giovedì 26 gennaio 2012


Domande, riflessioni, sulla parola e sull’essere poeta.

Stamani, uscendo di casa, ho incontrato una signora che conosco, alla quale avevo messo nella cassetta della posta il depliant pubblicitario stampato con la fotocopiatrice), reclamizzando l’uscita del mio libro e chiedendo una gradita sottoscrizione. Sorridente mi ha detto che sì, desiderava il mio libro, dato che “…come immaginava, avrebbe parlato di temi paesani, del nostro piccolo paese…”. Ecco, vedi, questo libro non è un libro di storia locale…ti ho messo io il volantino, pensando a tuo figlio…No, forse lo darò ad una mia amica di Pontedera, credo che le piacerà…ma di cosa parla?
Questa battuta mi ha riportato alla mente altri due aneddoti: alla mia vicina di casa con la quale avevo confidenza, dato che ad entrambi piaceva star fuori, in terrazza o sulle scale, a prendere il sole, proposi l’acquisto di un libricino che avevo pubblicato proprio in quei giorni. Mi rispose che lei leggeva pochissimo, quando andava a letto, per addormentarsi. Gli suggerii caldamente di acquistare il libro perché…dopo averne letta una sola pagina sarebbe caduta in un profondo sonno! Un’altra conoscente mi disse che non l’avrebbe comprato…perché altrimenti sarebbe stata costretta a leggerlo!Ma di cosa parlano i miei libri? E’ certo che non hanno una trama, come ad esempio i romanzi ed i racconti. Come spiegare il senso complessivo di una raccolta di poesie? A scorrere l’indice si avverte una molteplicità di temi, disposti senza un ordine logico, né nello spazio cartaceo, né cronologico, né connettivo. Se non fossi consapevole della mia sommessa voce, ardirei a scrivere, come Saba, una Storia e cronistoria del mio canzoniere, che si snoda negli ultimi sessanta anni, testimone del tempo e delle trasformazioni sociali ed  interiori che hanno accompagnato il mio cammino, ma purtroppo tutto ciò che ho scritto è affidato alla forza o alla debolezza, forse alla mitezza, della parola, essa sola capace di suscitare un moto d’immersione interiore. Quando confesso che scrivo poesie, o che penso poesie non scritte (non dicendo che senza la poesia non potrei vivere), noto quasi sempre nei miei interlocutori un moto d’ironia, eccone un altro dei perditempo…infatti a me le poesie non sgorgano come sorgente perenne e copiosa d’acque purissime, già pronte per essere imbottigliate come “minerali”, ma si aggregano intorno ad una parola, tre o quattro parole, e si formano e si completano attraverso una depurazione lunghissima, credo mai portata al limite estremo della purezza, attraverso un “lavoro”, nella solitudine e nell’ansia di “partecipare alla vita di tutti”. Mi ha molto colpito l’articolo di Guido Davico Bonino pubblicato sul Venerdì di Repubblica 1244 dal titolo “Cari bestselleristi d’alta classifica, un critico vi stronca. Ed è Leopardi”. Vi si parla del canto 36 di Leopardi “Lo scherzo” (che ho letto sempre e sempre rileggo specialmente riguardo alla “lima”). Adopero la lima, che non si consuma, della quale credo che nessuno possa far senza, mentre il tempo non manca, specialmente rapportando quello biologico della vita dell’uomo, rispetto al quello eterno dell’opera d’arte. Si dirà, magra consolazione, ma come è noto, le cose, tanto più sono rare, tanto meno si apprezzano. Canto alla notte, per li sentieri, nel silenzio che sa ascoltare.

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