sabato 26 settembre 2015

Volterra, bene dell’Umanità.

Ieri sera, dopo una assenza prolungata, sono ritornato a Volterra in occasione di un “Convegno di Studi” organizzato dall’Accademia dei Sepolti (una Accademia istituita nel 1597 e della quale faccio parte come Socio Corrispondente) con il tema “Le mura di Volterra tra passato e presente” , svolto da Marinella Pasquinucci. Nell’occasione è stata distribuita la ristampa anastatica dello studio di Enrico Fiumi “Ricerche storiche sulle mura di Volterra”, edito nel 1947. Hanno preceduto la prolusione principale diverse autorità cittadine, nonché il figlio di Enrico, Piero, mio gentile amico.
Ho ascoltato con molta attenzione gli interventi del Consolo dell’Accademia, Umberto Bavoni, e di  Piero, i quali si sono soffermati, in particolare, sull’opera di Enrico Fiumi (1908-1976), quest’ultimo una grande figura di storico nazionale, purtroppo rimasto confinato nella sua Volterra, o tra gli specialisti di storia delle Università toscane. Sono molto felice di possedere, in prima edizione, molti degli scritti di Enrico, sia in brevi articoli sulla stampa volterrana, e sia i quattro volumi importanti: nel 1943 “L’utilizzazione dei lagoni boraciferi della Toscana nell’industria medievale”; nel 1948 “L’impresa di Lorenzo de’ Medici contro Volterra”; nel 1961 “Storia economica e sociale di San Gimignano” ed infine, tra le opere maggiori, nel 1968: ”Demografia, movimento urbanistico e classi sociali in Prato dall’età comunale ai tempi moderni”. La grande passione per la storia di Volterra, alla quale Enrico Fiumi dedicò forse  la maggior parte della sua vita di studioso, sbocciò precocemente in lui constatando di come negletta e deformata apparisse  negli anni ’40 l’immagine della sua città, Volterra,  nello stereotipo di due importantissime istituzioni che sembravano dominarla: la presenza del Carcere-penitenziario (il Maschio) e del Frenocomio, ossia il “manicomio”. Se riflettiamo che Volterra ha una storia lunga quasi tremila anni, e che le due Istituzioni, Prigione e Manicomio, risalgono, la prima al secolo XVI e la seconda alla fine dell’Ottocento, esse dovrebbero apparire molto marginali in tale lunghissima “storia” della città, se non fosse perché, come accade anche adesso “la notizia  della sera, viene cancellata rapidamente da quella del mattino dopo”, e cioè  sempre di più le novità e l’effimero, fanno presa sui popoli e, probabilmente, son causa dell’impoverimento culturale, che appare dominante nella grande esplosione demografica mondiale, degli ultimi secoli. Oggi il Manicomio non esiste più; il Carcere è ridotto ad entità marginale. Volterra cerca la sua “strada” nella valorizzazione del grande passato che le appartiene, nei suoi valori umani, nell’arte, nella cultura e nell’accoglienza. Sono personalmente un “amante” di Volterra (città, in questo caso, femmina per me), perché  non avendo legami col carcere né col manicomio, mi sono innamorato della sua storia, dei suoi monumenti, della fierezza del suo popolo espressa nella corale partecipazione alla Resistenza al nazifascismo, della creatività dei suoi artisti-artigiani, della sapienza della sua scuola, della sua gastronomia, e dei profondi valori religiosi della sua Diocesi, che fin, da San Lino, secondo Papa dopo Pietro, tiene unito quel più vasto territorio, in antico "volterrano", che abbraccia le antiche Pievi matrici, dal mare alla Maremma, alla Valdera, Valdicecina e territori senesi, nonché delle sue moderne Istituzioni, (Sistema scolastico, Medicina-riabilitazione, Fondazione CRV, Cassa di Risparmio, ecc. ecc), spesso all’avanguardia, non solo in Italia. Volterra è un bene dell’Umanità, e questa deve essere la mèta da perseguire con tenacia e passione, da tutti coloro che l’amano.










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