CAMPO AI BIZZI (VI).
Alla
fine della guerra furono avviati i primi ed unici processi contro i criminali
nazifascisti, uno per gli eccidi compiuti in Maremma e nella provincia
grossetana e l’altro per quello contro i minatori di Niccioleta. Alceo Ercolani
fu indicato come il maggiore responsabile delle stragi e nella sentenza presso la Corte d’Assise di Grosseto
pronunciata il 18 febbraio 1946, furono emesse
condanne esemplari: De Anna, Maestrini, Pucini, Ciabatti, Gori: alla
pena di morte per fucilazione; Ercolani e Scotti: 30 anni di reclusione. La Corte di Cassazione, alla
quale fu appellata la sentenza, annullò le condanne e riaprì una nuova fase
processuale nel mutato clima politico che si era instaurato in Italia coi
governi democristiani appoggiati dalla destra neofascista, fino a giungere, nel
1954, alla cancellazione di molte pene e rinviando il giudizio definitivo ad una nuova istruttoria presso la Corte di
Perugia. Di fatto le pene furono tutte ridotte e annullate e gli imputati
rimessi in libertà. Come saprete, molte di queste carte sono state per decenni
occultate nei cosiddetti “armadi della vergogna” e soltanto da poco i medesimi
sono stati aperti portando ai processi per
i nazisti della strage di Sant’Anna di Stazzema, processi ininfluenti
sul piano effettivo delle pene, data la morte di quasi tutti gli imputati, ma
di grande valore morale perché, come è noto, i crimini commessi contro
l’umanità non cadono mai in prescrizione! L’unico fucilato fu Giovanni
Nardulli, il comandante della GNR di Massa Marittima, al quale risultano
addebitati molti delitti perpetrati nel territorio maremmano, fuggito al Nord
il 9 giugno 1944, riparato ad Asti e processato dopo la Liberazione nella
primavera del 1945. Risulta che Alceo Ercolani rientrò prestissimo al suo paese
natale in provincia di Viterbo dove si godette la pensione della Repubblica
Italiana tra l’amicizia e la stima della popolazione.
A
seguito dei fatti di Campo ai Bizzi, la Brigata di Mario Chirici, si divise in alcuni
gruppi partigiani, uno dei quali, comandato da un massetano, Elvezio Cerboni,
capitan Mario, si spostò nei boschi di Berignone tra Volterra e Pomarance, mentre un altro,
alla guida di Velio Menchini, si portò nell’area senese, da dove proveniva. Per
profondi contrasti ideologici e strategici, anche un gruppo di partigiani
comunisti e azionisti lasciò la
Brigata del Chirici, e si installò sui monti della Carlina al
comando di Bargagna e di Stoppa dando vita alla XXIII Brigata Garibaldi, mentre
altre bande, tra le quali la “Camicia Bianca” comandata da Renato Piccioli, si
sposteranno tra Massa Marittima e Suvereto, ed altre ancora tra Suvereto e la
costa livornese. Tuttavia nuove forze arrivarono ad ingrossare la formazione di
Mario Chirici fino a trasformarla in una vera e propria brigata, la
III Brigata Garibaldi, Banda Camicia
Rossa”.
La
complessa storia di questi avvenimenti, seguire azioni militari, spostamenti,
sconfitte, errori e anche le drammatiche frizioni ideologiche all’interno delle
Brigate Partigiane, non è adesso possibile esaminare e presenta ancora, per gli
studiosi, molti lati lacunosi nonostante l’immensa mole di documenti e
pubblicazioni, nonché la presenza in Toscana di importanti Archivi Storici
della Resistenza e della Liberazione.
E
così, per merito dei suoi 1302 partigiani, dei suoi 1.568 patrioti, dei suoi
166 caduti per la causa della Liberazione, dei suoi 155 caduti in
combattimento, dei suoi 4 dispersi, del suo altissimo e imprecisato numero di
feriti, la provincia di Grosseto ha l’orgoglio di essere stata la prima in
Italia a venir liberata dalle formazioni organizzate della resistenza. Gli
alleati, quando arrivarono, trovarono quasi ovunque l’ordine, trovarono i
governi locali funzionanti con alla guida gli uomini del CLN, e fu facile per
il Governatore Alleato insediare il Sindaco e la Giunta , espressione
democratica di tutti i partiti antifascisti.
(continua)
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