lunedì 13 febbraio 2017







Wolfgang Goethe.

Nonostante non avessi sentito pronunciare il suo nome, durante i cinque anni delle scuole elementari (1944-1949), anzi, dei sei anni dato che avevo ripetuto la prima classe, e nemmeno nei quattro anni delle famose Scuole Aziendali della Larderello SpA (1951-1955), mi avvicinai precocemente agli scritti di Wolfgang Goethe, attraverso un volume della Utet, anni ’30, Urfaust, al quale  feci seguire, sempre nella stessa collana dei Classici Stranieri della Utet, il Faust, successivamente riletto in una traduzione più moderna di Barbara Allason. E per questa opera titanica mi sono impegnato nella lettura e rilettura fino ad oggi che sono vecchio, sfruttando di tanto in tanto le mie modeste conoscenze della lingua tedesca. E così, vennero il Werther, il Guglielmo Meister, le 50 Poesie, tradotte da Diego Valeri, nella bellissima edizione della Sansoni, fino ai recenti quattro volumi dei Meridiani  e “Vita poetica, opere scelte” nell’edizione de Il Sole 24 Ore dedicata ai grandi poeti. Come sappiamo Goethe ci ha lasciato circa 2000 poesie! Un numero impressionante di testi che vanno dal sublime al mediocre e occasionale. Ci ha lasciato anche molti Epigrammi, e, Motti e proverbi. Mi ripropongo di esaminarli tutti per arricchire, ed alzare di tono, il mio Dizionario dei proverbi, soprattutto cercando quelli a più spiccato carattere passionale e licenzioso. Sono contento di conoscere Carlsbad e Marienbad, luoghi amati da Goethe, anzi quelli dove l’inesausto amante, s’innamorò  all’età di 72 anni della graziosa Ulrike, figlia diciassettenne di una amica di Goethe,  che sembrò ricambiarlo, ma di fronte alla proposta di formale di matrimonio (dato che Goethe era vedovo) e al vasto mormorio di disapprovazione dell’ambiente frequentato dal poeta, la proposta non ebbe risposta e cadde nel vuoto. Dopo l’ultimo incontro con Ulrike a Carlsbad, durante il tragitto di ritorno in carrozza, Goethe compose una delle più belle liriche del suo immenso canzoniere: la Elegia di Marienbad nella quale si leggono questi versi nei quali il “superuomo” si fa più umano:

Per me tutto è perduto e anch’io per me stesso,
io che finora per gli Dèi ero il beniamino…

Cinque Epigrammi Veneziani di W. Goethe.

72) Fossi una donna di casa, provvista del necessario,
sarei fedele, e contenta d’abbracciare e baciare il mio uomo.
Così mi cantava a Venezia, tra altri stornelli triviali, una sgualdrinella,
e non avevo mai udito una preghiera più pia.

84) Divino Morfeo, invano agiti i dolci papaveri;
gli occhi miei restano aperti se non è Amore a chiuderli.

85) Tu ispiri amore e desiderio; lo sento e ardo.
Adesso, adorata, ispirami fiducia!

92) Dimmi, come vivi? Vivo! Fossero cento e cento
gli anni concessi all’uomo, vorrei il domani come oggi.

98) Povera e spoglia era la giovane quando la conquistai;
allora mi piacque nuda, come anche adesso mi piace.

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