premio Nobel della letteratura: il vate dell’italietta del centro-sinistra che aveva lanciato una estrosa scomunica contro i poeti recitanti nei vari Festival in voga nei tardi anni settanta. Il poeta recitante nelle spiagge e nelle piazze deve essere apparso a Montale più che orribile, mostruoso; il culmine, forse, dove si consumava la sua infinita desolazione. Ed oggi che i poeti viventi con almeno un volume  pubblicato in Italia sono oltre trecentomila?

 Il mio ammutolimento durò circa 12 anni, quando pubblicai qualcosa sulla rivista trimestrale La Comunità di Pomarance, e infine, alcuni anni dopo, mi decisi a fare tutto da solo: stampa privata di piccoli volumetti, non in commercio, ma per soli amici ed amiche  che preventivamente avevano aderito alla mia iniziativa dietro il semplice rimborso delle spese vive di stampa, dai 3 ai 5 € al massimo a copia per tirature dai 200 ai 350 libriccini. Proprio come le prime edizioni sfornate dal mio amato Saba!

 

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