martedì 20 dicembre 2011


L’anno che muore invita a riflettere su noi stessi e su Dio.

L’anno che muore invita a riflettere su noi stessi. No, non allarmiamoci,  verso le cose profonde, fondamentali, di quest’ultimo tratto di cammino…che nessuno vuole ascoltare e condividere, se non per indifferenza, per terrore…ma sulle piccole cose quotidiane, notiziole alimento di curiosità, come chiacchiere tra vecchi amici, che s’incontrano di tanto in tanto e il più delle volte si soffermano su lontani ricordi. A me non piace il ritornello di quella canzone che diceva…mi ricordo ti ricordi/ero bimbo e anch’io giocavo/rosso in viso ritornavo/dalla mamma ch’era là! Dato che, a differenza dei miei amici, non avevo una mamma che mi aspettava e così ho lasciato svanire almeno i primi otto anni della mia vita. A quel tempo il mio babbo era giovane e innamorato, figuriamoci se condivideva il suo tempo ad ascoltare un bambino, e la nonna, già troppo anziana, aveva sulle spalle la fatica di mandare avanti la famigliola con quel magro salario di operaio che quasi si esauriva nel pagamento del “libretto mensile della spesa”. Perciò mi piace parlare del presente e, ancor meglio, del futuro, dei progetti, delle attese. Certo, più si va in là con gli anni,  sempre meno il “parlare” e più lo “scrivere”, perché parlare presuppone incontrare, e gli incontri, nella solitudine sociale del mio paese, si fanno sempre più rari, mentre lo scrivere è esercizio solitario, che può avere o non avere risposta come mormora all’orecchio un altro ritornello che ogni tanto riaffiora: …ti scrivo e non rispondi/come tu fossi morta…”, si, penso con tristezza che sono entrato nel tempo del silenzio. Ma qualche volta incontro Luciana, un’amica esuberante nella sua malinconia, e, soprattutto, ricca di una bellezza interiore che  va al di là del dato anagrafico, con lei posso parlare del passato e del futuro ed anche gioire di un rinascimento di creatività intima e ascosa. Ho tra i più cari amici di una vita anche suo marito, Mauro, l’alter ego di chiacchierate estive nel Piazzone, mentre entrambi sorvegliamo i nostri nipotini, e resto ogni volta sorpreso della sua lucidità politica e della viva memoria per fatti e persone, luoghi e avvenimenti. Quando mi specchio in lui non posso fare a meno di notare un cambiamento: per decenni mi sono interessato attivamente alla politica militante, mentre lui era distante; ma in questi ultimi vent’anni lui è diventato un lucido analista di questioni economiche, politiche, amministrative…mentre io me ne sono praticamente distaccato, approdando, si fa per dire, ai cosiddetti “beni immateriali”; la poesia, l’amore, la bellezza, il sogno, la felicità e l’infelicità…il destino dell’uomo. Per fortuna uno sparuto gruppetto di persone si ritrova nel pomeriggio d’ogni prima domenica del mese nel borgo di Belforte, alla Casa della memoria “L’Aquilante”  a parlare di letteratura, poesia e oroscopi, che più immateriali chiacchiere di queste credo siano impossibili da organizzare, e lassù son nate tenere amicizie che durano nel tempo, e lassù sono stato “incoronato” poeta, il premio più bello che mai avrei immaginato. Naturalmente, nei “beni immateriali”, colloco anche persone che non incontro da tempo, ed alcune che non ho mai incontrato, come Swan, Susanna, Trudi, Anna, Red, ed anche Annalisa, che invece incontro abbastanza spesso. A lei devo in gran parte l’amore per le stelle e lo spiraglio che mi ha aperto nella comprensione dell’Universo. L’Universo: adesso ci dicono che non avverrà l’implosione perché esso si sta espandendo ad una velocità altissima, mentre l’energia grigia e la materia grigia, ancora ignote per il 95%, chi sa quali sorprese ci nasconderanno per altri milioni di anni, o per sempre? Mi convinco, sempre di più, della non casualità della presenza dell’Uomo sul nostro piccolo pianeta, e mi associo a quanto ebbe a dire Einstein, lui ebreo agnostico, anzi ateo e scienziato sublime: “Chiunque crede che la sua propria vita  e quella dei suoi simili  sia priva di significato è non soltanto infelice,  ma appena capace di vivere”. E nessuno come lui aveva avvertito con umiltà il senso del mistero: “ La più bella e profonda emozione che possiamo provare è il senso del mistero. Sta qui il seme di ogni arte, di ogni vera scienza. Colui che non ha mai provato questa emozione, colui che non sa più fermarsi a meditare e rimanere rapito in timorosa ammirazione, è come morto: la sua vista si è spenta. La sensazione del mistero, anche se accompagnata dalla paura,  trova pure la sua forza nella religione. La certezza che ciò che ci è impenetrabile esiste realmente e si manifesta attraverso la più alta saggezza, la bellezza  più raggiante – e le nostre deboli facoltà  lo possono comprendere soltanto nella loro forma primitiva - , questa conoscenza, questo sentimento è al centro della vera religiosità. E’ in questo senso, solo in questo senso,  che io sono un uomo profondamente religioso. Mi accontento di accettare  il mistero della vita eterna, d’avere la coscienza e l’intuizione della meravigliosa architettura  del mondo esistente e di aspirare  umilmente a comprendere  una infinitesima parte della religione che si manifesta nella natura…credo al Dio di Spinoza che ci rivela un’armonia di tutti gli esseri e non  a un Dio che si occupi del destino  e delle azioni  degli uomini”. Come sappiamo, Einstein (nato a Ulm, Germania, nel 1879), continuò fino al giorno della sua morte nello sforzo generoso  di capire e di farsi capire. Morì all’Ospedale di Princeton USA, il 18 aprile 1955, alle ore 7,15 del mattino. Nessuno, contrariamente a quanto s’è scritto, ha raccolto le sue  ultime parole: l’infermiera che lo vegliava non parlava tedesco.   

Nessun commento:

Posta un commento