martedì 6 dicembre 2011


Duccio e la sconsolata “tarapinella”…

Conosco bene la sala dedicata a Duccio di  Buoninsegna con la grande Maestà (1301-1311), capolavoro che avvia l’eccezionale stagione della pittura senese. Dal 1771 la Pala della Maestà è stata segata in due tavole distinte, mentre quand’era in Duomo si poteva vedere unita e dipinta su due facce, e mi sono spesso soffermato sulla scritta latina che suona: “O Santa Madre di Dio, sii causa di pace a Siena, sii vita a Duccio poiché egli così ti pinse”.  Per calarmi in quel tempo lontano sono ritornato a leggere il bel libro di Piero Misciattelli “Mistici senesi”, del quale ho la settima edizione, pubblicata a Siena nel 1914 dalla libreria Editrice Giuntini Bentivoglio. “…Il cinquantenario di Monteaperto Siena lo celebrò recando in trionfo al Duomo, per le sue strade cosparse di fiori, la famosa ancona della Madonna dipinta da Duccio di Buoninsegna il quale sull’iscrizione del dipinto volle significare alla regina della Città la supplichevole gratitudine di tutto un popolo: Mater Sancta  Dei sis causa Senis requiei/Sis Ducio vita te quia pinxit ita. Agnolo di Tura, cronista senese, dice che fu “la più bella tavola che mai si vedesse et facesse” e che “costò più di tremila fiorini d’oro”. Duccio a dipingerla ci mise trentadue mesi. Venne allogata al Buoninsegna il 9 ottobre 1308 da messer Iacomo di Gilberto Marescotti, operaio, ossia Rettore del Duomo. Un cronista cittadino che probabilmente prese parte alla festa così la descrisse: “…in quello dì che si portò al Duomo si serraro le buttighe; et ordinò il Vescovo una magnia et divota compagnia di preti e frati con una solenne prucissione, accompagnato dai signori Nove e tutti gli uffiziali del Comuno e tutti i popolari e di mano in mano tutti e più degni erano appresso a la detta tavola per insino al Duomo facendo la prucessione intorno al Champo  come s’usa, sonando le champane tutte a gloria per divozione di tanta nobile tavola quanta è questa, la qual tavola fece Ducio di Niccolo dipintore, e feciesi in casa de’ Muciatti di fuore de la porta a Stalloreggi. E tutto quello dì si stette a orazione con molte limosine, le quali si fece a provare persone, preghando Iddio e la sua Madre, la quale è nostra Avocata, ci difenda per la sua infinita misericordia da ogni avversità e ogni male, e guardici da mani di traditori e nimici di Siena”. Duccio di Buoninsegna lo sapeva che la sua Madonna era bella; essa non assomigliava a le rigide madonne bizantine dagli occhi aperti e fissi nello spavento di gastighi celesti e terreni. Anch’oggi le alita intorno come un odor di primavera. La Vergine duccesca è donna di popolo, non Regina; è figlia della grande rivoluzione francescana e democratica del popolo italiano; ha il cuore di madre, e sa piangere con quelli che piangono perché conosce il dolore. Dinanzi alla bellezza d’un tal dolore femminile, tremante su gli abissi della disperazione, ci tornano alla memoria i versi d’un ignoto poeta senese del Dugento:

Amor crocifisso, Amore,
e perché mi hai lasciata, Amore?

Amor, tu m’hai lasciata
lo cor mi s’assottiglia
tutta quanta è disviata
la nostra famiglia,
la tua mamma è sconsolata:
ma chi la consola, Amore?

Amor, non aggio padre,
né mamma, né sorella,
né altro figlio, né frate
per me tarapinella:
tu eri la mia reditate
di ròcche e di castella, Amore!

 Amor, se m’abandoni
non saccio che mi fare,
mettaromi a cercare,
lo mondo in giune e ‘n sune
se mi dovesser mangiare
li orsi, Amore.

Questi versi vibrano di passione e sembrano lacrime, singulti, e sospiri d’un’anima angosciata nella solitudine dell’abbandono, povera dell’unica e vera ricchezza, povera d’amore.

Nessun commento:

Posta un commento